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Autore: CassandraBlackZone    23/02/2017    5 recensioni
Raccolto tutto il suo coraggio, Maria uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò al grosso cilindro di vetro. All’interno di quest’ultimo, il corpo del riccio antropomorfo nero e rosso galleggiava nel liquido verde fluorescente con gli occhi chiusi e un’espressione serena sul volto. Improvvisamente, non le fece più così paura. Provava più pena, vedendo tutte quelle ventose e fili attaccati su diverse parti del corpo.
«Ti ricordi come si chiama?»
Maria si voltò verso il nonno. «Shadow, giusto?» riportò l’attenzione sulla Forma di vita Definitiva. «Shadow… the Hedgehog.»
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gerald Robotnik, Maria Robotnik, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Colpi di laser e spindash aiutarono Shadow a riprendere i sensi, ma fu la voce di Sonic che lo aiutò a svegliarsi del tutto, accompagnato da quella odiosa sensazione di déjà-vu.
«Alla buon’ora, Shad! Un aiutino qui sarebbe gradito!» urlò il blu, appena vide il nero alzarsi barcollando.
«Dove… siamo?» la luce delle enormi lampade al neon impedivano a Shadow di riconoscere quelli che erano puntatori laser, ma una scia rossa pronta a colpire nella sua direzione lo portò ad agire e quindi a distruggere la macchina con un balzo. Quei pochi secondi passati a mezz’aria gli bastarono per capire dove fossero e, riconosciute le pareti celesti metallizzate dell’ampia stanza, urlò convinto:«La palestra!»
«Palestra?» gli si avvicinò Sonic. «Ti allenavi qui?»
«Purtroppo. A destra!» afferratolo per un braccio, Shadow lanciò il riccio rivale verso una coppia di puntatori posti ad un angolo, che li distrusse con l’ennesimospindash.
«Nice
«Un momento» il riccio bicolore iniziò a correre schivando la pioggia di laser, accortosi che mancava qualcosa. «Dov’è la scatola?!» chiese preoccupato.
«Non lo so!» fuori un altro puntatore. «Ho avuto un po’ da fare, sai com’è! Ma quanti sono?!»
«Maledizione» Shadow si guardò attorno, sperando di poter adocchiare la scatola in quel mare che era il pavimento, ma non passò molto tempo prima che si accorgesse della macchia nera appoggiata alla parete dell’altro lato della stanza rispetto a lui. «Eccola!» attivati i propulsori alla massima potenza, Shadow si precipitò per recuperarla, ma a pochi metri di distanza, un fascio laser si stava avvicinando pericolosamente ad essa: ad occhio, non sarebbe mai riuscito a raggiungerla.«No!»
A tempo record, il riccio blu anticipò il raggio a costo di atterrare strisciando sulle ginocchia e sorprendendo Shadow. «Uh, questo lascerà il segno per un po’» si lamentò massaggiandosi le giunture. «Shadow, dobbiamo uscire da qui. Ora!»
«La porta è nascosta e può essere aperta solo dalla postazione di controllo esterna.»
«E quindi che si fa?!»
«A meno che…» chiusi gli occhi, Shadow fece mente locale fino a quando un ricordo non riaffiorò nel momento in cui non percepì un bip costante a lui familiare. «Laggiù» seguito dalla sua controparte, Shadow si avvicinò ad una parete apparentemente simile alle altre, ma arrivati davanti ad essa, il suono persistente era ben udibile ad entrambi. «Shadow, quando vuoi fai pure la tua magia» disse il blu nervoso.
«Adesso è l’ora di farla finita!» caricato il pugno, il riccio ebano andò a colpire una placca di metallo che nascondeva un pannello di controllo e le macchine si fermarono, accompagnate da uno spegnimento immediato delle luci. A fianco del pannello si aprì di scatto una porta.
Tirato un sospiro di sollievo, i due ricci, esausti, si scambiarono un pugno in segno di vittoria e varcarono la soglia della porta per ritrovarsi in quella che era la postazione di controllo. Tra quelle tastiere sofisticate e una serie di schermi lampeggiavano diverse luci di svariati colori.
«Aspetta… com’è possibile che questa palestra sia in funzione dopo così tanto tempo?» domandò Sonic confuso.
«Una domanda del genere l’avresti dovuto fare davanti alla porta che ci ha risucchiati» puntualizzò Shadow.
L’altro schioccò le dita. «You’re right
«Comunque sia non ne ho idea. E io comincio davvero a stancarmi.»
«Siamo in due, fratello» Shadow lo fulminò con lo sguardo rubicondo, ammutolendolo. «Oh, andiamo. Scherzavo.»
«Fai poco lo spiritoso o giuro che ti lascio qui» Shadow gli allungò una mano.
«Disse colui che può usare il Chaos Control a suo piacimento» borbottò il blu, porgendogli la scatola di velluto.
«Sai bene che non è vero» i due ricci passarono la stanza per raggiungere una porta che, al loro passaggio, si aprì e li portò nuovamente in un corridoio, che per la gioia di Sonic era illuminata e le pareti erano argentate. «Oh bene. Bye-bye, bloody walls.»
«Forza, non perdiamo altro tempo» Shadow scelse una delle due direzione e prese a camminare, distraendo il rivale dall’apparente momento di relax.
«Sai già dove andare?»
«Assolutamente no» rispose il riccio bicolore sincero.
«Fai sul serio?»
«Così serio da non saperti dire perché persino questo corridoio è completamente illuminato.»
«Sì, è vero, anche questo è strano, ma… ehi! Lo hai detto appena arrivati qui, no? Stiamo parlando dell’ARK, dopotutto. Magari nasconde qualche… che ne so… generatore di emergenza o roba simile.»
Shadow si rivolse verso Sonic, ma non per ammonirlo, bensì per annuire alla sua supposizione. «Ti ho già detto che la tua perspicacia mi spaventa più del solito?»
«Sì, con una vena ironica come adesso, ma… sì» disse con una certa soddisfazione l’eroe.
«Non è da escludere, ma è comunque strano che io non lo sappia.» Shadow strinse i denti frustrato e deluso. La rabbia ormai l’aveva consumata del tutto nel giro di quelle ore. «Così come non sapevo di quella porta»  forse Sonic aveva ragione, cominciò a pensare, forse si era davvero lasciato guidare inconsapevolmente da quelle emozioni che credeva di aver dimenticato; emozioni che lo portarono a teletrasportarsi nel suo passato ormai ridotto in macerie.
«Non preoccuparti, Shad. Troveremo una soluzione» sebbene il sorriso del rivale blu fosse sincero e convinto di poter aiutare il riccio ebano combattuto, quest’ultimo gli rispose con un leggero sogghigno falso e spento. «E ci aiuterà quella registrazione. Ne sono sicuro.»
Subito Shadow adocchiò la scatola, nonché l’unica cosa che lo avrebbe aiutato a venire a capo di quell’avventura, ma anche l’unico ricordo che gli restava della sua migliore amica. «Sei la nostra unica speranza. Maria.»
Un leggero clic seguito da un bip sordo e costante allarmarono i due ricci. «Che… cosa succede?» chiese Sonic.
«Non lo so proprio.» Il suono intanto continuava a riecheggiare nel corridoio, monocorde. «E non so dire se è una cosa buona o meno.»
«E se… fosse una bomba?!»
«Scordatelo! Io non la distruggo!»
«Meglio lei che noi!»
«Attento a quello che dici oppure io giuro che…» appena Shadow avvicinò la scatola al viso di Sonic, quella smise di suonare. «Ma cosa?» allontanatosi, riprese a suonare.
«Ok. Forse… non è una bomba» obbiettò il blu.
Shadow riprovò un paio di volte per verificare e, avanzato in direzione del corridoio, sussultò dalla sorpresa quando il suono divenne più veloce. «Non è una bomba. È munita di un sistema di monitoraggio» annunciò sicuro.
Sonic si grattò dietro la nuca, confuso. «Cioè… è come un metal-detector?»
«Qualcosa del genere. Devo averlo attivato in qualche modo» i due si guardarono speranzosi. «Questo ci aiuterà a uscire da qui.»
«Ma come hai fatto? Hai premuto qualche pulsante o roba simile?»
«No» rispose l’altro, sgranando gli occhi appena comprese. «Ma ho detto qualcosa prima che si attivasse.»
Sonic chiuse gli occhi incrociando le braccia per pensare e dopo qualche secondo schioccò le dita. «Maria! Hai detto Maria!»
Annuì. «Per quanto possa essere assurdo, doveva essere la parola di sblocco.»
«Un momento. Ma nella biblioteca abbiamo pronunciato il nome più volte. Perché ora invece…»
«Evidentemente perché ora siamo più vicini al luogo che dobbiamo raggiungere» lo anticipò il nero.
 L’eroe blu fece un verso d’approvazione. «Allora che cosa aspettiamo? Andiamo!»
Ormai sicuri di proseguire, Sonic e Shadow si affidarono alla misteriosa scatola, muovendosi in base al suono che produceva. Finalmente le cose stavano prendendo una piega positiva e questa volta Shadow ne era sicuro e lo percepiva benissimo. Sentiva che al suo fianco c’era la sua adorata Maria.
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Maria si svegliò con un sussulto non tanto per lo spavento, ma più per la sorpresa, avendo sentito un forte rumore provenire da fuori.  Raggiunta a tentoni l’interruttore della lampada sul comodino lo premette e la luce la colpì violenta, cogliendola impreparata. La ragazzina stropicciò gli occhi per togliere le ultime tracce di sonno e, dopo aver sbadigliato, decise di alzarsi. «Che ore sono?» spostò il suo cerchietto blu che oscurava l’orologio: segnava le sette e quarantacinque del mattino. «Caspita. Oggi sono mattinieri.»
Come ogni mattina, la prima cosa che Maria fece appena i suoi piedi toccarono il tappeto blu notte fu di inspirare profondamente ad occhi chiusi stiracchiandosi, senza dimenticare di sorridere per augurarsi una bella giornata. Poi passò all’igiene personale e al vestiario e siccome si sentiva particolarmente felice, optò per uno dei suoi outfit preferiti che consisteva in tre semplici elementi: un vestito azzurro che arrivava alle ginocchia con le maniche lunghe, un top blu con le maniche a sbuffo e un paio di scarpe color cobalto con il tacco basso.
L’ultimo tocco finale era darsi un’occhiata allo specchio facendo un giro su se stessa. «Bene, sono pronta! Oh! Stavo dimenticando il cerchietto!» preso l’accessorio, Maria lo mise accuratamente fra i capelli dorati. «Perfetto! Così va meglio!» avvicinato il viso, lasciò che un sorriso si allargasse da uno orecchio all’altro, poiché notò con piacere che i suoi capelli, dall’altezza delle spalle, si erano allungati fino a raggiungere metà schiena, proprio come aveva sempre desiderato. «Ce ne avete messo di tempo, eh? Bricconcelli» ridacchiò entusiasta.
Prima di uscire dalla stanza prese al volo da un cassetto della scrivania un astuccio rettangolare rosso con la cerniera e, un po’ esitante, un flaconcino contenente le sue medicine e corse fuori, dove salutò felice chiunque incontrasse.
«Maria!» la voce squillante di Kelly attirò l’attenzione di Maria impegnata a parlare con uno scienziato di passaggio. Il suo stile stravagante era sempre lo stesso, a parte la montatura degli occhiali che cambiò da ovali a perfettamente rotondi. «Ma come, sei già sveglia?»
«Buongiorno Kelly! Be’ ecco, la verità è che sono stata svegliata.»
Kelly allargò un mezzo sorriso. «Oh cielo. Hanno iniziato presto.»
«Già. Infatti quando mi sono svegliata Shadow non c’era.»
«Eppure quella stanza dovrebbe essere insonorizzata» la scienziata sospirò scuotendo la testa. «L’unica ipotesi è che Morris l’ha equipaggiata di altri strumenti.»
Al nome di Morris, Maria scurì subito in volto. «Shadow non dovrebbe sforzarsi così tanto» disse delusa e arrabbiata, mentre la donna le si avvicinò per incoraggiarla.
«Sai bene che ne ha bisogno, Maria»la piccola Robotnik si lasciò accarezzare. «Senti. Forse ora è il momento della sua pausa. Perché non vai a trovarlo?»
«Dici… che posso?»
«Me lo chiedi ogni volta. Certo che puoi.»
«E che non voglio distrarlo.»
«Tu non sei affatto una distrazione. Tu sei sua sorella maggiore» Kelly stampò un morbido bacio sulla fronte di Maria, facendo attenzione a non lasciarle un segno col rossetto. «Ehi, sbaglio o sei diventata più alta?»
A quel complimento Maria arrossì dalla felicità e prima di correre dal suo fratellino disse: «Credo di sì. Allora vado! Grazie mille, Kelly!»
La scienziata la salutò con la mano e intanto che riprendeva la sua strada verso il laboratorio pensò con dolcezza: come sono volati via questi quattro anni.
 
Maria ricordava bene come vedeva quella stanza celeste a otto anni. La supervelocità di Shadow le aveva dato la sensazione che l’enorme sala fosse un grosso pacchetto regalo, ma ora  quell’immagine sbarazzina era stata sostituita da una pioggia rossa e delle scie giallo-dorate ancora più difficili da tenere d’occhio con lo sguardo: Shadow era diventato ancora più veloce, superando persino la velocità degli stessi raggi laser.
Era senza dubbio meravigliata davanti alle capacità del riccio, ma in qualche modo era anche stranita davanti a quel tipo di allenamento a cui si stava sottoponendo da ben quattro anni. Tutto era iniziato dopo il giorno dell’incidente, quando, per ordine del professor Robotnik, non poté vedere Shadow per un’intera settimana. Inizialmente pensò che fosse tutta colpa sua, ma il nonno le spiegò, senza entrare troppo nei dettagli come sempre, che Shadow doveva essere assolutamente riprogrammato.
Passati i sette giorni, Shadow sembrava essere tornato quello di prima, il riccio amichevole che aveva conosciuto, ma gli anni passarono e i due cominciarono a passare meno tempo insieme.
«Ma guarda. Principessa, sei già sveglia?»
Maria chiuse gli occhi per calmarsi.«Buongiorno, Morris» disse ironica, senza minimamente voltarsi.
«Oh, adoro quando mi parli così. Vedo che sei di buon umore oggi, eh?»
«Sì, perché indossa il suo vestitino preferito.»
«Nonno!» il professor Robotnik invitò la nipotina con le braccia aperte, che lo subito lo abbracciò. «Buongiorno, nonno.»
«Buongiorno anche a te, piccola mia. Sei venuta a vedere come se la passa Shadow, dico bene?»
 «Non l’ho più visto in camera mia e perciò mi sono preoccupata.»
«Questa mattina ha voluto iniziare presto.»
«Shadow?»
Annuì. «Ad ogni modo, ora è il momento che si fermi. Morris, richiamalo dentro.»
Morris avanzò verso una postazione per parlare al microfono. «Basta così, Shadow. Fai una pausa.»
A macchine spente, il riccio bicolore si avvicinò alla porta e, attraversata quest’ultima,  sobbalzò alla vista di Maria.
«Ciao, Shadow!»
«Maria?» sorpreso ma felice, Shadow corse per abbracciare la sua migliore amica, per poi sollevarla di peso.
«Dai, Shadow! Sai che non mi piace quando fai così!» ridacchiò la ragazzina imbarazzata.
«Sai che non è vero» Shadow rimise giù Maria con cautela, contagiato dalla sua risata. «Come mai sei già sveglia?»
«Risveglio brusco» ammise lei.
«Oh, no » incalzò subito l’altro. «Sono stato io? Mi dispiace!»
«No, non ti preoccupare! Tanto ho dormito abbastanza. Come stai?»
Shadow allargò le braccia. «Mi sento in forma. Ho fatto un buon allenamento.»
«Come sempre, del resto» si intromise Gerald. «Ben fatto, figliolo.»
«Grazie. Professore.»
«Già che sei qui, Maria. Ti dispiace se ti visito ora? Così sei libera tutto il giorno.»
«Non è una cattiva idea. Senti, nonno. Shadow per caso deve ancora allenarsi?» chiese speranzosa Maria.
Gerald notò cosa teneva tra le mani la nipotina e sorrise, avendo compreso le sue intenzioni. «Sai cosa? Penso che per oggi lui possa fare una pausa.»
Shadow rizzò le orecchie. «Dice sul serio?»
«Te lo sei meritato.»
Maria non riuscì a trattenersi dalla gioia e iniziò a saltellare, battendo le mani. «Ma è fantastico! Grazie nonno!» prese le mani del riccio confuso, se le portò al petto. «Shadow, appena avrò finito con la visita ritroviamoci in biblioteca! Ho una bella sorpresa per te!»
«Va bene, Maria» le sorrise lui stringendo a sua volta le mani.
«Allora è deciso. Finiti gli ultimi controlli sarai libero. Per quanto riguarda noi, si va in infermeria» i due Robotnik uscirono dalla stanza di controllo mano nella mano, lasciando Shadow alle cure di Morris che, rimasti soli, era già pronto a sgridarlo. Shadow lo sapeva dal rumore irritante che faceva con la lingua, in segno di disappunto.
«Che cosa c’è?» iniziò il nero incrociando le braccia al petto.
«Credi davvero di aver fatto un bel allenamento, eh?» rispose a tono lo scienziato. «Migliorare del solo 30% per te è un grande traguardo? Ti devo ricordare la percentuale di ieri?»
Shadow abbassò lo sguardo grave.
«Allora?»
«40%» borbottò.
«Esattamente. Hai avuto un calo del 10% e hai il coraggio di definirlo un buon allenamento?»
«Il numero di nemici colpiti l’ho superato» cercò di giustificarsi il riccio.
«La qualità e più importante della quantità. Devi saper impiegare l’energia del Chaos al meglio.»
«È quello che sto facendo!»
«Be’, non è abbastanza!»
Creatura artificiale e umano si  fissarono aggressivi, per niente intenzionati ad uscire dalla conversazione sconfitti, ma purtroppo il primo fu costretto ad abbassare la cresta appena l’altro gli disse:«Ricordi cosa ci siamo detti anni fa in infermeria?»
Shadow divenne subito docile. Come poteva dimenticare quel giorno? Morris lo aveva in pugno in un momento di debolezza, ma era il momento in cui lui doveva prendere la decisione più importante della sua esistenza. Doveva scegliere fra due opzioni: venir abbattuto per essere sostituito oppure dimostrare che lui era il solo e unico progetto Shadow, l’unico che poteva restare al fianco del professor Robotnik.
Ferito, indifeso e soggiogato, Shadow si lasciò guidare da quella paura e da quel senso di inferiorità che mai si sarebbe sognato di provare. Lui non poteva, lui non voleva essere sostituito.
«Tu sei il suo orgoglio» continuò l’uomo, come se gli avesse letto nel pensiero. «E in un certo senso sei al mondo anche grazie a Maria.»
Shadow alzò lo sguardo e non poteva credere che quello stesso Morris lo stesse incoraggiando per la prima volta, nominando persino il nome di Maria, poiché solito affibbiarle dei nomignoli sgradevoli.
«Tu la vuoi salvare, non è vero?»
Il riccio bicolore gonfiò il petto e lanciò uno sguardo di sfida allo scienziato. «Sì. Io la voglio salvare.»
«E allora dimostralo. Tu hai la fortuna di essere sotto le ali di due grandi essere umani, ma hai avuto anche la sfortuna di essere sotto le mie» Morris si inginocchiò per scrutare meglio la determinazione negli occhi di Shadow. «ali nere, che non ti lasceranno andare facilmente finché non sarai la Forma di Vita Definitiva.»
 
«Shadow, tutto bene?» chiese Maria, accortasi dello sguardo perso del fratellino.
«Sì, scusa. Stavo pensando» ammise mortificato. Per un attimo vagò con lo sguardo e quasi si sorprese di trovarsi seduto sulla scrivania di legno del professore. Era come se si trovasse per la prima volta in biblioteca, ma la verità era che non ebbe il tempo per passarci da quando iniziò gli allenamenti di potenziamento.
«Oggi non devi pensare. È il tuo giorno libero!»
«Hai ragione, scusa.»
Maria sorrise davanti a quel tenero imbarazzo, ma abbassò lo sguardo, quando un pensiero le cominciò a balenare nella testa, un pensiero che necessitava di essere condiviso. «Sai Shadow… Ho come l’impressione che tu sia cambiato.»
Shadow perse un battito del cuore. «Che cosa intendi?» chiese allarmato.
«Non fraintendere» si corresse subito. «È che… ti trovo più maturo.»
Il riccio ebano alzò un sopracciglio. «Ed è… un bene?»
«Assolutamente! Nel giro di pochi anni hai imparato tante cose e sai fare un sacco di cose! Ormai sei perfetto!»
Perfetto. Quella parola risuonava ancora estranea a Shadow, anche ora che erano passati quattro anni. Lui non si sentiva affatto perfetto e cominciava a pensare che Morris avesse ragione sul fatto che lui doveva assolutamente migliorare giorno per giorno per poterlo essere, così da poter essere d’aiuto al professore e soprattutto a Maria.
«Shadow? Ho detto qualcosa che non va?»
Shadow scosse la testa e riportò l’attenzione su Maria. «No, niente affatto.»
«Non era mia intenzione confonderti è solo che…» si morse il labbro inferiore, nervosa. «Mi sento così egoista a dirti questo. A quanto pare sto cambiando anche io.»
«Ma tu stai cambiando di bene in meglio! Guardati! Sei diventata più alta, i tuoi capelli sono finalmente lunghi come hai sempre desiderato e poi sei diventata…» esitò prima di proseguire, lasciando che le sue guance di infiammassero. « bellissima.» Un imbarazzante silenzio calò nella biblioteca, finché Maria non si lasciò andare in una fragorosa risata, che di certo non aiutò il riccio a calmarsi. «M-Maria, per favore. Così non mi aiuti.»
«Almeno la tua sincerità è rimasta la stessa» disse la ragazzina asciugandosi le lacrime. «Comunque, ti ringrazio. Sei davvero molto gentile.»
Arrossì ancora di più. «Io ho solo detto la verità. E poi», Shadow posò una mano su quella di Maria, «tu non sei affatto egoista. Perché lo pensi?»
Maria accennò un sorriso malinconico, stringendo la mano di lui. «Non trovi che sia da egoisti chiedere che venissi esonerato dagli allenamenti?»
In un attimo Shadow si spogliò di tutte le preoccupazioni e si concesse uno sbuffò divertito. Se questo significa essere egoisti, pensò, allora io sono la perfidia in persona.
«Te lo ricordi, Shadow? Il giorno in cui ti sei svegliato tu sei entrato qui, mentre io ero andata a prendere le cioccolate calde» ridacchiò nostalgica. «Avevi fatto preoccupare tutti quanti.»
«Be’, ero ancora… in fase di sviluppo. Non sapevo quello che facevo.»
«Ma avevi già dimostrato di avere grandi capacità. Sapevi già parlare e hai letto tutti questi libri» disse Maria allargando le braccia.
«Già. Tutti e 527» riccio e umana si guardarono per ridacchiare e ricordare all’unisono il giorno del loro primo incontro.
«E guardati ora. Sei uno Shadow tutto nuovo. Da oggi»
Shadow aggrottò la fronte perplesso. «In che senso da oggi?»
Con un piccolo ghigno, Maria mostrò finalmente l’astuccio che si era portata appresso e, aperta la cerniera, tirò fuori la videocamera che vi era all’interno.
«Oh, no…» Shadow immerse il viso nelle mani, avendo compreso dove volesse andare a parare la ragazzina.
«Questa volta non hai scampo, Shadow. Che ti piaccia o no!» disse Maria divertita, che intanto accese l’apparecchio già pronto per registrare e, rivolto l’obiettivo e lo schermino verso di lei, iniziò:«Ciao Shadow! Un altro anno è passato e, dopo vari tentativi, sono finalmente riuscita a convincerti!»
«No che non ci sei riuscita!» urlò fuori campo Shadow.
«Poche storie, mio caro Shadow. Questa volta ti ho in pugno» Maria lanciò uno sguardo malizioso ad un riccio nervoso. «E finalmente non ti dovrò filmare di nascosto come faccio di solito da quando il nonno mi ha regalato la videocamera.»
«Tu cosa?!»
«Non arrabbiarti con me, almeno oggi che è un giorno speciale!» riportò lo sguardo in camera. «Sì. È molto speciale. Buon compleanno, Shadow the Hedgehog!»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ebbene sì. Sono riuscita ad aggiornare il capitolo prima. Quasi non ci posso credere.
Siamo arrivati all’undicesimo capitolo. Non posso credere nemmeno a questo, ma soprattuto che mi sto avvicinando alla fine. Come avrete visto ho dato veramente un’interpretazione tutta mia del passato, questo si era già capito dalla mia introduzione di personaggi nuovi, ovvero Morris e Stanford ( e altri), ma la cosa nuova, a parer mio, è stato il tempo che Shadow ha trascorso con Maria. Molti potrebbero non essere d’accordi, dire che non sono fedele alla vera storia di Shadow, ma… ehi, io me la sono immaginata così e ho voluto condividerla con voi qui su EFP.
Spero che questo capitolo non vi abbia annoiato o in qualche modo deluso, anche perché il bello deve ancora arrivare e temo che dovrete aspettare un po’. Voglio sviluppare i prossimi capitoli al meglio e curare bene i dettagli.
Detto ciò… ci vediamo presto!
 
Baci,
 
Cassandra
   
 
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