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Autore: Nuel    20/02/2017    2 recensioni
Hogwarts apre le porte per la terza volta per Albus Potter. Quest'anno anche sua sorella minore Lily inizia a frequentare la più famosa scuola di magia e stregoneria del mondo, e mentre James stringe nuove amicizie, la vita familiare dei Potter potrebbe venire sconvolta.
Ogni pezzo è sulla scacchiera, sta ad Albus decidere se giocare quella che forse non è solo una semplice partita.
♦ Serie Imago Mundi, III
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Imago Mundi ϟ'
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La scacchiera incostante





A metà novembre l’euforia per Halloween era stata sostituita dall’entusiasmo per la gita a Hogsmeade. Da giorni, ormai, era quello l’argomento preferito dagli studenti e il più entusiasta sembrava Martin: ormai aveva sentito parlare così tanto del villaggio che gli sembrava di conoscerlo, ma non vedeva l’ora di camminare per le strade innevate e visitare i negozi, fare qualche acquisto e vedere, finalmente, come vivevano i maghi al di fuori della realtà scolastica.
    «Voglio venire anch’io», piagnucolò Lily mentre Martin e Rose aspettavano Albus, nell’ingresso ormai quasi vuoto. Mastro Gazza tossiva e controllava la lista degli studenti che potevano uscire.
    «Tra due anni potrai venire anche tu», le rispose Rose, sfregando tra loro le mani: il portone era aperto e l’androne era freddo quanto l’esterno. Lotus aveva promesso che avrebbe portato a Lily dei dolci di Mielandia e Scorpius era arrivato a proporle di restare al castello con lei, pur di non vederla piangere, ma solo Ausia era riuscita a tacitare i suoi capricci. Le era bastato rivolgerle uno sguardo di ghiaccio e Lily aveva rifiutato la proposta del giovane Malfoy, invitandolo ad andare a divertirsi.
    Quando Albus raggiunse gli altri, scuro in volto e con la sciarpa bene annodata al collo, non era rimasto quasi più nessuno studente dal terzo anno in su, nel castello. «Non l’ho trovato», esordì. Aveva cercato James nel dormitorio, in biblioteca e in guferia. Aveva dato un’occhiata anche in Infermeria, ma del fratello non c’era traccia.
    «Aveva promesso di farci vedere dov’è quel negozio», si dispiacque Martin.
    «Lo troveremo da noi!», decise Albus.
    Rose si fece pensierosa. «Certo che James è strano ultimamente».
    «Forse non sta bene», si preoccupò Lily, ma Rose non sembrò convinta.
    «Come mai siete ancora qui?». La voce di Louis li colse di sorpresa. Il Prefetto stava scendendo gli ultimi gradini con l’aria infastidita.
    «Stavamo cercando James, ma non l’abbiamo trovato», rispose Martin e Louis fece spalluce.
    «Sarà già andato».
    «Aveva promesso di accompagnarci “Da Carabà, incanti e curiosità”», disse Martin, che aspettava sin dal primo anno di vedere il negozio dove Erintja andava a rifugiarsi quando sgattaiolava via da Hogwarts.
    «Vi ci porto io, se volete», si offrì Louis, voltandosi rapidamente verso le scale prima di fare loro cenno di avviarsi.
    Fino a quel momento, Albus, Rose e Martin avevano fatto il tragitto dalla stazione di Hogsmeade sulle carrozze trainate dai testral, i cavalli scheletrici che nessuno di loro era in grado di vedere, ma era la prima volta che la facevano a piedi.
    «Non mi ero mai accorta di quanto fosse lunga!», si lamentò Rose. La prima neve era scesa ed era gelata sulla strada, rendendola scivolosa. Ogni tanto vedevano qualcuno cadere e sentivano le risate degli amici; gli studenti formavano una lunga colonna sparpagliata e chiassosa, troppo allegra per risentire del freddo, ma quando arrivarono in vista del villaggio, Rose non si sentiva più le dita dei piedi. «Io suggerisco di andare a prendere una burrobirra», disse, il fiato le si condensò davanti al viso in una nuvoletta di vapore.
    «Magari dopo», rispose Martin. Si guardava attorno pieno di curiosità, affascinato da tutto quello che vedeva: dalle case, ai negozi, ai maghi che camminavano per strada. «È davvero incredibile!», mormorò mentre si addentravano per le vie del villaggio.
    «Però a Diagon Alley ci sei già stato, no?», chiese Louis, mentre Rose metteva il broncio.
    «Sì, ma è a Londra», rispose Martin, «è una metropoli: ci si aspetta di trovare di tutto».
    Rose sbuffò e Albus si strinse nelle spalle. «Potresti andare ai Tre Manici di Scopa. Noi ti raggiungiamo dopo», suggerì alla cugina.
    Rose mugugnò il suo malcontento, ma rabbrividì di nuovo e si si strinse nel mantello, guardandosi attorno: gli studenti avevano riempito le strade del piccolo centro e lei avrebbe voluto condividere il loro entusiasmo. Le sarebbe bastato scaldarsi un pochino e poi avrebbe fatto tutte quelle cose che aveva programmato da tempo di fare: sarebbe andata a comprare dolciumi da Mielandia, e avrebbe visitato Scrivenshaft per cercare una bella piuma da regalare alla madre per Natale. Voleva andare a vedere la Stamberga Strillante con Martin, e raccontargli la storia di quando i suoi genitori c’erano entrati, ma quando vide James allontanarsi tra la folla, tutto il resto passò in secondo piano. Guardò Albus e gli altri, che stavano ancora parlando di Carabà e strinse le labbra, prendendo la propria decisione. «Sì, ci vediamo dopo», disse loro, temendo di perdere di vista James.

Louis accompagnò Albus e Martin da Carabà, il negozio di chincaglierie magiche di cui era stato curioso Fred, due anni prima, quando aveva appena aperto.
Il negozio si trovava all’inizio di una via laterale, in un vecchio edificio dall’intonaco scrostato, poco lontano da una locanda che aveva per insegna una testa di cinghiale gocciolante sangue su un panno bianco. La vetrina era impolverata e opaca e all’interno si scorgevano oggetti alla rinfusa, dall’aspetto vecchio e malridotto come quello fabbricato.
    «Buongiorno», salutò Martin, entrando per primo. Un sonaglio appeso al soffitto, davanti alla porta, suonò, richiamando un vecchio mago dal retro del negozio. L’uomo era alto e curvo, magro e vestito di ogni colore male accostato che si potesse immaginare. Aveva capelli bianchi, radi e lunghi una spanna che svolazzavano intorno alle sue orecchie come due ali.
    «Buongiorno», rispose il bizzarro mago, «posso esservi d’aiuto?».
    Martin si avvicinò al bancone: c’era un cuscino morbido, rosso scuro, pieno di pelo nero. «Ecco, mi hanno detto che lei si occupa della mia gatta Erintja», disse Martin, un po’ imbarazzato. «Vorrei ringraziarla e, se ci sono delle spese, ecco io…».
    «Oh, no, no!», lo interruppe l’uomo che doveva essere Carabà. «Per me è un piacere occuparmi di lei. Non viene molta gente, qui; mi fa compagnia». C’era qualcosa di fastidioso nella voce del mago, ma Albus non avrebbe saputo dire cosa. Si guardò intorno, sentendosi tagliato fuori da quella conversazione: in effetti loro erano gli unici studenti presenti in tutta la via. Guardò fuori, qualche fiocco di neve stava cadendo, rado e lento, ma nel negozio si stava bene: faceva caldo e c’era un profumo dolciastro nell’aria, un misto di mele e caramello o forse qualche pozione sconosciuta. C’erano scaffali e armadi che contenevano un guazzabuglio di oggetti vecchi, alcuni rotti, altri impolverati, tutti sembrano i fondi di magazzino di Mondomago, non c’era da stupirsi che non ci fossero clienti.
    Albus si addentrò tra gli scaffali, girando intorno al bancone senza accorgersene e si ritrovò nel retrobottega. C’era una donna dai lunghi capelli neri, lì e lo sguardo di Albus fu calamitato da lei. Aveva un volto giovane e sereno, ma gli occhi sembravano sbagliati su di lei: erano neri e profondi, saggi come quelli di una vecchia e duri come quelli di un uomo. Imperscrutabili.
La donna gli sorrise quasi materna, nonostante la sua impostazione rigida, con la schiena dritta e le spalle aperte e gli indicò un tavolo con sopra una scacchiera.
    Albus si avvicinò e guardò: non ne aveva mai visto una scacchiera come quella: era più grande del normale, con molte più case, doveva avere quasi il doppio dei pezzi di tutte le scacchiere che aveva visto e con cui aveva giocato, e tutti i pezzi erano di vetro incolore. «Che cos’è?», chiese, sfiorando quella che sembrava una torre e subito tutti i pezzi disposti nella metà della scacchiera a cui la torre apparteneva si colorarono diventando rossi e bianchi, qualcuno era rosso con striature bianche, altri bianchi con striature rosse, alcuni erano metà di un colore e metà dell’altro, senza che uno avesse la stessa percentuale di rosso e di bianco di un altro. Albus tirò subito indietro la mano.
    «È la Scacchiera Incostante», rispose la donna, avvicinandosi fino a toccare un pezzo dalla parte opposta. Tutti gli scacchi della sua metà scacchiera divennero neri. «Ora possiamo giocare».
    Albus contò i pezzi schierati dal suo lato: erano ventotto. «Non ho mai visto una scacchiera con così tanti pezzi», disse, «come si gioca?».
    «Lentamente», rispose la donna, spostando la sedia sul proprio lato per accomodarsi. Sollevò una mano e cominciò ad indicare: «I rossi avanzano solo in coppia: se uno dei due è bloccato puoi muoverne uno solo, ma più si allontanano e più si colorano di bianco. I bianchi retrocedono. Quando un bianco retrocede, un nero avanza».
    «Cioè i neri avanzano solo quando i bianchi retrocedono?», chiese Albus, piuttosto confuso.
    «A volte i bianchi e i rossi diventano neri e vengono tolti dalla scacchiera».
    «Vuole dire che vengono mangiati?», chiese Albus, la cui confusione era destinata ad aumentare.
    «Possiamo dire così», convenne la donna.
    «E questi cosa sono?», chiese Albus, indicando una pedina dalla forma insolita. Ce n’erano due.
    «Quelle sono le Scale. Talvolta gli altri pezzi avanzano in coppia con loro».
    Albus guardò di nuovo la scacchiera. Cinquantasei pezzi, tre colori, Pedoni, Torri, Cavalli, Alfieri, Regina. Re e Scale. «Non avevo mai visto una scacchiera di questo tipo», disse continuando a guardarla.
    «Non ce ne sono molte», confermò la donna. Aveva una veste viola scuro e nero, mani sottili, dalle dita lunghe e affusolate e Albus sentì un brivido lungo la schiena nel guardarla. «Vuoi giocare?».
    «Non so giocare con così tanti pezzi».
    «Non è molto diverso dal giocare a scacchi magici, solo, ci vuole più tempo».
    Albus sorrise. «Studio a Hogwarts e tra poche ore dovrò tornare al castello. Se vuole fare una partita, può chiedere a mio cugino», Albus si volse a guardare verso il negozio, dove Louis e Martin parlavano ancora con Carabà. «Lui è molto più bravo di me».
    La donna scosse il capo e indicò un pedone rosso su cui stavano comparendo delle striature bianche. «La scacchiera ha scelto te».
    «Ma…», Albus guardò il pedone e si accigliò. «Perché cambia colore?».
    «Chi può dirlo», sorrise la donna. «Molte cose influenzano l’uomo: l’amore, la speranza, l’età, il dolore, la lontananza, il tradimento…».
    «Ma sono scacchi», contestò Albus.
    «Sono Scacchi Incostanti», lo corresse lei e indicò il Re e la Regina. «Anche loro stanno diventando bianchi».
    «Perché?», chiese di nuovo Albus, guardando i due pezzi più importanti, ormai quasi completamente color avorio.
    «Per scoprirlo devi giocare», insistette la sconosciuta. «Fai la tua mossa», lo incitò. «Apri la partita e prenditi il tempo che ti serve: ti manderò un gufo a Hogwarts per comunicarti la mia mossa e tu farai altrettanto».
    «Mi comunicherà anche i cambiamenti di colore?», chiese lui, intrigato da quel gioco.
    Lei sorrise, estrasse dalla manica una bacchetta lunga e sottile, priva di qualunque ornamento, di legno tanto scuro da sembrare nero, la agitò rapidamente e sul tavolo comparve una pergamena con disegnata la scacchiera. «Sai già come funziona, non è vero?», chiese lei e Albus si sentì a disagio.
    «I pezzi disegnati si spostano seguendo quelli sul tavoliere?», chiese guardingo.
    Lei annuì. «E così le sfumature di colore».
    Albus rifletté per qualche momento, poi mosse avanti un pedone. Il suo corrispettivo si spostò sul disegno e Albus piegò la pergamena, facendola scivolare in una tasca. «Come sa che so come funziona questa pergamena».
    «Ne vidi una molto simile, molto tempo fa, a Hogwarts», rispose lei, con un sorriso rassicurante.
    Albus non era convinto della sua risposta, ma c’era qualcosa, in lei, che lo attirava. Se avesse giocato quella partita, probabilmente, avrebbe capito di cosa si trattava. «A chi devo indirizzare la pergamena, quando avrò deciso la mia mossa?», chiese.
    «A Carabà».
    Albus voltò subito il capo in direzione del negozio, poi tornò a guardare la strega. «Io pensavo che fosse lui Carabà».
    «A volte un nome è solo un nome, altre volte è un titolo o una maschera. A volte è molte cose, altre volte nessuna».
    Albus si accigliò di nuovo: la risposta della strega sembrava un enigma. «Quanto tempo ho per decidere la mia mossa?».
    «Tutto quello che ti serve». La donna si alzò e gli fece segno di raggiungere i suoi amici. Un attimo dopo Martin lo chiamò.
    «Albus, andiamo?», chiamò il Corvonero e Albus salutò la donna con un cenno del capo, correndo fuori dal retrobottega. Prima di uscire, si volse per salutarla, ma lei non c’era più, come se non ci fosse mai stata. Albus raggiunse Martin e Louis e, insieme, si diressero ai Tre Manici di Scopa.


 
__________________

Nota:

Non ho mai imparato a giocare a scacchi, quindi non sarò in grado di raccontare una vera e propria partita, però, spulciando, ho trovato una storia interessante: gli scacchi come noi li conosciamo sarebbero l’evoluzione di un gioco chiamato chatarunga, nato tra il IV e il V secolo d.C., inventato (o perfezionato) da un ministro di nome Sassa.
Il chatarunga aveva 56 pezzi e ci sono tre storie sulla sua invenzione, che potete trovare qui: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/08/gli-scacchi-e-le-loro-origini-leggendarie/1146133/

Ve ne riporto una: nella prima storia il re indiano Kaid, sconfitti tutti i suoi nemici e riportata la pace nel regno, piombò nell’afflizione e nella noia. Per uscirne chiese aiuto al suo ministro Sassa, che gli parlò degli scacchi e lo invitò a provarli. Sassa, però, si rese conto che il gioco era troppo complicato, perciò lo semplificò, riducendo i pezzi in campo a 32. L’idea funzionò e, all’offerta di una ricompensa, Sassa rispose al re di non voler null’altro che un diram d’argento per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via fino alla sessantaquattresima. Kaid lo rimproverò per una così modesta pretesa, ma si dovette ricredere quando il tesoriere lo informò che tutti i diram del globo non sarebbero stati sufficienti ad accontentare Sassa: il sovrano avrebbe dovuto sborsarne 18 trilioni 446 biliardi 744 bilioni 73 miliardi 709 milioni 551mila 615 (18.446.744.073.709.551.615). Due gli epiloghi: in uno il re, colpito da tanta saggezza, offrì il regno all’alto dignitario, che però rifiutò; nell’altro, ritenutosi preso in giro da lui, lo fece mettere a morte.


• Prima di tutto, un avviso: molto probabilmente, la settimana prossima non aggiornerò. Spero di farcela per quella successiva, ma non vi posso promettere nulla, se non che non sparirò! Chi mi segue su FB già lo sa: da dieci giorni ho un braccio al collo e lunedì prossimo avrò il controllo. Con una mano sola non è propriamente facile scrivere, e il capitolo 8 è a metà.
Vi chiedo scusa, ma siate certi che preferirei di gran lunga stare bene -.-
La storia entra nel vivo con questo capitolo e spero che tutti ricordiate Carabà, altrimenti, ingannate l'attesa rileggendo Il fuso delle fate! ^^
E ora, un grazie a Uwetta e ai lettori silenziosi. Come sempre mi potete trovare su FB, Twitter e Ask, anche stavolta potrei starci un po' a rispondere. >.<
   
 
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