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Autore: Vago    24/02/2017    3 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Il corpo di Nirghe fu pervaso da una sensazione opprimente.
Il suo compagno parve disgregarsi in pulviscolo, turbinandogli attorno e infiltrandosi in ogni poro di quel corpo martoriato.
L’assassino si sentì riempire da una nuova energia, mentre il dolore soffuso che lo avvolgeva scemava velocemente e i suoi sensi tornavano ad acuirsi come prima, forse più di prima.
La veste si strappò i più punti, così come la benda che teneva ferme le quattro dita e quella che gli avvolgeva il capo.
Le frecce ripercorsero l’arco che avevano tracciato, per ritornare al loro posto nelle faretre. Le strade sottostanti mutavano velocemente, liberandosi dei cadaveri che la occupavano.
Il drago di cristallo si rialzò in piedi, puntando la coda contro il palazzo e caricandolo a gran velocità, mentre le lame splendenti sotto il sole desertico risanavano gli strappi delle membrane alari e i fori nel suo ventre.
L’aquila tornò in aria verticalmente, caricando nel suo tragitto i due passeggeri e liberando il corvo dalla sua presa, per poi ridiscendere a stretti cerchi verso l’ingresso della costruzione, dove il drago si stava infilando strisciando.
Hile rotolò sul dorso del suo compagno, che decise di tornare sui suoi passi, scambiando in tacito accordo il ruolo di inseguiti per quello di inseguitori con le guardie che li avevano rincorsi fino ad allora.
Il mondo si mosse sotto i suoi piedi, trascinandolo indietro, sui tetti piatti, poi sulla strada, per poi farlo tornare al sicuro tra le bianche pareti del palazzo.
- Dovremmo rifarlo, prima o poi. – gli rispose ancora il Lupo, il sorriso che si stava andando a disegnare sul suo volto si tramutò in un istante in una smorfia di paura. L’assassino rotolò giù dalla groppa della sua cavalcatura per la sorpresa, cadendo a terra pesantemente.
Una voce femminile alle sue spalle gridò ad un’intensità insopportabile.
- Cosa sta succedendo!? – chiese confuso Nirghe guardandosi intorno spaesato. Avvertiva il suo corpo diverso e una nuova fiamma ardeva nel suo petto.
Non riusciva a capire come potesse essere tornato lì, in quell’esatto momento, dopo il tentativo di fuga miseramente fallito che si era appena concluso.
All’esterno sentiva i pesanti passi delle guardie che perlustravano le strade.
- Ditemi qualcosa! Cosa sta succedendo? – chiese di nuovo il Gatto, questa volta la nota che tingeva la sua voce era di terrore.
- Nirghe, sei tu? – chiese Mea facendo un passo incerto avanti.
Hile, lì accanto cercava di alzarsi in piedi appoggiandosi al muro.
- Certo che sono io! –
- Cosa ti è successo? – continuò la maga facendo un ulteriore passo in avanti, il suo unico occhio viola in grado di vedere di fronte a sé stava studiando l’assassino che aveva di fronte.
- Cosa mi è… - Nirghe notò cosa lo stava facendo sentire diverso.
Dagli strappi della veste fuoriusciva una pelliccia nera decisamente non di origine alchemica. Le punte degli stivali erano state forate da sottili artigli bianchi, così come quelli che spuntavano dai polpastrelli pelosi che comparivano dalle maniche strappate.
Lo spadaccino alzò il pugnale che stringeva ancora in pugno, rivolgendo verso di sé il piatto della lama per potersi vedere in faccia.
Sull’acciaio comparvero due occhi gialli contorniati da un muso animalesco, che fissavano l’assassino con intensità penetrante. Sopra di questi due grosse orecchie si muoveva in tutte le direzioni con agitazione.
- Cosa mi è successo? – riuscì poi a dire, osservando le piccole zanne che si snudavano ad ogni sua parola.
- Ti ricordi qualcosa di particolare? Hai fatto qualcosa? – continuò la maga, sempre più vicina.
Nirghe raccontò di come il loro tentativo fosse fallito miseramente, di come era rimasto solo tra i nemici, di come, infine, il suo compagno gli era saltato addosso, scatenando quella cosa.
Mea lo guardò truce, controllando tra il pelo se davvero, come sosteneva, le ferite erano scomparse.
- Deve essere questo il potere che ci avevano promesso gli dei, però… puoi tornare normale? – chiese la mezzelfa, allontanandosi dalla creatura che gli stava seduta di fronte.
Il Gatto chiuse gli occhi, corrucciando la fronte, ma tutto quello che ottenne fu un movimento ondeggiante della coda affusolata che gli stava ritta dietro la schiena. Si era quasi arreso alla sua totale impotenza di fronte a quella condizione, quando avvertì qualcosa dentro di sé, era una presenza che, vedendosi scoperta, non provò nemmeno a ritirarsi.
Alcune immagini gli comparvero davanti agli occhi, assieme a sensazioni, suoni, odori. Incredibilmente, agli occhi di Nirghe, tutto fu più chiaro.
La creatura aprì nuovamente le palpebre, con uno sguardo diverso nelle pupille gialle.
Si passò la lingua sulle labbra, in un gesto che gli parve naturale, in quel momento.
- Ho capito. – disse solamente.
Il pulviscolo scuro che aveva visto poco prima fuoriuscì come fosse stato vapore dalla sua pelle, facendo sgonfiare i muscoli, ritirare il pelo e riassumere proporzioni elfiche a quel corpo.
Il gatto nero guardava il suo compagno con i suoi occhi penetrati, andando ad accoccolarsi tra le sue gambe.
Il corpo di Nirghe era tornato normale, senza più ferite o segni della battaglia in cui era stato sconfitto.
- Cosa hai capito? – gli chiese Jasno.
Alla sua sinistra Keria respirava sempre più a fatica, sempre più bisognosa d’ossigeno.
- Mi ha spiegato come funziona, per quanto ne sa lui. – disse lo spadaccino accarezzando il dorso del suo compagno. – C’è un muro che ci separa da loro, se entrambi riusciamo a romperlo, possiamo divenire una cosa sola. Il potere che gli dei minori ci hanno voluto donare è complicato da spiegare… –
- In che senso? – lo guardò torvo Hile, appoggiando la nuca contro il muro alle sue spalle.
- Appena decidiamo, di comune accordo, di rompere quel muro, i nostri corpi vengono inondati dall’enorme riserva di energia del nostro compagno, questa viene utilizzata per curare le nostre ferite e ci acuisce le capacità che abbiamo sviluppato. Ecco perché, prima, riuscivo a sentire i passi delle guardie, all’esterno. Inoltre, evidentemente, riusciamo a controllare, almeno in parte, l’elemento del nostro dio, credo. Io vi ho visti morire uno dopo l’altro, ed ora vi ho qui di fronte a me. Devo aver portato indietro il tempo, non so dare un’altra spiegazione a quello che ho visto. Lui mi ha anche messo in guardia su qualcosa: c’è una sottile parete di questa energia che separa le nostre coscienze, se terminassimo tutta l’energia che abbiamo, le nostre due menti si unirebbero completamente, impedendoci di far tornare i nostri corpi alla normalità, per sempre. –
Il silenzio cadde sulla sala.
Hile provò a capire il significato di quelle parole.
Gli dei gli avevano messo in mano un'incredibile arma a doppio taglio, potevano sfruttarla come meglio credevano, rischiando però di rimanerne bruciati se avessero esagerato.
Il Lupo guardò l’Athur grigio sdraiato al suo fianco, chiedendosi se anche loro sarebbero riusciti a liberare quel potere, magari senza dover assistere di nuovo alla loro sconfitta.
- Andiamo. – borbottò Nirghe alzandosi in piedi.
Il gatto nero si stiracchiò svogliatamente, muovendo la coda un paio di volte. Si protese quindi indietro, per poi balzare contro l’assassino che, davanti a lui, gli dava le spalle per guardare l’ambiente al di fuori del portone d’ingresso.
L’attimo che impiegò il compagno ad avvolgere lo spadaccino fu quasi impercettibile e, là, dove fino a poco prima c’era l’assassino, ora stava dritta la creatura dai tratti felini.
- Cosa hai intenzione di fare? – chiese a voce alta Mea, alzandosi in piedi.
- Ora come ora sono l’unico che ha una possibilità di sopravvivere, là fuori. Non volate, caricate a testa bassa il varco nelle mura e proteggete le ali del drago. Se ne avrò la possibilità, vi raggiungerò fuori. Voi, piuttosto, cercate di non far morire Keria, che è più di là che di qua. –
L’arciere non provò nemmeno a controbattere. I capelli castani le rimanevano attaccati a ciocche alla fronte sudata, mentre la sua carnagione si faceva sempre più pallida.
- Ci rivediamo dopo. –
Il Gatto scattò fuori dall’ingresso.
Superò le due guardie a sinistra, che prontamente iniziarono ad inseguirlo, per poi curvare verso destra, puntando alle tre creature che controllavano il lato opposto della piazza.
Sentiva i muscoli delle gambe sprizzare potenza da ogni poro, mentre le sue orecchie avvertivano i passi dei suoi inseguitori fare da sottofondo al sibilo del vento che lo avvolgeva, insinuandosi tra la pelliccia che gli ricopriva il corpo.
Prese il primo vicolo a sinistra, accelerando ulteriormente la sua andatura per evitare il nugolo di frecce che stava per piombargli addosso.
Nuovamente a sinistra.
La strada principale si aprì di fronte a lui, lasciandogli vedere il muro di corpi delle guardie, che parvero un attimo spaesate.
Dodici guardie. Ventiquattro serie di passi che lo rincorrevano.
Nirghe poteva avvertire ogni singola suola colpire il terreno.
Ritornò nella piazza centrale, tornando a lasciarsi la mole del palazzo alla sua sinistra.
Le pupille gialle caddero per un attimo sugli artigli che gli ornavano le dita delle mani, mentre un dubbio che non sentiva completamente suo si faceva strada tra i suoi pensieri.
Sarebbero bastati, se fosse stato costretto a combattere? Aveva forse sbagliato a lasciare il pugnale a Hile?
Il muso del drago comparve dall’ingresso, uscendo velocemente e caricando a testa bassa la via principale, mentre sul suo dorso rimanevano rintanati i quattro assassini e i loro compagni.
Il Gatto balzò su un muro, scalfendo l’intonaco bianco con gli artigli dei piedi e dandosi un ulteriore slancio per raggiungere il tetto soprastante.
Era riuscito a portare lontano la prima linea di controllo dal suo posto, ma, in cuor suo, sapeva che altre guardie pattugliavano le vie più lontane dal centro della città e sicuramente si erano già preparate a ricevere la carica di quel drago di cristallo.
Se qualcosa fosse andato storto, avrebbe dovuto riavvolgere di nuovo il tempo, per mettere una pezza là dove erano stati trovati in fallo.
No, non poteva.
Un sentimento forte gli riempì il petto, una muta costatazione lo avvertì che non avrebbe potuto rifarlo in tempi brevi.
I tetti si susseguivano rapidi. Un arciere che non si alzò in tempo fu calciato giù dalla sua postazione, ma questo non fece rallentare la creatura felina che correva a rotta di collo.
Una guardia comparsa da dietro una casa riuscì a fiancheggiare l’imponente rettile cristallino, alzando la sua spada in direzione dell’ala traslucida.
Un paio di possenti artigli furono più rapidi del braccio della creatura, tranciandole il busto prima che la lama potesse calare.
L’imponente drago continuò la sua carica fiancheggiato dall'Athur, procedendo a lunghe falcate verso il portone, ancora aperto, che gli avrebbe permesso di uscire dalla stretta di quelle mura.
Tredici guardie si pararono sul suo percorso, puntando le punte delle spade contro il ventre indifeso del rettile.
I metri che dividevano i due schieramenti si fecero sempre meno. Buio tentò uno scatto, per precedere il drago e aprirgli una breccia, ma il cadavere che era riverso ai suoi piedi lo ostacolò, facendogli perdere secondi preziosi.
Dal cielo il numero di frecce si ridusse fino quasi ad esaurirsi, ma di pari passo il numero di combattenti a terra aumentava.
Dal dorso dell’imponente rettile alato un grosso dardo scuro si gettò contro la fila di spade pronte all’impatto imminente. L’aquila dal piumaggio bronzeo strinse con forza le spalle di una delle guardie con gli artigli, per poi scaraventarla mezza dozzina di metri indietro. Il rapace virò velocemente, falciando il terreno con l’ala possente.
Il trambusto che creò fu sufficiente per attirare l’attenzione di quelle creature, che tentarono di atterrare il volatile che, veloce, gli turbinava attorno, colpendo di tanto in tanto le armature leggere con le ali e il becco, mentre gli artigli afferravano tutto ciò che era nella loro portata per gettarlo a terra.
Jasno guardò di fronte a sé la distanza tra di loro e quel muro di creature che si faceva sempre più piccola, poi i suoi occhi, da sotto il cappuccio che di nuovo era tornato a coprire i capelli candidi, notarono un particolare che fino ad allora gli era sempre sfuggito.
Il suo compagno non stava colpendo alla cieca, sperando di creare uno spiraglio in quel muro.
Il battere dei piedi sul terreno era una base, su cui si inserivano le urla stridule di quelle creature e il tonfo dei corpi atterrati, l’assolo degli stridii dell’aquila completava il quadro. Era la stessa musica che avvertiva durante la caduta vorticosa quando si gettava in volo, così come quando inseguiva le prede e i suo piedi impattavano sul terreno disconnesso, e il suo compagno la stava ballando alla perfezione, divenendo parte dell’orchestra che la suonava.
L’elfo albino si alzò in piedi, continuando a tenere il braccio sinistro premuto contro il petto che ad ogni inspirazione gli tempestava il cervello di dolore. I suoi piedi erano piantati saldamente sulle scapole del drago che si muovevano ad ogni falcata.
- Che vuoi fare? – gli urlò alle spalle Mea, perdendo per qualche secondo di vista il corpo di Keria che impallidiva a vista d’occhio.
- Credo di potervi aprire un passaggio. – fu la riposta dell’assassino, che con un salto incerto si gettò contro il muro di guardie intente a tentare di colpire l’aquila che le assediava.
Non appena le suole toccarono il terreno, il petto dell’elfo fu pervaso da un scarica più forte delle precedenti, ma Jasno si rimise comunque in piedi immediatamente, senza mai perdere di vista la totalità della scena che si muoveva davanti a lui.
Prese il tempo di quel ballo, tredici corpi si muovevano a terra, tredici lame fendevano l’aria e il piumaggio bronzeo si muoveva flessuoso negli ampi spiragli di silenzio tra una nota e l’altra.
Un calcio colpì al petto il primo guerriero che si presentò sul suo percorso, mandandolo a terra, per poi tornare ad appoggiarsi sulla strada e permettere al corpo di ruotare ed evitare così la traiettoria di una spada.
Il suo ingresso aveva alterato appena la musica stonata che stavano suonando, aggiungendosi alla melodia già impostata, piuttosto che cercare di variarla, sfruttando così i momenti muti per poter risuonare.
Poco a poco anche il bruciore che gli scaldava il volto e il fitte alle costole si confusero con il turbinio di pensieri e immagini che riempivano la testa di Jasno.
L’assassino si spostò a sinistra, colpendo con i piedi prima un ginocchio, poi una vita.
Si spostò di nuovo, per poi abbassarsi e rialzarsi immediatamente dopo per afferrare con la mano destra un polso e romperlo con una veloce torsione.
Si spostò di nuovo, così assorbito dalla melodia da non accorgersi della polvere che tutto intorno a lui si alzava e della mole del drago sempre più vicina.
Un calcio a sinistra, poi uno dietro, dove una spada cercava di calare.
Due passi a sinistra e una rotazione leggera del busto.
Un braccio troppo lungo falciò tre guardie, sbattendole contro il muro di una delle case ai lati della strada maestra.
Un passo indietro, per evitare il sibilo minaccioso di una lama, per poi afferrare la mano che la impugnava.
Le unghie dell’Aquila si fecero strada nella carne di quella creatura, bagnandosi del suo sangue, per poi scaraventarla con forza per terra.
Le costole smisero di dolere e i sensi dell’assassino si acuirono ulteriormente.
Quella danza si stava per concludere e non molti musicisti erano rimasti ad accompagnarla.
Con un ultima mezza giravolta, le due lunghe braccia piumate falciarono quattro guardie che avevano avuto la malsana idea di avvicinarglisi, per terra, intanto, bianchi artigli che spuntavano dagli scarponi raschiavano contro le pietre che costituivano il manto stradale.
Il drago di cristallo fu costretto a deviare appena per passare nella breccia di corpi che la creatura piumata aveva creato, mentre le sue pesanti zampe calpestavano a morte le creature inermi a terra.
Hile si rese conto troppo tardi che Keria si era accasciata su un fianco, scivolando dal dorso del suo compagno. Tentò ancora di afferrarla, ma la sua mano si chiuse troppo tardi sulla manica della camicia e il peso della compagna lo trascinò con sé a terra.
Alle loro spalle si cominciarono a sentire i passi affannati delle dodici guardie che si erano allontanate nel tentativo di fermare Nirghe.
Il Lupo si guardò velocemente intorno, cercando di trovare una via d’uscita.
Jasno era ancora immerso nel suo combattimento, attorniato dalle otto guardie che non erano state travolte.
Il Gatto non si riusciva a vedere, doveva essere ancora su uno di quei tetti che li sovrastavano.
Poteva però contare su Buio, che l’aveva raggiunto.
Keria non sarebbe sicuramente riuscita a fuggire da sola, a stento teneva gli occhi aperti.
Hile cercò di alzarsi in piedi il più velocemente possibile, ma le sue gambe tremavano sotto il suo stesso peso. Con uno sforzo di volontà enorme riuscì a caricare il corpo dell’arciere sul dorso del suo compagno.
- Portala fuori di qui, adesso. – gli disse, dandogli una pacca affettuosa sul fianco, per poi voltarsi verso le guardie che, oramai, lo stavano per raggiungere.
Strinse il pugno intorno al manico di quell’ultimo pugnale che gli era rimasto, mentre a lunghi passi, indietreggiava senza nemmeno cercare di voltarsi.
L’Aquila stava spostando il suo combattimento sempre più vicino alla breccia nelle mura, inconsapevole del suo compagno di viaggio in difficoltà alle sue spalle.
Keria riuscì a schiudere le sue palpebre nel momento esatto in cui Hile perse l’equilibrio, cadendo rovinosamente sul terreno. Sopra la sua testa spuntarono per qualche breve attimo due ampie orecchie pelose che, arrivate al culmine del balzo, tornarono a nascondersi oltre il limitare dei tetti.
L’arciere si sentì terribilmente inutile. Ogni movimento dell’Athur sotto di lei le faceva inondare gli occhi di lacrime, che cadevano sulla pelliccia grigia a cui si aggrappava con tutte le sue forze.
Avrebbe voluto poter essere utile, in qualche modo, ma, anche se il suo arco non fosse andato distrutto, le sue braccia non sarebbero comunque riuscite a tendere la corda e scoccare il dardo.
Le lacrime di dolore si mischiarono a quelle di tristezza, mentre dalla sua bocca si levava un mormorio sommesso.
Non riusciva nemmeno a gridare per attirare l’attenzione di chi avrebbe potuto aiutare Hile.
Era inutile, in quello stato, e non bastavano tutta la sua forza di volontà e il desiderio di poter aiutare per riuscire a farle muovere quegli arti che sentiva sempre più pesanti e lontani.
La mezzelfa si ritrovò sospesa a due metri dalla strada, lei e il suo corvo da soli, a poco più di una trentina di metri dall’uscita.
Hile rotolò su un fianco, voltandosi con il ventre premuto contro il terreno.
Non riusciva più a vedere il grosso drago di cristallo, mentre il suo compagno si allontanava rapido con il suo carico.
Mea doveva già essere in salvo, al di là delle mura.
Jasno e Nirghe si sarebbero salvati, forti dei loro poteri, non si doveva preoccupare per loro.
Buio avrebbe completato sicuramente il suo compito, così anche Keria sarebbe arrivata lontano da quelle creature, là, sicuramente, Mea sarebbe riuscita a curarla e impedirle di morire, ne era certo.
A quel punto, poteva anche lasciarsi avvolgere dal torpore che lo stava assediando, era soddisfatto di sé stesso, era arrivato più lontano di quanto avesse mai anche solo sperato ed era convinto che i suoi compagni di avventura sarebbero riusciti a uccidere il demone, in un modo o nell’altro.
Sul muro della casa al suo fianco si condensò l’ombra, che gli si accovaccio accanto, con i lunghi capelli che si andavano a fondere con le spalle come se il suo capo fosse in realtà coperto da un cappuccio.
- Spero di averti resa orgogliosa. – borbottò Hile, mentre le sue orecchie avvertivano i tonfi dei passi alle sue spalle e il suo corpo avvertiva le vibrazioni del terreno sempre più marcate. 




Angolo dell'Autore:

Bene, per ora li ho voluti salvere, questi sei poveri assassini.
Non male come potere, vero?
Questo angolo potrebbe risultarvi corto, ma, vi assicuro, sarà pregno di notizie, perchè ho deciso che al termine del prossimo capitolo rimarrò in silenzio.
Perchè?
Perchè sarà un capitolo diverso, un X.5 che, credetemi, è il più importante di uno qualsiasi dei 50 precedenti. Importante per il futuro, per il Viandante e, se mi continuerete a dare fiducia, anche per voi.
Tornando al presente, Hile si è lasciato andare, per permettere la fuga ai suoi compagni di viaggio, certo, ma ciò non toglie che si è arreso all'imponente flusso degli eventi che lo ha investito. Per quanto riguarda gli altri... sono quasi in salvo.
So che vi sto delundendo con un angolo così breve, conciso e poco confuso. Mi rifarò con il prossimo, ve lo prometto.
Ora devo lasciarvi, ma non prima dei ringraziamenti. OldKey, la ragazza imperfetta, EragonForever per quando arriverai qui, grazie a tutte voi per il tempo speso a recensirmi, e grazie a tutti voi che mi leggete e mi date un buon motivo per continuare a scrivere, ovviamente.
Alla settimana prossima, ordunque.
Vago. 

   
 
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