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Autore: Heihei    09/03/2017    2 recensioni
TRADUZIONE
La storia è stata scritta da Alfsigesey e pubblicata su fanfiction.net in lingua inglese.
Bethyl post-finale della 4 stagione
"Nulla sarà più facile di nuovo. Scappare da Terminus, sconfiggere una mandria di vaganti, cercare provviste. Ma niente di tutto ciò sarà difficile come innamorarsi e provare a costruire una vita insieme in mezzo a tutto questo."
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Carol Peletier, Daryl Dixon, Un po' tutti
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Violenza
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IL LIVELLO PIU’ ALTO


 

 

 

Dalla cima della torre idrica, Beth ripercorse con la mente, guardando i boschi circostanti, le ultime due settimane trascorse. Con Judith stretta al suo fianco, spostò lo sguardo su Terminus attraverso il cannocchiale malandato. Non riusciva a vedere l’interno del campo, ma solo alcuni edifici e poche strade.

Non potendo vedere di più, ritornò a guardare i boschi, alla ricerca del punto in cui lei e Daryl si erano messi in salvo dopo che Brady e i suoi avevano tentato di usarli come esca per distrarre la mandria. Cercò i sentieri che avevano seguito fino alla cittadina senza nome, dove adesso la chiesa di padre Gabriel era completamente annerita dalle fiamme, abbandonata a se stessa sulla collina. Ricordò la notte trascorsa nella stazione di polizia, il suo incontro con Randal e il sollievo che aveva provato quando ritrovarono la loro famiglia.

Sembrava che fosse passato molto tempo da quegli eventi, perché molte cose erano cambiate. Basti pensare all’imbarazzo e alla tensione tra lei e Daryl durante quei giorni.

Il loro primo campo doveva essere nascosto dietro le colline, in lontananza, mentre era quasi certa di aver trovato la zona del motel. Ripensò ai giorni di caccia con Daryl, in cui erano stati finalmente un po’ da soli.

“Ehi, è il mio turno.” Tara le diede un colpetto sulla spalla.

Ritornò alla realtà raddrizzandosi con un sospiro, invitandola a prendere il suo posto.

Tara si piegò avidamente sul cannocchiale e, appena vide quello che Beth stava guardando, alzò lo sguardo su di lei.

“Non eri per niente vicina a Terminus”, si lamentò.

Beth scrollò le spalle. “Non si può vedere l’interno, in ogni caso.”

Lasciando Tara al suo momento di supervisione, si sedette a terra a gambe incrociate, girando Judith in modo tale da ritrovarsela di fronte.

“Quest’affare fa schifo”, sbuffò Tara, che voltò le spalle al cielo, appoggiandosi alla ringhiera.

Eugene non era molto distante da loro, corrucciato a guardare verso Terminus. Beth aveva iniziato a pensare che quel cipiglio e quegli angoli della bocca sempre abbassati fossero la sua espressione standard.

Per qualche minuto, a nessuno venne in mente di dare inizio a una conversazione, eccetto Judith, che balbettava qualcosa ogni due secondi. La bambina fu la distrazione di cui Beth aveva bisogno: ascoltarla farfugliare chissà cosa e speculare su quali potessero essere le sue prime parole era sufficiente per tenere la mente, almeno in parte, occupata. In parte perché la preoccupazione non l’abbandonava mai del tutto, non poteva. Sapeva che era così anche per Eugene e Tara, essere sempre lasciati indietro era frustrante, anche quando, o meglio, soprattutto quando il gruppo lo faceva per la loro sicurezza. Beth odiava che loro fossero in pericolo mentre lei era al sicuro su quella torre, anche se era la decisione più sensata in quel momento. Qualcuno doveva proteggere Judith, era quello che le avevano detto tutti, ma non riusciva a smettere di sentirsi stufa di quel trattamento. Era probabile che proprio in quei momenti loro stessero combattendo per rimanere in vita, mentre lei se ne stava lì, seduta sul suo culo, ad ascoltare il fruscio del vento.

Tara decise di rompere quel silenzio.

“Allora, tu e Daryl… è recente?”

Aveva l’aria di non essere poi così tanto interessata all’argomento, se non quanto bastava per smorzare la tensione.

Beth si strinse nelle spalle “Sì… più o meno.”

Tara aggrotto le sopracciglia, ma poi annuì. “Ho capito che vuoi dire.”

Ignorandola, cominciò a raddrizzare le dita di Judith, ispezionandole per pulire la sporcizia che si era eventualmente depositata sotto le sue piccole unghie. Un tempo quel silenzio avrebbe infastidito anche lei, ma ora non più. Si chiese se quel cambiamento avesse avuto qualcosa a che fare con i suoi primi giorni con Daryl. Lui a stento le parlava e lei spesso era in imbarazzo, ma poi si abituò a quei silenzio e imparò com’era fatto, capì che aveva bisogno di tempo.

“Quanti anni hai?”, le chiese Tara, continuando a fingere un tono rilassato.

“Dovrei farne diciannove, uno di questi giorni.”

Aveva perso il conto dei giorni, ma, per fortuna, qualcun altro stava facendo attenzione alla cosa.

“Hey Eugene! Che mese è?”, gli chiese Tara, voltandosi verso di lui.

“Ottobre”, rispose lui automaticamente.

“Non credo.”

Iniziava a fare freddo, per essere ancora ottobre, pensò Beth.

“Novembre.” Eugene continuava a tenere lo sguardo fisso sui boschi.

“Qualcosa del genere.” Tara non sembrava così infastidita dall’aver perso la cognizione del tempo, così tornò, dopo pochi secondi di silenzio, all’argomento di prima. “Daryl sembra un tipo a posto, a tratti… terrificante. Ma non quel terrificante tipo Terminus, terrificante… più come Batman. E’ questo quello che ti piace di lui?”

Beth non riuscì a trattenere una risata. “Mi piacciono un sacco di cose di lui.”

“Ha una sorta di rude eleganza”, s’intromise Eugene con uno dei suoi soliti borbottii atoni.

Beth dovette trattenersi dal ridere quando vide il volto di Tara mutare in un’espressione che le stava diventando familiare, una sorta di sguardo nel vuoto che lasciava comunque trasparire la sua esasperazione. Ignorando l’uomo accanto a loro, tornò a guardare Beth.

“Lui è… sulla trentina? Quarantina?”

Beth fece ancora le spallucce.

“E’ bello che tu sia così sciolta su questo...”, Tara annuì in segno di approvazione. “Lo rispetto.”

Le tese il pugno e Beth dovette prendersi un momento per ricordarsi come doveva rispondere. Aveva seppellito i ricordi del liceo sotto tutti i segreti di quello stile di vita di sopravvivenza, autodifesa, caccia e babysitting che aveva condotto negli ultimi tempi.

“Batti il pugno!”, gridò non appena si ricordò, battendo il pugno con quello di Tara.

Judith si lasciò sfuggire un gridolino e allungò entrambe le braccia paffute verso i due pugni. Entrambe scoppiarono a ridere e finalmente Eugene diede le spalle ai boschi per girarsi verso le sue compagne.

“Dovremmo insegnarglielo!” Tara si accovacciò davanti alla bambina, le prese la mano e iniziò a sistemarle le dita in modo tale da formare un piccolo pugno.

Il suo vano tentativo di insegnarle a battere il pugno fu uno spettacolo carino per distrarli dalle loro preoccupazioni, ma non durò a lungo, soprattutto per Beth, che rabbrividì anche se si era calmato il vento. Passò Judith a Tara, che la accolse tra le sue braccia, e si avvicinò nuovamente al cannocchiale.

Non importava quanto cambiasse angolazione, non riusciva comunque a vedere nulla dell’interno di Terminus, se non le cime di qualche albero e i tetti di alcuni degli edifici bruciati.

Lasciando perdere il cannocchiale, incrociò le braccia al petto e scambiò un’occhiata con Eugene. Entrambi si affacciarono a guardare i boschi per qualche minuto. Sembrava che stessero guardando due lati diversi di uno stesso albero, ma sussultarono simultaneamente quando notarono uno strano movimento.

“Vaganti?”, chiese Beth, sperando che lo fossero.

“No”, rispose lui, che già si stava dirigendo verso la scala.

Beth si riabbassò subito sul cannocchiale per controllare. Eugene aveva ragione.

Lo sconosciuto si aggirava tra i boschi con un passo elegante ma troppo rapido e stringeva un fucile automatico. I suoi seguaci erano parzialmente oscurati dalla sua ombra. Aggiustò il cannocchiale e, quando riuscì a vedere il suo volto, il cuore le schizzò in gola.

Cominciò a correre verso la scala, mentre Tara ed Eugene erano ancora lì, fermi a discutere sul da farsi.

“Dovremmo restare qui!”, gli ricordò Tara in un sussurro, come se avesse paura di poter essere ascoltata da loro.

“Se qualcosa fosse andato storto, avremmo dovuto raggiungere il punto d’incontro. Qualcosa è andato storto”, ribatté Eugene. “Dai a me la bambina, ho maggiore forza fisica e posso scendere questa scala anche tenendomi con una sola mano.”

“E se invece semplicemente ci nascondessimo dietro la parete posteriore della torre finché...”, provò lei, impallidita per il pensiero di lasciare quel posto.

“Sono di Terminus”, li interruppe Beth, scuotendo la testa. “Probabilmente stanno venendo qui a prendere il cannocchiale, o dell’acqua, o forse altre provviste che avevano nascosto qui. Questo posto era loro e stanno venendo dritti verso di noi, dobbiamo andarcene!”

La discussione terminò lì.

Eugene stava già scendendo la scala, tenendo Judith con un braccio e mantenendosi goffamente aggrappato con l’altro, lasciando e riprendendo la scala gradino per gradino. Una volta toccato il suole, ridiede la bambina a Beth.

“Di qua!”

La seguirono senza esitazioni. Beth imboccò un sentiero lontano da quello che stavano seguendo quegli uomini. Sarebbe stato più lontano dal loro punto d’incontro, ma, essendo in discesa, potevano fuggire più velocemente.

Quando Judith cominciò a piangere, provò a rallentare per rendere il loro ritmo meno sballottante. Non le piaceva il loro modo di correre.

“Dobbiamo calmarla!” Tara si fermò, appoggiando le mani sulle ginocchia e ispezionando il bosco con occhi disperati. Le grida della bambina sembravano rimbombare tra gli alberi.

“Dobbiamo continuare.” Eugene guardava preoccupato la parte più alta della collina. Era senza fiato, lo erano tutti.

“Ci serve un posto dove nasconderci.” Beth si guardò intorno alla ricerca di un posto adatto, ma non c’era nulla in vista, solo alberi e terreno. “Zitta”, pregò Judith che continuava a lamentarsi vicino al suo orecchio.

“Oh, merda!”, sibilò Tara, inciampando all’indietro di alcuni passi.

Poi lo vide anche Beth: nella fitta boscaglia, contro alcuni alberi oppure a strisciare sul terreno, c’era movimento. Vide i loro corpi in putrefazione e i capelli arruffati. Zoppicavano scoordinati, smunti. Sentì il loro respiro logoro, i loro rantoli e le loro grida.

La morte era lì.

Arrivarono tutti insieme per raggiungere la loro preda, formando una piccola mandria in pochi passi.

“Andiamo!”, esclamò Beth sovrastando le urla di Judith, avvicinandosi a dove il terreno sembrava rialzato e incrociando le dita affinché trovassero un modo per nascondersi.

Raggiunsero il piccolo dosso, che non era alto, ma poteva diventarlo. Se si fossero stesi per terra, avrebbero potuto tentare di non farsi vedere dai morti o dai vivi, e poi si sarebbero preoccupati di calmare Judith.

“Cerca di farle succhiare le tue dita”, disse a Eugene passandogli la bambina. Poi si stese, respirando profondamente.

Quando tutti e quattro erano a terra sperando di passare inosservati, Judith tacque. Il suo viso era ancora rigato dalle lacrime, ma sembrava che il dito di Eugene l’avesse calmata abbastanza.

“Stanno venendo qui comunque.” Beth si alzò leggermente per intercettare il gruppo di vaganti e afferrare il masso più grande che riuscisse a trovare, per poi lanciarlo il più lontano possibile.

Il sasso colpì il tronco di un albero, ma il rumore non fu sufficiente ad catturare la loro attenzione, dato che fino a pochi minuti fa stavano udendo il pianto disperato della bambina. Erano circa dodici, troppi da affrontare da sola. Tara avrebbe potuto aiutarla, ma anche in due non avevano speranze senza l’uso di un’arma da fuoco e il rumore degli spari avrebbe solo peggiorato le cose.

“Ricordami di diventare più abile con l’accetta”, le disse la sua compagna con la voce tremante, probabilmente stava pensando la stessa cosa.

Dovevano affrontarli. Trovò un altro sasso e scagliò anche quello, ma non lo sentì neanche cadere. Non funzionò finché non aspettò che l’intero gruppo si avvicinasse. Per fortuna Judith era tranquilla. Ne afferrò un altro e lo lanciò in salita. Come sperava, questo fece un rumore più forte quando toccò terra e continuò mentre rotolava giù. Finalmente, attirò l’attenzione dei vaganti. Con le loro braccia a penzoloni, le ossa consumate e le bocche spaventosamente aperte, rivolsero la loro attenzione collettiva in salita, barcollando solo un po’ nella loro marcia per il cambio di direzione.

D’un tratto, sentì il familiare, ma sempre stridente, rumore di un colpo di pistola non molto lontano da lei. Si coprì immediatamente le orecchie e il suo cuore cominciò a galoppare. Vide il vagante più vicino a lei crollare a terra con un enorme foro nel cranio.

Ne seguì un’incessante pioggia di proiettili e molti altri caddero a terra. Beth si voltò per cercare con lo sguardo chi stesse sparando, ma, anche senza vederli, aveva già capito che erano coloro da cui stavano fuggendo prima.

Franco, il cui nome appena ricordato ebbe lo stesso effetto di un taglio con la carta, l’omaccione che era nella jeep da cui lei e Daryl erano scappati insieme, abbassò l’arma mentre gli altri abbatterono tutti i vaganti presenti in pochi sanguinosi istanti. I suoi occhi incontrarono quelli di lei.

Beth si ritrasse, ma era già troppo tardi.

“Mi ha vista”, sussultò. “Mi ha vista. Verrà qui.”

Si coprì la bocca con la mano, mentre tremava incessantemente.

Eugene ebbe il buon senso di tappare le orecchie a Judith con entrambe le mani. Fortunatamente, i rumori non l’avevano indotta di nuovo a piangere.

Tutti e tre guardarono Beth, scossi da quella notizia. C’era un’unica possibilità.

“Devo scappare”, disse.

“Cosa?! Non puoi!” Gli occhi di Tara si inumidirono.

“Ha visto me, ma non voi. Se corro in un’altra direzione, mi seguirà e non vi troveranno. Va tutto bene”, s’interruppe per un istante. Non poteva controllare in nessun modo il tremolio della sua voce o del suo corpo, ma aveva bisogno di un secondo per regolarizzare almeno il respiro. “Non fatevi vedere.”

Come schizzò fuori dal loro nascondiglio, sentì Franco gridare e i suoi seguaci si lasciarono andare a cori disgustosamente eccitati.

“Ecco la vostra cena, cani! Andate a prenderla!”, li incoraggiò.

Si sentì come se qualcuno le avesse strappato via il cuore dal petto. I suoi piedi cominciarono a battere il terreno da soli, correndo più veloce di quanto mai avesse fatto. Impedì al troppo slancio e alla gravità di attirarla al suolo, quasi perse l’equilibrio quando il terreno divenne irregolare in alcuni punti. Si aggirò tra gli alberi cambiando spesso direzione, girando intorno ai dossi e passando dove la terra era già rovinata, sperando di seminarli confondendo le tracce.

Non si era mai considerata velocissima nella corsa, ma evidentemente lo era più di loro. Non riusciva a sentirli dietro di sé e, quando si voltava a guardare oltre la sua spalla, non vedeva nessuno seguirla.

Dopo aver girato ancora intorno agli stessi punti e cambiando ancora direzione, riprese il suo ritmo iniziale.

Era sola nel bosco, armata di una pistola, otto proiettili e un pugnale affilato.

E le stavano dando la caccia.

   
 
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