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Autore: Morgana89Black    27/02/2017    2 recensioni
E se Lily Potter avesse avuto un secondo figlio, poi dato in adozione?
Dal capitolo 2:
"Ti lascio queste poche parole, nella speranza che quando le leggerai non mi odierai per essere stata codarda e non aver avuto la forza di tenerti con me. Purtroppo temo che non vivrò comunque abbastanza per vederti raggiungere i tuoi undici anni, il perché forse un giorno lo scoprirai da sola, per ora ti basti sapere che io e tuo padre siamo una strega ed un mago".
Dal capitolo 22:
“Draco... Draco... svegliati”. Le ci vollero diversi minuti per convincere il ragazzo ad aprire gli occhi ed inizialmente lui parve non notarla neanche mentre sbatteva ripetutamente le palpebre nella vana speranza di comprendere cosa fosse successo.
“Nana...”, la ragazza sorrise della sua voce impastata dal sonno. Era quasi dolce in quel momento e sicuramente molto diverso dal solito Malfoy, “è successo qualcos'altro?”. Parve svegliarsi di colpo, al sentore che doveva essere accaduto qualcosa di grave se lei lo svegliava nel pieno della notte.
Dal capitolo 25:
Prima che attraversasse l'uscio per scomparire alla sua vista, udì poche parole, ma sufficienti a gelargli il sangue nelle vene, “lei è un mangiamorte”.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Fierobecco.

 

20 maggio 1994

 

La primavera era ormai arrivata, e, nonostante gli esami fossero sempre più vicini, gli studenti faticavano a rimanere concentrati su vecchi e voluminosi tomi di incantesimi.

Solo due studentesse sembravano intenzionate ad ignorare il sole splendente e le giornate sempre più calde, rimanendo rintanate in biblioteca su libri ed appunti.

Erano ormai diversi giorni che la biblioteca era occupata solo da quelle due ragazzine, eppure, nonostante fossero nella medesima stanza, sembravano non essere coscienti l'una della presenza dell'altra.

Hermione Granger rimaneva per ore china su pergamene riempite con una scrittura minuta e fitta. Morgana Belmont, al contrario, sembrava intenzionata a sfogliare ogni singolo tomo presente nella biblioteca di Hogwarts. Si aggirava continuamente da uno scaffale all'altro, prendendo volumi che venivano riposti nella loro postazione dopo pochi minuti.

Persino la bibliotecaria era piuttosto perplessa dal comportamento della ragazzina, ma non potendo contestarle alcuna violazione, non aveva potuto rimproverarla, limitandosi, ogni tanto a qualche occhiataccia.

“Li leggi anche, o ti piace la copertina?”, il sussurro proveniente da quella voce calda e rassicurante, la fece sobbalzare e perdere il contatto col manuale che stava tentando di recuperare da uno degli scaffali più alti della biblioteca, col rischio di vederselo rovinosamente cadere in testa, e, considerata la mole di quel librone, avrebbe anche potuto farsi seriamente male. Invece, l'unico risultato che ottenne fu di far cadere il tomo a terra, con un tonfo sordo, e guadagnandosi un'occhiataccia da parte della bibliotecaria.

“Mi hai spaventata”, rispose piccata al ragazzo che la osservava dall'alto, senza muovere un muscolo. Era evidente che non gli era neanche passato per la mente di aiutarla a raccogliere il libro, o, almeno evitarle il rischio di un bernoccolo dolorante.

Attese che lei raccogliesse il libro da terra, prima di seguirla nel tavolo più isolato della biblioteca, dov'era solita rifugiarsi quando intendeva studiare, o leggere, in tranquillità.

“Mi stai seguendo per un motivo?”, arrivata al suo solito posto, la ragazza aveva sbattuto malamente il libro sul tavolo, prima di voltarsi a guardarlo con occhi fiammeggianti.

Lui si era limitato ad osservare la copertina del vecchio tomo, “”La dinastia dei Black, dagli albori ai giorni nostri”. Lettura interessante, ma sinceramente dubito che tu possa trovare quel che cerchi in quel libro. È un po' troppo vecchio”.

“Arriva sino alla fine degli anni '70, non credo che sia poi così vecchio”.

“Appunto. Arriva sino alla fine degli anni '70, quindi prima della nascita di tutti noi”. Solo dopo aver parlato, lui si rese conto di aver commesso un errore, perché gli occhi di lei, d'un tratto, furono percorsi da un'ombra nera, senza che potesse far nulla per evitarlo.

“Di cosa stai parlando?”, Morgana sentiva l'aria mancarle nei polmoni, ma si costrinse a rimanere concentrata e a non perdere il controllo del suo respiro, “o forse... dovrei chiederti di chi stai parlando?”.

Aveva letto molto sui Black nelle ultime settimane, cercando ogni informazione possibile su Sirius Black e sulla sua famiglia. Era convinta che per comprendere appieno le azioni di quell'uomo, servisse conoscerlo fino in fondo. Aveva scoperto poco su di lui, era citato in un vecchio manuale, che riproduceva gli alberi genealogici delle più famose famiglie di purosangue. Da quel tomo aveva scoperto che era figlio di Walburga e Orion Black, i quali, a quanto le era parso di capire, erano cugini. Aveva faticato molto ad assimilare questa circostanza, le sembrava così strano, eppure aveva scoperto che nelle famiglie di purosangue, l'usanza di matrimoni fra consanguinei era molto diffusa.

Aveva scoperto che aveva un fratello minore, ma secondo quel tomo, nessuno dei due aveva avuto discendenti, né maschi, né femmine.

In un altro tomo, aveva letto che la famiglia Black era praticamente estinta, almeno nel ramo maschile, visto che il loro ultimo erede era rinchiuso, almeno sino all'estate precedente, nella peggiore prigione di maghi.

“Di chi stai parlando, Nott?”, dalla sua voce trasparivano rabbia e sconcerto, ma anche astio e apprensione.

“Tu chi stai cercando?”, si era reso conto di aver parlato troppo, era convinta che lei avesse scoperto dell'esistenza di un altro membro della famiglia Black, e, soprattutto, non aveva mai neanche pensato che poteva essere interessata a qualcun altro.

Restarono là, a guardarsi, senza muovere un muscolo, in una tacita sfida, ognuno nel vano tentativo di minare la resistenza dell'altra. E mentre si ostinava a fissare quegli occhi scuri che, d'un tratto, le venne in mente l'albero genealogico letto qualche giorno prima. Al momento non ci aveva pensato molto, non aveva collegato quel nome a quella persona. In un attimo si era incamminata alla ricerca dello scaffale giusto.

“Belmont... ehi! Dove stai andando?”, Nott aveva cominciato a seguirla, faticando a starle dietro, troppo sorpreso dal suo comportamento.

Sapeva perfettamente dove andare, aveva osservato quelle pagina a lungo, ed era rimasta affascinata dalla copertina di rigida pelle verde muschio, con quegli intarsi d'argento (molto probabilmente vero), che brillavano persino nella penombra della biblioteca.

Estrasse il libro dallo scaffale, come se stesse maneggiando un prezioso tesoro, lo depose sul tavolo lì di fianco e cominciò a sfogliare le pagine, col cuore che le batteva nel petto, pervasa da una strana ansia. Mentre osservava le pagine muoversi sotto il suo tocco, si chiese come mai si sentisse quasi attanagliata dal terrore, all'idea di rileggere quel nome, scritto in piccole lettere nere, ed in un carattere elegante e tondeggiante.

Ed eccolo lì, proprio di fianco al nome di Sirius Black, c'era quello di sua cugina: Narcissa. La prima volta non ci aveva fatto molto caso, si era limitata a leggere quel nome e sorvolare su cosa significasse veramente, troppo intenta a cercare informazioni sull'uomo, per curarsi di quegli appellativi femminili, scritti proprio accanto al suo.

Solo ora si rese pienamente conto della presenza di un altro ramo della famiglia Black, di cui, prima non si era preoccupata: Andromeda, Bellatrix e Narcissa. Tre sorelle di cui, fosse stato per lei, non avrebbe mai neanche metabolizzato l'esistenza.

Ma ora che fissava quei nomi, l'ultimo in particolare, e li sfiorava con le dita esili, sotto gli occhi attenti di Theodore, che si stava chiedendo quanto avesse fatto male a parlare, alcune frasi le vorticavano nella mente, sempre più forti, sempre più confuse, sempre più piene di significato.

 

non so cosa tu abbia letto”

nella famiglia Black di pazzia ce n'è fin troppa”

 

e poi ancora...

 

Io, fossi in te, sarei andato a cercarlo, Potter”

 

E d'un tratto tutto assumeva un significato nuovo, persino il fatto che Lord Malfoy avesse evidenziato proprio quel paragrafo, sulla famiglia Black. Ora tutto aveva un collegamento, ora finalmente capiva qualcosa di più.

Lui era un Black, ma non aveva avuto il coraggio di dirglielo. Suo padre, invece, aveva tentato di farlo, ma lei era stata troppo stupida per capire, o, forse, non aveva voluto vedere. Eppure di libri su quella famiglia ne aveva letti molti, infondo non si dice che per sconfiggere il nemico, bisogna conoscerlo? E lei aveva tentato di conoscerli, con tanta attenzione.

 

Io, fossi in te, sarei andato a cercarlo, Potter”

 

Quella frase, detta tanto tempo prima, con una nota di cattiveria, a suo fratello, ora assumeva un significato molto diverso. Lui sapeva, lui sapeva sempre tutto. Sapeva che lei era una Potter e, per tale motivo, non aveva voluto spiegarle il senso di quell'affermazione.

Sapeva che Black aveva tradito i loro genitori, e, perciò aveva insinuato in suo fratello il dubbio, in modo tale che lui avrebbe desiderato di andare a cercarlo e, magari, si sarebbe fatto uccidere nel tentativo di colpire l'assassino. Ma Harry non era così sciocco ed, inoltre, seppur lei lo conosceva poco, in cuor suo sapeva che non lo avrebbe mai fatto, non avrebbe mai ucciso Black, non sarebbe stato capace di farlo. Harry era buono, dolce e sin troppo corretto per pensare di scontrarsi con un criminale di quel calibro.

Harry non avrebbe mai fatto del male a qualcuno, se non vi fosse stato costretto. E lei? Lei avrebbe ucciso Black. E avrebbe ucciso tutti coloro che avevano osato far del male alla sua famiglia.

Una piccola parte del suo cervello si chiese quanto strani potessero essere i suoi pensieri. Infondo lei, ai suoi genitori, non voleva neanche bene, eppure chi li aveva distrutti, meritava di morire. Si chiese, vagamente, se quel pensiero fosse normale per una ragazzina della sua età, ma forse, infondo, non le interessava.

“Tutto bene, Belmont?”, la voce calda di Nott la riscosse dai suoi pensieri. Aveva ancora le piccole dita sul nome di Narcissa. Narcissa Black. Narcissa Malfoy.

Ed in quel momento comprese appieno anche perché Theo le avesse detto che quel libro non poteva rispondere alle sue domande.

“Draco è un Black”, la sua non era una domanda e, pertanto, l'altro non le rispose. Non serviva.

“E' l'ultimo discendente maschio di due delle dinastie di purosangue più ricche e potenti del mondo magico inglese”, si limitò a quella costatazione, con una punta d'orgoglio e, forse, anche d'invidia nei confronti dell'amico d'infanzia. Quell'affermazione che le si conficcò dritta nel cuore, insieme a tutte le altre, che le ricordavano quanto fossero diversi.

Rimase ad osservarla a lungo, chiedendosi se quella notizia l'avesse sconvolta molto, anche se non lo dava a vedere. Pensava che lei lo sapesse, forse perché tutti i loro amici erano a conoscenza della circostanza. Non era di certo un segreto che Narcissa Malfoy fosse una Black.

“E' tutto ok, Morgana?”, non parlava da diversi minuti e continuava a fissare il nome della donna scritto in quel vecchio libro. “Morgana?”, dovette chiamarla di nuovo, per attirare la sua attenzione e costringerla a voltarsi verso di lui.

“Theo”, i suoi occhi erano stranamente inespressivi mentre lo guardava.

“Dimmi”, il ragazzo la guardava, cercando di comprendere se dovesse o meno preoccuparsi.

“E' vero che i purosangue stipulano dei contratti di matrimonio?”, alla sua affermazione lui rispose sgranando gli occhi pieno di stupore.

“Beh... sì, di solito lo fanno”, le guance del ragazzo si colorarono appena di rosso, ma lei non parve farvi caso, “i genitori si accordano qualche anno prima del matrimonio e stipulano un contratto formale, in modo tale che nessuno dei due possa tirarsi indietro”.

“E questi accordi non possono essere sciolti?”.

“Non proprio... cioè... ci sono delle ipotesi in cui si possono modificare o, addirittura, rescindere, ma avviene raramente”.

“E gli sposi?”.

“Che cosa vuoi sapere?”, gli occhi di lui erano confusi, sembrava davvero che il senso della domanda di lei gli fosse sconosciuto.

“Non possono dire nulla? Non possono scegliere?”.

Le sorrise con tenerezza, appena comprese il significato delle sue parole, “no. Di solito loro non hanno possibilità di scelta. I matrimoni fra purosangue sono dei contratti, non si stipulano per amore e, spesso, gli sposi conducono vite parallele e si incontrano solo in occasioni particolari”.

La mano di Morgana si ritrasse dal libro, come se si fosse ustionata, ma i suoi occhi vi ritornarono, seppur per pochi secondi. Con la mente, intanto, era ritornata all'estate precedente, a Malfoy Manor. Aveva avuto pochissime occasioni per vedere Narcissa e Lucius Malfoy insieme, lui non era quasi mai a casa, eppure non le era parso che fra loro ci fossero contrasti. Non erano, probabilmente, l'emblema della felicità, ma sembravano star bene insieme. Eppure, lui quando le aveva detto che avrebbe scelto una moglie per suo figlio, non sembrava intenzionato a giudicarla dall'affetto dimostrato per il ragazzo. Al contrario, aveva parlato di quelle ragazze come si trattasse di pezzi d'argenteria.

“E tu hai una promessa sposa?”, le guance di Nott si colorarono ancor più di rosso, a seguito delle parole di lei.

“Non proprio. Insomma, mio padre ha in mente un paio di candidate, ed una sembra possa essere quella giusta, ma ancora non c'è nulla di ufficiale”.

A quel punto la curiosità prevalse sulla razionalità di Morgana e la ragazza non riuscì a trattenersi, “di chi si tratta?”. Aveva parlato ancor prima di rendersi conto che, probabilmente, la sua era una domanda troppo personale.

“Asteria. Asteria Greengrass”, non c'era nulla nei suoi occhi, mentre pronunciava quelle poche parole. Non vi era emozione, non vi era rabbia, non vi era interesse, ma neanche affetto. Nulla. Erano due iridi vuote. Questo la spaventò enormemente. Ora, però, comprendeva quanto accaduto qualche mese prima. La ricordava quella ragazzina piena di vita, solare e radiosa. Era bella, dolce, ed evidentemente purosangue. Tutto in lei decantava le sue lodi, seppur era ancora poco più che una bambina.

“Morgana, eccoti... ti stavo cer...”, la frase sulla bocca del moro rimase bloccata, non appena il suo sguardo corse oltre la ragazza per posarsi sull'altro. Lei si voltò appena in tempo per vedere lo sguardo di odio e disgusto che suo fratello lanciò al serpeverde, prima di riuscire a nasconderlo dietro i suoi occhi di giada, sempre così pacati.

“Ciao, Harry”. Aveva deciso tempo prima di non farsi condizionare dall'odio del fratello per la casa verde-argento e, per quanto fosse difficile non notare tutto il suo disgusto, lei aveva semplicemente intenzione di ignorarlo. Non voleva smettere di essere cordiale con una parte della scuola, sono perché aveva scoperto di essere una Potter.

Gli occhi di Tehodore Nott scrutarono l'altro ragazzo, senza il minimo turbamento, ma quello che vi vide Morgana fu un lampo di derisione nei confronti dell'altro, che non le piacque affatto.

“Potter, che ci fai in biblioteca? Non è troppo per te?”, non poteva evitare la solita battutina nei confronti del grifondoro, “pensavo che l'unica grifona che usasse il cervello fosse la sanguesporco”.

Senza riflettere Morgana si era messa fra i due, proteggendo con il proprio corpo, seppur forse inutilmente, il serpeverde. Gli occhi del fratello lanciavano saette in quel momento, verso il ragazzo, ma anche verso di lei.

“Voglio parlarti, Nana. Usciamo da qui. Prendi le tue cose”, c'era gelo nelle sue parole e quelle, più che richieste, sembravano ordini.

“Potter, magari la tua ragazza”, Nott aveva calcato in modo esagerato su quella parola, “non desidera venire con te. Forse, lei preferisce la compagnia delle serpi a quella dei leoni”, alla ragazza non era sfuggito l'uso dei termini. Non aveva insinuato che lei apprezzasse la sua di compagnia, ma quella dei verde-argento in generale, lasciando intendere che le sue parole si riferissero a qualcun altro.

E l'allusione non dovette passare inosservata al rosso-oro, perché il lampo di odio che lei vide passare per i suoi occhi era così potente che, per qualche secondo, aveva desiderato arretrare, invece si costrinse a parlare.

“Andiamo allora, Harry. Ho la borsa in un tavolo in fondo alla biblioteca, mi accompagni”, senza aspettare una risposta gli afferrò il polso e, senza salutare l'altro, lo trascinò sino al tavolo che aveva occupato quella mattina.

In silenzio e senza avere il coraggio di guardarlo in viso, raccolse le sue cose e le infilò, senza troppa attenzione nella propria borsa.

Non le era ben chiaro il motivo, ma non voleva incontrare l'accusa negli occhi di smeraldo del fratello. Forse era quello che si provava quando si scopriva di avere una famiglia. La sensazione di essere sempre sotto accusa, sempre controllati e di non voler far nulla per ferire l'altro, anche se con la consapevolezza che, purtroppo, non si poteva evitare di farlo.

E lei, proprio, non riusciva ad evitarlo, perché l'odio che lui provava nei confronti della casa di Salazar Serpeverde, lei non lo condivideva e non avrebbe mai potuto condividerlo.

Mentre con mani tremanti metteva l'ultimo libro nella borsa, una morsa al suo stomaco la colpì in pieno, al ricordo del suo primo giorno di scuola. Suo fratello non lo sapeva, e, ad esser sinceri, non lo aveva confessato a nessuno (salvo Draco Malfoy, forse), ma il cappello parlante aveva preso seriamente in considerazione la possibilità di assegnarla alla casa di Salazar e, ad onor del vero, a lei non era dispiaciuta l'idea.

Ricordava ancora tutto ciò che le aveva sussurrato all'orecchio...

 

Siamo impazienti ed anche piuttosto impertinenti, vedo. Ambizione, superbia ed impertinenza sono tipiche della casa serpeverde. Sei una ragazza particolare. Hai delle capacità sopra la media, un intelletto raffinato. Vedo molto in te di Salazar Serpeverde. La tua ironia, con quella punta di cattiveria era uno dei suoi tratti distintivi. L'impulsività era uno dei suoi peggiori difetti, incapace di tenere a freno la lingua, si pentiva spesso delle conseguenze delle proprie parole. Lui sapeva che solitamente la favella ferisce molto più di una spada. Questo lo distingueva da Godric Grifondoro, che impulsivo lo era comunque, ma con le azioni, non con le parole. Inoltre tu possiedi una qualità che rendeva Serpeverde unico e dotato: parli la lingua degli esseri striscianti”

 

Certo, poi era stata smistata in corvonero ed in quella casa si trovava bene, ma non aveva dimenticato cosa le aveva detto il cappello parlante. Ricordava di essere rimasta sorpresa di quanto, quell'oggetto, all'apparenza inanimato, fosse riuscito a scavarle dentro.

Aveva passato quasi due anni a svolgere indagini sui fondatori di Hogwarts, in modo tale da capire qualcosa di più su di loro e, soprattutto, di comprendere il motivo che aveva spinto quel cappello a paragonarla a Salazar Serpeverde. E poi, l'anno scorso, qualcuno le aveva regalato quel libro: “La progenie dei quattro” e vi aveva trovato molte informazioni che le avevano permesso di conoscerli tutti meglio.

Quel libro l'aveva convinta che, effettivamente, lei col fondatore della casa verde-argento aveva molto in comune, escluso forse quel “piccolo” particolare che lui era pur sempre un purosangue, mentre lei, non era altro che un'orfana, anche se ora sapeva i nomi dei suoi genitori. E, per quanto suo padre fosse il discendente di una lunga famiglia di maghi purosangue, sua madre non era altro che una sanguesporco o, come avrebbe detto suo fratello, una nata babbana.

“Mi stai ascoltando?”.

“Ehm. No, scusami. Ero distratta. Cosa stavi dicendo?”, persa nei suoi pensieri non si era neanche accorta che erano usciti dalla scuola ed ora si trovavano sui gradini di pietra dell'androne principale.

“Ti stavo chiedendo cosa ci facevi con quell'arrogante di Nott”.

Ecco, doveva aspettarselo, ma comunque non voleva rispondergli e un brivido di irritazione le percorse la schiena. Lui non aveva alcun diritto di controllarla o di dirle cosa dovesse fare, chi frequentare e farle il terzo grado ogni volta che lei si trovava con persone a lui sgradite.

Tanto più che gli amici di lui non è che fossero proprio meglio, insomma, a dirla tutta lei la Granger non la sopportava, sempre così convinta di sapere ogni cosa e desiderosa di mostrare quanto avesse studiato. Che poi, ad onore del vero, sarebbero stati tutti capaci di essere così bravi, se avessero studiato quanto studiava quella ragazza. Era sempre in biblioteca.

“Non credo che la cosa ti riguardi, o sbaglio?”, aveva tentato di mantenere un tono cordiale, ma a giudicare dallo sguardo offeso di lui, non doveva esserci riuscita molto. Non riusciva a sopportare che qualcuno si intromettesse nella sua vita, non era abituata a dover rendere conto ad altri delle proprie scelte. Era sempre stata sola con se stessa.

“Mi preoccupo per te...”, il suo era stato poco più che un pigolio, ma lo aveva sentito benissimo ed il senso di colpa era immediatamente penetrato nel suo stomaco, scavandoci una voragine dolorosa e profonda.

“Nessuno si è mai preoccupato per me”, lo aveva sussurrato, evitando lo sguardo del ragazzo ed abbassando gli occhi al suolo, “so che non lo fai con cattiveria, solo che io non so come si fa in questi casi. Non ho mai avuto un fratello”.

“Neanche io ho mai avuto una sorella”, le sorrise con amore pronunciando quell'ultima parola, “potremmo imparare insieme, che ne dici?”.

Potevano imparare insieme e non le servì dirglielo, era bastato il suo sguardo a farlo capire al ragazzo ed il suo sorriso dolce, così dolce che lui quasi se ne sorprese. Era difficile vederla in quel modo. Sorrideva raramente, soprattutto con quella delicatezza e quell'affetto che le traspariva dagli occhi.

Continuarono a passeggiare per il prato del castello, chiacchierando e ridendo. Era una bella giornata e molti studenti ne avevano approfittato per passare un po' di tempo all'aperto ed al sole, nonostante gli impegni scolastici. Ad un certo punto il ragazzo si fermò, interrompendosi nel mezzo di una frase. Morgana ci mise qualche secondo per rendersi conto di aver fatto dei passi avanti da sola. Solo dopo essersi voltata ed aver seguito il suo sguardo comprese cosa l'avesse sconvolto tanto da fermarne il discorso a metà.

“Sembra sconvolto...”.

“Lo è... lui... ha appena ricevuto una brutta notizia”.

“Quale notizia?”, gli occhi di Morgana s'incontrarono con quelli del fratello e vi lesse un'infinita tristezza ed anche quello che le sembrava senso di colpa.

“Il suo ippogrifo è stato condannato a morte. Ed è tutta colpa di Malfoy”, disse quell'ultima parola con così tanto odio che la ragazza si chiese se fosse normale per un ragazzo solo provarlo.

“Perché sostieni che sia colpa sua?”, la voce le tremava mentre gli poneva quell'unica domanda.

Lui le raccontò ogni cosa, come il ragazzo fosse stato ferito a lezione e come si fosse comportato in seguito, fingendo di non riuscire a riprendersi e di aver subito danni maggiori di quelli effettivi. Era evidente la sua necessità di sfogarsi e di accusare l'altro per le malefatte che riteneva avesse commesso.

Lei lo stava ascoltando, senza riuscire a condividere pienamente le sue parole e forse, consapevole, che il colpevole designato dal fratello, nonostante tutti i suoi difetti, non era veramente come si mostrava agli altri.

“Quindi adesso Fierobecco è stato condannato a morte, ed è solo colpa sua”, l'asserzione finale del fratello la colse impreparata e non poté far altro che annuire, senza aggiungere altro, anche perché non sarebbe stata in grado di farlo. La gola le doleva e le si era riarsa al solo sentire la confessione del grifondoro.

Era così evidente l'odio da lui provato nei confronti di Draco Malfoy, che talvolta si chiedeva lei stessa se, forse, non avesse ragione e fosse lei a sbagliare e ad aver visto qualcosa d'inesistente in quel principe che di azzurro aveva solo gli occhi e di certo non l'armatura.

Si voltò verso il guardiacaccia ed i suoi occhi rossi, la disperazione che traspariva dal suo volto e le lacrime trattenute, per quell'amico che stava per perdere, la colpirono. Si sentì male con lui e per lui, perché sapeva cosa significa perdere qualcuno di caro, e sapeva quanto fosse forte il senso d'impotenza che si prova quando ci si rende conto che ha strapparcelo via è qualcuno che potrebbe evitare di farci soffrire, ma desidera vedere la pena nei nostri occhi.

L'idea che tutta quella sofferenza fosse stata causata in modo gratuito da Draco, le faceva male, perché lei quel ragazzo aveva sempre tentato di difenderlo. Aveva cercato di vedere oltre la maschera, oltre l'arroganza, oltre la sua armatura di ghiaccio. In quel momento, però, non vedeva altro che l'algido re delle serpi, con la sua sfrontatezza ed il suo desiderio di provocare dolore gratuito. Forse, in fondo al cuore, sapeva che lui non aveva remore a ferire chi non riteneva degno di essere, se non suo amico, almeno suo pari.

“Harry, scusami, ma non mi sento bene. Ti dispiace se vado nel mio dormitorio? Passeremo del tempo insieme un altro giorno”, non attese la sua risposta, ma si voltò per dirigersi con passo malfermo verso il castello.

Non vedeva il serpeverde da settimane. Non si erano più rivolti la parola dopo quell'incontro con Harry fuori dalla sala comune dei corvonero. Non avevano più avuto modo di discutere in privato e, forse, non avrebbero avuto poi molto da dirsi.

Eppure, ogni volta che sentiva il suo nome, o che intravedeva la sua figura nei corridoi, una vocina cattiva, nella sua mente, le ricordava che non aveva alcun diritto di guardarlo. Lei non era abbastanza.

E forse, ora, sapeva anche cosa non era abbastanza. Lei non era sufficientemente crudele per essere degna di lui, perché non avrebbe mai fatto decapitare una bestia innocente, solo per il gusto di provocare dolore.


 

***




Chiedo venia per il ritardo, sono anche stata via questo fine settimana ed anche se il capitolo era pronto non ho avuto tempo e modo di pubblicarlo.
Siamo sempre più vicini alla fine del terzo anno ad Hogwarts di Harry ed il secondo di Morgana.
Spero che questo capitolo vi sia gradito. A presto.

   
 
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