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Autore: Morgana89Black    20/03/2017    2 recensioni
E se Lily Potter avesse avuto un secondo figlio, poi dato in adozione?
Dal capitolo 2:
"Ti lascio queste poche parole, nella speranza che quando le leggerai non mi odierai per essere stata codarda e non aver avuto la forza di tenerti con me. Purtroppo temo che non vivrò comunque abbastanza per vederti raggiungere i tuoi undici anni, il perché forse un giorno lo scoprirai da sola, per ora ti basti sapere che io e tuo padre siamo una strega ed un mago".
Dal capitolo 22:
“Draco... Draco... svegliati”. Le ci vollero diversi minuti per convincere il ragazzo ad aprire gli occhi ed inizialmente lui parve non notarla neanche mentre sbatteva ripetutamente le palpebre nella vana speranza di comprendere cosa fosse successo.
“Nana...”, la ragazza sorrise della sua voce impastata dal sonno. Era quasi dolce in quel momento e sicuramente molto diverso dal solito Malfoy, “è successo qualcos'altro?”. Parve svegliarsi di colpo, al sentore che doveva essere accaduto qualcosa di grave se lei lo svegliava nel pieno della notte.
Dal capitolo 25:
Prima che attraversasse l'uscio per scomparire alla sua vista, udì poche parole, ma sufficienti a gelargli il sangue nelle vene, “lei è un mangiamorte”.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Sirius Black – parte I.

 

6 giugno 1994

 

I giorni si erano susseguiti sempre uguali, all'interno del castello di Hogwarts l'apatia regnava sovrana. Gli studenti, costretti all'ultimo ripasso prima degli esami annuali, venivano spesso avvistati dagli insegnanti con gli occhi sognanti, persi in un punto non meglio identificato esterno alla finestra davanti alla quale, casualmente, si erano bloccati.

La presenza dei dissennattori, ai confini del parco della scuola stava diventando sempre più pesante da tollerare, soprattutto per coloro che erano più sensibili alla loro influenza. L'effetto negativo da questi causato era amplificato dalla loro necessità, sempre più impellente, di cibarsi.

Il contrasto fra la primavera, che ormai faceva capolino in ogni angolo del grande giardino circostante la scuola, e i visi sempre più tesi degli studenti era palpabile. Come se la presenza di quegli essere quasi demoniaci non fosse di per sé sufficiente, la tensione sui giovani visi era, ovviamente, amplificata dal timore di non riuscire a dare abbastanza agli esami di fine anno.

Erano stati giorni difficili per tutti gli allievi, di ognuno degli anni di scuola, dai più piccoli, sino a coloro che ormai dovevano solo affrontare quell'ultimo ostacolo prima di essere catapultati, senza troppe smancerie, nel mondo degli adulti, alla ricerca di un lavoro e della loro strada.

Quella mattina, prima delle ultime prove d'esame, l'atmosfera nella sala grande, per la prima volta da molto tempo, era diversa. I volti stanchi erano pervasi da un flebile sorriso, segno che, ormai, si era vicini alla fine di quella sottile tortura che aveva causato non poche crisi isteriche, soprattutto fra le ragazze più sensibili.

“Hai una faccia!”, la voce sognante di Luna fece sobbalzare Morgana, che era persa nei suoi pensieri, del tutto estranei, a dir la verità, alle peripezie scolastiche. Le era stato difficile concentrarsi sullo studio e sugli esami, persa com'era nel suo, ormai, pensiero fisso: Sirius Black.

“L'avresti anche tu, se non fossi sempre così fuori dal mondo”, il suo commento era stato, probabilmente, un po' troppo crudele, ma la sua amica non sembrava neanche essersene accorta, troppo intenta ad osservare la sala circostante, con la sua solita aria sognante stampata sul volto. Se non l'avesse conosciuta così bene, ormai, forse l'avrebbe presa in giro, come ogni altro studente di quella scuola, troppo ottuso per andare oltre l'apparenza e rendersi conto che, dietro quello sguardo da svampita, si nascondeva un'attenzione che in pochi altri possedevano.

“Stareste bene, insieme...”, fu riportata alla realtà da quella frase, buttatale addosso come un getto d'acqua gelata, come un fulmine a ciel sereno. Senza spiegazioni, senza null'altro aggiungere, Luna si era alzata, e, prima di uscire dalla sala grande diretta al loro ultimo esame, si era voltata nuovamente a guardarla, “starete bene, insieme...” lo aveva ripetuto, dando questa volta alla frase un'accezione diversa, più forte, più deterministica.

Lasciò l'amica là, da sola, a chiedersi a chi stesse facendo riferimento, a chi si stesse rivolgendo, con quelle parole che, al suo cuore, sembravano sottili minacce. Lei era così, sempre capace di sconvolgere la giornata altrui, con una frase tirata fuori da chissà dove. E solo dopo aver osservato la bionda camminare verso il portone, si rese conto di dove era diretto il suo sguardo sognante.

Con quei pensieri che ancora le frullavano per la mente si diresse anch'essa verso l'aula dell'ultimo esame, desiderando solo di terminare anche quello, e di potersi rilassare un po' al sole del giardino.

La classe di pozioni era afosa e piena dei soliti vapori e lei già si sentiva girar la testa, ancor prima di cominciare a svolgere il compito che il professor Piton avrebbe loro assegnato per la votazione finale in quella materia.

Mentre si apprestava a portare a termine la pozione, il suo sguardo non riusciva ad impedirsi di tornare, continuamente, sull'uomo che con il suo solito passo elegante si muoveva fra i banchi, controllando i diversi miscugli che gli studenti stavano ormai ultimando, per lo più storcendo il naso disgustato.

Era sempre più vicino al suo banco e lei temeva quel confronto, l'ultimo per quell'anno. Non si erano più rivolti la parola, se non per necessità didattiche, da quella volta in cui lei si era recata, come una furia, nel suo ufficio e lo aveva accusato di essere un sostenitore del mago oscuro più temuto dell'ultimo secolo. Si era posta ancora molte volte il quesito se il professore stesse o meno aiutando Sirius Black ad entrare nella scuola, ma non aveva trovato alcuna risposta e non avendo prova alcuna del fatto che i due si conoscessero, non aveva mai potuto accusare apertamente l'uomo. Eppure la tentazione di dirigersi dal Preside e di portarlo a conoscenza dei suoi dubbi era stata veramente forte negli ultimi mesi.

“Signorina Belmont”, la voce dell'uomo la fece sobbalzare. Lo aveva perso di vista per pochi secondi e non si era resa conto che si fosse avvicinato così tanto. Poteva sentire il vago profumo di muschio degli abiti dell'uomo, tanto le si era accostato. Alzò gli occhi su di lui, titubante, sino ad incontrare i suoi, convinta di trovarvi un tacito rimprovero, invece quel che vide la lasciò spiazzata. Lui la stava osservando con aria compiaciuta e orgogliosa. Per un secondo aveva immaginato di avvicinarsi all'uomo e di stringerlo fra le sue braccia. Aveva pensato di accostarsi al suo petto e di appoggiarvisi. Poi il marchio nero sul suo braccio era comparso vivido nella sua memoria, ricordandole chi era l'uomo che aveva dinanzi.

“Complimenti, Morgana”, il suo nome era stato un sussurro, che solo lei aveva udito nell'intera aula, “la sua pozione è perfetta. Come sempre, d'altronde. Non ci sono dubbi sul fatto che, sicuramente, lei otterrà il massimo dei voti nella mia materia”, e senza aggiungere altro si era allontanato dal suo banco, lasciando un vuoto nel petto della ragazzina, che per qualche secondo si era persa nell'ebano degli occhi di lui.

Per il resto dell'esame lui aveva continuato ad osservarla. Quando l'aveva guardato negli occhi, seppur lei non se n'era accorta, lui era entrato nella sua mente e ciò che vi aveva trovato non gli era piaciuto per nulla.

Dopo l'esame lei aveva atteso che Luna terminasse di metter via le sue cose ed insieme si erano diretti verso l'esterno del castello, per sedersi sotto un albero al sole, chiacchierando di quanto erano entrambe felici di aver ormai terminato gli studi per quell'anno e del fatto che avevano ancora qualche giorno da trascorrere insieme, prima di doversi separare per l'estate.

Poco dopo vennero raggiunte anche da Ginevra, con la quale si erano date appuntamento. Morgana si era sdraiata, con la testa poggiata sulla borsa dei libri e si era persa nei propri pensieri, ascoltando solo di sfuggita i racconti frivoli delle amiche.

Era una splendida giornata di fine primavera, un venticello esile si spargeva giocoso per il giardino della scuola, aiutando i ragazzi a rilassarsi dopo settimane che, per tutti, erano state veramente estenuanti e complesse. Il sole, coi suoi flebili raggi, ancora non completamente maturi, li colpiva sul viso e sul corpo, donando ristoro a quelle membra che, per molto tempo, erano uscite poco dall'ombra buia delle gelida mura del castello.

“E' vero?”, il suono della voce di Ginevra la riscosse dai suoi pensieri. La stava guardando, quindi certamente la domanda era rivolta a lei, solo che non aveva idea di cosa avesse chiesto.

“E' vero cosa?”, il leggero rossore delle sue guance fece ridere le amiche, che compresero non le avesse ascoltate minimamente sino a quel momento.

“E' vero che Piton ha lodato la tua pozione?”, sbruffando si limitò ad un cenno affermativo, come se la cosa non avesse alcuna importanza, ma, in realtà era piuttosto orgogliosa delle parole dell'uomo. Lei amava l'arte della composizione delle pozioni ed era felice di essersi dimostrata così capace da meritare un flebile complimento da quell'essere burbero e scontroso.

“Non esserne così tanto entusiasta”.

“Dovrei esserlo?”.

“Andiamo... il pipistrello gigante ha detto che hai fatto una pozione perfetta. Insomma, lo sai... lo stesso uomo che toglie punti a chiunque respiri nella sua aula e che di solito fa evanescere le pozioni della maggior parte dei suoi studenti, considerandole solamente intrugli velenosi”. Allo sfogo della grifondoro, che in quella materia faceva davvero fatica, le altre due scoppiarono a ridere gioiose. Nell'aria si respirava il profumo della libertà dagli impegni scolastici e si leggeva la stessa cosa negli occhi di ognuna delle ragazze che gioivano spensierate sotto quell'albero in mezzo al cortile.

Almeno sino a quando una di loro non intravide un uomo, infondo al parco di Hogwarts, la cui espressione stonava immensamente in quel quadro di serenità e gioia. Quel giorno si sarebbe tenuto l'appello per Fierobecco ed Hagrid, ormai convinto che la bestia sarebbe morta di lì qualche ora stava cercando con tutte le sue capacità di rendergli quelle poche ore di vita rimaste, il più serene possibile.

Sotto gli occhi sorpresi delle amiche, Morgana si alzò in piedi, senza dir nulla e si diresse a passo di marcia verso l'uomo. Da quando con il fratello aveva discusso della questione dell'ippogrifo, si era sorpresa diverse volte a pensare ad un modo per evitare che quel povero animale venisse decapitato.

Era convinta che l'animale non fosse pericoloso e che si potesse dimostrare in qualche modo la sua innocuità. Aveva trovato diverse sentenze della Commissione per le creature pericolose, che dichiaravano l'innocenza di animali che erano stati aizzati ed aveva sinceramente sperato che anche in questo caso avrebbero deciso di non condannare Fierobecco.

“Hagrid”, l'uomo si voltò a guardarla sorpreso, probabilmente incredulo, considerato che era stata proprio lei a parlargli. Non è che si fossero rivolti la parola spesso e ad esser sinceri lei probabilmente non si trovava a meno di qualche metro di distanza dall'uomo da quella volta che, al primo anno, si era recata col fratello ed i suoi amici nella capanna del guardiacaccia.

“Belmont, giusto?”, i suoi occhi scuri erano fissi in quelli di lei, che lentamente annuì alla domanda, “che ti succede? C'hai qualcosa che ti serve?”.

“No. In realtà io volevo solo parlare di Fierobecco”.

Solo sentendo nominare l'anima, gli occhi dell'uomo si riempirono di lacrime e la ragazzina si sentì immensamente colpevole, quasi fosse stata lei a creare tutto quel dolore.

“Una brava bestia, lui. Sempre là a pulirsi le sue penne. Vieni...”, senza aspettarla si diresse a grandi passi verso la sua capanna e lei fu costretta a seguirlo a passo sostenuto.

Arrivati al bordo della foresta lui la condusse dietro alla piccola costruzione in legno, dove si trovava un recinto dentro al quale vi era l'ippogrifo, legato ad un palo. La ragazza rimase così affascinata dalla bellezza dell'animale che, ormai, non stava neanche ascoltando le parole dell'uomo.

Senza rendersene conto si era avvicinata a Fierobecco, che la scrutava coi suoi occhi fieri ed il suo portamento austero. Non capiva che cosa l'attraesse così tanto, a lei gli animali neanche piacevano, e ad esser sinceri l'Ippogrifo non è che fosse proprio una delle bestie più armoniose esistenti, con il suo corpo metà cavallo e metà rapace, i suoi artigli in evidenza.

“Attenta. Non ti avvicinare troppo. Lui non ti conosce”, la mano dell'uomo si era posata sulla sua spalla fermando il suo lento progredire verso l'animale. Morgana non riusciva a spostare i suoi occhi da quelli della bestia. Erano magnetici. E d'un tratto, la consapevolezza che non avrebbero più potuto osservare nessuno con quel loro cipiglio così arrogante, la colpì in pieno ed una rabbia che non riusciva a controllare le invase il petto.

Senza rendersi pienamente conto delle sue azioni e indifferente ai richiami di Hagrid, si era voltata ed aveva cominciato a correre verso il castello. Voleva trovarlo, voleva urlargli contro tutta la sua rabbia, voleva odiarlo e vedere i suoi occhi riempirsi della consapevolezza del suo astio. Correva per i corridoi della scuola, senza guardare in faccia nessuno e si era scontrata con un paio di ragazzini, che avevano tentato di rimproverarla, prima di scappare dinanzi allo sguardo di pura ira che saettava dalle sue iridi di smeraldo.

Lo intravide uscire da un'aula, con il suo solito gruppo d'amici e lo raggiunse come una furia, incontrollabile ed indomabile. Non si rese neanche pienamente conto delle sue azioni, prima di udire lo schianto della sua mano contro la guancia di lui, che non aveva fatto in tempo a spostarsi o reagire. Il silenzio era calato sul corridoio e molti degli occhi degli studenti là presenti erano fissi su di loro, o meglio su di lui. L'attesa era palpabile. Tutti si stavano chiedendo come avrebbe reagito Draco Malfoy all'affronto subito.

Le era bastato un solo secondo per comprendere di aver appena commesso un errore, non solo perché lo aveva colpito, ma soprattutto perché lo aveva fatto dinanzi ad almeno due classi di studenti. Un lampo di cieca rabbia aveva attraversato gli occhi di lui, che, in un pochi attimi, si era mosso fulmineo, sbattendola contro il muro. La mano gelida del ragazzo si era stretta contro il suo esile collo, le dita di lui le stringevano la pelle. Le sentiva una per una, mentre i suoi occhi erano incatenati a quelli di ghiaccio di lui.

Il poco colore che solitamente riempiva la sua pelle candida era scomparso, lasciando spazio ad un bianco innaturale. Voleva abbassare lo sguardo, ma non riusciva a farlo. Come una calamita lui l'attirava a sé, per poi respingerla con la forza dirompente di un magnete.

“Non osare mai più fare una cosa del genere”, la voce del ragazzo era così fredda che sembrava provenire dall'oltretomba e le parole le aveva scandite una per una, sottolineandone ogni singola sfumatura.

Lei lo aveva osservato per tutto il tempo, nonostante il dolore alla gola, che cominciava a farsi più persistente. Draco doveva essersi reso conto di star esagerando, perché le sue dita avevano allentato la presa e l'aria era tornata a riempire i polmoni di Morgana.

“Draco. Andiamo via...”, la voce di Theodore Nott era risuonata stranamente forte, nel silenzio di tomba che aveva riempito il corridoio.

Il ragazzo era rimasto per pochi altri secondi immobile, poi aveva deciso di dar retta all'amico e aveva lasciato la corvonero contro quel muro freddo, dirigendosi verso i sotterranei, senza più voltarsi indietro.

La pietra contro la sua schiena era gelida, ma mai quanto la pelle del suo collo, che le sembrava ghiacciata dove le dita di lui avevano stretto, ed il suo cuore, che si era congelato al suono determinato e crudele della voce di lui.

“Che succede qua?”, la voce che aveva rotto il silenzio era calda e suadente, ma non riusciva ad arrivare sino al suo petto, per scaldarla, “Morgana, che cosa sta succedendo? Ti senti male?”, lui la guardava con apprensione e lei non era riuscita a far altro che portarsi le mani al collo, dove ormai dei lievi segni violacei si stavano espandendo sulla sua pelle lattea.

“Morgana, che cos'hai fatto al collo?”, si stava guardando intorno, alla ricerca di una spiegazione e di un colpevole, ma la voce di lei aveva impedito a chiunque di spiegare cosa fosse successo.

“Non è accaduto nulla. Proprio niente di cui preoccuparsi. Ed io sto bene”, era fredda, come la notte e buia, come l'ombra che aveva avvolto il suo cuore.

“Hai dei lividi sul collo. Non può non essere accaduto qualcosa!”, lui la guardava con apprensione e lei, in quel momento lo stava odiando ancora di più.

“Non sono stata chiara, quando ti ho detto che devi stare lontano da me, Diggory?”, i suoi occhi diventarono quasi d'ebano, mentre lo fissava infuriata, e lui, senza rendersene conto era indietreggiato. Non sopportava quel ragazzo ammirato da tutte e, soprattutto, non riusciva a tollerare le sue attenzioni non richieste.

Lo aveva lasciato senza alcun altra spiegazione e si era diretta nel suo dormitorio. Appena raggiunta la sua stanza aveva chiuso tutte le finestre e si era isolata nel suo letto a baldacchino, incapace di riscaldare il suo corpo, e con ancora la sensazione delle mani gelide di Draco sul collo.

Così l'aveva trovata Luna quando, resasi conto che l'amica non era scesa per pranzo, era andata a cercarla nella camera che dividevano dal primo anno.

Era immobile, seduta con la schiena contro i cuscini e gli occhi fissi sul muro di fronte.

“Perché hai chiuso tutto? È una bella giornata di sole...”, senza aggiungere altro si era diretta verso la finestra ed aveva scostato le pesanti tende blu notte, che impedivano al sole di illuminare la stanza, accogliendo, così i caldi raggi che, incoscienti ed impertinenti, aveva inondato la camera, ferendo brutalmente gli occhi, ormai avvezzi all'ombra, di Morgana. La tentazione di coprirsi le iridi era forte, ma la voglia di sentire la sofferenza causata dalla luce gioiosa di quel pomeriggio di primavera era stata maggiore, e le lacrime le solcarono presto il viso pallido.

“Che cos'hai fatto al collo?”, la voce di Luna era quasi isterica e stonava in modo impressionante con il viso sognante e la normale calma della ragazza.

“Nulla. Non ho fatto nulla. Perché continuate a chiedermelo tutti?”, si era alzata rispondendo all'amica, decisa a scoprire cosa ci fosse di così sconvolgente nel suo collo.

Il riflesso dello specchio, per un attimo, sconvolse lei stessa. Sentiva un leggero dolore subito sotto il mento, ma non pensava di avere dei lividi così evidenti. Il viola contrastava dolorosamente con il bianco latteo del resto della sua pelle, enfatizzando ulteriormente quei segni impressi inesorabilmente su di lei.

Rimase ad osservarli per qualche minuto, senza dir nulla e sentendo gli occhi dell'amica scrutarla. Senza aggiungere una parola prese una sciarpa leggera dal suo baule e l'avvolse intorno alla sua gola, comprendo quei marchi che, infondo, credeva di aver meritato.

“Ho fame. Credo che andrò a prendere del cibo dalle cucina”, lasciò Luna nella stanza, ancora intenta a scrutarla e senza darle il tempo di ribattere.

Percorreva i corridoi della scuola in silenzio, ripensando a quanto accaduto la mattina. Il pensiero di Draco e del suo viso indignato e furioso le riempiva la mente, distraendola dal mondo circostanza. Aveva raggiunto l'ingresso della scuola, con l'intenzione di scendere nei sotterranei e recarsi alle cucine, quando delle voci dall'esterno la distrassero dai suoi pensieri.

Erano voci concitare ed animate. Sembrava vi fosse un litigio in corso. Rimase sospesa sull'ultimo gradino della lunga scalinata, in attesa, di cosa non ne era certa neanche lei.

Li vide entrare velocemente, senza guardarsi intorno e dirigersi verso i sotterranei. Il ragazzo biondo coi due energumeni al suo fianco. Lui neanche si accorse di lei. Udì solo la sua frase, ed un po' la fece sorridere.

“Oggi pare si siano scatenate tutte. Dev'esserci una gara in corso. Vince chi colpisce più forte Draco Malfoy!”. I due ragazzi non gli risposero consci che, probabilmente, se solo avessero osato, lui li avrebbe fulminati con un solo sguardo. Era furioso e, tra i serpeverde, la regola più importante era mai disturbare un Malfoy infuriato.

Mentre osservava il trio dirigersi verso la sala comune di serpeverde, Morgana udì dall'esterno provenire la voce di suo fratello e decise di raggiungerlo.

“Harry, Ron, Hermione...”, li affiancò mentre scendevano lungo il prato del castello, probabilmente diretti verso la capanna di Hagrid.

“Non dovresti essere qua fuori. È pericoloso. Fra poco sarà buio”.

“Neanche voi dovreste. Dove state andando?”, non aveva voglia di litigare anche con lui. Non ne aveva la forza. Quel giorno era già stato sin troppo pieno di emozioni.

“Andiamo da Hagrid. Fierobecco ha perso l'appello e noi vogliamo stare con lui, quando...”, la ragazza non era riuscita a terminare la frase, troppo commossa al pensiero di cosa sarebbe accaduto da lì a pochi minuti.

Aveva dimenticato che ormai l'appello doveva essersi svolto.

“Volete stare con lui quando uccideranno la bestia”. Il suo tono non dovette piacere molto alla grifondoro, che storse la bocca in una smorfia di disgusto al pensiero della morte dell'animale.

“Sì. Quindi torna dentro il castello. Tu non dovresti essere qui ed, in ogni caso, non dovresti assistere”.

“Perché non dovrei? Io verrò con voi”, senza lasciare al fratello tempo di replicare si diresse a passo di marcia verso la capanna del guardiacaccia. Ed arrivata cominciò a bussare con forza, sinché l'uomo non giunse ad aprire la porta.

“Belmont... sei tornata...”, il suo sguardo percorse i ragazzi, “ohh... ci siete venuti anche voi. Non dovevate. Harry non devi stare qui”.

“Vogliamo stare qui. Ti staremo accanto”, tutti e quattro entrarono nella piccola capanna. Morgana si perse ad osservare il piccolo ambiente, che persino la prima volta che vi era entrata l'aveva affascinata. Vi era qualcosa di così caldo ed intimo in quella piccola costruzione.

Il guardiacaccia le porse una tazzona di tè, che lei non toccò neanche. Aveva un odore speziato e lei detestava ogni miscela di quella bevanda, salvo l'earl gray.

Non aveva seguito i loro discorsi, ma si riscosse dai suoi pensieri solo quando Hermione lanciò un urlo.

“Che succede Hermione?”, suo fratello si era alzato e guardava l'amica con apprensione.

“Ron... Ron... io...”, la ragazza balbettava incontrollabile, “non ci crederai, ma... è crosta”.

“Ma che stai dicendo?”, incuriosita la ragazza stava guardando uno ad uno i presenti all'interno della stanza, senza comprendere appieno cosa fosse successo.

Ron Weasley si era alzato sconvolto, dirigendosi vicino all'amica, le aveva preso di mano una brocca per il latte, dal quale aveva estratto un topolino, così spelacchiato e mal ridotto, da far quasi pena, persino a lei, che in un'altra occasione si sarebbe allontanata schifata. Sembrava morente e malaticcio, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Il pelo era rado ed opaco, e, nonostante fosse fra le mani del suo padrone, sembrava intenzionato a scappare appena possibile. Il ragazzo lo infilò in una delle tasche interne della divisa, appena prima che delle voci dall'esterno li distraessero dai loro discorsi.

“Stanno arrivando. Dovete andare via”, senza dar loro troppo tempo per replicare il guardiacaccia lì cacciò, facendoli uscire dalla porta posteriore e spingendoli ad andarsene.

Appena fuori Harry li convinse ad entrare, tutti e quattro sotto al mantello dell'invisibilità ereditato da James Potter. Morgana aveva sentito il fratello parlare di quel manufatto, ma non aveva avuto modo di osservarlo sino a quel momento.

Mentre lentamente, al fine di non farsi vedere, si dirigevano verso il castello, si perse nell'osservazione del tessuto impalpabile del mantello. Così delicato, da sembrare quasi inesistente al tatto. Era evidentemente molto prezioso.

Distratta dai propri pensieri in merito alla fattura perfetta dell'oggetto, non si era resa conto del battibecco che si stava tenendo fra gli altri e venne presa alla sprovvista dalla mossa repentina di Ron, che alle prese col suo topo, si dimenava tentando di trattenerlo e tranquillizzarlo e, senza rendersene conto, l'aveva spinta facendola rovinosamente cadere a terra. Una fitta sorda le fece lacrimare gli occhi, mentre il polso sinistro, sul quale era atterrata, le pulsava dolorosamente.

Non fece in tempo ad alzarsi che gli avvenimenti intorno a lei avevano preso una piega alquanto sorprendente. Ron era alle prese con un enorme cane nero, che tentava di morderlo, mentre Hermione litigava col proprio gatto, Grattastinchi, e suo fratello aveva estratto la bacchetta, ma era titubante ad utilizzarla, timoroso di poter colpire uno dei suoi amici.

In pochi attimi vide il cane sopraffare Ron e trascinarlo attraverso una fessura posta vicino alle radici di un grosso albero, verso le viscere della terra.

Hermione intanto urlava disperata verso l'amico, evidentemente in pericolo e tentata di aggirare i rami di quell'albero impazzito, che sembrava intenzionato a ferirli gravemente tutti quanti.

“Hermione, è il Platano Picchiatore”, la voce tremante di suo fratello la riscosse dall'osservazione di quella scena, che, se non fosse stato per la situazione, avrebbe trovato buffa.

“Il Platano Picchiatore?”, aveva sentito parlare di quell'albero, ma non aveva mai notato ve ne fosse uno all'interno del parco del castello. Era così affascinante.

“Sì. È una pianta pericolosa...”, la ragazza cercava, con poco successo, di trovare un modo per oltrepassare i rami dell'albero, che continuavano a muoversi imbizzarriti dalla loro presenza.

“Morgana”, Harry si era voltato a guardarla con determinazione, “devi andare via da qui. Va al castello e chiama qualcuno. Noi intanto troveremo un modo per raggiungere Ron e salvarlo da quella bestia”.

Per una frazione di secondo si chiese se veramente suo fratello credeva che lei gli avrebbe dato retta.

“Io vengo con voi. Comunque non credo che serva trovare un modo per entrare nel tunnel”.

“Ma certo. Tu sei così intelligente da sapere come aggirare il Platano Picchiatore. Come faremmo senza di te?”, l'ironia della grifondoro la irritava notevolmente, ma decise di risponderle col suo stesso tono.

“Io forse non sono così intelligente, ma il tuo gatto lo è più di te sicuramente”, senza degnarla di un secondo sguardo, le indicò il gatto, che aveva fermato i rami, toccando un nodo dell'albero. Indifferente all'occhiata omicida della ragazza si diresse alla fessura nell'albero e, prima che suo fratello potesse fermarla era già scesa nel lungo tunnel.

Camminarono per quelle che sembrarono ore, ma probabilmente erano stati solo una manciata di minuti, prima di intravedere un'apertura in un muro, che, non appena la oltrepassarono, risultò essere l'ingresso ad una stanza lugubre e polverosa.

Si ritrovarono tutti e tre nella penombra di un ambiente di medie dimensioni, che un tempo doveva essere un salotto, ma attualmente non era altro che un ammasso di mobili coperti da un alto strato di polvere.

“Dove siamo?”, il sussurro di Harry, era sembrato rimbombare nella piccola stanza.

“Sembra... Harry... sembra...”.

“La stamberga strillante”. 


 

***



Chiedo scusa per il ritardo nel pubblicare. Spero che vi piaccia questo nuovo capitolo. Ringrazio tutti coloro che leggono e commentano, apprezzando la mia storia.
A presto!

 

   
 
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