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Autore: Tormenta    20/02/2017    4 recensioni
[Destiel | AU]
Castiel è un angelo, Dean nulla più d'un normale essere umano e la loro storia è raccontata interamente in rima. Dal testo:
Accadde un giorno: dopo aver combattuto una lunga guerra, / l’angelo di nome Castiel si ritrovò bloccato su questa Terra. / Tutta colpa d’un’ala ferita, / tale poiché in battaglia era stata colpita. [...] / Doveva dunque restare, rimettersi in sesto, / e pensò che se fosse rimasto immobile e muto / lì, sul cemento del vicolo dov’era caduto, / allora il processo di guarigione sarebbe stato più lesto. / Si mise quindi silenziosamente a sedere; / come unico compagno, le gocce fredde che piovevano da nuvole nere.
Genere: Poesia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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2.
Here with you

 
 

Durante le prime ore che trascorsero insieme,
riguardo a Castiel, Dean scoprì diverse cose alquanto estreme.
Che in quanto serafino era vecchio come il tempo
e che nella sua vera forma era fatto di luce e d’intento,
per dirne una;
oppure, che del sistema solare aveva visitato ogni luna.
Poi, che conosceva per nome tutte le stelle –
non i nomi umani: tutte bufale, quelle! –
i nomi attributi da suo Padre, nella lingua celeste,
che vibravano a ritmo di sillabe forti come tempeste
e che non potevano purtroppo esser tradotti.
(Che non si dica in giro, ma francamente
a Dean andava bene ugualmente;
anzi, tanto meglio se quei nomi non erano poliglotti:
avrebbe volentieri ascoltato Castiel pronunciarli in Enochiano per intere notti.)
Scoprì anche altri dettagli,
come che dell’umanità l’angelo non conosceva i travagli;
provava dolore, ad esempio per l’ala spezzata,
ma era qualcosa di trascendente
che aveva più a che fare con un costante rumore nella mente
che con bruciore e sangue e carne strappata.
Gli domandò se era la sua prima volta sul pianeta,
e Castiel gli disse che no, c’era già stato
anche se per poco, una volta, in un lontano passato,
per svolgere un compito che coinvolgeva un profeta.
Chiese della prima alba, del primo tramonto
e ascoltò avido ogni parola del racconto;
poi chiese ancora: «Com’è il Paradiso?»
col tono incerto di chi quasi s’aspetta d’esser deriso.
Ma Castiel non rise. Semplicemente rispose, sibillino:
«Il tuo, ti piacerà di sicuro».
«Come fai a sapere che ci andrò?» l’interrogò Dean, scuro,
balbettando un pochino.
«Potrei dover scendere, hm, al piano di sotto».
«Vedo la tua anima, Dean, e so che il tuo cuore non è corrotto».
L’uomo non poté che esitare un momento,
scettico di fronte a quel complimento.
Di certo non credeva si sarebbe mai sentito dir certe cose;
provenienti da un angelo, poi, erano lodi troppo generose.
Per mille motivi preferì non far alcun commento;
piuttosto, cambiò prontamente argomento.
«Avete davvero un’arpa dorata?»
«No. L’iconografia in questo è alquanto fallata».
«Oh». Rifletté brevemente, «Cos’altro abbiamo sbagliato?
Cupido? Sai – l’arco, le frecce; il bambino alato».
«Ce n’è più d’uno. E preferiscono essere chiamati cherubini.
Comunque, avete colto la sostanza – sono arcieri sopraffini».
Pur attutita dalla monotonia, nella voce di Castiel suonò la nota stonata
che caratterizza ogni lode forzata.
Dean prontamente la captò
e spudoratamente sogghignò,
con un sopracciglio inarcato
e gli occhi pieni d’un che d’interessato.
«Da come ne parli, non sembra ti piacciano molto»
disse, e subito l’altro s’accigliò in volto.
«Fanno il loro dovere, e questo lo rispetto,
ma le nostre nature sono in contrasto diretto.
Loro professano l’armonia, di fatto;
io, invece, combatto».
L’uomo tentò di soppesare quella risposta, intrigato,
ma presto si ritrovò a buttar lì, tutto d’un fiato:
«In sostanza, ti senti più cazzuto di loro».
L’angelo gli rivolse un’occhiata tanto intensa
da potergli aprire nel cranio un foro,
e tacque, sfoggiando l’espressione di chi pensa.
Al che, Dean quasi temette d’esser sterminato
con l’accusa d’aver detto qualcosa di sbagliato;
invece da quel lungo silenzio uscì indenne
e per di più di sentirsi dire ottenne
(dopo che gli fu domandato:
«Cosa significa cazzuto?» e che lui l’ebbe spiegato),
in tono totalmente privo d’inclinazione:
«Sì, è così. E ho ragione».
Non poté che ridere, allora, mentre Castiel ancora l’osservava.
Quest’ultimo a sua volta non si sbellicò;
una cosa fu palese, però:
il divertimento dell’uomo lo dilettava.
 
 
 
Alla fine, comunque sia,
in quel lungo botta e risposta che avanzava senza alcuna precisa via,
pur avendo di fronte un essere che tanto poteva meravigliare,
come tipico d’un umano,
che si preoccupa di ciò che può afferrare
col pensiero o con mano,
ciò che più stupì Dean furono le – comparate col resto – piccole semplicità.
In particolare, questa qua:
«Mi stai dicendo che non dormi e non mangi. Per niente?»
«Non è necessario che lo faccia. Potrei,
ma questo mi ruberebbe più tempo di quanto vorrei.
Sarei poco efficiente».
«Prima il voler restare in quel vicolo a congelare,
pur di risparmiare
cosa? forse una mezza caloria,
o anche meno, d’energia.
Poi questo. Per te è tutto una questione d’efficienza?»
«Efficienza e obbedienza»
recitò l’angelo con voce automatizzata,
poi aggiunse, con la testa appena chinata:
«Sono un soldato, Dean. Il mio atteggiamento
è plasmato per essere il migliore in combattimento».
A sentirlo parlare a quel modo,
nella gola dell’uomo si formò un grosso nodo.
«Ora però non sei in guerra.
Sei qui, sulla Terra»
gli fece presente, conciso,
«e anche se ti ci sei ritrovato senza preavviso,
potresti, che so—
provare a fare qualche esperienza. No?»
A Castiel quelle parole sembrarono piacere,
o almeno così Dean credette di capire,
ma comunque a tavola per cena non ci fu verso di farlo sedere,
e di certo nulla lo convinse a provare a dormire.
«È una cosa che mi fa quasi paura»
confessò l’angelo in un soffio dopo che l’altro gli ebbe suggerito
che forse il sonno avrebbe accelerato la cura.
«Mi mette a disagio» precisò «il pensiero restare lì, incustodito.
Non reattivo, incosciente dei pericoli».
Non erano motivi poi così ridicoli,
Dean ammise a sé stesso;
sarebbero forse stati anche i suoi se, come Castiel,
fosse andato in battaglia sin troppo spesso
per conto dei simpaticoni su nel ciel.
«Non ho mai capito come voi ci riusciate. A dormire, intendo»
aveva proseguito l’angelo, «non è tremendo?
So come funziona il vostro corpo e che necessitate di riposare,
ma come— come sapete che nella notte non smetterete di respirare?»
Si pose con onesta confusione
e l’aria di chi nasconde la curiosità da almeno qualche eone.
Dean, preso in contropiede,
non seppe bene come reagire,
se non abbozzando un «Suppongo si possa dire che è questione di fede»
che accompagnò con un mezzo sorriso sul finire.
In quell’istante ebbe anche occasione di realizzare:
s’era fatto spiegare tanto, senza dar nulla in cambio.
Percepì allora il desiderio di rimediare –
per le informazioni potevano fare uno scambio;
avrebbe scommesso che, riguardo agli umani,
c’era ancora parecchio
che turbava Castiel come una pulce nell’orecchio:
si propose dunque come soggetto per risolvere quegli arcani.
«Chiedi pure» affermò
e l’altro con gran intensità lo guardò,
ponderando tra sé e sé:
in ogni caso sulla Terra doveva restare
e certo non gli mancava il tempo da passare,
perciò decise che si sarebbe concesso qualche perché.
Così, parlarono ancora per ore,
dall’inizio alla fine con vivo fervore,
di regole, abitudini,
accortezze sociali, vicissitudini.
«Com’è svegliarsi?
E addormentarsi?»
domandò ad esempio Castiel con gli occhi illuminati;
o ancora, dopo averli assottigliati
e ricordando lo «Smetti di fissarmi» che l’altro gli aveva rivolto cenando:
«Perché è sbagliato guardare qualcuno che sta mangiando?»
Se si fermarono, infine, fu solo perché l’angelo proferì:
«Dean, credo che per te ora sia meglio dormire»
e l’uomo non lo poté contraddire,
visto che sì,
era ormai tardi, e l’indomani l’aspettavano all’officina.
Ma non mancò di chiedere: «Tu che farai fino a domattina?»
Castiel lo scrutò impassibile, poi scandì,
come se fosse ovvio: «Ti aspetterò qui».
E anche per via dalla stanchezza,
Dean non s’oppose a tanta fermezza,
sebbene lo mordesse l’incertezza
e la sua razionalità facesse qualche moina
all’idea d’abbandonare per l’intera notte in cucina
nientemeno che una creatura divina.
Domandò solo: «Sicuro che non ti serva niente?»
Castiel glielo confermò, paziente,
e con un «Buonanotte» esitante, infine, l’uomo si congedò.
Verso la camera da letto, poi, si trascinò:
durante quel tragitto, una volta cedette alla tentazione
di guardare indietro, in un ultimo lampo d’indecisione;
trovò l’angelo immobile e tranquillo,
ritto in piedi con la fierezza d’un vessillo.
Stava sullo stipite della stanza in cui l’aveva lasciato,
dalla cui luce fioca era illuminato,
ed era tutto occupato
a scrutarlo con fare concentrato.
Dean quasi provò imbarazzo
e, pur non diventando paonazzo,
dopo aver accennato un ennesimo saluto di getto
si fiondò dritto verso il letto.
Fece solo un’altra cosa prima di crollare addormentato:
nel buio e nel silenzio, ammirato
e un pochino preoccupato,
si chiese se davvero Castiel sarebbe stato lì quando si sarebbe svegliato.
 
 
 
E: .
Sì, al suono della sveglia trovò Castiel proprio lì;
letteralmente. Tipo, a tanto così
torreggiava accanto al letto, con gli occhi sgranati
che puntavano in basso, determinati.
Dunque, appena alzate le ciglia,
Dean ritrovò quello sguardo fisso su di sé:
s’immagini la terrorizzata meraviglia,
il salto che fece e lo strillo— cioè,
 il grido virile
che cacciò pensando d’istinto che si trattasse d’una presenza ostile.
«Cristo!» imprecò mettendo a fuoco la situazione,
mentre il cuore ancora gli scoppiava per via dell’illusione.
Poi: «Cas— ma che cavolo» esclamò, roco,
provando sentimenti confusi e difficili da mettere a fuoco.
«Si può sapere che stai facendo?
Mi hai fatto prendere un infarto –
non puoi fissare le persone mentre stanno dormendo!»
Al che l’angelo lo esaminò dalla testa alla punta d’ogni arto,
rapido, per poi costatare, piatto ma a modo suo sollevato:
«Dean, il tuo cuore non è danneggiato».
«Beh, spero proprio di no! Era un—» ma più avanti l’uomo non andò;
piuttosto: «Lascia perdere», decretò.
Immergendo le mani nei capelli, poi,
prese un profondo respiro, e tornò a dire:
«Davvero, questo non devi farlo. Non puoi».
E per quanto il cipiglio di Castiel fosse duro da scalfire
in quel momento si sciolse, pervaso dalla contrizione.
«Ti chiedo perdono. Turbarti non era mia intenzione».
«E allora cosa volevi fare?»
Un mero bisbiglio fu la replica a quella domanda: «Vegliare».
«Perché, avevi paura che smettessi di respirare?»
L’angelo in tutta risposta gli scagliò un’occhiata dell’altro mondo,
colma al contempo di fiamme e d’uno spirito verecondo;
Dean ci vide dentro confusione e un che d’allarmato:
quasi gli caddero le braccia,
e non poté che borbottare, affannato:
«Oddio, smetti di guardarmi con quella faccia!
Non succederà sul serio» lo rassicurò,
poi calciò via la coperta e s’alzò.
«Se vuoi restare,
per le prossime notti dovremo trovarti qualcosa da fare»
mormorò piccato tra sé e sé,
strisciando intanto verso la cucina in cerca di caffè.
Castiel gli fu subito dietro, senza esitazione,
pronto nonostante tutto a fargli compagnia durante la colazione.
 
 
 
«Non sei un angelo custode,
m’era parso di capire» mugugnò poco dopo l’uomo
con un residuo di stizza nel tono
mentre cucinava frittelle senz’infamia e senza lode.
«Non lo sono, infatti».
«E allora perché—» chiese Dean, trafficando coi piatti
«—perché ti sei messo a vegliare? Sul serio».
Si voltò verso di lui, guardandolo come se avesse perso ogni criterio.
«Ho creduto fosse una cosa buona da fare.
Tu mi hai aiutato quando non dovevi; volevo ricambiare».
«No, hm. Ascolta bene: non mi devi niente.
Specialmente non una cosa così inquietante».
«D’accordo. Capisco».
Come quelle due sole parole lo fecero sentire un totale fiasco,
l’uomo non l’avrebbe saputo spiegare.
«Apprezzo il pensiero, suppongo» si sforzò di bofonchiare,
«uh, grazie – per quello. Ma prometti—
prometti che non lo farai mai più. Per nessun motivo».
Castiel per un po’ lo scrutò con gli occhi stretti,
come ponderando un gesto decisivo.
«Bene. Hai la mia parola» asserì poi con aria severa,
come se stesse promettendo di proteggerlo da qualunque bufera,
o come se stesse giurando da capitano
di combattere contro tutto ciò che c’è di profano
e non si trovasse miseramente
nella piccola cucina d’un povero perdente.
Perdente che, scambiando con lui l’ennesima lunga occhiata,
non poté che domandarsi
come cavolo avesse fatto a meritarsi
d’incontrare e conoscere una creatura tanto aliena e inestimata.
 
 
 
Quando fu pronto per partire,
giacca sulle spalle e chiavi dell’auto in mano,
Dean domandò a Castiel se aveva intenzione di uscire.
«Non ti sto cacciando» precisò, prima che l’altro facesse qualche pensiero balzano,
«solo— ora io vado lavorare.
Il turno finisce alle cinque, e potrei tardare.
Dovrei chiudere la porta a chiave, perciò—»
Facendo spallucce, per un attimo esitò.
«Vuoi restare dentro tutto il giorno?
Oggi non piove. Puoi uscire, fare un giro qui intorno
e tornare più tardi, se ne hai voglia».
Gli sovvenne solo una volta che ebbe concluso
che l’angelo pur di guarir prima forse avrebbe preferito fare il recluso;
d’altronde, non c’era necessità che varcasse la soglia.
Stava per l’appunto per rettificare,
ma Castiel parlò per primo – per altro, per accettare:
«Uscirò. Ci sono cose che vorrei vedere».
«Okay» sorrise Dean. «Niente più modalità risparmio energetico?»
«Ho decretato che renderebbe il mio soggiorno alquanto patetico.
Io— non credevo che qui mi sarebbe potuto piacere,
ma tu mi hai fatto pensare.
C’è ancora tanto riguardo all’umanità che potrei imparare».
Così, uscirono di casa affiancati,
l’uno guardandosi attorno con gli occhi affilati
per scegliere la direzione in cui andare,
e l’altro che quasi storceva il naso perché non lo poteva accompagnare.
«Allora, hm» mormorò Dean,
prima di seguire il resto della propria routine
«se hai bisogno di indicazioni—»
«Mi sono orientato all’Inferno, mentre m’attaccavano intere legioni.
Penso di potermela cavare».
«Sì, uh, giusto» biascicò l’uomo in un pallido tentativo di replicare;
accanto a lui, l’adorata Impala aspettava,
così come l’officina: l’orario non perdonava.
Doveva salutare: strinse dunque tra le dita la maniglia
e disse, con una vaga insicurezza: «Ci… vediamo dopo, Cas».
Perplesso, l’angelo l’osservò tra le ciglia;
l’uomo era già salito a bordo, quando lui chiese: «Perché Cas?
È la seconda volta che mi chiami così,
ma non è il mio nome, e lo sai».
Se s’era indispettito, Dean non lo capì;
in ogni caso, il danno era fatto, ormai.
«Sì. È che— Castiel ha un sacco di sillabe» disse,
e subito si rese conto di quanto ridicolo suonasse.
Stava per aggiungere altro, ma all’ultimo rinunciò,
scandagliato com’era dallo sguardo celeste.
“Da quando i soprannomi sono cose tanto moleste?”
d’istinto si domandò,
mentre l’angelo sembrava immerso nella riflessione.
E lo era: impiegò un po’ per trarre una conclusione;
cioè che il nomignolo di Dean non pareva implicare mancanza di rispetto –
quindi non mirava a dargli dell’inetto,
non metteva in dubbio il suo essere divino;
piuttosto, doveva esser nato dall’inconscio bisogno di sentirlo più vicino,
più terreno – meno astratto. Era un approssimar per difetto;
d’altronde quello di “angelo” doveva essere un remoto concetto
agli occhi del senso pratico dell’umano intelletto.
«Capisco» asserì alla fine del ragionamento, pacato.
Al che, l’altro gli dedicò uno sguardo stralunato,
ma evitò di chiedere una spiegazione,
considerando semplicemente approvato il soprannome.
Mezzo minuto dopo, l’Impala avanzava sull’asfalto;
nelle orecchie di Dean, la musica a volume alto
e la voce di Castiel che gli augurava, bassa e calibrata:
«Buona giornata».
 
 
 
Quando quella sera rientrò, non trovò parole per dire
come vedere un angelo ad aspettarlo davanti casa lo fece sentire.
Certo fu contento,
specialmente mentre l’ascoltò raccontare, intento,
del suo viaggio ai giardini
dove aveva visto giocare dei bambini,
e della biblioteca e dei tomi
che aveva letto in svariati idiomi.
«Ho sfogliato la Metafisica, Don Chisciotte, Alla ricerca del tempo perduto»
e da come parlava, caldo nel suo rigore, gli erano piaciuti tutti.
«È bello conoscere i frutti
della Terra per cui ho tanto combattuto».
Dean si sentì incredibilmente fiero
della buona vecchia umanità:
qualcosa di decente dovevano averlo combinato per davvero
se erano riusciti a regalare a un angelo tanta felicità.
 
 
 
Per la notte, non esitò ad introdurre Castiel alla tivù:
il mattino dopo, lui voleva già sapere ancor di più;
non solo riguardo agli episodi d’un melenso dramma
e a chissà quale altro programma –
ma riguardo a tutto:
alla cultura, ai modi di dire, alla società e al suo costrutto.
Quindi Dean gli mostrò la musica, i giornali, le riviste,
traendo gran soddisfazione dal vederlo sfoggiare
le espressioni più confuse e assorte e colpite mai viste.
Gli indicò anche altri posti da visitare:
allora l’angelo tornò ad uscire,
quel giorno; tornò a scoprire,
con la determinazione di chi vuol lasciarsi stupire.
 
 
 
Così il tempo, senza farsi notare,
iniziò a passare.
L’uomo si unì a Castiel e alla sua esplorazione,
quando ne ebbe l’occasione;
poiché, poi, aver l’angelo attorno, momento dopo momento,
diventava sempre più di suo gradimento,
e siccome anche all’altro pareva piacere stargli appresso,
insisté per mostrargli alcuni particolari luoghi lui stesso –
il cinema, l’officina, il suo bar preferito
(pur continuando a non riuscire a convincerlo a mangiare,
bere fu una cosa che trovò modo di fargli provare:
quanto reggesse l’alcool, poi, lo lasciò parecchio stupito).
Con tutto quel visitare,
lo stare insieme, e il vicendevole spiegare,
i due non tardarono a ritrovarsi ad essere alquanto vicini
e non solo come improvvisati coinquilini:
l’angelo aveva nell’altro il proprio riferimento
capace di chiarire ogni buffo, umano evento;
d’altra parte, con Cas, Dean si divertiva
come raramente riusciva,
e si sentiva splendidamente fissato,
in barba al suo essere terreno e limitato,
come se potesse dispensare i segreti dell’universo,
quando in realtà era l’inverso:
Castiel era quello che gl’insegnava, armato d’inventiva,
fornendogli sempre una nuova, bizzarra prospettiva.
 
 
 
Tutto ciò – Cas, fu una cosa che Dean imparò a voler tener stretta
e a cui s’abituò spaventosamente in fretta:
s’abituò a trovarlo di fronte allo schermo del televisore,
a guardare documentari e i film più disparati,
quando di notte si svegliava alle più assurde ore;
s’abituò a capirlo, anche quando sfoggiava quei suoi sguardi complicati;
s’abituò alla stranezza,
all’umorismo involontario,
alla spudorata franchezza,
al suo essere un incredibile ente millenario.
Iniziò a fidarsi di lui per davvero.
Tanto, da impegnarsi ad essere quanto più possibile sincero
e da accoglierlo mutamente nella propria famiglia allargata:
lo fece conoscere agli amici –
a Ellen e Jo, a Benny e a Bobby, quasi il padre di tutta la brigata –
e quelli l’inclusero felici.
(Certo non rivelò loro la sua natura,
perché: «È meglio non dire in giro che sei una pazzesca creatura»;
lo introdusse piuttosto come una vecchia conoscenza
tornata da quelle parti dopo una lunga assenza.)
Gli raccontò anche di suo fratello minore, avvocato,
che lavorava lontano, e là s’era accasato.
«Ormai è un uomo impegnato»
disse per descriverlo; «sono fiero di ciò che è diventato».
In un’occasione,
finì persino, chissà come,
a confidargli, seppur solo bisbigliando,
di Mary e John, del fatto che se n’erano andati da tanto,
l’una a causa d’un incendio, l’altro per via del conseguente cuore affranto.
E da quello, non poté che parlargli di tutti i sacrifici fatti crescendo –
degli occhi rossi,
dei lavori doppi,
delle lunghe notti;
tutto perché suo fratello se ne potesse andare,
là, a conquistare ciò che non poteva che meritare.
Mai una sua sola sillaba Castiel giudicò,
né lo fece sentire a disagio
per avergli riversato addosso quell’emozionale nubifragio;
semplicemente, lo guardò
con quel suo fare infinito
e l’espressione savia di chi ha intuito
che anche senza alcuno strepitare ardito
si può dire: “Ho capito”.
Quella storia era per Dean il segreto più grande –
nulla, per lui, era tanto importante
e sebbene lì per lì aprirsi gli trasmise una strana sensazione,
certo non si pentì della propria decisione.
 
 
 
Anzi. Fu pienamente soddisfatto d’averla presa,
soprattutto quando incappò in una sorpresa:
ricevette una telefonata, una sera.
Con Cas si stava godendo la puntata d’un vecchio show,
e lo squillo rovinò totalmente l’atmosfera,
ma visto chi era all’altro capo della linea, non s’arrabbiò.
Ci furono un paio d’insulti gratuiti, dei convenevoli,
poi un annuncio: «Pensavo di venire a trovarti. Non torno da secoli»
a cui Dean rispose, dopo un «Sì» commosso ed opportuno:
«Devo farti conoscere qualcuno.
Un amico» precisò con un briciolo di tensione
e gli occhi fissi in quelli dell’angelo al suo fianco,
che s’accesero e s’ingrandirono di punto in bianco
una volta che lui ebbe capito d’essere il soggetto della conversazione.
«Niente indizi, Sam; è inutile che chiedi»
aggiunse con un ghigno sulle labbra Dean, cocciuto
e anche alquanto compiaciuto.
«Puoi capire solo se lo vedi».
 
 
 
 





 
Angolo di Tormenta
Tempistiche. Spero di essere riuscita a renderle adeguate. Così come per le caratterizzazioni; considerato il contesto, mi sono ritrovata ad ammorbidirle, per certi aspetti, ma comunque: a voi il giudizio. :)

Grazie mille per aver letto, seguito, commentato – continuo a divertirmi da morire con questa storia, e mi auguro che possa essere lo stesso (almeno un pochino) per voi. A risentirci presto! c:
T. ♪
   
 
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