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Autore: Laylath    26/02/2017    6 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 17. Gli avvenimenti di East City. Quarta parte.

 


 
Era la prima volta che Laura prendeva il treno.
Da ragazza aveva sognato tante volte di poter salire su un vagone e scappare via da quella realtà troppo piccola che, giorno dopo giorno, sembrava soffocarla sempre di più. All’epoca aveva invidiato profondamente suo fratello e Andrew, liberi di andare lontano da quel posto, di crearsi un futuro nella città carica di promesse e di possibilità. Avrebbe dato di tutto pur di essere un maschio e potersi affrancare così dai suoi genitori, comprare un biglietto di sola andata e non tornare mai più. Si era immaginata decine di volte osservare il panorama dal finestrino, East City che si avvicinava, mentre la campagna cedeva il posto alla vitalità della realtà urbana: in quelle occasioni riusciva persino a sentire un brivido d’eccitazione lungo la spina dorsale, come se tutto fosse vero e non l’ennesimo sogno di una ragazza di campagna scontenta della propria vita.
Adesso, anni dopo, East City iniziava a vedersi oltre la curva del fiume, segno che il loro viaggio stava per terminare. Ma in quelle ore di treno non aveva provato niente della vecchia e sognata eccitazione: guardare i paesaggi familiari sparire dal finestrino non le aveva fatto nessun effetto, così come l’idea di vedere finalmente quel posto che tanto aveva idealizzato. E tutto questo le faceva rabbia perché sapeva che, in un’altra occasione, la ragazzina che era stata sarebbe in parte tornata per godersi quelle emozioni a lungo sognate.
“Signore, davvero ci sono edifici enormi?” chiese Henry con voce eccitata, distogliendo lo sguardo dal finestrino e volgendolo verso Andrew, seduto davanti a loro.
“Credo resterai sorpreso – annuì l’uomo con un sorriso – è l’effetto che fa la prima volta a chiunque venga da posti come il paese. Sono certo che ti piacerà”.
“Meraviglioso! – annuì estasiato il ragazzo, alzandosi in piedi: gli occhi grigi erano brillanti tanto era eccitato da tutta quella novità – Vado alla passerella del vagone. Torno tra poco!”
Senza aspettare risposta guadagnò il corridoio e iniziò a correre verso la fine del vagone, lasciando i due adulti soli a guardarsi negli occhi. Andrew non poté fare a meno di sorridere per l’esuberanza del secondogenito di Laura, almeno lui si stava godendo il viaggio. Con tutta probabilità era il membro della famiglia Breda a cui la notizia di Erin Hidden disturbava di meno: per lui lo zio Henry era una figura con la quale aveva ben pochi legami, viva solo grazie ai racconti della madre. Scoprire che aveva avuto una figlia non lo turbava più di tanto.
Oh, ma quanto ha turbato te, Lauretta.
Lo poteva leggere chiaramente nel viso e negli atteggiamenti della sua migliore amica: era in qualche modo chiusa in se stessa, come se non fosse sicura di quali sentimenti provare per quella destabilizzante novità che era stata loro comunicata due giorni prima. Era stato un puro caso che lui, Ellie e Riza fossero a casa della donna quando era arrivato il capitano Falman: li aveva avvisati di una telefonata ricevuta in ufficio da parte di Heymans che pregava di venir richiamato al più presto al numero che aveva dato.
Ricordava ancora di come l’espressione di Laura, mentre parlava al telefono, fosse passata dal preoccupato, all’incredulo, fino ad una strana sfumatura di… strana e profonda delusione.
“Ne vogliamo parlare?” chiese dolcemente, allungando la mano per prendere quella dell’amica.
“Di cosa?” chiese lei, cercando di apparire il più noncurante possibile.
“Di quello che ti frulla per la testa, follettino”.
“Non usare quel nomignolo per favore, ho appena scoperto che mi dà enorme fastidio”.
“Perché lo usava Henry? – Andrew si alzò e si sedette accanto a lei, nel posto precedentemente occupato dal ragazzo che ora si godeva il panorama fuori dal vagone – Sei per caso arrabbiata con tuo fratello?”
Lei rimase in profondo silenzio per qualche minuto, ma si intuiva dal suo sguardo che era in qualche modo così. Andrew in fondo poteva capire quello che provava: al contrario di lui, al quale il soldato aveva qualche volta confidato delle sue relazioni, Laura era sempre stata tenuta all’oscuro di tutto. Non per chissà quale discriminazione, ma perché Henry non ne vedeva il motivo per cui parlarne con la sua piccola sorellina.
Di conseguenza Laura aveva sempre circondato il fratello di un’aura da intoccabile, quasi fosse lei l’unica donna della sua vita, quasi fosse una sua unica esclusiva. Un ragionamento un po’ infantile ed egoista a pensarci in quel momento, ma era anche vero che, più di vent’anni prima, Laura Hevans era in una situazione tale per cui aveva bisogno di credere in un simile ideale.
“Potrebbe essere una bugiarda – considerò la donna – dopotutto non sappiamo niente di lei”.
“Mi pare strano che conosca così tanti particolari della vita di tuo fratello e soprattutto che ci sia una somiglianza così grande – scosse il capo Andrew – Heymans non mi pare il tipo da farsi ingannare in questo modo, non credi? E poi che motivo avrebbe?”
“Non lo so! Dannazione, ti detesto quando fai il razionale… lasciami in pace con le mie paturnie mentali, Andrew Fury, ti costa così tanto?” sbottò lei, dandogli un pugno sul braccio e tornando a fissare con aria imbronciata il paesaggio che scorreva dal finestrino.
“Mi costa tanto dato che tra nemmeno mezz’ora arriveremo e dovrai incontrare tua nipote – la riscosse con gentilezza lui – vorrei che fossi gentile e che non la guardassi con astio. Lei non…”
“Una figlia concepita fuori da matrimonio! Capisci? – lei si girò di nuovo a guardarlo con occhi furenti – Tutto sommato io e mio fratello non siamo così diversi come immaginavo… lui… lui è stato… un dannato ipocrita! Ha messo una ragazza in difficoltà senza nemmeno…”
Andrew la interruppe mettendole l’indice davanti alla bocca.
“Lo paragoni a Gregor? – le chiese seriamente – davvero arrivi a questo Laura Hevans? Mi dispiace contraddirti, follettino, ma non c’erano due persone più diverse di loro. Aspettiamo di conoscere bene i dettagli della storia prima di giudicare”.
“Tu lo stai… perdonando?”
“Di cosa? – sospirò Andrew – Laura, forse quello che sto per dirti ti sembrerà crudele… ma Henry non era una tua proprietà personale: aveva tutto il diritto di costruirsi una vita, una relazione. Sono sicuro che se fosse andata avanti ti avrebbe detto qualcosa. Ma tieni conto che era un momento difficile… tu appena sposata e con Heymans in arrivo, tutto quello che ne conseguiva… ti ricordi che mesi di fuoco sono stati? Che senso avrebbe avuto se Henry ti avesse detto di avere una relazione ad East City?”
“Avrebbe avuto il senso di non tenere nascoste le cose a sua sorella”.
“E farti sentire ancora più in colpa? – l’uomo sorrise dolcemente – Laura, lui è rimasto in paese per te, non dimenticarlo. In quei mesi si è dannato l’anima per aiutarti e lo sappiamo bene. Non ci vedo niente da rimproverargli”.
“Dannazione… che me ne faccio di una nipote? – sospirò lei – sul serio, Andy, ero sicura che ormai la mia vita fosse tranquilla e serena, con nulla che potesse turbarla. E adesso questa doccia gelata dal passato… mi pare quasi una maledizione”.
“La devi solo conoscere, tutto qui. E non vederla come una doccia gelata, vedila piuttosto come una parte di tuo fratello che ci è stata in qualche modo restituita”.
“Tu ne sei felice, vero? – lo squadrò lei con rassegnazione – Ti conosco bene…”
“Sono sempre stato del parere che la nascita di un bambino sia un evento felice e non triste. Credimi, Laura, mi è bastato vedere storpiato questo ideale per la nascita di Heymans. Non caricherò di un simile peso, sebbene a posteriori, una ragazza che non ha mai avuto la gioia di conoscere il proprio padre. Sono sicuro che non vuoi farlo nemmeno tu”.
“La punti sempre sul senso di colpa, eh?”
“Cerco solo di farti vedere le cose nel modo giusto”.
“Ehi! – chiamò Henry, arrivando di corsa – stiamo per entrare in città! Non vedo l’ora di rivedere Heymans!”
 
Mentre attendeva che il treno arrivasse, Heymans si sentiva particolarmente teso.
In cuor suo iniziava a pensare che forse aveva agito d’impulso e aveva fatto precipitare le cose, specie per sua madre. Eppure non aveva molti dubbi sul fatto che Erin fosse sua cugina, anzi ne era più che sicuro. E questo gli aveva infuso un senso d’urgenza che non era riuscito a spiegare: come se fosse importante cercare di colmare al più presto quella grossa lacuna all’interno della sua famiglia.
Tuttavia, man mano che passavano i minuti e l’arrivo si avvicinava, continuava a pensare alla voce di sua madre al telefono, di come avesse tremato, di come fosse quasi arrivato ad immaginarsi la mano che teneva la cornetta stringersi convulsamente attorno ad essa.
Forse dovevo parlarne prima col signor Fury – si disse, dandosi mentalmente dello sciocco e non riuscendo a riconoscersi in quell’atteggiamento impulsivo maggiormente tipico di suo fratello che di lui.
Tuttavia ormai era tardi per pensare a simili dettagli: il latte era stato versato e non restava che definire i confini di questa strana e complicata storia di famiglia.
E tu cosa ne pensi? – si chiese, mentre osservava l’orologio appeso alla parete.
Ripensò al sorriso di Erin, alla sua gioia ed incredulità nel fare quella scoperta: si vedeva che era entusiasta di aver ritrovato una parte di quella famiglia paterna che le era stata negata. Era una brava ragazza, un po’ nel suo entusiasmo ci rivedeva Henry e forse, chissà, una versione giovane di sua madre, quando ancora la vita non si era rivelata crudele con lei. In fondo non gli dispiaceva affatto aver scoperto di avere quella cugina.
Non ebbe tempo di pensare ad altro perché il fischio della locomotiva lo avvisò che il treno stava arrivando e si preparò per accogliere i suoi ospiti.
Ovviamente il primo a scendere dal vagone fu Henry. Con un abile balzo fu nella banchina, guardandosi attorno estasiato da quella stazione che gli sembrava infinita rispetto a quella piccola costruzione in mezzo alla campagna. Poi si girò verso di lui e gli corse incontro con un sorriso entusiasta.
“Cavolo, Heymans! È un posto enorme! E questa è solo la stazione… non ci posso credere!”
Ecco, c’era molto in comune tra il ragazzo ed Erin: stesso brio, stessa vitalità. Sembrava che il sangue della famiglia Hevans facesse di tutto per farsi notare.
“Vedrai il resto della città, allora – sogghignò, arruffandogli i capelli e voltandosi per accogliere sua madre ed Andrew Fury – ehi, mamma, benvenuta”.
“Ciao, caro – lo abbracciò lei con calore – tutto bene?”
“Splendidamente – sorrise, dando poi la mano all’ingegnere – allora, avete fatto buon viaggio? Vi accompagno subito in albergo, così potrete riposare”.
“Riposare? – Henry arricciò il naso – Ma io voglio vedere la città! Staremo qui solo un paio di giorni, non posso perdere quest’occasione! E non dobbiamo conoscere nostra cugina?”
“Più che giusto – convenne Heymans, dopo essersi scambiato un’occhiata con i due adulti – direi che noi due possiamo farci un giretto prima che faccia buio. Quanto a nostra cugina, abbiamo deciso di incontrarci domani a pranzo, che te ne sembra?”
“Splendida idea. Bene, possiamo andare”.
 
Dopo che Andrew e Laura si furono sistemati in albergo, i due fratelli Breda iniziarono la loro passeggiata nelle vicinanze. Le giornate erano ancora corte e il buio arrivava presto, il freddo li obbligava a stringersi bene nei loro cappotti e a proteggere il viso con le sciarpe.
“Cavolo! Che spettacolo!” mormorò estasiato Henry quando vide i lampioni della strada accendersi tutti contemporaneamente. Si fermò nel marciapiede, rischiando di intralciare il viavai di persone, tanto che il fratello lo dovette prendere per la spalla ed indurlo a camminare.
“Ti va una cioccolata calda?” gli chiese, indicando una pasticceria poco più avanti.
“Più che volentieri: ammetto che fa davvero freddo ora che sta calando il buio".
Come si sedettero e ordinarono, Henry parve ritrovare la calma, come se tutto l’entusiasmo avesse deciso di prendersi una pausa. Heymans lo osservò attentamente mentre sorseggiava la sua cioccolata, non mancando di guardare la gente che passava dalla vetrina del locale. Stava diventando sempre più alto, di certo l’avrebbe superato tra qualche anno. I folti capelli rossicci, spettinati anche dal berretto da poco levato, gli cadevano in ciocche pesanti sulla fronte. Somigliava molto alla madre, in maniera quasi imbarazzante, eppure c’era pure in lui qualcosa dello zio di cui portava il nome. L’unica sua peculiarità, rispetto al resto della famiglia, era la maggiore snellezza: sia la loro madre che lo zio erano abbastanza robusti, per non parlare di lui, mentre Henry aveva una corporatura più snella.
“Mamma non l’ha presa molto bene – confidò il sedicenne dopo qualche minuto di silenzio – ma penso che l’abbia notato pure tu”.
“Credi sia stato un errore dirglielo?”
“Non lo so – scrollò le spalle l’altro, tagliando con la forchettina un pezzo della sua fetta di torta – prima o poi sarebbe saltato fuori, non glielo potevi tenere nascosto. Credo che la reazione sarebbe stata la stessa, quindi forse è stato meglio cavare il dente subito”.
“Mi sento un po’ in colpa per tutto questo”.
Henry si mise a braccia conserte, come se stesse riflettendo profondamente sul problema.
“Non abbiamo conosciuto nostro zio, ma da come ne parla mamma sembra fosse una persona fantastica – commentò infine – credo che la cosa che le dia maggiormente fastidio sia scoprire che non era la persona che immaginava. Forse anche per quanto concerne la storia di lei e nostro padre e la tua nascita”.
“Uno strano ripetersi dei fatti?”
“Più o meno, però sono quello con meno indizi per poter giudicare la questione. L’unica cosa che mi viene da dire è che noi cerchiamo sempre di proteggerla, eppure ogni tanto si presenta sempre qualcosa che la sconvolge… come quelle storie su di lei che a intervalli irregolari ritornano”.
“Questa volta siamo noi a procurarle problemi”.
“Non è proprio… oh cavolo!
Heymans si girò verso la vetrina, vedendo lo sguardo sconvolto del fratello. Gli venne spontaneo sorridere come vide Erin che li guardava sorpresa e poi alzava la mano guantata per salutarlo.
“Ti presento nostra cugina – sogghignò, facendo un cenno alla ragazza di entrare e raggiungerli – adesso capisci perché non ho molti dubbi in merito alla parentela?”
“È mamma da giovane…” mormorò il più giovane, mentre la ragazza li raggiungeva e si allentava la sciarpa dal collo.
“Ciao! – salutò con occhi brillanti – che sorpresa vederti qui! Ci dovevamo incontrare domani, ma…”
“Immagino riconosci la parentela – fece Heymans, indicando con un cenno il fratello – lui è Henry”.
I due cugini appena presentati si guardarono con aria stranita per qualche secondo: sembravano fratelli da quanto si somigliavano. Di certo era una vera sorpresa trovarsi davanti ad una persona sconosciuta eppure talmente identica.
“Diamine – dichiarò Heymans, mentre i due si davano la mano – eccetto qualche dettaglio potreste esser presi per gemelli”.
“Henry… – Erin mormorò con dolcezza quel nome, quasi non le sembrasse vero – oh, sul serio! Tu non sai quanto sia felice di conoscerti! Heymans mi ha parlato tanto di te, ma ti giuro che conoscerti di persona è incredibile… santo cielo, abbiamo le stesse lentiggini! Insomma, uno non pensa mai troppo alle proprie lentiggini, ma vederle su un’altra persona… non prendermi per pazza, ma è davvero una cosa troppo strana e al tempo stesso fantastica!”
“Ciao…” si limitò a dire il giovane, arrossendo vistosamente.
“Siediti, Erin – le fece posto Heymans – così ne approfittiamo per farvi fare conoscenza”.
“Volentieri, tanto stavo tornando da lavoro e non ho impegni – annuì lei, levandosi il cappotto – avete mai preso la torta di noci? In questo posto la fanno davvero buona”.
Mentre la ragazza faceva un cenno alla cameriera, Heymans scambiò un’occhiata con Henry. Il sedicenne sembrava ancora stordito, eppure un’ombra di sorriso iniziava ad aleggiargli sulle labbra. Prometteva di essere un’interessante merenda tra cugini.
 
Con sommo sollievo di Heymans, quella merenda tra cugini era andata più che bene e anche Henry si era dimostrato entusiasta di Erin. Dopo qualche minuto di lieve imbarazzo si era fatto contagiare dalla parlantina della giovane ed era stato come se si conoscessero da sempre e quella fosse solo un’occasione per raccontarsi le ultime novità dopo un periodo d’assenza.
Per il giovane universitario era stata una vera sorpresa vedere Henry dare tanta confidenza ad una persona appena conosciuta: provenendo da una realtà chiusa come quella del paese c’era d’aspettarsi che, a primo impatto, stesse leggermente sulle sue. Ma sembrava che Erin avesse il potere di piacere immediatamente, forse per via del suo carattere espansivo del quale, a volte, sembrava vergognarsi.
A ben pensarci era una strana ragazza: alla sua età, che fossero di paese o di città, le femmine avevano ormai acquisito una forma di riservatezza o di eleganza che le distingueva rispetto alle adolescenti che ancora litigavano con la crescita. Non si trattava di mero cambiamento fisico, ma anche d’atteggiamento: bastava vedere Riza, ma anche Rebecca che, nonostante il suo carattere focoso, aveva in qualche modo abbandonato determinati modi di fare.
Erin invece sembrava aver mantenuto quella spensieratezza tipica dell’adolescenza, durante la quale ancora non si percepiscono del tutto le differenze tra maschi e femmine e non c’è ancora quella forma di maturità che indica l’avvenuta crescita. Sembrava di aver a che fare con una studentessa che non vede l’ora di condividere i suoi sogni e le sue idee con qualcuno degno di fiducia, lieta di poter coinvolgere i propri compagni nei suoi giochi di fantasia. Con tutta probabilità era per quello che ai bambini piaceva tanto.
Spero che faccia una bella impressione anche a te, mamma – pensò con ansia il rosso mentre, la mattina dopo, si recavano al luogo dell’appuntamento, nel parco dove la giovane era solita andare.
Laura camminava accanto ad Andrew, lo sguardo fisso davanti a sé. Sembrava che niente della grande città attraesse la sua attenzione, come se si trattasse di una normale passeggiata in paese. La sua espressione era indecifrabile, una cosa davvero strana per lei che aveva sempre mostrato in qualche modo i suoi stati d’animo.
Il signor Fury, al contrario, sembrava tranquillo, come se fosse sicuro dell’esito positivo di quell’incontro.
Teneva l’amica a braccetto, come se si trattasse solo di un piacevole giro.
“Credi che andrà tutto bene? – mormorò Henry che camminava accanto a lui – Mi dispiacerebbe che andasse tutto a rotoli: Erin ci resterebbe male e così la mamma, ne sono certo”.
“Allora cerchiamo di far andare tutto bene, intesi? – propose di rimando l’altro, mantenendo il medesimo tono di voce – Se la gestiamo nel modo giusto sono certo che si risolverà tutto nel modo migliore. Eccola, la vedo”.
La giovane era seduta sulla panchina dove era solita sistemarsi con i suoi piccoli protetti e nel vederla Heymans capì che aveva messo particolare cura per presentarsi al meglio. Indossava un cappotto blu scuro, di fattura migliore rispetto a quello verde che era solita mettere: sicuramente si trattava di quanto di meglio il suo guardaroba aveva da offrire. I capelli erano sciolti sulla schiena, un dettaglio che non faceva altro che accentuare la sua somiglianza con la zia.
A quel pensiero Heymans lanciò un’occhiata a Laura e notò come i suoi occhi si dilatassero leggermente per la sorpresa: sicuramente non si era aspettata una somiglianza simile. Ed erano ancora a diversi metri di distanza. Vide il braccio della donna stringersi maggiormente a quello dell’ingegnere, quasi a farsi forza.
Avrebbe voluto cogliere altri dettagli, ma ormai erano abbastanza vicini e la ragazza si era alzata in piedi.
“Buongiorno” salutò con voce emozionata, tormentando la piccola borsetta a sacchetto che teneva tra le mani. Il suo sguardo era chiaramente rivolto verso Laura, riconoscendone la somiglianza, consapevole che si trattava della sorella di suo padre.
“Ciao, Erin – salutò subito Heymans, per evitare silenzi imbarazzanti – scusa il piccolo ritardo”.
“Ciao, Erin” seguì immediatamente Henry.
“Oh, figuratevi, sono qui solo da pochi minuti” arrossì lei.
Con tutta probabilità stava mentendo e doveva essere in quella panchina da tempo, ma Heymans decise di non darvi peso. Aveva imparato abbastanza di sua cugina per capire che quel giorno doveva essere il più importante di tutta la sua giovane vita.
“Ti posso presentare mia madre? – disse, prendendola per il braccio e avvicinandola a Laura – mentre lui è l’ingegner Andrew Fury, un caro amico di famiglia”.
“Mol… molto felice, signora – mormorò Erin, indecisa o meno se tendere la mano – mi chiamo Erin Hidden”.
Laura non rispose subito a quel saluto: continuava a fissare la nipote con sguardo indecifrabile, la prima sensazione di sorpresa ormai sparita. Per fortuna, a compensare quel silenzio da parte della donna, ci pensò Andrew.
“È un vero piacere conoscerti, signorina – la salutò, tendendo la mano e stringendo con affetto quella di Erin – tuo padre è stato, anzi è ancora il mio miglior amico. Spero che non ti dispiaccia che mi sia unito pure io a questa piccola riunione di famiglia”.
“Il suo miglior amico? – gli occhi di Erin fissarono Andrew con ammirazione, mentre si rifiutava di lasciar andare quella mano – Oh, signore, è… è un vero onore conoscerla! Io… io… santo cielo, avrei milioni di cose da chiedere su mio padre”.
“Anche noi vorremmo sapere diverse cose – disse Laura con voce piatta, parlando per la prima volta – è stata una vera sorpresa scoprire della tua esistenza”.
Erin con tutta probabilità avvertì la diffidenza da parte della zia e questo smorzò in parte il suo entusiasmo. Lasciò la mano di Andrew e tornò a tormentare la sua borsetta di tela, abbassando lo sguardo mentre un forte rossore le colorava le guance.
Heymans stava per fissare con rimprovero la madre, ma poi si rese conto di quanto fosse incredibilmente in difficoltà davanti a quella copia di se stessa da giovane. Forse avrebbe voluto essere più cortese, ma chiaramente un dolore vecchio di oltre vent’anni era tornato a presentarsi con violenza.
“Immagino che un incontro simile susciti molte emozioni – commentò Andrew, prendendo in mano la situazione – specie perché riguarda una cara persona che purtroppo non c’è più. Ma si tratta solo di rompere il ghiaccio, no?”
“Dici?” commentò Laura, caustica.
“No, capisco – Erin bloccò la risposta di Andrew – ammetto che pure mia madre non è molto entusiasta di quanto sta accadendo. È stato come riaprire una vecchia ferita e mi sono sentita in colpa per questo. Quindi, zi… signora, posso comprendere che non sia impazzita di gioia nel scoprire della mia esistenza. Forse per me, Heymans ed Henry è stato più semplice”.
Faceva davvero pena in quel momento: non era molto dissimile da una bambina appena respinta. Tutto l’entusiasmo mostrato il giorno prima era bruscamente sparito davanti a quella fredda accoglienza che le era stata riservata.
Heymans scosse il capo sconsolato, non sapendo come comportarsi. Non voleva spingere sua madre ad iniziative poco gradite, ma allo stesso tempo gli dispiaceva enormemente per Erin. Sperò che Andrew Fury intervenisse di nuovo, ma l’uomo si limitava a fissare con gentilezza la sua amica, come a farle forza davanti a quella nuova prova.
Forse spinta da quello sguardo, o forse in colpa per le parole dure di poco prima, Laura parve recuperare un minimo del suo carattere e sospirò con rassegnazione. Non era da lei prendersela con una persona che non aveva nessuna colpa, specie se si trattava di una ragazza giovane come Erin.
“Scusami – mormorò in fine – è che ho sofferto davvero tanto per la morte di mio fratello”.
“Non deve, signora…” iniziò Erin.
“… e credimi – continuò Laura – è… sconcertante vederti perché mi assomigli davvero tanto. Mi pare di rivedermi giovane e tu non hai idea di quanto abbia passato alla tua età. In qualche modo fa doppiamente male. Però – si affrettò ad aggiungere – non hai colpa di niente: sono solo miei pensieri, tu non hai alcuna responsabilità”.
“Mi scusi, non avevo idea che il nostro incontro le avrebbe suscitato tante emozioni, signora. A ben pensarci io ed Heymans siamo stati troppo impulsivi nell’organizzare tutto”.
“Adesso o tra un mese non penso che avrebbe fatto differenza – obiettò Andrew con voce pacata – e sono certo che dopo questo primo impatto traumatizzante le cose miglioreranno. Insomma, sei la figlia di Henry: è un motivo di gioia averti trovata”.
“Povera me, quanto sei manipolatore – sospirò Laura facendo un primo sorriso – lo so… diamine, lo so bene che è la figlia di mio fratello. Non ci sono dubbi, basta guardarla. Anzi, pare più figlia mia che di Henry”.
“Il sangue Hevans non smetterà mai di sorprendermi – ridacchiò Andrew – avete persino le stesse lentiggini, è incredibile”.
“Efelidi – corresse Laura, tendendo la mano verso Erin – scusami se prima non mi sono fatta avanti. Possiamo stringerci la mano?”
“Ma certo – la voce di Erin era rotta per l’emozione – sono… sono felice, zia”.
“Zia – la donna scosse il capo con aria sorpresa – cielo, giuro che non avrei mai pensato di venir chiamata in un simile modo”.
“E che devo dire io che mi scopro non solo nipote ma anche cugina? – Erin parve recuperare di colpo il suo brio – Insomma, durante il capodanno ho chiesto che il nuovo anno mi regalasse delle belle sorprese, ma non pensavo di averci messo così tanto impegno nell’esprimere un simile desiderio”.
In fondo quel primo incontro non stava andando così male.






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In teoria pensavo già in questo capitolo di presentarvi la madre di Erin e di fare quelle famose rivelazioni sul passato di Henry, come avevo anticipato in alcune risposte alle mie recensioni. Tuttavia mentre scrivevo mi sono resa conto che era giusto dare spazio alle emozioni di Laura, piuttosto che mischiarle in un capitolo dove sarà il racconto su Henry a prevalere. 
Così, per evitare di fare un pasticcio, ho preferito creare due momenti differenti in modo da non comprimere troppo un momento così importante.

 
  
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