Capitolo XIV – Il nascondiglio delle sfere
Raramente
al grande generale Bardack era capitato di sentirsi tanto a disagio
come in quel maledetto momento. La sconosciuta che gli era davanti lo
fissava da diversi secondi con un’aria inebetita e lo sguardo
sognante, come se non avesse mai visto un uomo in vita sua.
D’accordo,
Bardack non era così modesto da non rendersi conto di essere un tipo
molto piacente, ma la sfrontatezza di quella donna era un qualcosa di
talmente molesto e disturbante che quasi il valoroso saiyan si
sentiva in imbarazzo.
E,
soprattutto, perché mai quella strana signora non aveva fatto una
piega pur vedendolo arrivare dal cielo?
«Hai
per caso detto principe?»
Bardack
non riusciva a capire se quella donna fosse veramente stupida o se lo
stesse volutamente provocando.
«Sì.
Ho detto proprio principe.
Dove sono lui e la scienziata? Non ho tempo da perdere.»
«Oh,
ma quanta fretta, giovanotto! Anche Bulma e il suo amico andavano
così di corsa! Non fa bene a nessuno tutta questa ansia. Comunque,
mia
figlia
e il
principe
– pronunciò con aria sognante – sono in casa a parlare con mio
marito. Se vuoi un consiglio, sta’ alla larga da quella benedetta
ragazza! Oggi pare proprio di pessimo umore.»
Bardack
superò la signora e si avviò verso il portone di casa, noncurante
dei continui sguardi che l’eccentrica donna riversava su di lui.
Sperava di aver capito male ma, a quanto pareva, quella tipa era la
madre della brillante scienziata Bulma Brief.
Roba
da non credere.
Come
diavolo aveva fatto una donna del genere a partorire una figlia con
cotanto cervello?
Be’,
in effetti, quell’idiota di Kakaroth non sembrava avere un minimo
del buonsenso del generale Bardack, segno che non sempre la prole
somigliasse ai genitori.
Ah,
maledetti figli!
Venivano
messi al mondo per rendere orgogliosi i loro genitori e poi si
cacciavano in un mucchio di guai!
Il
saiyan giurò a sé stesso che se fosse uscito vivo da quella dannata
situazione, avrebbe dato a suo figlio una lezione che non avrebbe
dimenticato facilmente.
In
quel momento, Vegeta e Bulma varcarono il portone di casa.
La
scienziata ebbe un fremito di terrore nel constatare che fuori ad
attenderli c’era Bardack.
Che
fine aveva fatto Crilin?
Perché
ancora non si decideva a raggiungerli?
Lo
sgomento e la rabbia, però, durarono giusto il tempo di rendersi
conto che lo sguardo del generale era tutt’altro che sereno.
E,
oltretutto, era puntato su quello altrettanto stupito e nervoso di
Vegeta.
Possibile
che quei due fossero in rotta?
No,
accidenti, ci mancava solo quello!
Bulma
negli ultimi giorni era stata talmente concentrata sul suo lavoro che
non era riuscita a cogliere appieno le dinamiche di corte. Aveva
intuito che c’era qualcosa di strano – e la stessa richiesta di
Vegeta di fare studi sulla Luna lo dimostrava – ma non aveva
assolutamente idea di cosa ci fosse dietro a tutti gli strani
movimenti nel castello. Probabilmente stava succedendo qualcosa di
grosso.
Da
quel poco che poteva intuire leggendo tra gli sguardi dei due saiyan,
Bardack non si trovava lì con l’intenzione di aiutare il suo
principe nella ricerca delle sfere del drago.
Voleva
ostacolarlo; o, quantomeno, convincerlo a desistere dal suo
proposito.
Raramente
la scienziata si era sentita realmente in trappola e inerme, ma in
quel momento sembrava proprio che ella si trovasse tra due fuochi.
E
l’inquietante silenzio sceso su quel dannato cortile sembrava
preannunciare una catastrofe.
«Oh,
Bulma, non dirmi che già volete andare via? È quasi ora di pranzo.
Perché non rimanete a mangiare qui? Sono sicura che i tuoi amici
apprezzerebbero.»
Vegeta
fece finta di non aver udito le parole della signora, ma aveva colto
l’espressione implorante della scienziata che le chiedeva
tacitamente di non aprire bocca.
Il
principe abbozzò un mezzo sorriso, carico di astio e di sfida verso
il suo generale.
Il
fatto che Bardack fosse lì era per lui una sorta di tradimento.
Vegeta aveva sempre nutrito una grandissima stima nei confronti di
quel saiyan – a ragione ritenuto il migliore dopo di lui – e il
solo trovarselo davanti in quella circostanza era il chiaro segno che
egli volesse in qualche modo parare il sedere a quell’ingrato di
suo figlio.
Doveva
aspettarselo, in fondo.
Era
lecito che Bardack tentasse di riabilitare Kakaroth, ma gli dava
terribilmente noia il fatto che ciò significasse mettersi contro di
lui.
No,
questo non lo avrebbe mai accettato.
«Sono
grato agli dei di averti trovato in tempo, principe.»
«In
tempo per cosa? Per impedirmi di andare a prendere ciò che mi
spetta? Sai benissimo che non te lo permetterò.»
Bardack
chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione.
Già,
era chiaro che non glielo avrebbe permesso. D’altra parte, sarebbe
stato giusto andare contro la volontà del suo principe? Perché mai
avrebbe dovuto, in fondo?
A
lui non era mai importato nulla delle sorti degli altri e i suoi
figli non facevano di certo eccezione. Tra l’altro, su Kakaroth non
aveva nemmeno mai riposto chissà quali aspettative visto il
bassissimo livello di combattimento rivelatogli alla nascita, ma era
chiaro che, per qualche assurdo motivo, vivendo su un pianeta insulso
come la Terra il suo potenziale era decisamente migliorato.
Il
generale non aveva alcun interesse nel mettere i bastoni tra le ruote
al potente Vegeta e, oltretutto, era fermamente convinto che le sfere
del drago spettassero davvero al principe dei saiyan.
Già.
Ma
come diavolo avrebbe dovuto metterla con Kakaroth?
Quale
padre avrebbe voltato le spalle al figlio – seppur dimostratosi un
perfetto imbecille – senza tentare quantomeno una sorta di difesa?
Per
la verità, tra i saiyan questa pratica era molto comune.
Anche
troppo.
Ma
lui non era certo diventato il generale più potente della storia del
pianeta Vegeta perché uguale a tutti gli altri.
No:
lui ragionava con la sua testa. La sua accidenti. Ed egli
sapeva fin troppo bene che se la situazione era precipitata, se
Kakaroth aveva commesso un grave errore, la colpa non era certo
esclusivamente di suo figlio.
Anche
lui ne era responsabile.
Avrebbe
dovuto occuparsi di quel ragazzo diversamente, prima impedendo che da
neonato venisse spedito su quel dannato pianeta, e poi preoccupandosi
di educarlo alle rigide regole dei saiyan.
Sarebbe
stato troppo facile voltargli le spalle e lasciare che Vegeta
sfogasse su di lui la sua ira. Tanti lo avrebbero fatto, certo; ma
lui non era un vigliacco. Lui si sarebbe assunto davanti al principe
le proprie responsabilità, al costo di dover affrontare in duello il
guerriero più potente dell’universo.
«So
benissimo che tenterai con ogni mezzo di trovare quelle dannate
sfere, Vegeta. È per questo, in fondo, che hai deciso di rimanere
qui, giusto?»
«Giusto,»
ribatté il principe sorridendo, «ma suppongo che tu voglia in
qualche modo mettermi i bastoni fra le ruote, Bardack. Dico bene?»
Quello
scambio inopportuno di domande superflue non faceva altro che mettere
in luce un certo imbarazzo da parte di entrambi i saiyan.
A
Vegeta non piaceva quella situazione, innanzitutto perché sapeva
perfettamente che Bardack era il guerriero saiyan più potente dopo
di lui, e poi perché, in un certo senso, era sempre stato il
generale a occuparsi di lui dopo che egli stesso aveva
eliminato il re. Bardack era un grande stratega, un uomo forte, una
persona di valore. Anche se Vegeta non lo avrebbe mai ammesso nemmeno
a sé stesso, per lui quel dannato saiyan era un punto di riferimento
non da poco.
Averlo
in contrasto in quella circostanza non gli faceva di certo piacere:
sapeva che avrebbe dovuto attaccarlo e, seppur a malincuore, non
avrebbe rinunciato ai suoi propositi di dominio solo perché quel
vile di Kakaroth era suo figlio.
«Mi
dispiace tanto, Vegeta. Non avrei mai voluto trovarmi in una
situazione del genere, ma sono costretto a chiederti di
temporeggiare.»
«Ah,
questa è bella! Spiegami per quale assurdo motivo dovrei fare una
cosa del genere.»
«Perché
sono io a chiedertelo e non ritengo di essere un suddito qualunque.
Non pretendo certo che tu abbandoni il tuo proposito, ma mio figlio è
coinvolto in questa dannata storia e devo pur tentare di farlo
redimere. Non so cosa gli sia passato per la testa quando ha permesso
a quella ragazzina di nascondere le sfere del drago, ma non è
certo scatenando un conflitto che si troverà una soluzione ai nostri
problemi.»
«Nostri?»
ripeté beffardamente Vegeta. «Casomai tuoi e di Kakaroth.»
«Uno
scontro ai vertici più alti della corte che ti vedesse coinvolto
sarebbe un grosso guaio anche per te, tanto più se si venisse a
sapere che un tuo suddito ha remato contro il tuo potere e la tua
autorità nascondendoti le sfere del drago. Daresti adito ad
altri tentativi di ribellione.»
Il
principe dei saiyan indurì l’espressione del volto e strinse gli
occhi in segno di sfida.
No,
non gliel’avrebbe data vinta, anche se Bardack aveva ragione.
Da
quando aveva messo piede sulla Terra, Vegeta aveva volutamente
lasciato correre fin troppi comportamenti ambigui, convinto che, a
breve termine, avrebbe sistemato ogni cosa a suo vantaggio. Tra
l’altro, era sul punto di farlo davvero dato che Bulma gli aveva
messo tra le mani un radar in grado di localizzare i preziosi oggetti
del desiderio.
Il
vero problema – e ciò non avrebbe potuto negarlo nemmeno a sé
stesso – era che egli aveva sottovalutato la situazione.
Tutta
la situazione.
Non
aveva previsto che la Terra potesse ospitare creature tanto simili
agli esseri umani.
Non
aveva indagato fin da subito circa le reali intenzioni di Kakaroth.
Non
aveva permesso a Bardack di passare più tempo con quell’idiota di
suo figlio, facendo sì che invece quest’ultimo si sollazzasse
dietro alla
gonnella della principessina.
Dannate
femmine.
Erano
sempre loro la causa di tutto.
Bastava
che una di queste mostrasse un po’ di carattere in più e gli
uomini finivano con lo sbavare loro dietro. E la cosa peggiore era
che neppure lui, il grande Vegeta, si era rivelato immune da questa
debolezza.
La
scienziata che lo guardava di sottecchi con volto terrorizzato ne era
la prova.
Quanto
ci aveva messo a decidere di portarsela a letto e di renderla sua
futura sposa?
Forse
una settimana a partire da quando l’aveva conosciuta.
Per
la verità, Bulma non era ancora al corrente di quanto i piani futuri
del principe la riguardassero da vicino, ma per il momento non c’era
alcun bisogno che lei sapesse che Vegeta voleva legarla a sé per
sempre. In quel momento,
oltretutto, non voleva nemmeno pensarci. Aveva altre questioni di cui
occuparsi.
Altri
dannatissimi guai.
«Nessun
altro saiyan a parte noi verrà a sapere della bravata di Kakaroth,
quindi io non rischierò alcun tentativo di ribellione. Ho tra le mie
mani il radar cerca sfere: metterò le mani su ciò che mi spetta e
poi darò una bella lezione sia a te che a tuo figlio.»
«E
come pensi di cavartela con le sfere del drago? L’unica a
sapere come utilizzarle è Chichi. Da’ retta a me: se anche ne
entrassi in possesso, non potresti realizzare alcun desiderio. Vale
davvero la pena mettersi contro di me o contro Kakaroth?»
Bardack
aveva ragione.
Di
nuovo.
Le
sfere del drago, senza l’intervento della principessa, erano
soltanto delle inutili palle. Questo però non significava di certo
che avrebbe mollato la presa tanto facilmente. Avrebbe trovato, prima
o poi, un fottuto modo per attivarle, con o senza quella stupida
ragazzina.
Abbassarsi
a fingere di chiudere un occhio non era certo nel suo stile.
Che
cosa si aspettava da lui il generale? Che continuasse a far finta di
niente e lasciasse la partita in mano a Kakaroth?
Perché,
ne era sicuro, quel vile traditore avrebbe convinto Chichi a
rivelargli il segreto sull’utilizzo delle sfere. Poteva davvero
starsene lì buono ad aspettare?
E
ad aspettare cosa, poi? Che il figlio di Bardack esprimesse il suo
desiderio?
O
magari avrebbe dovuto tendergli un’imboscata, attendendo il momento
opportuno per farlo fuori?
In
ogni caso, Vegeta non capiva se Bardack puntasse o meno a una
risoluzione pacifica del problema. Magari, egli sperava di convincere
il figlio a non fare cazzate e a consegnare volutamente le sfere al
principe.
Già;
ma Chichi?
Chi
mai avrebbe potuto convincerla a cedergli le sfere?
Kakaroth,
certamente; ma egli non era affatto convinto che l’influenza di
quel saiyan sulla giovane custode fosse così forte. Piuttosto, gli
pareva l’esatto contrario.
E
comunque lui non avrebbe voluto per alcun motivo scendere a
compromessi.
Vegeta
non era un saiyan qualunque, accidenti: lui era il principe di
quei dannati guerrieri.
«Troverò
un modo per farle funzionare. E adesso levati di torno se non vuoi
che ti attacchi.»
Il
saiyan più giovane fece per oltrepassare il più anziano, ma
quest’ultimo lo trattenne per un braccio.
«Non
fare cavolate, Vegeta. Potrebbe non andarti così bene stavolta.»
Il
principe ebbe un sussulto.
Era
la prima volta in assoluta che Bardack faceva un riferimento
esplicito al fatto che Vegeta, in passato, avesse compiuto una grande
sciocchezza. Egli sapeva bene a cosa si riferisse il generale, ma non
voleva di certo che quella dannata storia riaffiorasse proprio in
quel momento.
In
fondo, la morte di Re Vegeta non era stata poi così dannosa per il
popolo saiyan: il principe era molto più forte, autorevole e
intelligente di suo padre. Da quando aveva preso lui le redini del
regno, i saiyan erano diventati ancora più temibili e potenti ed
erano riusciti a sottomettere popolazioni che prima avevano doto loro
del filo da torcere.
Ucciderlo
non era stato un male.
No.
No,
accidenti.
Eppure,
chissà perché, le parole di Bardack avevano
comunque smosso la sua sporchissima coscienza.
«Va’
al diavolo.»
Il
principe liberò la presa e proseguì verso l’elicottero con cui
era giunto fin lì.
«Muoviti,
Bulma. Dobbiamo andare a recuperare le sfere del drago.»
La
scienziata rimase in silenzio, alternando il suo sguardo prima su
quello sbigottito della madre e poi su quello nervoso e preoccupato
di Bardack.
Ma
che diavolo stava succedendo?
Kakaroth
aveva davvero voltato le spalle al suo principe e a suo padre?
Quando
quel giovane guerriero, presentatosi a tutti sotto le mentite di
spoglie di Son Goku, aveva fatto il suo ingresso trionfale nella
fiabesca sala da pranzo del castello di Furipan, Bulma non ebbe il
benché minimo dubbio che quel ragazzo fosse una persona per bene.
Si
era sbagliata, ovviamente; ma Kakaroth era riuscito a ingannare
tutti, o quasi, dimostrandosi perfettamente a proprio agio tra
i terrestri. Era cresciuto su quel pianeta, dopotutto. Da quel che
aveva avuto modo di appurare, quel giovane non aveva mai vissuto sul
pianeta dei saiyan e questo, in un certo senso, poteva aver
costituito un limite nella sua ortodossa formazione.
Anzi,
doveva.
Kakaroth,
oltre che i suoi commensali, aveva ingannato anche sé stesso: lui
non sentiva affatto il senso di appartenenza al suo popolo o, per lo
meno, non lo percepiva in maniera tanto forte come invece era per
Bardack.
La
forza interiore, la sfrontatezza e l’indubbia caparbietà di Chichi
lo avevano messo in crisi, convincendolo, a quanto pareva, a rivedere
i propri interessi e le proprie priorità.
E
anche a nascondere al principe le sfere del drago.
Con
quali intenzioni, poi?
Voleva
forse utilizzarle personalmente?
Possibile
che, non riconoscendo del tutto l’autorità di Vegeta, volesse in
qualche modo spodestarlo attraverso il potere misterioso di quei
preziosi oggetti?
Se
davvero fosse stato così, Bardack aveva ragione nel dire che
l’autorità del principe era in pericolo.
Ma,
in fondo, Vegeta lo aveva intuito già da molto tempo, pur non
volendolo ammettere esplicitamente: non per niente, aveva convinto
lei stessa a fabbricargli le potenti onde Bluetz.
Bulma
trasse un profondo sospiro e fece per seguire il principe.
Guardò
di sottecchi Bardack, scoprendo che il suo sguardo era ricambiato.
«Mi
dispiace,» sussurrò rivolgendosi al generale, «purtroppo non sono
nella posizione adatta da potermi opporre al suo volere.»
Bardack
chiuse gli occhi in segno di resa e tornò a rivolgersi a Vegeta.
«Vengo
con voi.»
«Che
c’è? Speri forse di convincermi strada facendo a non ammazzare tuo
figlio?»
«Esattamente.
Tanto sei consapevole almeno quanto me che, eventualmente, faresti
una sciocchezza.»
***
«Un
radar… un radar in grado di localizzare le sfere del drago?
Sei sicura di quello che dici?»
«Sicurissima,
come è vero che mi chiamo Chichi.»
Kakaroth
si sentiva come se gli fosse appena piombata sulla testa una tegola
pesante qualche tonnellata.
Ora
capiva tutto.
Finalmente
era chiaro come mai il principe fosse apparentemente tanto
disinteressato nei confronti suoi e di Chichi e come mai fingesse di
non accorgersi dei loro movimenti inequivocabilmente sospetti.
Vegeta
sapeva come entrare in possesso delle sfere bypassando totalmente
lui, la principessa e quell’idiota del Supremo.
Ma
come diavolo era saltato in mente a Bulma di collaborare con lui?
Possibile
che fosse vigliacca a tal punto da mettere in pericolo il suo pianeta
pur di accontentare il principe dei saiyan? Kakaroth si era fatto
un’idea completamente diversa di lei: credeva che la scienziata
fosse un tipo tosto, una donna con la testa sulle spalle, e che
soprattutto avesse a cuore il destino dell’umanità.
Si
era sbagliato, per l’ennesima volta.
Quella
sciocca non aveva esitato minimamente ad accontentare tutti i
capricci di Vegeta. Possibile che non si rendesse conto di quanto
fosse pericoloso quell’uomo? Possibile che non sapesse che mettere
tra le mani di Vegeta le sfere del drago avrebbe significato
la fine dell’umanità, compresa la sua?
Non
che a Kakaroth importasse qualcosa delle sorti dei terrestri, ma
pensava quantomeno che almeno loro stessi ci tenessero alla pelle.
Bulma,
con il suo gesto sconsiderato, aveva ampiamente dimostrato di non
curarsene affatto.
Forse
era convinta che Vegeta, alla fine, l’avrebbe risparmiata?
Probabile;
in fondo, pensandoci bene, se quella donna era riuscita a costruire
cotanti marchingegni, era più che probabile che il principe dei
saiyan avrebbe continuato a usufruire delle sue potenzialità a
prescindere dal destino che aveva in mente per gli altri esseri
umani.
Peccato
che la bravata di Bulma avesse messo in seri guai anche lui: Vegeta
gliel’avrebbe fatta pagare, in un modo o nell’altro, dato che
considerava le sfere del drago di sua legittima proprietà.
E
lui, scioccamente, aveva contribuito a farle sparire.
«Sai
dove si trova di preciso la dimora della scienziata?»
«No,
mi dispiace.»
«Io
sì.»
Yamcha,
nonostante lo choc e le ferite subite per mano di Kakaroth, aveva
comunque trovato la forza – e il coraggio – di intromettersi
nella discussione tra Chichi e il suo protettore.
Non
sapeva neanche lui perché l’avesse fatto: forse era semplicemente
troppo sconvolto da ciò che la ragazza aveva appena detto da volerci
a tutti i costi vedere chiaro.
Perché
mai Bulma aveva messo al corrente Vegeta dell’esistenza di uno
strumento del genere?
E
perché, soprattutto, non aveva mai detto nulla a lui?
Egli
non poteva credere che la sua donna avesse fatto tutto di sua
spontanea volontà. Quel tipo doveva averla minacciata o ingannata.
Già;
certo, se fosse stata vera la seconda ipotesi, quella sarebbe stata
la prima volto in assoluto che qualcuno fosse riuscito a beffare la
geniale Bulma Brief.
Impossibile.
Vegeta
doveva averle estorto la verità a suon di minacce e di violenza.
Non
poteva esserci altra spiegazione.
Proprio
non poteva.
«Sei
sicuro di quello che dici, terrestre?»
«Certo.
Bulma è la mia fidanzata: so benissimo dove abita.»
Kakaroth
lanciò uno sguardo minaccioso al suo interlocutore, poi si voltò
verso Tensinhan.
Il
tipo che aveva ingannato terrestri e saiyan era immobile, in un
angolo, a fissare la scena incredulo.
«A
quanto pare,» gli disse Kakaroth, «il principe è riuscito a
fregarti. Se avrò la fortuna di uscire vivo da questo guaio, ti farò
fuori.»
Tensinhan
non rispose.
Replicare
a una simile minaccia sarebbe stato inutile.
Ormai
era fottuto: nessuno avrebbe potuto salvarlo.
«Goku,
non sarebbe meglio andare a recuperare le sfere piuttosto che
raggiungere la casa di Bulma? Tanto il principe starà sicuramente
puntando verso il nascondiglio.»
«Infatti
a casa di Bulma ci andrà il suo presunto fidanzato.»
Chichi
e Yamcha si guardarono in faccia perplessi.
«Co…
come, scusa?»
«Hai
capito bene, Chichi: ci andrà lui. Magari c’è la remota
possibilità che la scienziata sia ancora lì e che soprattutto
nasconda qualche altro marchingegno utile.»
«Credi
che Vegeta la lascerebbe a casa, dopo aver messo le mani sul radar?»
«Non
lo posso escludere. E comunque, se anche lei non fosse lì, ci
sarebbe suo padre. A quanto ho capito, è una specie di genio anche
lui. Magari può disattivare il radar a distanza. Insomma, dobbiamo
tentare ogni possibile via.»
Chichi
cercò di regolarizzare il suo respiro e di mettere a fuoco tutta la
situazione.
Il
modus operandi di Goku era tipico di chi le stava tentando
tutte perché non sapeva che pesci pigliare. Ella non era affatto
convinta che mandare Yamcha alla celeberrima Capsule Corporation
sarebbe servito a qualcosa; tuttavia era certa del fatto che meno
persone avesse avuto il suo protettore tra i piedi e meglio
sarebbe stato. Yamcha era già stato preso di mira ingiustamente una
volta: la principessa non voleva che egli restasse coinvolto anche in
un ipotetico scontro tra Goku e Vegeta.
«Va
bene, ho capito. In effetti questa cosa ha un senso,» ribatté la
giovane. «Yamcha, vola il più in fretta possibile e raggiungi la
Capsule Corporation.»
«Io…
Io...» balbettò il terrestre, «e va bene. Farò come dici. Anche
se l’idea di essere di aiuto a Kakaroth non mi alletta per niente.»
Lo
sguardo inviperito che ricevette dalla principessa in quel momento fu
inequivocabile: non era certo quella l’occasione adatta per
mettersi a fare l’eroe. Ne aveva già prese abbastanza, in fondo.
Perché indispettire ancora di più quel pazzo del protettore?
«D’accordo.
Non dire niente. Vado da Bulma.»
Prima
di alzarsi in volo e lasciare definitivamente l’isola di Muten,
Yamcha guardò per l’ultima volta Tensinhan. Quel vile aveva
approfittato della sua fiducia e della sua ingenuità per raggiungere
i propri scopi. Che diavolo di intenzioni aveva, oltretutto? Che cosa
sperava di fare con le sfere del drago? Il guerriero sapeva
benissimo che, se Tensinhan fosse sopravvissuto a tutti quei dannati
eventi, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata vedersela con
lui.
Yamcha
decollò il più velocemente possibile.
Non
voleva rimanere in quel posto un secondo di più.
«Bene,
Tensinhan o come diavolo ti chiami, dove accidenti hai nascosto le
sfere?»
L’allievo
di Condor alzò gli occhi verso il saiyan, che nel frattempo gli si
era minacciosamente avvicinato. Egli sentiva attorno alla vita la
stretta sempre più forte del piccolo Jaozi, evidentemente spaventato
a morte.
Tensinhan
era consapevole del fatto che Kakaroth gliel’avrebbe fatta pagare
cara.
Gliel’aveva
anche detto esplicitamente.
In
quel momento, però, doveva scegliere il male minore: meglio
consegnare le sfere del drago alla principessa e al suo
protettore piuttosto che rischiare che queste ultime
finissero in mano a Vegeta.
«Le
sfere sono a Furipan. Le ho nascoste nella stanza dell’albergo in
cui ho alloggiato durante il torneo di arti marziali.»
«Benissimo,
seguimi fino laggiù.»
«D’accordo,
Kakaroth; ma ti chiedo il favore di permettere al mio amico Jaozi di
rimanere qui. Lui non c’entra niente in tutta questa storia.»
Il
saiyan rivolse uno sguardo veloce e fuggevole verso il piccoletto
avvinghiato attorno a Tensinhan. Quel nanerottolo, apparentemente
innocuo, nascondeva dei potenti poteri psichici. Kakaroth lo sapeva
benissimo, dato che aveva avuto modo di assistere ai suoi incontri
durante il torneo e aveva notato, forse più di chiunque altro, il
potenziale di quello strano terrestre.
Certo,
in quel momento pareva proprio che Jaozi fosse davvero terrorizzato.
Magari
in quelle condizioni non avrebbe nemmeno potuto usare i suoi
misteriosi poteri.
Certo
era che, qualora ci fosse riuscito, quella sarebbe potuta essere
un’arma in più contro Vegeta – perché, ne era certo, il
principe lo avrebbe attaccato.
«No,
il tuo amichetto viene con noi.»
Kakaroth,
infine, si rivolse alla principessa.
«Ovviamente,
vale lo stesso per te. Salta sulla tua nuvola e seguimi.»
***
Giumaho
non riusciva a capire dove accidenti volesse andare a parare Condor.
Che
cosa c’entrava la scomparsa della Luna con la morte del suo amico
Son Gohan?
Quel
farabutto stava farneticando.
O
voleva confonderlo.
D’accordo,
da quando i malvagi erano giunti sulla Terra, lui aveva perso
parecchi passaggi. Non poteva incolpare nessuno di ciò – neppure
Condor – poiché di fatto egli aveva deciso autonomamente di
isolarsi nella sua stanza. Questo però non significava certo che il
suo vecchio rivale potesse permettersi il lusso di prenderlo in giro.
«Condor,
non arrampicarti sugli specchi. Volevi rubare i progetti di
Bulma, punto.»
«Per
farmene cosa, secondo te? Se sono venuto qui è stato solo per
vederci chiaro in tutta questa storia. Non ti rendi conto che ci sono
delle coincidenze inquietanti? E poi,che fine ha fatto la scienziata?
Come mai non è qui?»
«Questo…
Questo non lo so, ma...»
«Appunto.»
Condor
era colmo di rabbia.
Diversi
anni prima, seppur a malincuore, era stato costretto a frequentare
Giumaho. Da storico rivale del grande maestro Muten, egli aveva avuto
modo di conoscere, affrontare e inimicarsi anche lo stregone del
Toro e l’ormai misteriosamente defunto Son Gohan. Sebbene non
nutrisse alcuna simpatia per quei due guerrieri, aveva sempre dovuto
ammettere con sé stesso quanto fossero in gamba.
La
morte di Son Gohan lo aveva lasciato al quanto perplesso, sebbene,
prima di conoscere i saiyan, egli non si era minimamente preoccupato
di come fosse avvenuta.
Errore
gravissimo.
Giumaho,
invece, si stava rivelando un’autentica delusione: che cosa era
successo a quel giovane forte e coraggioso di tanti anni fa? Come mai
un uomo come lui non riusciva a trovare il coraggio di guardare in
faccia la realtà?
Era
assolutamente evidente che i saiyan fossero coinvolti in tutto ciò.
Se
era vero che Son Gohan aveva fatto da maestro a Kakaroth, era molto
probabile che fosse stato proprio quest’ultimo a ucciderlo.
Non
ci voleva di certo un genio per arrivare a una simile conclusione.
Condor,
per la verità, ancora faticava a capire quale fosse il nesso tra
Kakaroth, la morte del suo maestro e la scomparsa della Luna, ma se
con l’arrivo dei Saiyan la geniale Bulma Brief aveva ripreso in
mano gli studi di suo padre sul satellite naturale della Terra, un
collegamento doveva pur esserci.
Lo
sbattere violento e improvviso della porta del laboratorio distrasse
Condor dai suoi discorsi e dalle sue elucubrazioni.
Sia
lui che Giumaho si voltarono di scatto, scorgendo davanti a sé la
figura irata e minacciosa di Napa e quelle meste e preoccupate di
Crilin e Mamanu.
Mamanu,
per la verità, sembrava anche mortificata.
«Ma
che diavolo...»
Le
parole di Condor gli morirono in gola quando Napa sbatté un pugno
contro il tavolo che aveva di fronte, distruggendolo con un solo
colpo.
«Ho
sorpreso questi due sciocchi nella stanza del generale Bardack e si
rifiutano di dirmi che accidenti ci facevano lì dentro. Ma, a quanto
pare, le sorprese non sono finite. Come mai voi due vi trovate nel
laboratorio della scienziata? E dove sono lei e il principe?»
Napa
era su tutte le furie.
Aveva
costretto i due terrestri a seguirlo fin lì convinto di poterli
consegnare direttamente nelle mani di Vegeta. Invece, del suo sovrano
non c’era alcuna traccia.
Stava
succedendo qualcosa di grosso, accidenti; qualcosa che il suo
principe gli aveva volutamente tenuto nascosto.
Perché?
Che
cosa aveva fatto di sbagliato da giocarsi in quel modo la fiducia di
Vegeta?
«Rispondete,
accidenti!»
«Non
lo sappiamo!» rispose Condor a gran voce. «Non abbiamo la più
pallida idea di dove siano finiti quel megalomane e la sua scienziata
pazza.»
«Che
cosa ci fate qui, allora?»
«Ah,
per quel che mi riguarda, sono venuto a indagare, dato che ci sono
parecchie cose che non mi tornano nel comportamento di Vegeta e di
Kakaroth. Giumaho credo si sia semplicemente svegliato da poco dal
suo lungo sonno e si sia imbattuto casualmente nel laboratorio.»
Napa
esplose di rabbia di fronte alla sfrontatezza con cui il terrestre
gli si era rivolto.
Ma
con chi diavolo credeva di avere a che fare quell’idiota? Non
sapeva, forse, di essere al cospetto del guerriero più potente dopo
Vegeta?
Il
saiyan afferrò Condor per il collo riducendo a qualche millimetro la
distanza tra le loro facce.
«Vedi
di fare poco lo spiritoso, terrestre. Se credi che io stia giocando,
ti stai sbagliando.»
«Faccio
sul serio anch’io, che cosa credi? Non intendo certo lasciare a voi
saiyan il controllo totale del mio pianeta. Punto a diventarne
il sovrano, se proprio ci tieni a saperlo; ma temo che il tuo adorato
principe, anche a tua insaputa, stia pensando bene di distruggerlo…
O qualcosa del genere.»
Napa
si sentì punto sull’orgoglio.
«Io
non sono all’insaputa di niente! È logico che Vegeta voglia
distruggere questo stupido pianeta: che cosa dovrebbe farsene di
questo ammasso di roccia e degli stupidi esseri che ci vivono sopra?»
Lo
sguardo del saiyan, però, in quel momento cadde sui carteggi che il
vecchio stringeva tra le mani.
«Che
accidenti è quella roba?»
«Appunti
della scienziata.»
«Come
ti sei permesso di prenderli? Non sai che tutto ciò a cui sta
lavorando quella donna è di interesse del mio sovrano?»
«Certo,
proprio per questo li ho presi.»
Il
guerriero fece una smorfia stizzita e glieli strappò dalle mani.
Dannato
terrestre! Ma come gli era saltato in mente di mettersi contro il
grande Napa? Lo avrebbe ammazzato, senza ombra di dubbio. Avrebbe
ammazzato lui e tutti i terrestri che si trovavano in quella stanza.
Certo;
ma non in quel momento.
Il
saiyan d’élite sfogliò con una certa leggerezza iniziale i
carteggi che aveva sottratto a Condor e, sebbene non ci capisse un
granché di scienza, quegli strani calcoli avevano attirato la sua
attenzione, a tal punto da mollare definitivamente la presa sul
terrestre.
Nella
stanza calò un silenzio inquietante, avallato in primis dallo
stesso Napa.
Crilin
si avvicinò di soppiatto a Giumaho, cercando di capire cosa stesse
succedendo, ma lo stregone del Toro non sembrava avere occhi
che per Mamanu, sebbene non fosse assolutamente ricambiato.
Condor,
invece, continuava a fissare il colosso che poco prima lo aveva
minacciato e lo sguardo che quest’ultimo aveva non gli piaceva per
niente.
«Allora?
Hai perso la lingua, saiyan?»
Napa,
dal canto suo, non si preoccupò minimamente di rispondere al
terrestre, continuando a guardare esterrefatto quei dannati appunti.
Ma
che accidenti aveva in mente di fare Vegeta?
E,
soprattutto, come era possibile che una semplice terrestre fosse
riuscita a identificare e a studiare le onde Bluetz?
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao
a tutti!
Eccomi
qui con il nuovo aggiornamento, arrivato, come preannunciato, in
tempi relativamente brevi. Mi fa molto piacere che, nonostante la mia
lunga assenza, la storia continui ad avere un certo seguito: questo
mi dà lo stimolo per portarla avanti e per farlo nel modo migliore.
In
questo capitolo sono venuti a galla tanti segreti e gli animi dei
nostri protagonisti iniziano a essere parecchio turbati.
I
dubbi stanno assalendo un po’ tutti.
Come
ho sempre detto fin dall’inizio, non voglio che i miei personaggi
risultino piatti, né che i saiyan in particolare siano ridotti
soltanto ad assassini, stupratori e vili. Tutti, e dico tutti,
hanno dentro di sé quel minimo di umanità che di tanto in tanto li
fa dubitare della propria forza e delle proprie idee. Allo stesso
modo, una perfidia più o meno accentuata può albergare nel cuore di
chiunque, anche dei terrestri. Il comportamento di Condor ne è un
chiaro esempio, anche se il suo atteggiamento può far aprire gli
occhi a Giumaho, Crilin, Mamanu e Napa sull’intenzione di Vegeta di
utilizzare le onde Bluetz.
A
proposito di Vegeta, pare proprio che il nosro bel principe voglia
convolare a nozze...
Detto
questo, spero che nei prossimi aggiornamenti riuscirò a dare un po’
di spazio a Goku e a Chichi – da soli! – e a dare una spinta in
più alla loro relazione.
Grazie
di nuovo a tutti!
9dolina0