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Autore: Wings_of_Glass    11/02/2017    0 recensioni
Una storia introspettiva e inverosimile che si svolge tra incontri "segreti" e chat tra Lei, una "principessa" che non crede più nell'amore e non vuole forse farsi salvare, ma che ha disperatamente bisogno di un abbraccio vero, quello pieno di affetto che ti fa sentire sulle nuvole finché quella stretta intensa dura.. e Lui, lo "stalker", il tipico bello, tenebroso e dannato, che attira tutte e vorrebbe far cedere anche lei al suo gioco. Anche se scoprirà suo malgrado che non è affatto una preda semplice da ottenere... Come andrà a finire? Forse con un sonoro schiaffo? o con un bacio rubato? o con un lieto fine da paura?
So che è un argomento già trattato in mille modi, ma spero che la mia nuova storia vi possa piacere ed intrigare, almeno quanto a me piace scriverla qui per voi :)
Dal testo:
-Lo sai.. se fossi un animale saresti sicuramente una tartaruga- mi disse così su due piedi.
-E questo che vuol dire?- gli chiesi accigliata, stava cambiando discorso di nuovo.
-Vuol dire che quando hai paura ti nascondi dentro il tuo guscio-. Si avvicinò e mi prese la mano lentamente. -Ma non ti preoccupare io sono bravo a romperli-.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo ventisette: imbarazzi soffocati

Non confondere la realtà con le opinioni, soprattutto se sono le tue

 

Ciò di cui avevo bisogno era di qualcuno che sapesse assorbire come una spugna le mie preoccupazioni. Come tentavo di fare per Nial, gli ero rimasta vicino come potevo in quei due giorni. Per fortuna non era successo nulla di grave, ma quella scossa era stata forte abbastanza da farlo cambiare. Lo vedevo attento, più preoccupato sia per sua madre che per la sua stessa esistenza. Quasi spaventato e tutto questo mi aveva fatto comprendere quanto lui fosse simile a me. Quanto cercasse di aggiustare il suo passato, di rimediare ai suoi errori. Stava cercando di mettersi la testa sulle spalle piano piano e chi ero io per non dargli una mano? Era vero che in molti, specialmente Eliza, mi avevano fatta tentennare sulla fiducia che gli stavo dando. Ma sentivo che lui aveva bisogno di me, come io anche se non volevo ammetterlo sul serio, avevo bisogno di lui. Perché insieme eravamo più forti di quanto si potesse credere.

Ci eravamo aperti, raccontati dei nostri fantasmi. Lui mi aveva garantito ancora una volta che voleva che io stessi bene sia quando ero lui, che quando non lo ero. Mi aveva rassicurata dicendomi che non ero obbligata a fare nulla e così gli ero rimasta vicino. Ma non perché mi sentissi in debito per quando lui era stato accanto a me. Semplicemente perché lo volevo. Desideravo essere una roccia per lui. Volevo che non si sentisse solo.

Ormai passavamo quasi tutti i pomeriggi insieme. A volte veniva anche Caleb e Nial si sentiva in competizione con lui. Anche se gli avevo detto che Caleb non lo conoscevo affatto e che non mi sarei buttata tra le braccia del primo che suonava alla mia porta. Mi chiedevo se, visto che avevo trovato carino Caleb, magari sarei riuscita a vedere anche in Nial qualcosa di bello. Lui piaceva a tutte, eppure io non riuscivo a dire “oh ha dei fantastici occhi azzurri”. Forse proprio per questo. Perché non aveva nulla che non andasse nel suo aspetto. Forse perché magari cento altre bocche glielo avevano detto, altri cento occhi lo avevano ammirato e altri cento sospiri erano stati fatti facendo pensieri non poco peccaminosi su di lui. E io mi facevo fin troppe paranoie. C'era ancora quel sottile alone di paura che mi faceva da scudo, che mi faceva pensare di essere una delle sue tante conquiste. Che non mi permetteva di avvicinarmi totalmente a lui. Lo so, ero stupida a comportarmi così, non ero più una bambina ma allo stesso tempo non me la sentivo di rischiare. Di quante dimostrazioni avrei avuto bisogno prima di sciogliermi? Non riuscivo a dirlo. Non riuscivo a capirlo.

La madre di Nial dopo quattro giorni venne dimessa dall'ospedale, i medici avevano constatato che il suo malore era dovuto al troppo stress, e la caffetteria di Rachel invece venne chiusa. Sarei voluta andare da Kim e da sua madre quel pomeriggio, ma mi avevano garantito entrambe di non preoccuparmi. Ora mi trovavo di nuovo senza un lavoro in tasca e mi stavo deprimendo. Perché non si può non deprimersi quando si perde la propria solidità economica.

Per fortuna Nial mi aveva raggiunta nel pomeriggio. Per distrarlo avevo cominciato a dargli ripetizioni di francese, cosa che gli serviva anche per alzare il suo rendimento scolastico ed intanto pensavo ad altro anche io.

-Non ci credo!- esclamò lui alle mie spalle, facendomi trasalire. Ero seduta al tavolo della cucina mentre scrivevo. Lui intanto aveva cominciato a gironzolare in giro, perché non aveva per niente voglia di mettersi subito a studiare. Non gli avevo detto nulla della caffetteria. Ma sicuramente Eliza gliene aveva già parlato. Comunque lui non fece nessuna domanda e gliene fui grata.

Alzai lo sguardo verso di lui. Teneva stretto un libro dalla copertina azzurra.

-Guarda cos'ho trovato di là- disse felice. Come se avesse appena trovato un tesoro.

Si sedette accanto a me, al suo posto e mi poggio accanto al computer quello che aveva in mano. Io mi sbilanciai sulla sedia, mentre i miei occhi mettevano a fuoco quel titolo. “Kamasutra”.

Lui rise, divertito dalla mia espressione.

-Dove lo hai trovato?-

-Dì là, nella libreria-.

Non avrei mai immaginato che ci fosse un libro simile nella vecchia casa dei miei nonni. Non lo avevo nemmeno notato.

-Dai apriamolo, non sei curiosa?- se ne uscì poi. Io lo fissai sbigottita.

-Mi è bastato vedere la copertina, grazie- risposi incrociando le braccia al petto -E se è un tuo tentativo per mettermi in imbarazzo, non è per niente divertente, sappilo-.

Lui sbuffò. -Sei strana- commentò alla fine, vedendo che non cedevo. Prese il libro e cominciò a sfogliarlo da sé. Tendendoselo stretto come se fosse un prezioso cimelio interessante. Lo scrutai con la coda dell'occhio. Sicuramente lo aveva già letto da qualche parte ed era un'occasione per depistare la mia concentrazione.

-Ha parlato il re degli strani- lo corressi, riprendendo a scarabocchiare.

Lui mi adocchiò da dietro le pagine e ci fissammo con sfida. Abbassò di nuovo gli occhi sul quell'improbabile lettura e fischiò. -Questa secondo me ti piace-. Poi rise.

-Vuoi che ti uccida ora o magari dopo aver ripassato qui e que?- gli chiesi, fingendomi offesa e indicando il suo testo di francese aperto sul tavolo, poco più in là. Poi mi sventolai le guance. Iniziavo a sentire caldo. Probabilmente per via della tensione. Gliela avrei fatta pagare sicuramente.

-Se mi aiuti significa che ti sto a cuore signorina- sorrise soddisfatto.

-O magari mi sta a cuore il tuo livello di francese- risi io questa volta -Che tanto per farti un puntualizzazione è molto molto basso-.

Il sorriso si spense sulle sue labbra e mise da parte il libro peccaminoso, concentrandosi su quello che doveva realmente fare. Finché lui era con me non pensavo alle sfumature nere che stavano succedendo nella mia vita ed ero sicura che era così anche per lui. -Touché mademoiselle-.

Tirai un sospiro di sollievo, perché non avevo per nulla il coraggio di parlare di un certo argomento proprio con lui. Ancora ricordavo di come Sophie al centro estivo aveva elogiato le sue doti e non sapevo se era gelosia quella punta che sentivo prudere nel mio animo.

Passammo le due ore stabilite a ripassare francese, tra battutine da parte sua. Poi lui mi disse che doveva tornare da sua madre. Si stava occupando di lei, molto più di prima e questo era un bene.

-Allora grazie- mi disse prima di fare un passo indietro, verso il corridoio. Mentre ormai si avvicinava l'ora di salutarsi.

-Di nulla- dissi di rimando abbassando lo sguardo per terra.

Pensai che se ne sarebbe andato, invece fece un passo in avanti e si avvicinò per farmi una carezza sulla guancia -Sei sempre così gentile ed è piacevole stare con te- mi rivelò. Qualcosa tra di noi stava indubbiamente accadendo ed io stavo letteralmente trattenendo il respiro.

-Grazie-.

Poi mi sporsi e lo abbracciai. Cercavo di seguire il mio istinto senza trattenermi, ma non del tutto riuscivo ad essere spontanea. Lui ricambiò la stretta, accarezzandomi i capelli. Poi lo lasciai e ci salutammo con un cenno della mano, nel silenzio più assoluto. Richiusi la porta alle mie spalle e mi ci appoggiai per sorreggermi. Un sorriso mi increspava le labbra.

La sera suonò di nuovo il campanello dell'appartamento e pensai che fosse Nial che mi faceva una sorpresa. Invece quando aprii la porta trovai Caleb. Era strano trovarselo lì, perché pensavo fosse in giro a portare le pizze.

-Ehi come stai?- mi salutò.

-Bene- risposi sorpresa. -E tu?-.

-Benissimo- sorrise -Hai dello zucchero?-.

-Oh sì-. Caddi dalle nuvole. Mi sentivo come un pezzo di legno, presa alla sprovvista. Mi mossi verso la cucina e lui entrò nell'appartamento chiudendo la porta d'ingresso dietro di sé.

-Oggi non lavori?- chiesi timidamente.

-No- rispose -E visto che saremo vicini di casa per qualche altro giorno soltanto volevo farti una sorpresa-. Non capivo. Lo avevo avvisato il giorno prima del cambiamento e lui non mi era nemmeno sembrato troppo triste, cosa che mi aveva fatto stare meglio. Avevo sempre paura di far soffrire le persone. Forse perché io avevo sofferto tanto e non volevo che nessun altro che incrociasse la mia strada passasse la stessa cosa per colpa mia.

-Ecco lo zucchero- dissi porgendogli la ciotola con quello che mi aveva chiesto. Lui rise in risposta -Era una scusa per rompere il ghiaccio-.

-Ah..-. Sospirai perché mi sentivo stupida e maldestra accanto a lui. Perché ero così tesa? Forse perché il nostro addio si stava avvicinando. O forse perché lui cercava di minare quello che si stava creando tra me e Nial. Avevo paura di cosa potesse significare.

Sarei tornata a casa mia, tanto non c'erano più pericoli ad attendermi. Forse non c'erano mai stati. Ma ero dannatamente così paurosa che avevo preferito sempre scappare, piuttosto che affrontare le cose. Forse Caleb non lo avrei più nemmeno rivisto.

-Hai già cenato?- mi chiese gentile porgendomi la mano.

-No- ammisi. -Allora usciamo, se ti va- mi invitò fuori.

-Io...- Io non sapevo cosa fare. Ma alla fine forse potevo concedercelo, no? Da amici. -Dammi cinque minuti per cambiarmi okay?- infine cedetti.

Lui annuii, io mi allontanai verso la camera da letto per cambiarmi. Non gli avevo chiesto nemmeno dove aveva in mente di andare. Per questo ci misi un bel po' a decidermi, non rendendomi conto del tempo che passava e facendo aspettare in salotto il povero Caleb. Mi sentivo confusa, non ero mai stata oggetto delle attenzioni di due ragazzi contemporaneamente.

Quando tornai in cucina lo trovai che controllava lo schermo del mio pc, chino sul tavolino davanti al divano verde. Dove lo avevo lasciato acceso.

-Che fai?- gli chiesi e lui sobbalzò leggermente, colto alla sprovvista.

-Leggevo- rispose senza distogliere gli occhi dallo schermo. -Il tuo componimento è così... pieno di emozioni, dovresti mandarlo, lo sai?-

-Non è finito-

-Cosa manca?-

-Non lo so, non mi convince-

-A me sembra perfetto-

-La storia, non sembra troppo surreale?-

-No-

Io rimasi in silenzio. Era la prima volta che qualcuno leggeva un racconto in cui mi ero impegnata tanto. Mi sentivo quasi come se mi avesse vista nuda.

-Lo mando io-

-Nooo!- esclamai, cercando di spingerlo lontano dal portatile.

-Sì-. Lui senza ascoltarmi lo sollevò, in modo tale che io non arrivassi a prenderlo e causandomi quasi un infarto. Se gli cadeva e si rompeva avrei perso tutti i dati.

-Non farlo- sussurrai.

-Invece sì. Se non ti decidi resterai sempre bloccata-

-Va bene, ma ora posalo e non inviare-.

Lui sorrise, poi lo posò e alla velocità della luce inviò il racconto alla e.mail, dopotutto bastava premere un tasto, così da bozza passò tra quelle inviate. -Stronzo, non era finito- cominciai a tirargli pugni sulla spalla. Cosa aveva fatto!

Lui mi bloccò e mi guardò con i suoi audaci occhi verdissimi. -Lo avresti mai inviato?- mi chiese calmo.

Scossi la testa in risposta, perché infine io ero l'eterna insicura che non prende mai una decisione. -Devi imparare ad essere più sicura di te stessa, o non andrai mai dove vuoi. Non aver paura di sbagliare, sbagliare aiuta a migliorarsi e soffrire aiuta a capire sé stessi e chi ci circonda-.

-Hai ragione- mi mordicchiai il labbro sconfitta.

-Bene ora si esce- annunciò lui, sorridendo e spezzando l'atmosfera tesa che si era creata.

Mi portò a mangiare fuori, in un posto davvero buono ma per tutto il tempo continuai a pensare al mio elaborato. Oramai lo aveva inviato ed era contro il regolamento del concorso chiedere di revisionarlo dopo l'invio. Uffa. Sperai davvero in cuor mio che Caleb avesse ragione.. beh altrimenti lo avrei ucciso. Sapevo bene che la data del concorso stava per concludersi e Caleb doveva averlo letto nell'e.mail. Dopotutto avrei davvero trovato il coraggio di inviare la mia storia al concorso se non lo avesse fatto lui? Non credo.

-Tutto bene?- mi chiese gentile, mentre camminavano per una strada alberata, sotto un cielo stellato.

-Sì- mentii, facendo spallucce.

-Non è vero. Sei trasparente-.

Ci fissammo per un po' e poi io distolsi lo sguardo per prima.

-E' per la storia?- mi chiese, appoggiandomi subito dopo le mani sulle spalle -Non volevo farti un torto Lucy-

-Lo so, spero solo...-

-Andrà benissimo, fidati. Anche se te lo dice uno sconosciuto-. Sorrise timidamente.

-Tu non sei uno sconosciuto- sbottai.

-Mi fa piacere sentirtelo dire-.

Camminammo ancora un po' fino a raggiungere un parco, pieno di piccole lucine che galleggiavano nell'aria. -Lucciole?- chiesi -Giocavo a prenderle da piccola-.

Lui annuii. Mi prese per mano ed insieme ci inoltrammo sull'erba bagnata, tra le giostre vuote a quell'ora della notte. Quel contatto non mi dava fastidio. Stranamente mi sentivo tranquilla.

-Mi ha fatto piacere conoscerti Lucy- mi disse ad un certo punto.

-Guarda che non me ne vado domani- gli dissi.

-Sì, tra due giorni-. Sembrava triste. Feci scivolare via la mano dalla sua stretta leggera. Ecco, era quello che non volevo succedesse.

-Scusami Caleb..-

-Ho inviato la storia perché volevo aiutarti. Non devi permettere a nessuno di spegnere la tua luce, nemmeno alle tue insicurezze- disse come se non mi avesse ascoltato. Le lucciole continuavano a danzare e allontanarsi da noi. Il vento produceva uno sinistro frusciare tra gli alberi.

-Quindi... dillo a Nial-

I capelli mi volarono in bocca e quasi dovetti sputarli fuori.

-Che.. che vuoi dire?-

-Lo sai-

Si avvicinò e mi abbracciò. -Devi dire a Nial cosa provi- mi spronò.

Io mi sentivo come un tronco d'albero in un abbraccio che emanava calore e mi proteggeva dal vento. Appoggiai la fronte sulla sua spalla, senza però abbandonarmici, alzandomi in punta dei piedi.

Nonostante tutto questo sembrasse così strano in quel momento, mi ero sbagliata. Caleb non stava affatto cercando di attirare la mia attenzione, forse voleva essermi davvero amico. E nel mio cuore sapevo che aveva ragione. Io dovevo essere sincera con Nial e sopratutto con me stessa.



Angolo autrice
Mi dispiace moltissimo per essere sparita per così tanto tempo e so di avervi regalato un capitolo un po' striminzito. Vi chiedo umilmente scusa. Ma scrivere al computer mi sta diventando un po' difficile in sto periodo, nonostante questo prometto che concluderò questa storia ed anche Marble Heart, che revisionerò e ricreerò nuova e fatta meglio sul sito di Wattpad. Può darsi che questa storia si concluda con meno capitoli di quelli che avevo pensato. Comunque cercherò di aggiornare presto.
Grazie di cuore a tutti quelli che non hanno mollato le mie storie.
Grazie davvero.

Gaia.
 

  
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