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Autore: Urban BlackWolf    22/02/2017    3 recensioni
Michiru è determinata. Determinata a riprendersi ciò che le appartiene, che è suo dalla nascita. Ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo benessere fisico e mentale.
E questa volta quella meravigliosa bionda che è la sua compagna, anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito e gioia della sua vita, non potrà aiutarla. Dovrà addirittura essere ferita, lasciata in disparte, relegata all'impotenza, perchè questo genere di lotte si debbono combattere da soli.
Ma la donna amante delle profondità oceaniche, non sa di avere un piccolo angelo custode venuto dal passato che la guiderà nei percorsi intrigati e dolorosi dei sui ricordi; Ami, giovane specializzanda in medicina, tenterà in tutti i modi di restituirle la libertà di sogni perduti. -Sequel dell'Atto più grande-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Ami/Amy, Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Acque immote, acque agitate

 



Sedute sul bordo della barca con addosso un paio di asciugamani a testa, Ami e Michiru avevano tremato per tutto il viaggio di ritorno. Khloe le aveva aiutate a salire a bordo, issandole nervosissima, conscia che non poteva certo dirsi la stagione giusta per una bravata come quella. Ma le due erano riemerse troppo felici, entusiaste e stanche, che in tutta onestà aveva finito per arrendersi limitandosi a mugugnare.

“State giù con la testa invece di ridacchiare come due sceme. Se vi verrà la febbre mamma mi ammazzerà!” Aveva detto e la voce urlata al vento era in parte stata coperta dal ronzare del motore e dall'infrangersi delle onde sulla chiglia.

Ma guarda tu cosa mi tocca fare, aveva pensato la donna intimamente soddisfatta dell'operato della sorella.

Michiru sembrava rinata e lo si era notato non appena era riemersa come un Kappa felicemente elettrizzato dalla spuma provocata dal rilascio dell'ossigeno del respiratore. Già, un piccolo Kappa, che non appena si era liberato la testa dalla prigionia del Neoprene, aveva rianimato i capelli con due rapidi movimenti del collo trasformandosi come per incanto in una splendida dea marina. Da par suo Khloe aveva dovuto far ricorso a tutto il suo autocontrollo per slacciarle con noncuranza la cintura zavorrata alla vita sottile, porgerle gli asciugamani ed aiutarla a togliersi le pinne. E ora non sarebbe più riuscita a cancellare l'immagine di Kaiou che saliva lentamente sulla barca dalla scaletta. Quel corpo perfetto imperlato da una miriade di goccioline scintillanti al tramonto. I capelli sgocciolanti che le ricadevano sulle spalle. Lo sguardo cobalto trafitto da una stanchezza “sana”. Benedetta.

Oddio santissimo... Pensa ad altro Khloe, pensa ad altro, per l'amor del cielo!

Avevano fatto cosi' ritorno al crepuscolo, accompagnate dal vociare dei gabbiani e dalle prime luci del porto. Agapi le aveva aspettate sul pontile, a braccia conserte, senza dire una parola, fulminando con occhi di brace la figlia maggiore e facendole cenno con il capo di seguirla. Ami aveva provato ad aprir bocca per discolparla, ma la madre l'aveva azzittita con un gesto per poi prendere a spintonare Khloe fin dentro la pensione.

Rimaste sole le due donne più giovani si erano incamminate con sveltezza verso le doccie. “Dovremmo fare qualcosa. Non è giusto che tua sorella si prenda tutta la colpa.”

“Lo so Michi. In fondo l'idea l'ho avuta io, ma lo sai com'è fatta nostra madre, no?! Ormai ha giudicato e condannato. Non c'è appello.”

Per nulla convinta e sentendosi parecchio in colpa, Michiru si era stretta nell'asciugamano fino a quando l'ambiente riscaldato degli spogliatoi non le aveva accolte ed ora era li, seduta su una panca, sentendosi finalmente meno oppressa.

“Erano anni che non m'immergevo. Non sono mai riuscita a convincere quel “ferro da stiro” di Haruka a venire con me e se non lo fai con qualcuno che conosci bene, non è la stessa cosa.” Disse allegramente appendendo la muta al gancio una volta liberatasi per fiondarsi poi sotto l'acqua calda della doccia.

“Non venirmi a dire che la tua compagna non sa nuotare?” Chiese Ami animata da una curiosità prettamente femminile.

“No, o meglio, è solita usare uno stile tutto suo; lo stile Tenou. Un incrocio tra il “cagnolino” ed una rana morente. Troppo poco per poterla portare a largo con una cinta piena di piombo e sperare di riportarla a riva sana e salva.” Kaiou inizio' a ridere fino a farsi uscire le lacrime nel rivedere con gli occhi della mente quell'atteggiarsi da dura, ridursi ad un buffissimo annaspare non appena le lunghe leve che erano le sue gambe, non bastavano più a tenerla sopra la linea di galleggiamento.

Devi amarla molto e hai avuto un coraggio enorme a spingerti fin qui da sola. - Pensò Ami iniziando ad insaponarsi i capelli. - O forse non è coraggio, ma disperazione. Pura e semplice. Profondissima e lacerante. Ti prometto che ti aiuterò cara.

 

 

Uno starnuto ed un poderoso moccolo tirato all'indirizzo dell'acqua che le si era appena versata addosso, riecheggiò tra i fornelli ed i pensili di casa Kaiou-Tenou. Haruka guardò il bicchiere con aria di sfida pensando che da li a tre secondi netti lo avrebbe lanciato contro il muro della cucina. O forse sarebbe stato più indicato fargli fare un audace carpiato giù per la tromba delle scale! Giovanna glielo tolse dalle dita appena finito in tempo.

“Poverino. Mi fa pena. Lascia che viva un altro giorno all'ombra di questo nostro sole texano.” Disse sorridendole imitando la voce di uno dei tanti “cattivi” che si trovano nei films western.

“Che?”

Chinando la testa vinta, l’altra la scosse aprendo la lavastoviglie. “Pubblico difficile questa sera...”

“Scusa, ma a volte proprio non ti seguo Giò.”

“Lo vedo Ruka. Volevo solo fare dello spirito. Lascia perdere. Allora, come facciamo per domani?”

Era domenica sera ed il lunedì successivo Haruka avrebbe ripreso il lavoro, i negozi sarebbero stati riaperti e il suo Iphon sarebbe stato portato a riparare rendendola cosi' nuovamente raggiungibile ed autosufficiente. Non c'era dunque più necessità che Giovanna continuasse a gravitarle intorno nella speranza di una chiamata di Michiru. La bionda voleva bene a quella piccola italiana di quattro anni più grande di lei, ma iniziava a sentirsi soffocare. Non era abituata ad avere gente per casa, ed anche se ormai l'altra si era ritagliata piccoli spazi discreti scelti con cura tra le mura domestiche, tre giorni filati appiccicate senza la mediazione di Kaiou iniziavano ad essere troppi.

Per l'altra valeva lo stesso discorso e visto il nervosismo crescente che la sua Ruka manifestava ogni tre per due contro cose e persone, lei inclusa, non vedeva l'ora di smettere i panni di una cabina telefonica ambulante per tornarsene a casa. Il legame che le univa si stava rafforzando, ma negli atteggiamenti, nei modi di fare e nei dialoghi solitari con le loro rispettive anime, rimanevano pur sempre figlie uniche e si sarebbero considerate tali ancora per lungo tempo.

“Domani il negozio che ripara gli Iphon apre verso le nove. Vorrei passare prima da li per poi lasciarti alla stazione. Il diretto per Roma dovrebbe arrivare verso le dieci. Poi scappo alla pista.” Concluse spiegando il suo lineare organigramma svizzero.

“Pista? Vorresti metterti in sella ad una moto?” Chiese l'altra leggermente stranita prima di pentirsi di aver dato fiato alle trombe.

“Che vorresti dire scusa?” Inquisí Haruka gelida.

“No, nulla.” Si affrettò a dire vigliaccamente lasciando però che l'espressione dubbiosa apparsale sul viso parlasse da sola e... senza autorizzazione.

“Credi forse che non sia in grado di controllare i nervi?”

“Non ho detto questo....”

“Ma lo hai pensato! Vero Giovanna?!” Ecco, quando la chiamava con il nome intero si profilavano guai.

“Perchè vuoi discutere?”

“Io non voglio discutere, vorrei solo che mi spiegassi il perchè, secondo la TUA innata dote di pilota ed ingegnere meccanico, non dovrei mettermi alla guida di una moto che ho progettato fin nei minimi particolari e che conosco... molto meglio di te!” Ecco la prima stoccata.

“Senti, sei nervosa e vuoi sfogarti con qualcuno. Ok, lo capisco.” Alzò le braccia in segno di resa. Fece peggio.

“Hai la pretesa di capirmi!” Abbaio' la bionda alzando pericolosamente il tono della voce non ricordando forse, che davanti non aveva la compagna, ma una donna con un carattere dannatamente simile al suo.

“Perchè, che ci sarebbe di strano Ruka?! Non posso capirti?”

“No! No che non puoi! Vieni qui e ti comporti come se ci conoscessimo da sempre solo perchè abbiamo qualcosa in comune. Non è così che funziona con me. Non puoi leggermi dentro... Non sei Michiru!” Secondo taglio di lama e questa volta molto più profondo del precedente. Giò avvertì il colpo, ma non arretrò.

“Lo so che non sono Michiru e non ho MAI avuto la pretesa di esserlo, ma si da il caso che TU, nel bene o nel male, faccia parte della mia famiglia! Perciò scusa tanto Haruka Tenou, se abbiamo molto più di un qualcosa in comune!”

“Basta con questa storia!” Sbattendo esasperata un pugno sul tavolo della penisola la fissò con degli occhi che l'altra non aveva mai visto e da per se Giovanna fece altrettanto, inchiodando l'acciaio delle sue iridi a quelle di una donna ormai furiosa.

Rimasero in stallo qualche secondo, poi fu l'indole pacifista della più grande a cercare un contatto che non fosse violento. “Ascoltami... E' vero che non ti conosco ancora bene, ma lo vedo come stai e mi sto solo preoccupando per te, credimi.”

“Non ce n'è affatto bisogno. So cavarmela benissimo da sola!” Terzo taglio e fine dello scontro.

Allora Giovanna fece dietro front pensando di andarsi a rinchiudere nell'unico posto della casa che non fosse “battuto” dal territorialismo dell'altra. ovvero il bagno degli ospiti e ci rimase fino a quando Haruka non decise di andare a sbollire i nervi in camera da letto.

 

 

Camminando lungo il corridoio che portava alle piscine coperte, Michiru si convinse che quello che stava per compiere fosse atto dovuto. Voleva ringraziare Khloe per aver contribuito a quel bellissimo pomeriggio e chiederle scusa per il sonoro rimbrotto che madre e poi padre, le avevano rivolto per tutta la durata del post cena. Cercava di non ritrovarsi mai sola con lei, vedeva perfettamente come la guardava, ma grata di quell'esperienza e con le barriere difensive abbassate dalla stanchezza fisica, cedette alla buona educazione non volendo attendere l'indomani mattina. La trovò a spazzare il pavimento e permettendosi di osservarla qualche secondo, lasciò che i ricordi tornassero alla sua adolescenza e all'amore di lei che tanto l'aveva sorretta in quei mesi difficili.

Fatte eccezioni per rare alzate di testa dovute più che altro all'impulsività della giovinezza, Khloe Mizuno era una ragazza d'oro, forte come la madre e riflessiva come il padre, dotata di un intuito fuori dal comune, di un attaccamento smisurato alle tradizioni della propria terra, protettiva nei confronti della sua famiglia e leale verso i suoi amici. Dal fortissimo istinto materno, aveva inizialmente preso la giovane Kaiou sotto la sua ala protettiva, diventando prima una consigliera ed una confidente, poi una buona amica, ed infine una sorella maggiore, arrivando a porre quasi sullo stesso piano lei ed Ami. Michiru non avrebbe saputo dire quando quella gamma di sentimenti avevano visto l'ennesima evoluzione, trasformandosi in passione, in attrazione fisica. Forse era avvenuto lentamente, una volta che il sottilissimo confine tra amicizia ed amore era stato oltrepassato a causa della stretta vicinanza, o forse all'improvviso. Magari v'era da sempre ed era stato soffocato dall'intelligenza di una Khloe che sapeva di stare “giocando” con il destino della propria famiglia. Innamorarsi della figlia dei signori! Se fosse stata scoperta avrebbe potuto essere la causa del crollo economico dei suoi genitori.

Ma l'attrazione che Khloe provava per Michiru aveva finito per provocare brecce lungo tutto il fronte della diga che aveva eretto attorno ai suoi sentimenti, ed una volta erosasi e schiantatasi al suolo, non aveva potuto far altro che dichiararsi alla ragazza più giovane e trascinarla verso l'abisso della perdizione.

Michiru sorrise appoggiandosi allo stipite della porta intrecciando le braccia com'era solita fare quando osservava. Anche se la cosa l'aveva spaventata a morte portandola alla negazione per anni, era stato merito di quella donna se aveva scoperto la sua sessualità e non l'avrebbe mai ringraziata abbastanza per questo.

“Per quanto continuerà a fissarmi la schiena signorina?” Disse improvvisamente la mora generando un leggero eco nell'ambiente vuoto delle vasche.

Michiru alzò le spalle rimanendo rigorosamente in zona franca. “Vedo che non hai perso il tuo intuito.”

“Non si tratta di intuito, ma di olfatto. Il profumo che usi ti si addice molto sai?” Si fermò dallo spazzare guardandola e sperando che rispondesse con un lo so, me lo regalasti tu prima che partissi per il Giappone, assicurandomi che mi avrebbe sempre ricordato il mare della Grecia, attese serrando le dita all'asta della scopa. Ma la straniera non le diede soddisfazione, anzi si limitò a sorridere nuovamente, ringraziandola e scusandosi per la valanga d'improperi che la madre le aveva rivolto contro.

“Figurati, non c'è di che. Lo sai che per Ami farei qualunque cosa. Vedo che ti ha fatto bene ed anche mamma lo ha notato, ecco perchè non me le ha suonate.” Disse ridendo.

Avrebbe voluto osare di più e molto anche, affermando, per esempio, che si sarebbe spinta a fare qualsiasi cosa anche per lei, ma sarebbe stato anacronistico e dannoso. Aveva infatti notato la freddezza di Kaiou di fronte ai suoi tentativi di riavvicinamento. La maturità sentimentale che ormai la straniera aveva acquisito necessitava di approcci ben più fini ed aggraziati.

“E' stato comunque un bel gesto Khloe, grazie.”

“Di nulla Michiru. Il saperti felice mi ripaga del freddo preso e del tempo speso. Te lo assicuro.” Ammise dolcemente tornando a voltarle la schiena riprendendo a spazzare.

Quella notte vinta dalla pesantezza dei muscoli, Michiru riuscì a riposare qualche ora in maniera del tutto naturale.

 

 

Il circuito di Bremgarten era un tracciato semi permanente, situato nei pressi dei sobborghi di Berna. Attualmente solo una piccola porzione era ad appannaggio delle prove su pista e solo per le moto. La Ducati aveva dovuto sudare per avere tutti i permessi statali necessari, ma da qualche anno, appena le temperature si alzavano, alcuni chilometri venivano aperti a giorni alterni per permettere ai nuovi prototipi di essere testati sull'asfalto senza doversi trasferire in Italia.

Grattandosi la testa Giovanna si guardò intorno con fare spaesato. Appoggiata ad un albero mani in tasca e sciarpa ben premuta alla gola, da ormai svariate ore si stava chiedendo del perchè il destino si stesse accanendo con tanta bastardaggine su di lei. E si che era una brava ragazza. Ma tutto le stava remando contro e lei era ancora in terra elvetica.

L'idea di partenza che quella zucca vuota di Haruka aveva cercato d'imporre al fato la sera precedente, era magicamente saltata per aria e tutto l'abile programmino che la bionda aveva così ben congeniato era andato in fumo. Appena entrata di gran carriera all'IphonClinic, l'operatore l'aveva guardata ad occhi sgranati non riuscendo proprio a figurarsi di come uno schermo avesse potuto ridursi in quello stato solo per una banalissima caduta.

“Signora, sembra che si sia schiantato, no che sia caduto.” Le aveva detto non sapendo di stare giocando con il fuoco.

“Si, va bene, come vuole lei, ma quanto tempo impiegherete per sostituirlo? Sarà pronto per questa sera o al più tardi domani mattina?”

Un'altra occhiata a quel pianto tecnologico ed il ragazzo aveva imposto cinque giorni.

“Cosa? Come cinque giorni! E' solo uno schermo!”

“No signora, è molto di più. Qui vedo lesioni anche alla scheda video e molto probabilmente il microfono è da buttare. E poi ci sarebbe una lista da seguire. Mi dispiace.”

“E questa lista comprende anche le urgenze?” Aveva provato colta dal panico.

“Assolutamente si.”

Haruka aveva allora chinato il capo vinta come se fosse stata abbattuta da un cecchino, ed in più, una volta uscita dal negozio e risalita in macchina dove una taciturna Giovanna non l'aveva neanche degnata di uno sguardo, aveva dovuto arrendersi alla necessità di chiederle di restare a Bellinzona ancora qualche altro giorno.

Ah, adesso hai bisogno di me! E se ti dicessi che non posso, brutta idiota che non sei altro?! Testarda, stupida zucca vuota del cazzo?! Le avrebbe voluto dire, ma non aveva potuto e nonostante le ferite subite, aveva ceduto per l'ennesima volta a quella faccia da schiaffi.

Ora Giovanna Aulis si ritrovava immersa in un ambiente completamente astruso dal suo mondo, dove uomini di ogni età andavano e venivano indaffaratissimi. Cercò con lo sguardo Haruka che a poche decina di metri stava controllando il tracciato assieme ad Henry Smaitter; il suo superiore. La tuta rossa e bianca calzata sul suo corpo longilineo e sodo, gli stivali saldamente piantati in terra, le mani che non riuscivano a smettere di sistemare con maniacale cura le dita guantate.

“Mi raccomando, stai attenta qui e qui. L'asflalro è buono, ma le gomme non danno ancora il grip che vogliamo. Non esagerare con il dar gas o rischi che ti sfugga. Ok? Haruka, mi stai ascoltando?” Una spintarella con la spalla contro quella di lei ed ottenne finalmente attenzione.

Accigliato lasciò che la donna desse un'ultima occhiata alla pianta della pista, per poi vederla prendere il casco lasciato penzolare sull'avambraccio e dirigersi verso la loro adorata bambina.

“Intesi Tenou?!” Urlò vedendola alzare un braccio.

“Si, si lo so Capo Smaitter!”

E così Haruka inforcò la sella partendo modestamente per i primi giri di collaudo e tutto andò bene per circa una mezz'ora. La Panigale rispose alle sollecitazioni meglio di quel che aveva dimostrato sulla piastra di simulazione, comportandosi egregiamente in curva, ma scodando leggermente sui rettilinei. Poi c'era una strana vibrazione sulla parte sinistra, verso la corona di trasmissione, proprio sopra il forcellone della sospensione.

“Capo Smaitter vibra a sinistra. Cosa dice l'algoritmo?” Chiese Haruka decelerando.

“Dice che hai ragione. Abbassa i giri e vedi se continua.” Consigliò dall'auricolare della radio.

Stefano e Patrik, il secondo pilota collaudatore, si guardarono. Il portatile non lasciava tanto all'immaginazione; la carena aveva qualcosa che non andava e la trasmissione ne stava risentendo.

“Non risponde. La vibrazione continua Capo.” Disse Stefano osservando le curve rosse avere picchi discontinui ed oscillazioni incongruenti.

“Va bene, fine dei test. Haruka riporta la cucciola alla base. Dovremo continuare a lavorarci sopra. - Ma nessun cenno.- Tenou hai sentito?!”

“Si.” Rispose lei continuando però ad accelerare.

Non essendo in contatto visivo, i tre uomini potevano fare affidamento solo sulle indicazioni date via radio e graficizzate dal portatile connesso in wi-fi con la moto e quest'ultimo diceva che Tenou stava dando gas invece che decelerare.

“Tenou, dannazione cosa stai facendo?! Piantala, è inutile continuare!” Ordinò Smaitter.

Neanche dieci secondi e l'algoritmo rilasciò un'impennata. Stefano sbiancò guardando in direzione della pista coperta dagli alberi.

“Cazzo! E' caduta!”

“Cosa?!”

“Capo Smaitter, Haruka è caduta!”

Michiru guardò il mare alzando di scatto gli occhi dal foglio da disegno. Le onde stavano gonfiandosi ed un malefico vento di levante aveva iniziato a soffiare con forza da est.

Haruka, pensò non sapendo neanche il perchè. Rimanendo immobile lasciò che il vento iniziasse a sferzarle il viso.

 

 

“Non è niente! Non mi sono fatta niente. Calmatevi.” Continuò a dire per tutto il tragitto che dal punto della pista dove aveva perso il controllo della due ruote, arrivava ai camper della scuderia.

“Sta zitta!” Le urlo' contro Smaitter bianco come un cencio mentre Stefano l'aiutava a camminare.

“La moto...”

“Quella si aggiusta Haru. Ora vediamo che ti sei fatta tu, piuttosto.”

“Non fare tanto il carino Stefano! Haruka noi due dobbiamo parlare e subito!”

“Ora no Henry. Vediamo prima che cos'ha. Poi è tutta tua.” L'assicurò Claudio Steer, medico e fisiatra della Ducati, che li stava aspettando alle scalette dell'automezzo adibito ad infermeria.

“Va bene, ma vedi di far presto. Se dobbiamo portarla al pronto soccorso voglio farlo prima di subito!”

“Sta tranquillo Capo.” E così dicendo entro' nel camper con la donna, lasciando gli altri a guardarsi in cagnesco mentre ritornavano sull'asfalto per sincerarsi delle “condizioni” dell'altra loro bambina.

In tutto questo Giovanna era rimasta in disparte. Tutto troppo rapido, si era resa conto del disarcionamento di Haruka solo quando aveva visto praticamente lo staff al completo correre verso un punto della pista. Abituati a capire la gravità delle cadute ad un primo colpo d'occhio, erano tutti abbastanza tranquilli. Solo Stefano sembrava preoccupato, mentre Smaitter tendeva più all'imbestialito e Patrik al soddisfatto. Gioco forza che ogni qual volta Tenou faceva cilecca, lui gongolava alla grandissima e capitando assai di rado, quale migliore occasione di rimarcare l'accaduto andando in giro faccia spavalda a gettar commenti?

Così fermandosi di fronte a Giovanna che intanto, a poca distanza dal camper, non aveva staccato gli occhi dalla porta metallica, con fare sicuro inizio' con una frase del tipo; guarda a chi ti accompagni, bell'affare che hai fatto.

"Ci conosciamo?" Chiese guardandolo sicura.

"Non credo..."

"E allora perché mi parli?!"

E con una spallata se ne liberò andando verso il camper medico dove all'interno Haruka stava venendo visitata.

“Allora dove senti dolore?” Chiese il fisiatra toccandole delicatamente il braccio sinistro ormai libero dalla parte superiore della tuta.

“Aih... Il gomito.”

“Ok, ora stai ferma.” E ad una brusca manovra del braccio lei strinse i denti soffocando un grido.

“Ottimo Tenou, niente pronto soccorso per questa volta. Hai rischiato di lussarti il gomito. Evidentemente nella scivolata ti sei istintivamente protetta con il palmo della mano sinistra. E' uno degli infortuni piu' ovvi. Ringrazia il tuo nume tutelare. Una settimana di tutore e tornerai a far danni in scuderia.” Sentenzio' sorridendole mentre iniziava ad immobilizzarle l'articolazione con una fascia elastica.

Seduta sul lettino per le emergenze del presidio medico mobile, Haruka si stava vergognando di se stessa. Attaccando una curva aveva staccato la frizione troppo presto ed il posteriore aveva scodato disarcionandola. Mossa da principiante. Mossa da idiota. Mossa alla Patrik. Sbuffando pesantemente si osservò la carne del braccio sinistro che nel frattempo stava diventando bluastra. Aveva mancato di rispetto alla moto, allo staff ed anche a se stessa. Il suo corpo era come un tempio; doveva tenerselo da conto.

“Senti Haruka, chi è qualla donna che ti sei portata dietro? La tua nuova fiamma?” Chiese il medico facendole vedere come si allacciava la fascia con il feltro stretch che le sarebbe servita per sostenere il braccio.

“Chi? No, per carità! E' solo... Bah, lasciamo perdere guarda.” Stizzita più dal dolore che dalla domanda, iniziò a sentire freddo. Certo il fisiatra non aveva lo stesso spirito di osservazione dell'oncologo Daniel Kurzh, ma scambiare Giovanna per la sua nuova ragazza era eccessivo.

“Come vuoi, ma sarebbe il caso che le dicessi qualcosa visto che è qua fuori con i tuoi vestiti in mano.” Consiglio' aprendo la porta e lasciando entrare Giovanna.

"Tutto apposto. Gentilmente l'aiuti a cambiarsi. Non deve muovere il gomito sinistro.” E richiudendosela alle spalle andò verso gli altri per aggiornarli sulle condizioni di quella gran testa di legno che era il loro primo pilota.

“Tutto ok Ruka?”

“Ho fatto una cazzata...” Ammise senza avere il coraggio di guardarla in faccia.

“Me ne sono accorta.” E posò gli abiti dell'altra sul lettino.

“No, non parlo della caduta. Quella ci stà. Ho staccato troppo presto, è vero, ma il posteriore è instabile. Sarebbe successo anche se fossi stata più concentrata e gli algoritmi lo confermeranno, così il Capo Smaitter la farà finita di sbraitarmi contro!”

Giovanna la guardò chinando leggermente la testa da un lato. “A cosa ti riferisci allora?”

“A te. A noi. Insomma, hai capito...”

“Mmmmm, basterebbe un scusa Giò ed amiche come prima.”

“Noi non siamo amiche!" Si lasciò scappare coprendosi gli occhi con il palmo della destra.

Iniziava ad avvertire un gran male al gomito. Iniziava a non tollerare più l'assenza di Michiru. Iniziava a sentire di stare sul punto di cedere allo sconforto per quella situazione al limite dell'assurdo.

Sentendo l'avambraccio di Giovanna serrato al collo, ne avvertì la presenza alle spalle. “E cosa saremmo allora?” Le sussurrò all'orecchio.

“Lo sai benissimo.”

“Io si. Sei tu che non lo vuoi accettare.”

“Non è vero...”

L'altra le andò di fronte iniziano ad infilarle la camicia nel bracio sano stando bene attenta a non farle male.

“Posso vestirmi da sola.”

“Come io so allacciarmi gli scarponi, ma te l'ho lasciato fare perchè ti faceva piacere farlo. Haruka, io non ho alcun problema nel dire al mondo intero che fai parte della mia famiglia, come non ho alcun problema nel sentirmi responsabile delle tue alzate d'ingegno che ogni giorno mi smascellano i nervi da quando sei entrata a far parte della mia vita. E' così che sono fatta. E' così che si fa nel mio branco. Ma anche se non pretendo da te la stessa riprova del legame che ci unisce, gradirei che almeno non lo negassi e che non mi trattassi sempre come un cane ogni volta che hai i nervi a fior di pelle.”

Togliendosi la mano dagli occhi per porgerle il braccio, la bionda la guardò incredula. “Ma tu proprio non capisci!”

“No! Illuminami.” E calzandole con attenzione la camicia alle spalle, inizio' ad allacciarle i bottoni al petto.

“Solo perchè non vado in giro a dire a tutti chi sei, non mi appiccico al telefono per ore a parlare del niente o non ti dico che ti voglio bene così tanto spesso come vorresti, non significa che non mi senta parte del tuo branco o che non ti voglia nel mio. Giovanna ti rendi conto di quello che mi sta succedendo? L'amore della mia vita mi ha lasciata per andarsene in Grecia. Si, Grecia. Ho visto il prefisso del numero. Mi ha mollata per cercare di risolvere una serie di problemi che ne stanno minando la salute ed ha deciso bene di escludermi da questa cosa. Ora, come credi mi senta io? Te lo dico subito; di merda e l'unica persona che vorrei mi aiutasse in questa situazione, sei tu. Ho pianto davanti a te. Mi sento in diritto di comportarmi normalmente di fronte a te, facendo anche la stronza a volte e te ne chiedo scusa, ma non ho blocchi inibitori quando siamo insieme. Io sono me stessa di fronte a te e non sento la necessità di mascherare le mie ansie o nasconderti i miei difetti e tu mi vuoi far credere che solo perchè non ti ci chiamo, io non ti consideri la mia sorella maggiore?!”

Slacciando lo stretch degli stivaletti per sfilandoseli con la punta dei piedi, saltò giu' dal lettino digrignando i denti dal dolore. “Sei ottusa Aulis e di me non hai ancora capito un emerito cazzo!”

 

 

Siamo spiacenti, ma il numero da lei composto non è al momento raggiungibile.” La stessa cantilena da tutta la mattina e Michiru iniziava ad essere insofferente. Un paio d'ore prima aveva avvertito una strana sensazione, un misto tra un leggero giramento di testa ed un latente senso d'ansia, che era scomparso subito, ma che le aveva lasciato addosso inquietudine. E nell'avvertire quell'ansietà aveva pensato ad Haruka ed immaginando dove fosse quella mattina, non si sarebbe sentita tranquilla fino a quando non l'avesse raggiunta telefonicamente. Ma tutto taceva. Sia il suo cellulare, sia che quello di Giovanna.

Tornando a schizzare sul blocco provò a concentrarsi sul compito che Ami le aveva assegnato mentre si trovava all'università.

“Vorrei che provassi a disegnare la musica rapportata alla tua famiglia.” Le aveva chiesto camminando a passo svelto verso lo scooter lasciandola interdetta.

“La musica?”

“Si. Vorrei che provassi a mettere su carta il binomio musica-famiglia e nel farlo, prova a ripensare ai momenti nei quali tu, tua madre e tuo padre, eravate felicemente insieme.”

“Ami, non credo che tra me e i miei vi siano mai stati momenti così intimi.” Aveva provato ad obbiettare, ma peggio di un caterpillar il medico non aveva sentito ragioni continuando per la sua strada

“Fa una passeggiata, vai all'Acropoli o in un museo. C'è un parco qui di fronte, insomma, schiarisciti le idee, perchè in tutta franchezza Michiru, non penso che nella tua infanzia o adolescenza non ci sia proprio niente in merito.” Ed accendendo il mezzo le aveva sorriso partendo a razzo.

Ed io penso invece che questa volta tu ti stia sbagliando. Si era detta con rammarico tornandosene all'interno del Re del mare.

Così aveva provato ad aggrapparsi nuovamente al suo immenso padre blu, non ottenendo però alcun suggerimento, anzi, aveva avuto l'impressione che la sua voce potente le portasse urlato il nome della compagna e nell'impellente necessità di sentirne la voce, si era deconcentrata. Non riuscendo in quel contatto telefonico aveva infine deciso di seguire il consiglio di Ami e di andare a farsi una passeggiata al parco poco distante. Grazioso e ben curato a quell'ora brulicava di vita infantile e sedendosi su una panchina, iniziò a godersi la normalità di quel posto fatto di giochi, schiamazzi, palle colorate e mamme con le carrozzine.

Era da tanto tempo che non si fermava a guardare dei bambini giocare. In genere la sua vita era strutturata su i binari del rapporto di coppia e su un lavoro spesso e volentieri solitario. I pochi amici che riusciva a frequentare non avevano figli e comunque non si era mai persa ad osservare le movenze dei cuccioli d'uomo per più del tempo necessario. Ora invece, si stava in un certo senso gustando il momento, apprezzando atteggiamenti ancestrali e puri, ridendo intimamente delle piccole e grandi scenate di gelosia che nascevano su quello o su questo. Giochi rubati, pianti improvvisati e risate incontrollate.

“Kaiou?!”

Michiru si girò di scatto strappata a quelle scene. Khloe le apparve madida di sudore stringendo due enormi buste della spesa. Guardandola corrugò la fronte mentre l'altra le sorrideva alzando le spalle.

“Papà si è dimenticato i dolci per la festa di questa sera. Ed è toccata a me la scarpinata fino alla pasticceria.”

“Festa?”

“Si, mia madre te lo ha accennato ieri. In questo periodo c'è la festa del Porto Grande ed ogni albergo e pensione di zona vi partecipa.”

Vero! Si disse guardando per terra.

“E tu che cosa ci fai seduta qui?” Chiese poggiando momentaneamente le buste sulla seduta di marmo. Era stanca morta.

“I compiti per oggi.” Rispose e scoppiarono a ridere.

“Posso sedermi un attimo? Credo di avere esagerato con il peso e non ho più il fisic du role di una volta.”

Un sorriso della straniera e Khloe si accomodò iniziando a respirare profondamente.

“E come sta andando... lo studio?”

“Visto che sono qui seduta a non far nulla. Maluccio...” E rise nuovamente.

La donna più grande sembrò bearsi di quel suono cristallino che tanto era cambiato nel corso degli anni. Più profonda e controllata, la risata di Michiru era comunque impareggiabile agli occhi del suo cuore e rendendosi conto di stare avendo sicuramente uno sguardo da imbecille, Khloe preferì puntare gli occhi ai mocciosetti che giocavano tra le altalene poco distanti.

“Ti sono sempre piaciuti i bambini. Perchè non ne hai ancora?” E a quella domanda per la verità abbastanza ingenua, Michiru la guardò come se avesse detto un'eresia.

Khloe capì sorridendo maliziosamente. “Non ti credevo tanto bigottamente cattolica.”

“Cosa c'entra la religione, scusa. Se non ho figli è perchè non voglio averne e non perchè il cattolicesimo vieta alle coppie gay di sposarsi e metter su famiglia. Se avessi voluto non mi sarei certamente fermata per questo.” Disse stizzita.

Quello era un discorso delicato che affrontava di rado e solo con la diretta interessata, ovvero la sua compagna. Quante volte avevano discusso a causa dell'ostinazione che la bionda aveva nel volerla madre a tutti i costi e lei, sapendo quanto Haruka avesse sofferto nel crescere senza una figura paterna, aveva sempre rifiutato di prendere in considerazione la cosa, pur soffrendone intimamente. Credeva fermamente che un bambino avesse il diritto di avere due figure ben distinte nella sua vita. Le sarebbe piaciuto essere madre e tanto, ma non avrebbe mai tollerato di privare in partenza un essere di quel rapporto speciale, solo a causa del suo egoismo.

“Scusa, credevo che fosse per questo. Sai, anche noi ortodossi abbiamo ancora un forte blocco religioso.”

No, non è per questo.” Si alzò lentamente cercando di non darle a vedere quanto quel discorso le desse un enormemente fastidio. Prendendo l'album ed una busta sorrise prima che quest'ultima non puntasse pericolosamente al terreno.

“Ma sono dolci o piombo fuso?!”

“Lascia stare Kaiou. Sei troppo delicata per lavori di fatica come questi.” Khloe fece per prenderle i manici dalle dita, ma l'altra le suggerì di afferrarne uno solo.

"Sono piu' forte di quanto pensi." Così facendo s'incamminarono silenziosamente verso il Re del mare, dividendo una busta di dolci, così come una volta avevano diviso una parte della loro vita.

 

 

 

Note dell'autrice: Salve a tutti. Questo capitolo mi è venuto in scioltezza ed ho voluto far riapparire la nostra bionda un po' di più. Io l'avevo detto che scalpitava per entrare a giocare. Ho lambito un tema delicato come la famiglia e spero che nessuno si senta offeso per questo. E' un pensiero di Kaiou, frutto dell'esperienza avuta da Haruka. Tornando a noi, non prendetevela se ho chiamato Michiru Kappa (essere bruttarello, verde, squamoso, con una sorta di carapace sulla schiena, che nella tradizione nipponica abita fiumi, laghi e specchi d'acqua in generale), ma con la muta da sub non si è proprio... sexy, anche se poi con un paio di mosse, si è ripresa alla grandissima.

 

 

 

   
 
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