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Autore: Makil_    20/02/2017    17 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre.
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos. 
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Quello stesso giorno, il buio li colse sul sentiero.
Non appena furono costretti a fermarsi, quella che si trovarono di fronte fu una visione molto più funesta del bivio in cui erano incappati nel pomeriggio. Dai rami del grande castagno robusto che cresceva al lato del sentiero penzolavano due corpi nudi, inermi. Le loro gole erano strette all'interno di due cappi, cinte in un nodo robusto e stretto, e ricadevano da uno dei rami più forti dell’albero. La loro carne era sanguinolenta, ingiallita e dilaniata dai corvi.
Lentamente, Bart fece qualche passo verso i due cadaveri in palese stato di decomposizione, e Lenticchia arretrò quando ne avvertì l’odore. Attorno a loro gravava un’aria fetida, talmente satura degli odori dei morti, che perfino Bart, il cui fiuto era molto meno sottile di quello del destriero, se ne accorse. “Devono essere qui da un bel po’” valutò scendendo dal dorso di Lenticchia. A giudicare dal loro stato, pareva proprio così. La loro pelle non era solo emaciata, ma anche macchiata da punte e chiazze di sangue raggrumato. A uno dei due mancava addirittura una mano, che sembrava essergli stata divorata.
Lupi” pensò Bart. “Questo è lavoro dei lupi.” Ma non seppe né volle sapere quali lupi fossero. Meravigliarsi di quella scena era inutile, Bart ormai ci aveva fatto l’abitudine: e non solo lui. Pantagos, in tempi come quelli che correvano, era disseminato di feriti e morti nella stessa quantità con cui lo era mosche. Lungo ogni sentiero erano ammucchiati cadaveri pronti per essere bruciati, accasciati l’uno sull’altro come sacchi di riso abbandonati dai contadini. Anziché essere chiuse dai muri, le strade erano delimitate dai corpi di uomini e donne di qualsiasi età e classe sociale, pronti per essere bruciati dal sole ancor prima che dai briganti.
Più si avvicinava ai due corpi, più aumentava il puzzo di decomposizione. Fu solo quando avvertì il primi conati di vomito che si fermò, proprio sotto di loro. Erano due uomini, su questo non aveva dubbio. O quantomeno lo erano stati. Adesso, come poté notare da quella distanza, di loro non restavano altro che brandelli di carne, cibo per le mosche che implacabilmente gli ronzavano attorno.                                                                                                          
«Le Grazie sanno, le Grazie vedono» recitò ricordando le parole di Amisa Witeolm «Puniranno chi vi ha fatto questo e accoglieranno voi, buone anime.»                                                                                                                                                              
Il cielo era ormai scuro sopra di loro, e la notte stava proprio iniziando a calare più veloce del previsto. Di lì a poco sarebbero stati sommersi dalle tenebre, che avrebbero impedito loro di continuare la marcia. Non era proprio il caso di continuare a camminare, decise Bart. Specie dopo aver visto quei corpi. “Potrebbe essere colpa di mercenari senza onore. O potrebbe essere colpa di qualche bandito.” Se fosse stato da solo, probabilmente, avrebbe cercato di rimettersi in marcia, malgrado lo sforzo e la fatica. Ma, per quanto sembrasse esattamente il contrario, lui non era solo. La vista di quei corpi aveva fatto irrigidire anche Esmerelle, che si era fermata poco lontano da loro.                                                                                                                                        
«Dormiremo qui questa notte. Sotto questo castagno.» disse Bart cominciando a slegare la cintola dal fianco. Un posto abbastanza strategico, aveva notato il cavaliere. In caso di pioggia, la chioma del castagno li avrebbe riparati adeguatamente.                                                                                                                                                                                                
«Nemmeno se mi frusti.» replicò disgustata Esmerelle. «Ci sono due morti qui, nel caso in cui non te ne fossi accorto. E io non dormo sotto i loro piedi.»      
«Dovrai farlo, o puoi anche tornartene a Werny a galoppo.» disse Bart, tediato dal suo comportamento.                                                 
«Non hai neppure un padiglione, cavaliere.» continuò sfrontata. Bart notò come si ostinasse a non chiamarlo per nome. «Non ho mai visto un cavaliere senza.»                                                                                            
«Vero.» concordò Bart tirando Lenticchia per le redini ed accompagnandolo verso il castagno. «Ma ho una spada e un cavallo. E ho anche del denaro. Posso comprarlo, il padiglione, se ciò farà di me un cavaliere.»                  
«Anche mio padre poteva permettersi una scure, eppure non diceva mai di essere un falegname.»                              
«Hai un’altra soluzione?» le chiese, facendo finta di non aver sentito. «Se continuiamo a camminare potremmo finirci noi su un albero. E non per contare le uova di una rondine, stanne certa. È comunque troppo tardi per procedere ancora, e le strade sono buie. Non so neppure se abbiamo preso la via corretta. Dovremo obbligatoriamente attendere l’alba, che tu lo voglia o no.»                                                                                                                                                             
«Io l’attenderò da un’altra parte.» disse Esmerelle. Poi, al trotto sul suo palafreno, girò attorno al vigoroso fusto del castagno dalla foglie gialle. L’ultimo suono che Bart udì fu il trottare dei passi della bestia che cavalcava.                                  
Non c’era modo di ragionare con quella ragazzina. Per quanto Bart avesse provato, ogni azione e ogni minima forma di dialogo erano stati troncati in partenza, talvolta senza neppure poter nascere. In vita sua, Bart non aveva mai conosciuto persona più caparbia.
Legò Lenticchia ad una radice sporgente dal suolo, accanto ad un prato di verde erba fresca. Poi gettò ai piedi dell’albero Lungacresta, gelida all’interno del suo fodero. “Maledettissima sorte” pensò adirato Bart mentre si sbottonava il mantello.“Se non fosse morta la mia giumenta non sarebbe mai accaduto tutto ciò. Io non sarei mai andato a Werny, ma avrei proceduto dritto verso Roshby. Non avrei mai incontrato il devoto Baricald, in effetti. E non avrei avuto questa impertinente tra i piedi. Invece, ecco cosa mi tocca sopportare!”.
Bart ripose il suo fardello tra le radici del castagno e si assicurò che fosse incastrato tra due massi. Poi, dopo essersi sgranchito la schiena, si sedette sul terreno ammorbidito, con le spalle poggiate sul tronco. Sopra la sua testa, i morti stavano continuando ad oscillare, scossi sempre più lievemente dai sospiri del vento. Quei corpi potevano essere appartenuti a chiunque, nessuno avrebbe mai ricordato chi fossero. Eppure, per qualche momento, Bart si chiese come e perché fossero finiti lì sopra, in quelle condizioni. Sulla strada che da Sette Scuri lo aveva condotto verso gli Artigli, Bart aveva conosciuto due contadini alti, robusti e muscolosi, anche se non aveva mai potuto chiacchierare con loro, dal momento che li aveva scorti nelle stesse condizioni in cui aveva scorto questi altri. Qualcuno, da anni ormai, si divertiva a combinare questo genere di scempi. I briganti utilizzavano il pretesto della guerra per agire silenziosamente, facendo ricadere le loro colpe sugli altri. «Se hai una spada, puoi difenderti. Ma se hai un aratro, puoi solo arare.» soleva sempre dire Dalton. Ed era proprio vero. I contadini, molto più di tutti, perivano ogni giorno. Le loro fattorie ai margini delle strade erano le prime fonti di interesse dei fuorilegge, che rubavano i loro raccolti, distruggevano i loro campi, bruciavano le loro case e massacravano le loro famiglie.                                                                                            
Poco più tardi, il profondo rombo di un tuono riecheggiò in lontananza. “Le Grazie ce ne scampino” pensò Bart. “Non abbiamo bisogno di acqua proprio adesso.” Ma nessuno ascoltò la sua preghiera. In pochissimo tempo, la pioggia iniziò a cadere copiosa dal cielo, bagnando tutto ciò che si trovava attorno a lui. “Quantomeno sono riparato qui sotto.” pensò Bart accucciandosi meglio sotto il castagno. Per giorni Bart non aveva sperato altro che ricevere un po’ di acqua dal cielo. Aveva pregato a lungo prima che la giumenta morisse, affinché le Grazie concedessero anche un solo secondo di pioggia alle terre aride in cui aveva posato piede. Eppure, ora non sembrava più desiderarla così tanto. Lenticchia stava scalciando infastidita dalla pioggia, e Bart decise che era meglio slegarla, onde evitare che impazzisse. Un paio di gocce gli caddero sui capelli e un rigagnolo d’acqua gli trapassò delicatamente i lineamenti del viso.                                                                                                                           
«Cavaliere». Esmerelle si stava avvicinando sempre più al suo giaciglio, i capelli biondi fradici e appiccicati sul viso. La ragazzina teneva tra le mani un bastoncino contorto, aguzzato sulla punta.                                                            
«Cosa c’è? Non hai trovato nessun altro albero?» domandò Bart non degnandola neppure di uno sguardo.                       
«Effettivamente no.» rispose Esmerelle, costretta a dover ammetter di aver fallito. Il suo volto gocciolava d’acqua e alcune lacrime le scendevano lungo le gote.                                                                                                                                     
«E dimmi» riprese Bart strofinandosi le mani sulle brache «Dov’è che credevi di andare?»                                                  
«Non molto lontano.» rispose lei.                                                                                                                                                    
«Io sto cercando di rispettare una promessa fatta ad un devoto. Che sia o no tuo padre, a me non importa. Rientra tra gli onori di un cavaliere: un vero cavaliere. Che tu lo voglia o no, passeremo la notte qui. Potrei staccare i corpi e seppellirli, ma vedi… forse è meglio non toccarli.»                                                                                                             
«Spero tu mi faccia restare, cavaliere.» biascicò Esmerelle evidentemente a disagio. «Forse avrei dovuto ascoltarti.»      
Forse” pensò Bart leggermente amareggiato. «Resta.» rispose invece «Ma che non accada mai più. Se ti venisse in mente un’altra volta di fuggire, sappi che non avrai speranze lontano da questa strada. Prova a pensare di scendere verso sud e ti ritroveresti a Werny. Il resto delle direzioni, invece, ecco dove ti porta». Bart indicò i due cadaveri appesi ai rami, ormai quasi totalmente inzuppati d’acqua.                                                                        
Esmerelle scosse la testa, forse spaventata. «So difendermi molto bene, cavaliere.» rispose poi, la voce marcata da un nuovo velo di irriverenza.
«Sai difenderti, dici? Non hai neppure idea di cosa si trova lungo le strade. Finiresti per essere uccisa in pochissimo tempo, se tutto ti va per la meglio. Nel peggiore dei casi potresti essere stuprata o catturata da qualche brigante.»                
«Non oso immaginare» rispose Esmerelle, più divertita che spaventata dall’idea. La ragazzina balzò giù dal suo palafreno e, tirandolo per le briglie, lo portò sotto il castagno.                                                                               
«Fai proprio bene, a non immaginare.» ribatté Bart. «Potresti rimanerne sconvolta.»                                                     
«Ci vuole ben altro per sconvolgermi, cavaliere. Un po’ di sangue non mi ha mai sconcertata. Ma l’odore dei cadaveri, quello sì.»  
Esmerelle si posizionò sotto il castagno, accompagnando il suo palafreno accanto a Lenticchia.                                                 
«Dove hai preso quel bastone?» domandò ser Bart.                                                                                                      
«Su un albero. L’ho appuntito quanto basta per farlo sembrare una lama.»                                                                         
Una lama di legno.” pensò Bart. “Utile tanto quanto un cavaliere senza spada.” «E che intendi farci?»                                       
«Ormai nulla.» rispose Esmerelle tirando su con il naso. «Avrei dovuto fare qualcosa quando avevo sei anni, quando Lower Standrom assassinò la mia famiglia». Esmerelle si rabbuiò. Una lacrima sotto l’occhio le scese lungo lo zigomo alto, solcandolo da parte a parte. Quel suo pianto era un lamento struggente, impacciato ed imbarazzato.                                                                                                                                                                           
«Cosa c’è?» chiese Bartimore, alzando lo sguardo su di lei. «Esmerelle, scusami, io non volevo… »    
La ragazza si strofinò le nocche sugli occhi rossi, riassumendo la sua solita espressione accigliata. Bart provò ad avvicinarsi, ma lei si scostò rapidamente.                                                                                                                                     
«Sono nata sfortunata, ecco cosa c’è. Mia nonna diceva sempre che quando un uomo nasce le Grazie lanciano un sasso. E poi stanno ad osservare, per assicurarsi che il sasso cada di pancia … »                                                    
«…o di schiena.» concluse Bart. «Sì, è una cosa che diceva anche mia madre. Le Grazie non danno tutte le virtù e tutti i difetti ad un solo uomo.»                                                                                                                                    
«Invece non è vero, cavaliere!» lo rimproverò lei. Poi scaraventò il suo bastone appuntito contro il castagno, facendolo rimbalzare sul terreno. «Non è vero proprio nulla. Sono nata in una notte di burrasca e mia madre morì nel darmi al mondo. Mia nonna mi abbandonò quando ancora ero una bambina di due anni, crepando sulla latrina. E infine, come se le Grazie non fossero già sazie, vidi morire anche mio padre. Il nome di tutte le mie disgrazie è Lower Standrom, la Spada di Sabbia». Nel pronunciare quelle parole la bocca di Esmerelle si inarcò, e nei suoi occhi sorse un’espressione di furore represso.                                                
Non merita tutto ciò” rilevò Bart. “Nessuno lo merita.”                                                                                       
«Quell’uomo sterminò la mia famiglia. La sua giustificazione? C’era la guerra e andava fatto. Andava fatto, soltanto perché Città del Grano apparteneva ai lealisti. Ma mio padre che colpa ne aveva? Tu sai rispondermi, cavaliere? Tu, che affidi la tua spada ai piedi di un signore, sai rispondermi? Oh, non importa. Adesso non importa più. Tutto ciò che mi ha lasciato quel codardo è un sapore nuovo tra le labbra. Chiamalo ira, desiderio di vendetta, speranza di rivalsa; non fa proprio alcuna differenza. Avere il cognome degli Standrom significa avere il cuore di sabbia, diceva sempre mia nonna. E io lo avrò, quel cuore. Oh, sì che lo avrò.»  
«Lo avrai» la rassicurò Bart. Avrebbe voluto dirle che non era possibile, che non c’era speranza nelle sue parole così come non c’era speranza nelle parole di chiunque altro. Anche lui aveva desiderato vendetta, tempo addietro, quando patres Gregorot lo aveva informato della malattia che aveva colpito Dalton sul campo di battaglia. Ma non c’era modo di avere vendetta ormai. Adesso che l’Accademia aveva indetto quel torneo, nessuno poteva continuare a nutrire rancori per i propri nemici. «Ma sono in molti a volerlo, ora come ora. Dovrai lottare… mia signora.»                                                                                                                                      
«E allora lotterò, cavaliere. E non chiamarmi signora. Non ho proprio alcuna voglia di essere chiamata come le mogli di tutti quegli uomini che sterminano poveri innocenti per il solo piacere di farlo. Quegli uomini mi fanno schifo. Lower Standrom mi fa schifo.»          
In lontananza, il ticchettio della pioggia sul terreno fu sovrastato da un suono dolce ed allo stesso tempo spaventoso. Bart colse immediatamente il rumore del trotto di un cavallo, accompagnato da fragorose risate di scherno.  
«Fa’ silenzio.» disse Bart osservandosi in giro per scrutare qualche possibile brigante. «Non urlare così.»          
«Io non ho paura di dire queste cose. Mi taglino pure la lingua per alto tradimento e poi se ne vadano al diavolo!»                                                                                                                                                                                    
«Non è per questo. Fa’silenzio. Sta arrivando qualcuno.» Bart ebbe appena il tempo di concludere la frase che a nord del sentiero apparvero dei bagliori. Erano le armature di due cavalieri chiassosi a riflettere la luce della luna. Bart raggirò il castagno, ordinando ad Esmerelle di nascondersi dietro al tronco, e lasciar fare a lui. Sollevò Lungacresta e la riattaccò rapidamente alla cintola, portandolo avanti e indietro per sistemarla sul bacino. Poi, anche lui si sistemò dietro al fusto dell’albero. Quegli uomini potevano essere briganti o, peggio ancora, nemici. Un solo passo falso gli sarebbe costata la vita. “Due vite” pensò ser Bart. “E due sono troppe.” Entrambi i cavalieri avanzarono lentamente al fianco del castagno, facendo trottare i loro stalloni marroni più rapidamente del necessario. Ma non appena fecero per raggirarlo, inevitabilmente, scorsero la loro presenza.                                            
«Chi va là?» domandò con fare fin troppo baldanzoso uno dei due. La sua voce riecheggiò lungo la via silenziosa. «Là, dietro quel castagno. Esci, furfante. Non è modo di nascondersi quello lì.»                                                                                                                                                                                               
Bart non se lo fece ripetere due volte ed uscì allo scoperto alzando le mani aperte al cielo. La spavalderia con cui fece quel gesto fu dovuta all’essere stato chiamato brigante. Questa parola, si disse Bart, non poteva che suggerire che i due cavalieri non fossero furfanti.
Uno dei due, quello che gli aveva ordinato di farsi vedere, si era fatto guardingo. Era un uomo gobbo, spelacchiato sulle tempie e aveva un naso rosso e due guance paonazze, che sottolineavano uno stato di ebbrezza. “Oh, poveri noi.” pensò ser Bart nel vederlo. Non sapeva chi fosse quell’uomo, ma il secondo aveva come l’impressione di conoscerlo. Molto più burberamente del primo, l’altro uomo fece avvicinare il suo stallone al castagno, con un portamento degno di un severo cavaliere.                                                                                                                                                                        
«Chi sei, ragazzino?» domandò l’uomo facendo vibrare la mascella squadrata. Sulle guance e sul mento cresceva un’ispida barba bagnata dalla
pioggia.                                                                                                                                                                  
«Potrei farvi la stessa domanda.» ribatté Bart con un tono molto più insolente del previsto.                                 
«Non sei nella posizione di fare domande. Chi sei, ragazzino?». L’uomo serrò la mascella e digrignò fortemente i denti. L’altro cavaliere lo stava fissando con aria schifata, quasi come se fosse pronto a sputargli sul volto. L’ultima volta che Bart aveva visto un uomo così disgustato era stato quando Amisa Witeolm aveva mostrato le ferite sanguinanti di Dalton all’incantatore Ludwig, il quale aveva addirittura vomitato per il ribrezzo.    
«Konrad, il ragazzo non è solo». Un brivido gelido scosse ser Bart. “Non fatele del male.” pensò. Ma si accorse presto che non c’era motivo di pensarlo: il cavaliere non si riferiva ad Esmerelle.                                                                            
«Assassino. È questo quello che sei? Dacci le tue armi, in nome della giustizia. Chi sono questi uomini che hai ucciso?»                                                                                                                                                                                                       
«Io non ho ucciso nessuno.» disse Bart alzando il tono della sua voce. «E non ti darò le mie armi. Sono un cavaliere anch’io.»  
«Non siamo venuti qui per sentire le stupidaggini che hai voglia di raccontarci. Quelle potrai dirle a tua madre!» tuonò l’altro cavaliere.      
«Vuoi costringerci a sguainare le spade?» domandò il cavaliere che sembrava chiamarsi Konrad. «Se no, evita di fare lo sbruffone, ragazzo. Con noi non è proprio il caso di farlo. Ti sei lordato le mani di sangue questa notte. Chi sono questi uomini?»    
«Non ne ho idea. Vi ho già detto che non sono stato io ad ucciderli. Stava piovendo e io camminavo sul sentiero, così ho deciso di restare qui sotto per la notte. E loro erano già qui prima di me. Non ditemi che lo considerate un…»    
«Oh certo!» esclamò il cavaliere gobbo facendo rizzare il suo stallone. «Come quando sputai nella minestra di mio cugino Willy e diedi la colpa a mio fratello per evitare che mio padre mi menasse. Siamo nati prima di te, ragazzo. Per chi combatti?»  
Quella domanda era il limite oltre cui si sarebbero potuti spingere quei cavalieri.                                                                                  
«Non vi riguarda.» rispose Bart. Non poteva far altro che non rispondere; se avesse detto di combattere per l’Accademia si sarebbe potuto ritrovare col cappio alla gola. E avrebbe potuto ricevere lo stesso trattamento se avesse detto di combattere per la Punta. Non sapendo chi sostenessero gli uomini che aveva di fronte, decise era meglio non rispondere.                                                                                                                                                                                             
«Ah, non ci riguarda? E da quando la parola di un bamboccio vale di più di quella di un cavaliere onorevole? Da quando?». Ser Konrad inarcò le scure e folte sopracciglia e si grattò la barba.
Onore” pensò ser Bart “Dove sta l’onore nelle tue frasi?” «Un bamboccio?» domandò Bart cercando di mantenersi rispettoso. «Sono un cavaliere. E potrei definirmi anch’io onorevole.»                                                                        
«Questo lo giudichiamo noi.» farfugliò l’altro cavaliere.      
«Prendigli il cavallo, Mold.» ordinò ser Konrad. «Vediamo che cavaliere è questo insolente.»                                                                                                        
Ser Mold smontò dal suo stallone con difficoltà. Poi corse sotto il castagno e gettò una strana occhiata a Bart. “Occhi pieni di odio” notò Bart. Mold si avvicinò fin troppo a Lenticchia.                                                                                                                                              
«Non vi permetto di toccare il mio cavallo. Cavaliere, abbassa quelle mani da lui.» sbraitò Bart infastidito dal loro comportamento. «Come osate fare una cosa simile?»                                                                                                                                                             
Nessuno gli prestò attenzione. Ser Mold afferrò Lenticchia per le redini e lo strattonò attirandolo verso di sé. «Il ragazzo non è solo.» disse. «Ci sono due cavalli. E non ho mai visto uomo che cavalca due cavalli contemporaneamente.  Dicci, cavaliere, ci state tendendo un agguato tu e i tuoi amici?»                                              
«Volete fare finta di essere in pericolo?» domandò Bart. «Siete voi ad aver teso un agguato a me.»                                    
«A voi» corresse ser Konrad. «Due piccioni con una sola fava. Due assassini con un solo colpo di balestra. Dove si nasconde il tuo complice? Dopotutto avrei dovuto capirlo subito. Un ragazzino così magro non potrebbe mai sollevare due corpi per appenderli ad un albero.»                                            
«Io non ho fatto nulla di tutto ciò che insinuate.» ripeté ser Bart. «Il mio nome è ser Bartimore di Fondocupo. E io sono qui su ordine di un potente signore, diretto a Roshby per il torneo.» Bart decise che non c’era motivo di rivelare il nome di Dalton Kordrum, né altri tipi di informazioni sul suo conto.                                           
Ser Mold fece un gesto sconcio e sputò per terra. «E io sono Edwarck Rovyrus, signore di Therstone. Ragazzino, siamo più grandi di te. Se devi inventarti delle frottole, almeno abbi l’accortezza di farlo come si deve.»    
Più grandi di me? Non sembra proprio.” si disse Bart. «Chi è il vostro signore?» domandò curioso.                                           
«Fai ancora domande? Non sei nella posizione di poter parlare. Ragazzino, basta così. Prendi le tue cose e preparati a seguirci. Affronterai chi di dovere, poi vedremo se avrai ancora le forze di fare domande o parlare.»                                  
«Io non affronterò nessuno.» ribatté violentemente Bart. «Forse non vi è chiaro: non avete alcun diritto di dire queste cose. Vi ho detto che non ho ucciso questi due uomini, che la loro morte mi rattrista quanto infastidisce voi, per questo non potete fare altro che lasciarmi stare.»    
Bart notò Mold portare la mano sinistra al fodero, con una rapidità tale da poter meravigliare addirittura una mosca. Il cavaliere però non sfilò la lama, forse perché impacciato a causa del peso dell’armatura che indossava, o forse perché aveva semplicemente timore di farlo. “Passerebbe dalla parte del torto” valutò Bart. “Più di quanto già non lo sia.”                                                                                    
«Ah!» sbraitò poi. «Ecco dove si nascondeva l’altro. Anzi, l’altra. Cos’è, oltre ad essere un assassino sei anche un uomo sporco? Dimmi un po’, sei uno di quelli che vendono le bambine?»                                                                          
Esmerelle scattò fuori dal suo nascondiglio prima che Mold riuscisse a metterle sopra le mani, balzando verso sinistra come un felino. «Vi farò sanguinare!» urlò la ragazzina. Poi, con un solo gesto, afferrò la cintola di Bart e la strappò con violenza. Non appena lasciò la presa, il fodero si staccò da Lungacresta ed Esmerelle fece per alzare la spada al cielo. Ma ser Konrad, che nel frattempo era furiosamente sceso da cavallo, caricò un pugno ammantato di ferro sulla lama, facendola volar via dalla sua mano. Mold invece sferrò un calcio sul polpaccio di Bart, alle sue spalle, facendolo cadere sulle ginocchia nel terreno madido d’acqua. Bart ebbe voglia di afferrare i due per il collo e strangolarli, ma represse subito il suo furore, per evitare di mettersi ancora di più nei pasticci. Entrambi i cavalieri sguainarono le loro lame, che biancheggiarono nell’oscurità della notte, e le alzarono verso di loro con fare seriamente minaccioso, puntando le loro gole.                    
«Un cattivo modo di fare conoscenza. Dici di essere un cavaliere, ma non sai neppure difenderti.» disse ser Konrad ergendosi su di lui.                                                                                                                                                                                                 
Bart non raccolse, ma rimase genuflesso ai suoi piedi.                                                                                                                  
«Un ragazzo ed una ragazza. Due banditi che si divertono ad uccidere gli uomini più deboli. Vi faremo vedere noi come ci si comporta con quelli della vostra risma». Ser Mold alzò la lama al cielo, con un gesto furente e colmo di rabbia.          
«Fermo Mold!» lo redarguì Ser Konrad. «Non occorre macchiare la tua lama, anche se ora come ora sarebbe facile pulirla. E il loro è sangue fetido. Uccidere dei poveri innocenti solo per essere acclamati da altri briganti… come è si spinta in basso la feccia di questo mondo.»    
Esmerelle alzò gli occhi verso il cavaliere e gli urlò contro: «Razza di imbecilli schifosi! È per quelli come voi che mio padre è morto. E io vi farò sanguinare tutti. Tutti!». La ragazzina si spinse in avanti e gli scaraventò un pugno sull’armatura con una forza che Bart non avrebbe mai pensato potesse avere. Mold l’afferrò per le braccia piegandogliele all’indietro e facendole sfuggire un gemito di dolore.                                                                                                  
«Toccala e ti taglio le mani.» minacciò Bart. La risposta che ricevette fu una fragorosa risata di completo sfottimento. Ser Konrad non venne scosso minimamente dal colpo di Esmerelle, anzi, sembrò parlare con maggior tranquillità.    
«Alzati, giovanotto. E tu ricomponiti, fanciulla». Il cavaliere rinfoderò la sua lama con un gesto fulmineo. «Prendete i vostri cavalli e le vostre cose. Vi concedo soltanto qualche minuto, poi ci seguirete in silenzio. E allora vedremo chi sanguinerà per primo.»
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Note d'autore:
Eccoci qui con il VI capitolo della storia. Si entra nel vivo delle vicende, a diretto contatto con l'estrema fragilità dello scenario di guerra che grava su Pantagos. L'ingiustizia regna sovrana il tempi simili, e le vicende appena accadute ne sono perfetti testimoni. Bart, ovviamente, ha evitato uno scontro con l'acciaio per una sola ed unica ragione: è consapevole di avere con sé Esmerelle, e sa di non poter mettere la sua vita repentaglio per salvaguardare il proprio onore. Che ne pensate di questo gesto? E cosa pensate di ser Mold e ser Konrad? Hanno agito perché spinti dal senso della giustizia o dell'onore? Cosa pensate possa accadere adesso?
Vi avevo detto che questo sarebbe stato un capitolo molto più denso di eventi: a voi la parola, dunque. Noi ci vediamo con un prossimo aggiornamento, in modo straordinario, martedì 28. Grazie ai recensori assidui e ai lettori costanti e/o silenziosi. 
Makil_

 
   
 
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