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Autore: ilaperla    25/02/2017    2 recensioni
Federica si trova in un momento imbarazzante della sua vita. Le sue amiche, quelle poche, iniziano a sposarsi e lei dovrà andare al ricevimento tutta sola, data la sua poca familiarità con il genere maschile.
Ma... se invece riuscisse a ideare un piano per trovare un ragazzo da portare quel giorno e poi disfarsene? Niente di più facile... almeno a dirsi. Niente di più imperfetto e pericoloso.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Wela lettori.
No, no, non sono un miraggio. Semplicemente ho voluto riprendere in mano questa storia che, non l'ho mai nascosto, mi è sempre piaciuta. Ho voluto riprovarci dopo un grandissimo STOP che mi sono presa nel campo "scrittura". Ci sono state tante modifiche nella mia testa su questa storiella, parecchie volte ho pensato di riprenderla dal principio ma i personaggi non volevano, mi hanno proprio minacciato di non cambiare una virgola e alla fine ho dato loro ascolto.
Quello che leggerete da qui in poi sarà un nuovo inizio per me, probabilmente non sarò degna di niente ma ho voluto provarci... perciò bentornati su "Imperfetti ma non troppo", la storia che porterò a termine per forza. Ve lo prometto.
Perdonate la mancanza del banner ma non visto mentendo se vi dico che proprio non ricordo come si faccia ad inserire e non meno importante è il fatto che non ricordo dove io abbia salvato codesta immagine. Ops.
Buona lettura!

 

Capitolo 8

Era concentrata sulla planimetria del suo progetto, china sul tavolo da lavoro con la lingua tra i denti in un atto di concentrazione suprema e ogni tanto cancellava un calcolo uscito male o una linea non perfettamente dritta.
Lavorava da una vita a quel progetto, al suo sogno indiscusso, ma da un po’ di tempo aveva perso l’ispirazione. Era arrivata a un vicolo cielo e non sapeva più come far continuare quel suo sogno che si era bloccato a metà.
Da giorni invece aveva riacquistato la voglia di andare avanti, di ingrandire quella piantina e riprendere a sperare anche se sapeva che sarebbe rimasto tutto sulla carta perché le possibilità non le erano a favore ma dopo tutto, perché non continuare a sognare? Cosa, o chi,  le poteva negare almeno quello?
Quando sentì bussare alla porta, alzò lo sguardo dal progetto e si rese conto che il sole era ormai sorto da un pezzo e che la lampada accanto al grande foglio non faceva più luce di quella che entrava prepotentemente dalla finestra.
-Avanti!- Disse, alzandosi in piedi e stropicciandosi gli occhi stanchi.
-Buongiorno- la salutò suo padre, entrando ciabattando e andando a sedersi sul letto disfatto.
-A che ora ti sei svegliata?- Chiese curioso, guardandosi attorno.
La stanza di Federica era piccola, ma l’aveva cercata di arredare al meglio per sfruttarne ogni minimo angolo e buchetto lasciato vuoto.
Al centro della stanza c’era il letto con una testiera in ferro battuto, rigorosamente restaurato dal padre tanti anni fa, sotto la finestra alla romana c’era il piano da lavoro di ogni architetto che si rispetta: con la lampada a braccio e uno sgabello di metallo. Dal lato opposto accanto alla porta c’era una cassettiera con uno specchio e i muri erano dipinti di un tenue giallo pastello e al centro della stanza, sotto il letto, c’era un tappeto di pelo rosso. Era strana come stanza, ma era abitabile.
-Da poco- mentì Federica sorridendogli. L’ultima cosa che avrebbe voluto fare, era far preoccupare il padre, anche se si trattava del suo progetto. Se gli avesse detto che non era riuscita a dormire si sarebbe preoccupato inutilmente.
In verità non dormiva bene da parecchie notti ma a questo evitava di pensare.
Il padre la guardò non convinto, inclinando la testa da un lato.
-Sei sicura che vada tutto bene?- Le domandò poi scettico.
Federica si voltò e aprì il cassetto della cassettiera per uscirne fuori una cambiata e prese dall’armadio degli abiti puliti per il lavoro.
-Certo papà, va tutto benone- gli disse avvicinandosi sorridendogli e dandogli un bacio sulla guancia -buongiorno. Tra cinque minuti sono pronta- detto ciò si allontanò lasciandolo solo nella stanza.
Suo padre si alzò dal letto e si avvicinò al tavolo inclinato, spegnendo la lampada e osservando la piantina su cui Federica stava lavorando.
Sua figlia si era laureata un anno prima e aveva accantonato la voglia di proseguire il suo sogno, almeno credeva, fino ad oggi. Guardare quel progetto ben fatto, quelle linee ben definite gli fecero ricordare la cerimonia di laurea. Federica aveva concluso gli studi con il punteggio massimo, era felice lì sul pulpito mentre il presidente di commissione la nominava dottoressa, era entusiasta e felice di quello che aveva fatto e lui lo era per lei. La sua unica figlia voluta e protetta, sempre. Non si era mai accorto di quanto il cuore di quella ragazza fosse stato grande, al punto di lavorare ogni giorno con lui mettendo da parte il suo sogno più grande.
Guardò ancora quel disegno con la voglia di porre rimedio a tutto ciò ma purtroppo i mezzi a loro disposizione scarseggiavano e si sentì colpevole di qualcosa che andava contro i sogni di sua figlia. Perché se avesse avuto la possibilità l’avrebbe aiutata come se fosse il suo unico obiettivo nella vita.
 
-Potrei offrirti una cena la settimana prossima- propose Bartolo, quando lui e Federica uscirono dal bar per il solito caffè mattutino.
Da quel pranzo insieme, Bartolo aveva preso l’abitudine di aspettare l’arrivo di Federica ogni mattina al “Ferro vecchio” e andare a fare colazione insieme.
Federica ne era entusiasta, mai nessuno aveva questa particolare accortezza quando si trattava di lei e paradossalmente alla sua età, era la prima volta che si trovava in questi tipi di corteggiamenti. Sempre se quello di Bartolo lo era, non l’aveva capito fino in fondo almeno fino a quando lui non le propose un’uscita serale.
Si trovò spiazzata e non seppe che rispondere. La sua parte irrazionale le disse di accettare, che non aveva mai provato niente del genere, tranne ovviamente quelle piccole e insignificanti due uscite che le erano capitate quando era un’adolescente goffa e insignificante. Non che in quel momento non lo fosse più di goffa, ma aveva abbandonato l’adolescenza da tempo.
La parte razionale però, le ricordò del suo finto fidanzamento. Più che altro non voleva farsi vedere in giro dalle sue amiche quando sapeva che nella sua vita ci doveva essere un aiutante giovanotto innamorato perdutamente di lei.
Si, come no.
-Mi piacerebbe tanto ma sono davvero piena di lavoro- si scusò lei guardando le punte delle sue scarpe sbiadite che camminavano un passo dopo l’altro.
La via era piena di persone che passavano al loro fianco di fretta, con valigette in mano, telefoni premuti all’orecchio e tacchi che battevano sul marciapiede.
Quel giorno avevano cambiato quartiere e Bartolo l’aveva portata in una zona mondana dove c’erano i più famosi bar di Milano e lei si sentì quasi di troppo in quella via.
Il ragazzo non aveva la solita tuta, complice il giorno di riposo che aveva dal lavoro ma Federica aveva i suoi ridicoli jeans comodi e una maglietta macchiata sull’orlo di vernice rossa. Si sentiva come sempre al posto sbagliato e nel momento sbagliato. Quel giorno ancora di più.
-E quando saresti libera?- Chiese Bartolo visibilmente interessato con un accenno di sorriso sulle labbra.
Federica si prese il labbro tra i denti pensando a quello che poteva dire a quel ragazzo che sembrava davvero preso dalla situazione.
Non aveva mai avuto modo di rifiutare un appuntamento. Perché mai avrebbe dovuto? Non c’erano poi così tanti ragazzi che glielo chiedessero. In verità non c’era proprio nessuno da parecchi anni.
Mentre passeggiavano tra quella via affollata, un richiamo, un lampo, ancora non lo sapeva cosa fosse stato, le fece girare la testa a destra e il cuore le si fermò all’istante.
In un bar con le vetrate che percorrevano i muri adiacenti alla strada, vicina a questa vi era un tavolino rotondo in ferro battuto, dove due ragazzi si tenevano per mano mentre parlavano fitto fitto.
Luca e Carol non si erano accorti di nulla, la ragazza aveva la mano posata su quella del suo interlocutore, mentre davanti a loro due tazze di caffè vuote facevano da silenziosi spettatori.
Federica rimase a fissare quella coppia con un misto di rabbia e delusione.
Sapeva che lui avrebbe fatto di tutto per riavere quel suo unico amore, glielo aveva fatto capire in modo esauriente il giorno in macchina dopo la loro discussione.
Si sentì una stupida per aver pensato a lui quando Bartolo le aveva chiesto di uscire.
Sembrava una disperata, più di quello che fosse realmente. E in quel momento, per la prima volta, voleva prendere a schiaffi qualcuno. Preferibilmente quel don Giovanni da quattro soldi che le stava spillando euro dopo euro, ma ancor di più le stava portando a poco a poco via il suo cuore.
Quando Luca alzò gli occhi sul marciapiede, sentendosi osservato, sgranò gli occhi stupedatto.
Federica si riscosse immediatamente e afferrò Bartolo per un braccio trascinandolo via da quel maledetto posto e via da quel cuore impazzito che stava galoppando forsennato.
Lo odiava. Odiava Luca Morelli perché inconsciamente stava giocando a fare il burattinaio con le emozioni di Federica. E anche con il suo cuore.
-Cosa è successo?- Chiese Bartolo, quando finalmente il passo accelerato di Federica si arrestò non appena arrivarono vicino alla bottega del “Ferro vecchio”.
-Quando usciamo?- Domandò lei, sorridendogli senza fiato.
 
Il telefono vibrava sul tavolo da lavoro mentre Federica era stesa sul letto con le braccia dietro la testa e fissava il soffitto.
Stava meditando che ci vedeva bene un lucernario, decorato da lei stessa, su quel soffitto bianco e immacolato. Uno di quelli di vetro smerigliato, che si mettono alle pareti per fare luce colorata nelle stanzette dei bambini. Lei non ne aveva mai avuto uno e le sarebbe piaciuto farselo da sola.
Federica era specializzata nello scoprire la parte nascosta degli oggetti che erano destinati alla pattumiera. Tante volte avevano portato nel negozio oggetti destinati ai rifiuti, come se stessero cercando una seconda possibilità. Lei scovava quelli più malridotti, quelli destinati alla raccolta indifferenziata. Ne dava una luce diversa. Era quello il lato che amava del suo lavoro: la speranza. Trasmessa da tanti anni di lavoro di suo padre, portatore di positività e di seconde possibilità.
Il rumore della vibrazione era diventato insistente e Federica staccò lo sguardo dal soffitto per guardare il piano del tavolo.
Non amava la vibrazione, non la metteva mai ma quel suono fastidioso della suoneria la stava molestando dalla mattina e ne aveva le scatole piene, così aveva preferito la fastidiosissima vibrazione declinando l’idea brutale del silenzioso ma se continuava così sarebbe passata alla terza e drastica soluzione: lo spegnimento totale.
Quando la vibrazione cessò lei tornò a guardare il soffitto chiudendo gli occhi.
Guardare il nome di Luca che lampeggiava sullo schermo del telefono, l’aveva scombussolata.
Dopo averlo visto in quel bar con Carol, qualcosa si era smosso dentro. 
Facendo i conti con se stessa aveva capito che quel ragazzo le piaceva più del dicibile e lei non era d’accordo. Non era una cosa sensata da fare, perché Luca non era una persona come lei, avevano principi diversi, con il senso del dovere diverso dal suo. Si poteva capire lontano un miglio. Perciò era venuta a patti con la sua parte ragionevole e cioè quella di dare una possibilità a chi si avvicinava al suo modo di vedere, a chi era una solida base. Aveva deciso di dare una possibilità a Bartolo e quella sera sarebbero dovuti andare al cinema a vedere “Capitan Stange” e a sperare di mettere un punto fermo alla sua situazione.
Aveva anche pensato di mandare a scatafascio quella sottospecie di contratto verbale tra lei e Luca ma Federica non voleva passare per quella che si rimangiava la parola. Poteva anche non accompagnarla ma per principio lei avrebbe pagato fino all’ultimo centesimo quel gigolò da strapazzo.
Lo avrebbe fatto sentite umiliato e così piccolo da fargli rimpiangere di averle sbattuto in faccia la sua sorta di ripicca, affinché la sua ex gli cadesse nuovamente tra le braccia.
Era proprio quello che non sopportava, sapere che Luca era un viscido, vile e maleducato.
La vibrazione tornò a farsi sentire e non ne potette più.
Si alzò di scatto e prese il cellulare sbalordendosi delle chiamate numerosissime da parte del ragazzo. L’insistenza era il suo forte.
Insieme alle chiamate vi erano due messaggi, entrambi dello stesso mittente.
 
Da Luca: Dobbiamo parlare.
 
Da Luca: Se continui con quest’atteggiamento, mi vedermi costretto a chiamare Dorotea o, ancora peggio, venire direttamente al tuo negozio. Dobbiamo parlare, mi sono comportato da stronzo e mi dispiace. Posso venire da te stasera?
 
Federica si sentì ribollire il sangue nelle vene. Come si permetteva! Che cosa erano tutti quegli ultimatum?
Che parlasse pure con Dorotea, peggio per lui. Si sarebbe fatto riconoscere per la persona schifosa che era. Arrivare a chiedere un pagamento per la sua compagnia!
Se solo ci pensava, aveva i brividi.
E cos’era quella minaccia che sarebbe andato al negozio?
Per fortuna quel giorno era di chiusura e non c’era pericolo. Per quanto riguardava la sua sorta di visita, non se ne parlava proprio. Preferiva passare del tempo con Lucrezia che stare con lui.
 
Per Luca: Hai chiuso. Non cercarmi più.
 
Mancando in scatafascio l’ultimo pensiero che si era fatta, di vendetta, inviò e si avvicinò all’armadio infilandoci dentro la testa per pescare la camicetta senza maniche che le aveva regalato la sua mamma, al compleanno passato. Le piaceva come ricadeva sul suo corpo, nascondendo la curva morbida della pancia e il colore anche le donava tanto. Quel celestino delicato si addiceva molto alla sua pelle bruna.
Sorrise a quell’indumento e l’appoggiò alla maniglia dell’armadio cercando un paio di bermuda da abbinare, faceva caldo e non aveva voglia di sudare come una bottiglia di vetro appena uscita dal frigorifero.
Appoggiò tutto sul letto e guardò l’opera d’arte con una smorfia sulle labbra, non era il massimo ma a lei non importava. Si guardò attorno in cerca delle scarpe e le sue converse sbiadite e logore le fecero un saluto ma lei non le avrebbe prese.
Sgattaiolò nel corridoio e dalla scarpiera ad angolo tirò fuori un paio di sandali estivi, privi di tacco, della madre. Si abbinavano ai bermuda chiari e per lei era il massimo.
Tornò in camera e li appoggiò vicino al letto, guardò il tutto e si complimentò da sola facendosi un finto applauso.
A un tratto si domandò se era vestita in maniera appropriata per un primo appuntamento.
Bartolo non sarebbe di certo andato con un papillon e un mazzo di fiori, no?
Federica scosse la testa esasperata per la piega dei suoi pensieri, proprio come se fosse una scolaretta alle prime armi… bhè, scolaretta non lo era più ma alle prime armi lo era eccome.
Controllò l’orario sull’orologio alla parete e decise di darsi una mossa.
Mentre andava in bagno, si chiese se Luca l’avesse ancora cercata, ma poi decise che non le interessava. Senza far caso che per l’appuntamento con Bartolo non sentiva nessuna farfalla nello stomaco, diversamente da come le sentiva con Luca.
 
-Mi sono divertita stasera- ammise Federica svoltando l’angolo del suo palazzo accompagnata da Bartolo che le sorrideva e camminava insieme con lei, con le mani nelle tasche dei pantaloni.
-Anche io, è stato un bel film.
-Già- concordò Federica fermandosi sotto il portone di casa sua, alzò lo sguardo verso le finestre della cucina ed erano già tutte spente. Comprensibile vista l’ora.
Dopo la visione del film, che si era verificata interessante e molto avvincente, Bartolo aveva proposto un panino al volo e così avevano fatto. Ovviamente Federica si era imposta di pagare la sua parte per tutte e due le volte ma Bartolo l’aveva persuasa almeno per il biglietto del cinema.
Così avevano passato una serata molto tranquilla e divertente, conoscendosi un po’ di più e parlando dei loro interessi in comune, molto simili tra loro.
E così Federica aveva appreso che Bartolo giocava a calcio nei suoi momenti liberi, andava allo stadio a vedere le partite importanti e solitamente si lasciava convincere anche per qualche concerto con i suoi amici. Una persona normale.
Federica lo aveva ascoltato, curiosa di tutto quel mondo che assomigliava al suo. Niente fuori posto, nessuna maglietta a polo, nessun mocassino, nessuna macchina super costosa nel garage, nessun palazzo nelle vie costose. Semplicemente Bartolo il lavoratore ma anche persona comune.
-Mi è piaciuto anche stare con te- aggiunse Bartolo, guardandola.
Federica riportò lo sguardo su di lui che si era messo difronte e la guardava sorridente.
Provò a sentire qualcosa, provò a cercare quelle farfalle nello stomaco o ovunque si nascondessero ma non trovò nulla.
Bartolo le piaceva, era una persona alla mano e sembrò essere perfetto per lei ma perché allora il cuore non le batteva quando lui, con un passo, le si avvicinò e le accarezzò la guancia?
Federica chiuse gli occhi, in attesa di qualcosa, di un soffio, di un battito, di un richiamo ma l’unica cosa che sentì furono le labbra del ragazzo sulle sue.
Aprì di scatto gli occhi guardando quelli di Bartolo chiusi, in attesa anche lui di qualcosa.
Rimase lì immobile, percependo quello che avrebbe potuto darle.
Un bacio semplice, labbra che si appoggiano fiduciose, labbra calde ma non quelle che si volevano.
 
Quando Federica aprì la porta un silenzio tombale, l’attraversò da parte a parte.
I suoi genitori erano a letto e questo le fece piacere, non era pronta a far vedere la sua faccia stravolta da quello che era successo.
Aprì lentamente la porta della sua camera, togliendosi i sandali e andando tentoni alla ricerca dell’interruttore della lampada sul comodino.
Quando la luce illuminò la stanza e Federica si voltò verso il comò, si lasciò cadere pesantemente sul letto alla vista di quel mazzo di rose rosse sul mobile.
Era più di quando avesse mai visto.
Una composizione ordinata ed elegante, costosa, la guardava in perfetta successione dalla più bassa alla più alta.
Trattenne il respiro mentre si alzava con poca grazia e andava a sfiorare con mani tremanti quel bigliettino bianco ripiegato tra gli steli privi di spine.
Quando aprì il biglietto sentì nuovamente il cuore martellarle nel petto, chiuse gli occhi e portò una mano a sinistra del petto. Aveva paura ma la curiosità ebbe la meglio.
Aprì gli occhi e lesse il biglietto.
 
Mi dispiace. L. 

 
  
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