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Autore: melloficent    28/02/2017    2 recensioni
[Shin Soukoku Week, perchè amo quei due insieme più di quanto li ami singolarmente]
27/02 ; day one: moonlight "Atsushi era l’unica persona accanto alla quale si fosse mai addormentato, con la luce della luna che illuminava entrambi come un placido conforto."
28/02; day two: highschool "Atsushi era un grande punto interrogativo, un enigma che Akutagawa non riusciva a svelare."
1/03 ; day three: birthdays "Il suo compleanno non era mai stato un giorno particolarmente importante per Akutagawa."
2/03 ; day four: hogwarts "Nella lista delle cose che Akutagawa odiava c’erano, nell’ordine: i Grifondoro, chi non riusciva a non ficcare la propria appendice nasale in faccende che non gli riguardavano e le persone che non gli lasciavano la sua privacy."
3/03 ; day five: feline "L’unica nota dolente era il suono persistente e meccanico che sembrava sentire solo lui."
4/03 ; day six: the town where the wind blows "Non aveva idea di cosa provasse per lui, non sapeva nemmeno chi fosse, ma era diventato una presenza indispensabile nella sua vita."
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsushi Nakajima, Ryuunosuke Akutagawa, Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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The various fragrances of tea
 
prompt: aqua blue ; highschool
shin soukoku week, day 2
generale, sentimentale e con inclinazioni al depresso perché se non faccio soffrire nessuno non sono contenta
tw: anxiety, mentions of abusive environment
(ci ho buttato i miei headcanon e pure un po’ di soukoku perché è giusto così)
 
 
La pazienza di Akutagawa era costantemente sul filo del rasoio, soprattutto quando era a scuola.
Era molto facile che qualcosa o qualcuno gli facesse andare la giornata irrimediabilmente storta, e chi si doveva sorbire il suo umore nero era Chuuya, che non era esattamente il ritratto della solarità.
Forse era per questo che era il suo unico amico: era molto meglio tenere il muso al mondo in due piuttosto che da soli.
E quel giorno l’universo e chiunque lo regolasse era deciso a fargli venire una crisi di nervi, di quelle che sarebbero state inserite negli annali della storia.
Per cominciare, quel giorno era stato tutta la notte sveglio –non che fosse una cosa così straordinaria, ma di solito quel paio di ore di sonno che riusciva a fare lo aiutavano un po’-, per cui odiava il mondo già in partenza.
Seguivano i toast bruciati a colazione, con un vago sentore di carbone e le scuse di Gin, che aveva una relazione complicata con qualsiasi elettrodomestico esistente –era riuscita a bruciare un pentolino facendo la cioccolata calda, il che diceva molte cose.
E, l’ultimo avvenimento capace di minare ai suoi nervi nel giro di un’ora, Chuuya era in ritardo.
Come sempre.
Ancora si chiedeva perché lo aspettava ogni volta.
Probabilmente perché andare a scuola da solo era ancora più stressante, soprattutto per il suo problema d’ansia.
O difficoltà a stare in mezzo alla gente, che dir si voglia.
In ogni caso, stare con qualcuno di cui si fidava era molto meglio che addentrarsi in quella giungla che era la scuola da solo.
E mancavano dieci minuti al suono della campanella e di Chuuya ancora nessuna traccia.
Maledetto nano rosso e maledetta la sua abitudine di bere fino a ubriacarsi anche quando avevano scuola il giorno dopo.
Come volevasi dimostrare, Chuuya arrivò a cinque minuti dal suono della campanella con l’aria di chi aveva visto giorni migliori ed eventualmente non avrebbe considerato una cattiva idea farsi investire da un autobus.
Che era il medesimo pensiero di Akutagawa, perché sul podio delle cose che odiava c’erano le ramanzine del professore di matematica, Kunikida, ogni volta che arrivavano in ritardo.
Ovvero non molto spesso, perché detestava essere al centro dell’attenzione di quella classe di cretini che si ritrovava.
Per questo intimò a Chuuya di correre più veloce che potesse, nonostante la divisa della scuola rendesse difficile farlo.
Ma probabilmente lo sguardo omicida di Akutagawa doveva essere un ottimo stimolo a battere il record mondiale di corsa veloce.
Arrivarono comunque in ritardo, il che minò ancora alla calma mentale del più alto, ma il discorso ricco di significato e per lo più urlato fu interrotto dalla venuta di Dazai Osamu.
Altresì detto il primo posto sul podio delle cose che odiava, seguito dal secondo, Atsushi Nakajima.
Che in quel momento era esattamente alle spalle di Dazai e guardava il professore con il suo solito sguardo da cucciolo bastonato.
‘Disgustoso.’
Aveva motivi più che validi per odiare Dazai, ma la rabbia che gli faceva montare dentro Atsushi era totalmente ingiustificata e irrazionale, anche se spesso Chuuya l’aveva chiamata gelosia.
E si era visto rivolgere contro diverse minacce di morte, alcune abbastanza creative.
Quasi quanto le punizioni che il professore stava elencando ai due malcapitati ultimi arrivati.
Punizioni che si ritorsero contro di loro, quando Chuuya mal camuffò una risata con un colpo di tosse.
Dio, l’avrebbe ucciso.
Quindi la loro punizione consisteva nel pulire ogni singolo angolo della scuola ogni volta che fossero arrivati in ritardo.
E Akutagawa era anche allergico alla polvere.
Che giornata di merda.
 
Uno dei più grandi errori che si poteva fare, era pensare che non si potesse andare peggio di un certo limite.
Perché i film lo insegnano sempre, quel limite è altamente variabile e di solito mai in meglio.
Il che era probabilmente l’esatto motivo per cui Dazai Osamu e Nakajima Atsushi erano seduti di fronte a loro, e tutti gli altri tavoli della mensa erano occupati.
Ormai il nervosismo di Akutagawa era scemato in rabbia placida e persistente come le occhiatacce che rivolgeva ai due, mentre Chuuya era molto simile alla versione reale di una ragazzina di un qualche anime che qualche volta gli capitava di vedere in televisione.
Di quelle costantemente incazzate e violente, e non poteva biasimarlo fino in fondo.
La cosa curiosa era che tutto il suo malumore era diretto a Dazai, che aveva un placido sorriso stampato in faccia, come se tra loro regnasse la pace e la concordia.
‘Sempre detto che quello lì aveva qualche neurone mal funzionante.’
E Akutagawa aveva sviluppato la solida convinzione che quello che Chuuya nutrisse per Dazai non era odio, o antipatia.
Era una cotta stratosferica da cliché, ma evitava di dirglielo giusto perché in fondo non erano affari suoi.
-allora, per oggi pomeriggio direi di dividerci in gruppi, così è più facile. Vero, Chuuya?- chiese Dazai con il suo solito tono allegro e un sorriso idiota.
Chuuya, per tutta risposta, trasalì e lo guardò come se fosse la causa di tutti i mali dell’umanità.
-non sarebbe più comodo se stessimo tutti da soli?- propose con un tono che non ammetteva repliche.
Che evidentemente Dazai non afferrò.
-ma sai, dividersi è il primo modo per morire nei film horror. E io non voglio che la mia morte sia un cliché dei film horror.- disse mettendo su un broncio che sia Akutagawa, sia Chuuya, gli avrebbero cancellato a suon di pugni.
A far prudere le mani di Akutagawa ci si mise anche Atsushi, che annuì come se Dazai avesse appena rivelato il quarto segreto di Fatima.
-allora io sto con Akutagawa e tu con Atsushi.- ribattè convinto Chuuya.
A quel punto il corvino sospirò teatralmente.
-no, questa può essere anche l’occasione di conoscerci meglio! Quindi Atsushi sta con Ryunosuke e io sto con te!- esclamò allegro.
Dal tavolo si levarono tre proteste distinte, e la cosa che più lo colpì fu il “ma io non voglio stare con lui” borbottato da Atsushi.
‘ricambio senza riserve, Jinko’
Dazai ignorò tutti e tre, alzandosi e facendo per andar via.
-e chi cazzo ti ha dato il permesso di chiamarmi per nome?!- sbottarono insieme Chuuya e Akutagawa.
Anche quella replica si perse nel vuoto.
 
Quindi, quando ormai era quasi buio e la scuola era deserta, Dazai consegnò agli altri tre tutto l’occorrente per pulire –ovvero una scopa malandata e un secchio con dentro uno straccio bagnato a testa- e rivolse loro un altro dei suoi irritanti sorrisi.
-bene, prima cominciamo e prima finiamo. Andiamo, Chuuya!- disse trascinando dal lato destro del corridoio il rosso, mentre Akutagawa guardava con aria funerea prima il secchio fra le sue mani e poi Atsushi.
Ignorò l’esclamazione estasiata di Dazai da una delle classi,“wow, questa trave è perfetta per impiccarsi!”, sebbene concordasse in pieno, e camminò verso l’altro lato del corridoio, senza premurarsi di sapere se Atsushi lo stesse seguendo o meno.
Era comunque un posto abbastanza buio e isolato per commettere un omicidio e nascondere un cadavere.
Di chi ancora non lo sapeva.
La scuola, in ogni caso, pareva non essere pulita decentemente dall’ante guerra, e Akutagawa si sentì morire guardando la quantità industriale di gomme da masticare appiccicate sotto i banchi.
-uccidimi ora.- borbottò ad Atsushi, che fece una smorfia schifata quando a una delle gomme ne trovò attaccate altre tre, sapientemente impilate una sull’altra.
-solo se lo fai prima tu.- ribatté l’albino.
Akutagawa sospirò e buttò tutte le gomme che era riuscito a staccare nel cestino della classe.
-se io ti uccido poi chi uccide me?-.
L’altro alzò le spalle e uscì dalla classe.
-Dazai-san potrebbe consigliarti dei metodi di suicidio davvero creativi.- disse entrando nell’aula successiva.
Akutagawa pregò che fosse in uno stato un po’ più decente, ma le uniche domande che gli vennero in mente quando entrò furono se la trave sul soffitto poteva reggere il suo peso e quanti fogli di alluminio servissero per fare una palla così grande.
 
L’opera di pulizia della classe finì quando ormai la luna era alta nel cielo e Akutagawa sentiva un leggero bisogno di sdraiarsi a terra e andare in coma.
Anche e soprattutto per non sentire Chuuya che inveiva contro il mondo e Dazai.
-idiota, spreco di bende, maniaco suicida, lo voglio morto!- urlò, dando un calcio al cestino della spazzatura di metallo e gemendo quando si rese conto che effettivamente era molto duro e stabile, soprattutto perché ancorato alla strada.
-Chuuya.- disse Akutagawa con tutta la serietà del mondo, guardandolo con gli occhi grigi.
-dimmi.- gemette l’altro, che ora zoppicava per il dolore al piede.
-hai mai pensato che possa piacerti, Dazai?- chiese. Non poteva più tacere, era abbastanza palese, per lui che conosceva Chuuya da davvero tanto tempo.
Ci fu un attimo di sinistro silenzio, e l’unico rumore che si poteva sentire erano le cicale e il vociare in lontananza di qualche anima ancora in giro al buio in quel quartiere sperduto e malfamato di Yokohama.
Poi Chuuya esplose in una risata vagamente forzata e isterica.
‘Male, molto male.’
-ti pare che mi piaccia Dazai? Secondo la stessa logica a te dovrebbe piacere Atsushi.- disse alzando la voce di un’ottava di troppo.
Ecco, l’aveva detta l’eresia.
-no, perché sebbene Jinko sia una delle persone che più detesto non trovo ogni pretesto per litigarci che, diciamocelo, è l’unico modo plausibile in cui potresti interagire con Dazai.- ribatté il più alto con la solita calma che lo contraddistingueva.
-…comunque secondo me a te Atsushi piace.- borbottò Chuuya nel vano tentativo di cambiare discorso.
Il che era fuori questione.
Quello che Akutagawa provava per Atsushi era pura e genuina rabbia, furore, ira che infiniti addusse lutti agli Achei, voglia di prendere quella testolina albina e sbatterla contro il muro, perché quel maledetto ragazzino era così gentile e sempre alla ricerca di aiuto e compagnia con i suoi modi e tutto quello era da deboli e i deboli dovevano essere lasciati soli a perire.
Gliel’aveva detto Dazai quello, ma lui era stato abbandonato e invece Atsushi aveva tutto quello che lui, invece, non aveva mai avuto.
Ma questo non lo disse, non era da lui esternare così quello che provava e Chuuya sapeva fin troppo bene dove quel discorso volesse andare a parare e avrebbe iniziato a farsi altri mille filmini mentali.
La cosa che contava era che a lui Atsushi non piaceva, per nulla.
Già, le ultime parole famose.
Però i film insegnano anche questo, e probabilmente Akutagawa avrebbe dovuto dar loro ascolto.
 
Quello che Akutagawa provava quando c’era troppa gente attorno a lui non era la semplice esagerazione di una persona molto introversa, era più un peso opprimente all’altezza del petto, l’idea che non si sarebbe mai potuto mescolare con quelle persone perfettamente normali e la voglia di scappare e nascondersi in un posto isolato, silenzioso e sicuro.
Tutto ciò lo faceva sentire debole e inutile, ma quando quella sensazione lo investiva aveva solo bisogno di stare da solo e aspettare che il respiro tornasse normale –nei limiti del possibile per lui.
Era una cosa altamente degradante.
Alzò la mano e chiese al professore di economia, Fitzgerald, di andare in bagno, e nemmeno quello stronzo patentato gli avrebbe negato il permesso, vedendo come tossiva convulsamente.
Il bagno gli sembrò lontano come l’Europa, in quel momento.
Alla fine si chiuse in un cubicolo e cercò di regolarizzare il respiro, riuscendoci solo diversi minuti dopo, e indugiò parecchio prima di tornare in classe.
Alla fine il suo udito registrò un flebile rantolo proveniente dal cubicolo accanto, e sorprendentemente quella voce sembrava simile a quella di Atsushi.
Si disse che era impossibile, perché alla fine quel ragazzo sembrava abbastanza sereno e normale da non avere quel tipo di problemi.
-ehy, Jinko?- chiese comunque, più che altro per soddisfare la sua curiosità personale.
Non ricordava nemmeno più come fosse nato quel soprannome, ma la maggior parte delle persone a scuola si riferivano ad Atsushi così.
-…n-non chiamarmi così.- rantolò la voce dall’altro cubicolo.
Quindi era davvero lui.
-come ti pare.- borbottò Akutagawa, che era anche abbastanza sorpreso dal vedere –sentire- Atsushi in uno stato che aveva riconosciuto subito come panico.
-inspira, conta fino a dieci ed espira. A me aiuta davvero tanto.- aggiunse dopo, sorpreso da sé stesso.
Decise che lo stava aiutando solo perché gli faceva pena, come gliene avrebbe fatta qualunque altro essere al mondo.
A quanto pare Atsushi seguì il suo consiglio, e lui rimase in silenzio per tutto il tempo ad ascoltare il respiro dell’altro regolarizzarsi.
Alla fine sentì la porta del cubicolo sbloccarsi, e anche lui aprì la sua, incrociando le iridi color tramonto del più piccolo –era davvero l’unico aggettivo che avrebbe potuto associare ai suoi occhi, e doveva essere un reato avere degli occhi così belli.
-grazie…- borbottò abbassando lo sguardo sul pavimento.
Akutagawa cercò di sistemarsi i capelli per essere il meno stravolto possibile.
-di nulla, Atsushi.-. Era la prima volta che pronunciava il suo nome ad alta voce, sembrava una parola di lingua straniera di cui avrebbe dovuto conoscere vagamente il significato.
-quindi anche tu…?- chiese interrompendosi a metà della frase, mordendosi il labbro inferiore pieno –e Akutagawa aveva una strana voglia, per la prima volta, di baciarle, quelle labbra. Ma avrebbe dovuto dare ragione a Chuuya e assolutamente no.
-sì, anche io ho degli attacchi. Molto più raramente che in passato, a dire la verità.- borbottò a disagio.
Non aveva la più pallida idea di come si facesse una conversazione civile, perché Chuuya ormai si era abituato ai suoi modi e leggere i suoi lunghi silenzi, ma per il resto del mondo Akutagawa rimaneva un rompicapo.
Quasi quanto Atsushi lo era per lui.
-e come hai fatto?- chiese l’altro trasalendo.
Il più grande alzò le spalle e si voltò, incamminandosi per tornare in classe.
-sono diventato più forte.- rispose sibillino.
Eppure a volte si sentiva maledettamente debole.
 
Tutte le persone nella testa di Akutagawa avevano un ruolo, una classificazione.
C’era la famiglia, e Gin era l’unica componente di quel gruppo. Forse anche Higuchi, che era la ragazza di sua sorella e quindi tecnicamente lo era.
La considerava soprattutto una persona di cui fidarsi anche nei suoi momenti più bui, quindi famiglia sia.
Chuuya era l’unica persona nella categoria “amici”, e dubitava che si sarebbe allargata di molto.
Dazai era in quella categoria di persone di cui non sapeva cosa pensare, lo conosceva sin troppo bene e sicuramente non era un suo amico. Probabilmente il suo mentore o roba simile, perché nonostante tutto gli aveva insegnato a essere più forte.
Atsushi era un grande punto interrogativo, un enigma che Akutagawa non riusciva a svelare.
Dopo quel fugace incontro in bagno i rapporti tra di loro si erano distesi, forse in virtù dell’avere qualcosa in comune –anche se Dazai continuava a sostenere che erano similissimi sotto molti aspetti.
Erano amici? Non credeva, ci voleva davvero tanto per essere suo amico, motivo per cui c’era una sola persona in quella categoria.
Era colpa sua che non sapeva relazionarsi con le persone.
Conoscenti? No, con loro si ha un rapporto di cordialità apparente, non si sa molto l’uno dell’altro e non ci si sente legati in nessun modo.
Non erano conoscenti.
I conoscenti non ti fanno fremere in quel modo, gli amici nemmeno.
Nessuna di quelle categorie che aveva già formulato nella sua testa spiegavano i sentimenti contrastanti che Akutagawa provava per Atsushi.
Gli ispirava serenità, allo stesso tempo gli faceva montare dentro una rabbia enorme, anche se negli ultimi tempi era diventata solo una placida fiammella destinata a spegnersi.
Gli faceva battere il cuore e agitare qualcosa nello stomaco, molto spesso il solo parlargli lo faceva stare meglio.
E gli piaceva vedere il calore che infiammava le guance dell’altro quando gli rivolgeva un mezzo sorriso o gli diceva qualcosa di velatamente gentile, si sentiva un po’ meglio giusto per averlo fatto felice.
‘no, no, no.’
Seppellì la testa nel cuscino, stringendolo convulsamente tra le sue mani ossute e pallide.
Atsushi rimase ostinatamente un punto interrogativo, perché Akutagawa aveva paura di starsi innamorando di lui.
Non andava bene.
 
Dal tetto della scuola si vedeva il mare di Yokohama e il tramonto che, dopo il rosso fuoco, tingeva tutto del medesimo colore degli occhi di Atsushi, era una delle cose più belle che Akutagawa avesse mai visto lì.
Non era comunque comparabile agli occhi di Atsushi.
Era diventato il loro posto, ci andavano sempre insieme e si sedevano a gambe incrociate lì, guardando il mare attraverso gli spazi larghi della ringhiera.
Lì Akutagawa gli aveva raccontato dei suoi trascorsi con Dazai, della sua infanzia ai margini della società e Atsushi gli aveva detto tutto riguardo l’orfanotrofio da cui era scappato e che ancora gli dava incubi e il cui ricordo gli mozzava il respiro e l’aveva distrutto in ogni modo possibile.
Si fidavano l’uno dell’altro, in un modo assoluto e puro a cui stentavano a credere entrambi.
Atsushi stava imparando a decifrare i silenzi sibillini di Akutagawa, e Akutagawa stava imparando a capire cosa c’era dietro i modi di fare di Atsushi.
Si stavano imparando a conoscere poco a poco, e qualcosa era sbocciato tra loro fragile e sorprendente come la nascita di una foglia primula.
Era un equilibrio precario e allo stesso tempo stabile, qualcosa che nessuno dei due sapeva spiegarsi.
-ehi, Ryu…- borbottò Atsushi avvicinando piano la mano alla sua.
Aveva deciso che Akutagawa era troppo formale e Ryunosuke troppo lungo. Quindi aveva iniziato a chiamarlo così.
-dimmi.- disse Akutagawa senza staccare gli occhi dal tramonto.
Ci fu un lungo attimo di silenzio.
Qualche secondo, interminabili minuti, delle ore?
Atsushi non sapeva dirlo.
-penso di essermi innamorato di te.- sussurrò, come se volesse tenere al sicuro quelle parole e quei sentimenti.
Akutagawa si voltò e lo guardò per un po’ con i freddi occhi grigi, incatenandoli in quelli di Atsushi.
Erano sempre indecifrabili e freddi come l’acciaio, ma c’era una strana luce che li animava.
-anche io.- .
Le labbra di Atsushi, premute sulle proprie, sapevano di felicità.
 
 
 
melloficent says
Mi sento una madre felice, anche perché questa roba è stata un parto.
Duemilanovecento e passa parole.
Dove cazzo è la mia medaglia.
È stata una sessione intensiva di tre ore e mezza in cui mi sono detta che dovevo finirla, perché avevo così tanto in testa e avevo paura di non riuscire a scrivere più nulla.
E ce l’ho fatta, dopo un sacco di tempo sono riuscita a scrivere qualcosa di così lungo.
Mi sento distrutta e ora devo pure fare i compiti mannaggia.
Nel caso siate arrivati fin qui e non vogliate lanciarmi pomodori, complimenti!
Non so quanto questa roba abbia un senso, il mio invito è a lasciare un commento qui sotto :D
(sì, sto elemosinando recensioni)
a presto,
-Akemi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Farai felice milioni di scrittori!
Chiunque voglia aderire a tale iniziativa, può copia-incollare questo messaggio dove meglio crede.
(© elyxyz)
  
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