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Autore: sofimblack    22/02/2017    0 recensioni
Dal II capitolo:
«Vuoi una caramella?»
Lui la guardò con attenzione ancora maggiore. Non si erano mai presentati, non si conoscevano, eppure lei non si era presentata né gli aveva chiesto il suo nome. No, lei gli aveva sorriso offrendogli una caramella. Una caramella. Anche lei studiava le persone, non si era sbagliato, ma aveva l’impressione che i loro studi si muovessero su due piani diversi.
[...]Quando però lei gliela porse, e lui allungò la mano per prenderla, accaddero due cose contemporaneamente.
Si sfiorarono appena, e una lieve scossa attraversò entrambi... probabilmente pure questo è un cliché, eppure tramite quel tocco leggero presero effettivamente la scossa, era decisamente così, non ci si poteva sbagliare.
La seconda cosa fece invece cadere Rae nello sgomento. L’atmosfera, da tranquilla e rilassata, si era fatta per lei tesissima. Una sensazione terribile, sconvolgente e in qualche modo triste la attraversò, velandole per un momento gli occhi di panico. 5 novembre, 5 novembre, 5 novembre.

Cosa sarebbe potuto accadere se Rae, una ragazza molto "intuitiva" e dal passato difficile, avesse incontrato Elle durante il caso Kira? Forse il finale sarebbe stato diverso...
Beh, spero di avervi sufficientemente incuriositi! Buona lettura ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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II
Caramella



 

Novembre


 

 

R

 

Quel giorno Rae non doveva lavorare: il negozio era chiuso e poteva permettersi di fare ciò che voleva. Si era svegliata decisamente tardi, le lenzuola attorcigliate alle gambe e la testa in subbuglio. Ultimamente i suoi sogni erano piuttosto agitati. Aveva rimandato pigramente il momento di alzarsi, presa com’era dalle pagine di una raccolta di racconti di un qualche autore nordico, ma alla fine dovette per forza alzarsi per mangiare qualcosa e andare in bagno. Viveva in un piccolo bilocale, forse un po’ caotico ma accogliente, illuminato da ampie finestre in stile vittoriano. Il bollitore scaldò l’acqua in un minuto, mentre lei già si pregustava una fumante tazza di tè. Tuffò una bustina di English Breakfast nella tazza, osservando l’acqua scurirsi sempre di più; il tè le piaceva molto forte e molto zuccherato. Gettò un’occhiata distratta fuori dalla finestra e, con gioia, si accorse che un flebile raggio di sole si faceva strada tra la coltre grigia che copriva il cielo. Improvvisamente esaltata finì rapidamente il contenuto della tazza ustionandosi la lingua e si infilò un paio di jeans scuri, un maglione sbrindellato di almeno due taglie più grandi della sua e le solite vans consumate. Cappotto, sciarpa, tabacco e accendino, telefono, chiavi, caramelle, fazzoletti, libro. Era già in strada, quasi felice, diretta al parco… in realtà non faceva poi così caldo, non era tempo da parco quello, eppure a lei non importava. Era fatta così, quando le prendevano quegli -ormai rari - sprazzi di entusiasmo li assecondava sempre, senza stare a pensarci sopra. Scelse una panchina appena illuminata dal sole sotto un grande albero, spoglio e nodoso, e tirò fuori la sua copia sgualcita di Guida Galattica per Autostoppisti, pensando che un po’ di nonsense ci stesse sempre bene. Si girò beata una sigaretta e iniziò a leggere, chiudendosi nella sua bolla di tranquillità.

 

 

L

 

Stavolta si era messo una maglia più pesante, ma Watari* non poté fare a meno di dirgli comunque qualcosa. C’era sempre la medesima quantità di affetto e di ammonimento nella sua voce, quando si rivolgeva a lui.

«Elle. Noto che esci spesso ultimamente… Dovresti coprirti di più».

«L’aria fresca aumenta le mie capacità intellettive del 20%» rispose lui sbrigativo, accettando però di buon grado la giacca che quel distinto signore - che in realtà era tutta la sua famiglia - gli stava gentilmente porgendo. Stava quasi per varcare la porta quando si sentì apostrofare da una voce strafottente, ma comunque piena di ammirazione.

«Ehi Elle, dimmi, riesci a risolvere questo indovinello?». Appoggiato al muro, una mano in tasca e l’altra che portava una stecca di cioccolato alla bocca c’era Mello, uno dei due ragazzini che - nel caso gli fosse accaduto qualcosa - avrebbe dovuto designare come erede. Elle si fermò sulla soglia, attento.

«In una città alcune persone, durante le notti di luna piena, si trasformano in lupi mannari. Si può quindi pensare che almeno uno degli abitanti di questo luogo sia un lupo mannaro. Per fare fronte a questa situazione il sindaco della cittadina emette un’ordinanza, che prevede che ogni cittadino che sappia di essere un lupo mannaro, si debba uccidere appena lo scopre. Dato che gli abitanti del luogo sono tutti dei cittadini rispettosi delle leggi, si può dare per certo che effettivamente ogni abitante che scopra di essere un lupo mannaro si uccida. Purtroppo però, un lupo mannaro non si accorge di esserlo e quindi lo può solo capire dall’osservazione di quello che gli sta intorno. A questo punto occorre ricordare che durante tutte (e sole) le notti di plenilunio, ogni cittadino incontra tutti gli altri, e pertanto è in grado di vedere i lupi mannari anche se non può comunicare con loro. Dopo la terza notte di luna piena vengono ritrovati i cadaveri di alcuni lupi mannari. Quanti sono i lupi ritrovati? Perché sono stati ritrovati soltanto dopo la terza notte, mentre nelle due precedenti non si è avuto alcun ritrovamento?»

Elle, che aveva ascoltato con estrema concentrazione, fece un sorrisetto.

«La mia risposta è …sì. Sono in grado di risolverlo. Ma sarà sicuramente un esercizio che vi ha dato l’insegnate, perciò non ti dirò nulla. Anzi, mi stupisco che tu non sia riuscito a risolverlo… è estremamente facile, evidentemente hanno abbassato gli standard da quando seguivo io le lezioni.»

Mello fece un sorrisetto ammirato e piccato insieme, scostandosi la frangetta bionda dagli occhi.

«Non ti si può proprio fregare eh?»

«Dovresti saperlo».

«In realtà, c’ero già arrivato da solo alla soluzione. Il mio era più che altro un esperimento» affermò lui con presunzione, quasi in tono di sfida.

«Lo supponevo. Pure il mio.»

Senza più prestargli attenzione si avviò verso il parco, diventato ormai uno dei suoi luoghi preferiti. Come sperava era quasi deserto, c’erano veramente poche persone che passeggiavano per i sentieri ricoperti di foglie secche. Il sole tentava di fare capolino tra le nuvole, filtrando attraverso i rami spogli degli alberi, ma non riusciva a riscaldare davvero quell’aria fresca invernale. Lui continuò a camminare senza una vera e propria meta fino a quando, seguendo con lo sguardo una sottile scia di fumo che portava ad una panchina, riconobbe una massa di lunghi capelli arruffati. Era la ragazza del negozio di dischi. Si fermò poco distante per osservarla, curioso e discreto, ma lei dopo pochi istanti alzò la testa di scatto verso di lui, come se l’avesse chiamata per nome. E gli sorrise.

 

 

R

 

Era sempre stata una ragazza… intuitiva, ecco. Molto intuitiva. E questa era la versione ufficiale dei fatti; in realtà il suo poteva essere considerato un vero e proprio “potere”, ma ci arriviamo tra poco. Rae percepì all’istante la presenza di qualcuno. Alzò la testa. Fuoco.

Era quel ragazzo dall’aria stramba che, da circa tre settimane, ogni tanto passava davanti al suo negozio con un’aria di totale indifferenza. Qualche volta capitava che incrociassero nuovamente gli sguardi; in quei momenti le si riaccendevano dentro le stesse assurde sensazioni della prima volta, ma questo non le aveva impedito di osservarlo attentamente. Per prima cosa, sembrava del tutto incapace di vestirsi in maniera adeguata rispetto al clima, come se la cosa non lo riguardasse perché aveva di meglio da pensare. In effetti, vederlo per una volta con una giacca, era una novità assoluta… inoltre, nonostante il freddo umido dell’Inghilterra, pareva che non portasse mai calzini, come se quelli gli avessero arrecato una qualche offesa personale. Camminava sempre ricurvo su se stesso, con calma, guardandosi attorno con aria quasi spenta… eppure, Rae poteva quasi sentire il costante macchinare del suo cervello. Aveva notato anche che spesso mangiucchiava qualcosa, rigorosamente dolce, magari un muffin al cioccolato o un lecca lecca. 

E ora se ne stava lì, in piedi davanti a lei, palesemente colto in flagrante nello studiarla ma per niente in imbarazzo, visto che continuava a fissarla anche adesso. Doveva essere molto sicuro di sé.

«Ciao».

Spavalda, coraggiosa. Lei era sempre stata così.

«Ciao…».
Lui aveva una voce bassa e morbida, che la sorprese; poneva sempre un’attenzione particolare alle voci e - pensò distrattamente - quella era estremamente piacevole, ma nonostante ciò si riprese rapidamente.

«Vuoi una caramella?»

 

L

 

Lui la guardò con attenzione ancora maggiore. Non si erano mai presentati, non si conoscevano, eppure lei non si non si era mostrata nè spaventata nè stranita, e nemmeno gli aveva chiesto il suo nome. Non aveva tentato di condurre una conversazione di cortesia come si usa fare tra sconosciuti. Non aveva avuto una reazione normale, insomma. No. Lei gli aveva semplicemente sorriso, offrendogli una caramella. Una caramella. Anche lei studiava le persone, non si era sbagliato, ma aveva l’impressione che i loro studi si muovessero su due piani diversi.

«Non si accettano caramelle dagli sconosciuti…?».

 

 

R

 

L'aveva posta quasi come una domanda, la testa lievemente inclinata. Si aspettava forse che lei si presentasse? 

«Beh, se non la vuoi me la mangio io. Sono buonissime». 

E mentre diceva così se ne mise una in bocca, soddisfatta.

«Visto? Non sono avvelenate e ti assicuro che non ho intenzione di rapirti. Del resto non saprei proprio dove metterti, casa mia non è poi così grande».

Un’ombra vagamente divertita comparve sul volto del ragazzo, o almeno così le parve.

«In tal caso ne prendo una».

Quando però lei gliela porse, e lui allungò la mano per prenderla, accaddero due cose contemporaneamente.

Si sfiorarono appena, e una lieve scossa attraversò entrambi. Probabilmente pure questo è un cliché, eppure  tramite quel tocco leggero presero effettivamente la scossa, era decisamente così, non ci si poteva sbagliare.

La seconda cosa fece invece cadere Rae nello sgomento. L’atmosfera, da tranquilla e rilassata, si era fatta tesissima per lei. Una sensazione terribile, sconvolgente e in qualche modo triste la attraversò, velandole per un momento gli occhi di panico. 5 novembre, 5 novembre, 5 novembre. Improvvisamente nella sua testa rimbombava quella data. 5 novembre. Si alzò bruscamente dalla panchina, abbandonando distrattamente la caramella nella mano tesa di lui.

«Scusami, devo proprio andare» mormorò appena, letteralmente scappando via. Sperò che lui non si fosse accorto dello sgomento che l’aveva colta ma certo una fuga del genere non sarebbe passata inosservata a nessuno, figurarsi a lui. Cosa cavolo sarebbe accaduto il cinque novembre?





*Watari, vero nome Quillsh Wammy. In realtà non credo che lui lo chiamasse Watari a quei tempi, ma Quillish mi stonava un po' e pure Wammy, perciò ho deciso di risolverla lasciandogli il nome del manga.


Ciao a tutti ^^ 
Questo era il primo capitolo vero e proprio e...aiuuuto! Spero di essere riuscita ad incuriosirvi con Rae... a breve avrete delucidazioni, lo ggggiuro, ma magari lo avete già capito cosa nasconde eheheh.
Per quanto riguarda Elle... paaaanico! Già sapevo che sarebbe stato un personaggio difficile da gestire, spero di non aver fatto uno scempio ^^' ho introdotto l'indovinello perché ce li vedevo, alla Wammy's House, a sfidarsi a colpi di logica... [ se volete la soluzione basta chiedere! ma magari ci siete già arrivati...?] e non potevo non far fare una piccola apparizione pure a Mello! 
Beh, spero che vi sia piaciuto... grazie mille a chi ha letto e un doppio grazie a chi ha messo la storia tra le seguite o le ricordate... GRAZIEEEE!! :')

A presto ~
sofimblack

  
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