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Autore: adler_kudo    07/03/2017    1 recensioni
Occorre poco affinché cambi una vita, qualche attimo perché essa finisca, pochi incontri per ricominciarla e un solo istante per abbracciare la morte.
Mail non aveva ancora idea di cosa fosse vivere, lo ha scoperto solo quando da morto ha incontrato la vita. [Seconda guerra mondiale AU]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio | Coppie: Matt/Mello
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1943, Linea ferroviaria Varsavia-Treblinka




Piove. Piove sul tetto arrugginito dello scomparto di treno dove in cinquanta stanno ammassati dalla mattina senza acqua né cibo. Piove sul serio. Si sente il ticchettio incessante delle gocce trapanare con perizia la scarna carrozza merci dove su pagliericcio sporco stanno coricati i passeggeri. C'è silenzio, nessun mormorio umano, solo il rumore rapido delle ruote sui binari che, come una melodia, li accompagna cullandoli nella monotonia di un viaggio senza poter scorgere un briciolo di paesaggio se non attraverso piccoli buchi per l'aria dai quali gocciola pure la pioggia. È umido l'ambiente, umido e caldo, lurido. Non ci sono molti bambini e quei pochi che ci sono sono orfani aggrappati alle gonne di zie o sorelle. Sono nello scompartimento per i soli, non per famiglie. C'è chi dice che in quello per famiglie ci sono i sedili. È passato un po' di tempo da quando sono partiti quella mattina; l'orario di pranzo è di sicuro passato dati i gorgoglii dello stomaco di molti, ma nessuno ha fatto ancora fermare il treno per dare loro da mangiare o anche solo da bere, o solo per vuotare il maleodorante secchio che funge da latrina comune posto all'angolo. Non c'è stata distinzione tra maschi e femmine e di questo Mail ne è grato; è ancora con sua sorella e suo fratello anche se non si sono più rivolti la parola da quella mattina. Non appena erano arrivati alla stazione erano stati caricati indistintamente su vagoni merci quasi fossero animali, ma in fondo è ciò che sono gli uomini, niente più che animali; sono stati spinti con la forza a salire, ci sono state urla, gente che si opponeva, piangeva, implorava; sono stati loro i primi ad essere buttati dentro. Non ci si deve far individuare dai tedeschi, se sai stare al tuo posto te la cavi più a lungo.

Mail si sistema meglio; la schiena appoggiata alla fredda parete scorrevole di metallo gli duole, così come il sedere su quella paglia usurata, ma non può alzarsi per sgranchirsi le gambe: pesterebbe solo le persone intorno a lui. Si scrocchia il collo in alternativa, ma così facendo attira l'attenzione di un vecchio dalla lunga barba seduto dirimpetto a lui.

-Tu che sei ariano dovresti startene fuori di qui.- gli dice con aria stanca.

-Lo decido io cosa sono. Voglio essere ebreo.- gli risponde Mail trattenendo il nervosismo. Non ha voglia di dare motivazioni, non sa perché ha fatto ciò che ha fatto, ma non vuole dare motivo a sua sorella di odiarlo ancora di più. Sente altri occhi puntati su di lui, occhi che negli anni ha imparato a conoscere; desidera più di ogni altra cosa una sigaretta, la sua unica compagna fedele, la tiene in tasca, ma non ha da accendere e non può fumare lì dentro. Se i tedeschi dovessero ucciderlo, vorrebbe solo fare un ultimo tiro.

-Non conosci la religione.- replica il vecchio.

-Non importa ai nazisti, nonno.-

-Ma importa a noi.-

La conversazione è costretta ad essere interrotta. D'un tratto si sentono stridere i freni e le rotaie sibilano sotto lo sforzo di arresto del bastimento. Molti si alzano. Attendono in trepidazione. Sarà cibo? Sarà morte? Nulla di tutto ciò. Le porte scorrono lateralmente e rivelano una normalissima stazione ferroviaria. Il mormorio si diffonde generale, mentre, invitati più cordialmente del previsto dai militari, i primi cominciano a scendere. C'è musica da sala d'aspetto nell'aria. La stazione è nuova, pulita, ben tenuta; cartelli indicano dove prendere i treni per svariate direzioni, l'orologio al muro indica le ore sei, vicino troneggia il cartello con la scritta della località nella quale si trovano: Treblinka.

-Statemi vicino.- consiglia Mail aiutando il fratellino e la sorella a scendere dal vagone. Vuole essere gentile, ma si guadagna solo un occhiata sprezzante da parte di lei, il bambino invece preferisce rimanere nell'ignoranza, è solo un bambino.

Mail ha notato che nella stazione qualcosa non va. È troppo perfetta per essere usata abitualmente; non una crepa, non un difetto d'usura, l'orologio ha la lancetta dei minuti ancora ferma nello stesso punto: è finto. La stazione è falsa, una copertura per tranquillizzare i più. 

I militari radunano tutti lungo il binario. Danno ordini in tedesco che quasi nessuno capirà e pretendono di essere intesi; per fortuna arriva un soldato, un ucraino, a fare da interprete. Mail non sa da chi abbia imparato il polacco, ma è di sicuro molto scadente come insegnante.

-Uomini sopra i sedici anni a destra. Donne e bambini a sinistra. Per la registrazione.-

Un ordine chiaro semplice e tondo. In fretta viene eseguito, ma prima di andare in molti si salutano, speranzosi di rivedersi. 

-Non vi preoccupate...- inizia Mail, ma viene interrotto da Wilhemina con un solo sguardo.

-Non ci serve la tua pietà, ariano.- sibila con durezza -Se vuoi soffrire per noi fallo pure. Noi non soffriremo per te.- 

Prende per mano i fratellino volutamente spaesato e cerca di trascinarlo via, ma questi si aggrappa ai pantaloni di Mail, rimasto senza parole.

-Il fratellone torna, vero?- domanda Henryk; nei suoi occhi e nel suo tono c'è tutta l'infantilità possibile, infantilità che ha perso troppo in fretta.

Mail si china alla sua altezza e lo guarda con un sorriso. Vuole rispondere di sì; vuole illuderlo che andrà tutto bene come molti padri stanno facendo in quel momento con i loro figli, ma sa che non è stupido e che quella domanda così bambina è solo il frutto della nuova maschera che ha indossato.

-Lo spero.- dice posandogli la mano tra i capelli chiari e scompigliandoglieli tutti -Tieni d'occhio Wil, conto su di te.-

-Sì.- annuisce anche con la testa e si lascia tirare indietro dalla sorella che non si volta indietro; ha già dato il suo addio.

Mail li guarda affiancarsi al resto delle donne e dei bambini. L'ultima immagine che vuole conservare di loro è quella di una giovane e fiera donna accolta tra le madri e di un piccolo e forte bambino pronto a sostenerla. Guarda per l'ultima volta i due fratelli, così diversi dal resto della folla che stonano quasi tra quella massa di capelli bruni; sorride nel vedere una donna raccogliere tra le mani i lunghi capelli biondi della maggiore e complimentarsene. Attende che siano entrambi entrati nella sala successiva dove le militari dicono loro di andare prima di accodarsi con gli altri uomini.

Nella sua fila c'è silenzio, non come in quella delle donne, dove si sentono il flautato vociare delle signore e i gridolini dei più piccini; gli uomini stanno in silenzio, i più a testa china, sfilano di fronte ai soldati armati. Debbono fermarsi di fronte ad un tavolo dove uno domanda l'età in polacco. Gli uomini rispondono e in base a questo viene indicata loro una porta a destra o una a sinistra. I più anziani vengono spediti tutti a sinistra, ma anche qualche altro più giovane si accoda a loro: sono per lo più magri, affaticati, vistosamente zoppi o storpi.

Tocca anche a Mail quel processo e risponde risoluto la sua età -Venti.-

-Porta a destra.- gli viene comunicato e lui esegue. Quando entra non vede la stanza che si aspettava di trovare. C'è un corridoio senza finestre illuminato solo da qualche rada lampada pendente dal soffitto; non è molto lungo, in breve arriva ad una porta dove c'è scritto Ankleideraum, spogliatoio, in tedesco. Avverte altri passi dietro a sé, ci sono altri che sono stati mandati con lui; apre la porta ed entra in uno stanzone grigio, anch'esso senza finestre e illuminato da poche lampadine, dove si sono ritrovati gli uomini già selezionati. C'è una porta di fronte a quella d'ingresso, ma è sorvegliata da una SS e da un ucraino in divisa tedesca; c'è anche un rubinetto gocciolante in un angolo, ma il cartello sopra di esso è a dir poco ironico verschmutzt Wasser, verboten, zu trinken: acqua inquinata, vietato bere.

Mail sbuffa. Ha la gola arida e sentire il gocciolio di quell'odioso rubinetto del quale non si può usufruire è deleterio, ma immagina siano questi i modi con i quali i nazisti intendevano logorare dal profondo la stirpe ebraica.

Attende in piedi per non sa nemmeno quanto tempo, mentre il corpo richiede sempre di più acqua e cibo, fino a quando l'ultimo arrivato chiude la porta. Sono in più di cinquecento in quella stanza, ma Mail ha notato essercene molte altre raggiungibili dal binario.

La SS prende dunque parola.

-C'è qualcuno che sa il tedesco?- domanda nella sua lingua natia. Nessuno alza la mano, forse molti per paura, ma Mail si sente in obbligo di farlo. Non che voglia riconoscimenti speciali, ma non ci tiene ad attendere la sfuriata dell'ufficiale su qualche malcapitato.

-Tu.- lo indica la SS dopo averlo individuato -Traduci.-

Mail annuisce e attende che questi inizi a parlare.

-Vi dovrete spogliare. Di tutto. Se avete orologi, portafogli o quant'altro di valore riponetelo accuratamente nelle scarpe e legatele insieme, così non si perderanno. Mettete i vostri pantaloni nell'angolo a destra e il resto a sinistra. Quando sarete tutti pronti verrete inviati a fare la doccia nella stanza accanto. Ci saranno dei controlli medici per la vostra salute e poi vi saranno assegnate le mansioni e verrete inviati al vostro alloggio.-

Mail traduce ogni cosa nel tono più chiaro possibile, alla parola “doccia” vede già gli occhi di molti tremare, il viso impallidire. Sono giunte alcune notizie fino a Varsavia e non sono promettenti.

Tuttavia eseguono tutti. Mail è stupito di vedere quanti oggetti di valore molti di loro possiedono, le loro scarpe luccicano d'oro da quanto sono piene; probabilmente pensano di potersi comprare i militari con quello. Per quanto lo riguarda non ha nulla di valore, l'unica cosa che ha in tasca è la sigaretta, ma si guarda bene dal lasciarla nei pantaloni dato che probabilmente verranno lavati. La ripone nelle usurate scarpe nere e si accoda con gli altri già pronti per la doccia. Non ha mai visto così tanti uomini nudi, di tutte le età, ma cerca di non farsi notare troppo: non è ebreo, non è circonciso, e le SS questo non lo devono vedere o gli farebbero domande.

Entrano veloci nelle docce, ci hanno messo fin troppo tempo e la SS si è spazientita, lo vedono dai suoi occhi. Una volta in quel nuovo stanzone dal pavimento concavo per far scorrere l'acqua attendono sotto innumerevoli soffioni. Quando la porta si chiude cessano il respiro per un attimo. Cosa accadrà? 

Mail avverte il pavimento bagnato sotto i suoi piedi; le docce sono state usate da poco, semplice acqua è infatti quella che tra lo sgomento generale esce. Tutti i beano sotto quella fredda cascata, emettono suoni di piacere, bevono quell'acqua e si rigenerano sotto di essa. Sono lieti di non essere morti.

Mail fa altrettanto: si sciacqua, ne inghiotte ingenti quantità e poi d'improvviso il getto cessa e una nuova porta si apre. Viene chiesto loro di mettersi in fila ordinata e di attendere il loro turno. Eseguono, ma fa freddo una volta bagnati. Per fortuna la coda si svolge veloce e quando Mail arriva sulla soglia immediatamente due spazzole spelacchiate dall'odore di tintura di iodio gli vengono passate su tutto il corpo alla bella e meglio, gli viene piazzato in mano un logoro indumento piegato e viene spinto in avanti. Giunge di fronte ad un banchetto dove un soldato ha posato sopra un registro con dei numeri.

-68 098- dice questo ad quello accanto a lui che gli tira il braccio sinistro verso di sé e inizia a imprimergli qualcosa con un attrezzo da tatuatore. Non è per nulla delicato, preme sul muscolo e non si cura della precisione della cosa; in pochi attimi ha terminato e Mail viene sospinto avanti verso un nuovo spogliatoio dove viene invitato a vestirsi. Si osserva il braccio dolorante: 68 098 impresso ad inchiostro blu sulla pelle circondato da un alone rosso. Vede altri con un numero simile al suo ai quali cambiano però le ultime cifre; comprende in un attimo cosa è: il suo nuovo nome.

Indossa quella che deve essere un uniforme dato che tutti l'hanno uguale, a righe verticali bianche e blu, ma gli è troppo grande e prude senza uso di alcun tipo di biancheria intima, senza contare che è troppo leggera per stare così all'aperto; nota che anche lì vi è appiccicata una stella gialla. È la prima volta che ne porta una e, non sa perché, se ne sente lieto; in qualche modo non lo disturba.

Ci sono anche degli scarponi marroni e usurati ai lati della larga stanza e ne prova un paio sfilandoseli immediatamente: sono ruvidi e scomodi, troppo grandi e senza calze sono improponibili. Tuttavia viene loro ordinato di farlo e così deve calzarli ripromettendosi di toglierli non appena arrivato dovunque doveva arrivare. D'un tratto la porta davanti a lui e ai suoi compagni si apre facendo entrare una ventata d'aria gelida; pian piano gli uomini escono, spinti anche dai soldati che intimano loro di andare, e rabbrividiscono al contatto con il freddo ambiente. Quando Mail esce si accorge che non è più giorno, il sole è calato, ma il campo non è buio: ci sono fari accecanti in ogni angolo che rischiarano quasi a giorno ogni centimetro quadrato. C'è ancora della neve ai lati di alcuni edifici e si gela con solo quella camicia indosso; nuvole di vapore escono dalle bocche dei suoi compagni che ansimano per il freddo e per l'attesa, alcuni di loro si stringono insieme per scaldarsi a vicenda. Ci sono muri di filo spinato che dividono le varie sezioni del campo, un cartello capeggia su di essi, Hochspannung, alta tensione; sentinelle armate monitorano i confini di ogni zona e non vi è quasi nessuno in giro tra i detenuti, quei pochi che ci sono stanno avanzando verso di loro con una grossa e pesante marmitta. La posano per terra, ma mentre già alcuni corrono attirati dall'odore di zuppa del contenuto, una SS spara verso l'alto riportandoli ai riga sull'attenti. Giungono con lui anche alcune guardie ucraine e altri due della sua specie; li fissano, li squadrano con disprezzo e odio. Mail ricorda in quel momento che sua madre diceva sempre che se una persona odia qualcosa è perché ne è spaventata, ma cosa di temibile hanno cinquecento uomini infreddoliti e disarmati per degli agenti del führer?

Lo stesso che ha sparato grida per farsi sentire da tutti.

-Qualcuno sa il tedesco?-

Mail non si offre volontario questa volta, non vuole farsi identificare subito e la sua zazzera fulva non aiuta di certo, ma al posto suo alcuni lo indicano e lo spingono in avanti. È già iniziata dunque la folle perdita di umanità nella quale uno sopravvive a discapito del prossimo. Se ciò che voglio farne dei semiti è distruggerli ci stanno riuscendo: stanno distruggendo la loro umanità.

La SS, un bruno dagli occhi verde marcio a giudicare con la luce artificiale disponibile, non si degna nemmeno di dirgli cosa fare, deve averlo già capito, e inizia subito a parlare in modo veloce, probabilmente pensando di metterlo in difficoltà.

-Cercate la vostra baracca, contrassegnata da due numeri con un intervallo di cinquanta. Cercate quella corrispondente alla vostra identificazione. La normale prassi è, per l'igiene, quella di radere i capelli, ma è tardi perciò verranno solo rasati coloro che portano barba e baffi. Mettetevi in fila, mostrate la vostra identificazione e riceverete il pasto. Portate la gavetta con voi. Una volta terminato andate nei vostri alloggi e attendete istruzioni da parte dei responsabili.-

Ordini chiari e puntuali che Mail traduce alla lettera. Si dispongono in fila e ricevono la cena: zuppa di acqua sporca e verdure mal curate. Mentre desina, osserva i tre ufficiali e uno di loro lo colpisce particolarmente: non ha lo stesso sguardo impassibile degli altri due, nonostante abbia il volto nascosto dalla visiera del cappello, si nota rabbia nei suoi occhi azzurro ghiaccio; pare che abbia i denti digrignati, celati dalle labbra ben serrate; è giovane, molto giovane, avrà sì e no la sua età. Ma è tedesco, nazista, e tanto basta ad avvertirlo che non si possa fidare di lui, anzi molto probabilmente è uno dei più violenti. Il dubbio diviene certezza quando ad un uomo di quelli che servono la zuppa cade di mano una delle ciotole e questi si avventa su di lui con forza inaudita trascinandolo dietro la baracca più vicina. L'uomo implora, piange e strepita, ma la mano della SS è già sul manganello che porta al fianco; svoltano l'angolo e si sente un primo violento colpo seguito da suppliche. Mail non sa cosa fare, vorrebbe porre fine a quella violenza, ma non sa se ne è in grado. Gli altri già ignorano quei pianti e quei colpi, ma lui non può fare a meno di udirli, li sente come se fossero sulla sua pelle. La cosa continua per un po'; molti hanno finito il loro magro pasto e si sono già avviati agli alloggi diligentemente, gli ufficiali e le guardie sono tornate alle loro mansioni. Strisciando tra la folla, dunque, si avvicina al retro della baracca e restando nella penombra scorge a terra l'uomo, seduto, sporco, ma non ferito; l'ufficiale invece ha percosso una botte e delle assi di legno che ora sono sfasciate al suolo. Mail guarda la scena allibito e fa un passo avanti non appena vede il tedesco offrire la mano per rialzarsi all'uomo.

-Vedi di non farti più beccare, Henryk.-

-Lo farò, grazie, signore.-

Questi sguscia via incolume e il soldato ripone il manganello sospirando, per poi riafferrarlo pronto per attaccare Mail, che con il pesante scarpone ha accidentalmente smosso delle schegge di legno.

-Che ci fai qui?- domanda acidamente. È diverso dagli altri nazisti, pare che voglia giustificare il suo comportamento, quando invece dovrebbe sentirsi superiore.

-Volevo vedere se stava bene.- confessa Mail non riuscendo a trattenere un piccolo sorriso. Sa che non deve fidarsi, quello potrebbe essere stato solo un favoritismo in nome di una vecchia conoscenza, ma l'ufficiale risponde -Certo che sta bene. Andrai a dirlo ai superiori, vero? Per un trattamento di favore.-

Mail scuote la testa in segno negativo.

-No? Mi ricatterai allora?-

È strano il tono calmo con cui lo dice.

-No.-

-Perché no?-

-Perché mi uccideresti prima che possa farlo.-

-Solo per questo?-

-Credo di sì.-

-Mi hai dato del tu.- gli fa notare l'ufficiale voltandosi finalmente a guardarlo negli occhi.

-Hai la mia età, perché dovrei darti del lei?-

-Come ti chiami?-

Mail è già pronto a sollevare la manica del braccio sinistro per mostrargli il numero, ma l'altro lo ferma.

-Il tuo vero nome.-

-Mail.-

-Come mai sai il tedesco?-

-I miei genitori erano di Berlino.-

-E ora sono..?-

-Morti.-

-Qui?-

-Oh, no. A Varsavia.-

C'è un attimo di pausa in quella strana conversazione tra un nazista e quello che tutti credono essere un ebreo.

-Vai al tuo alloggio, Mail.- fa infine il ragazzo allontanandosi.

-E tu?- lo blocca Mail.

-Io cosa?-

-Come ti chiami?-

Nota nei suoi occhi ghiaccio una sfumatura di sorpresa; nessuno gliel'ha mai chiesto forse?

-Mihael.- risponde grave e si allontana senza girarsi indietro.

  
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