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Autore: catoptris    10/03/2017    1 recensioni
Los Angeles era argomento off-limits, lo sapevano tutti. La ragazza iniziava a dare in escandescenza al solo sentirlo nominare. O al sentir nominare la famiglia Blackthorn.
La verità è che le mancavano più di quanto realmente volesse ammettere: ricordava a malapena gli occhi di Ty, il volto dolce di Dru, la sicurezza con cui si muoveva Livvy, i piccoli versi che faceva Tavvy - anche se ormai aveva sicuramente imparato a parlare. Le mancava perfino Mark, sempre con quell'aria da ragazzo perfetto e imbattibile, che lo accumunava in maniera inquietante sia con Jace che con il popolo fatato, del quale possedeva i tratti. Li ricordava vagamente, ma sapeva con certezza che erano delicati e precisi. Ma più di tutti, era Julian a mancarle. Il suo migliore amico, con il quale aveva affrontato anche troppo a soli dodici anni. Sarebbero dovuti diventare parabatai e restare insieme, lì nell'Istituto di Los Angeles.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Carstairs, Julian Blackthorn, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Izzy non era una che si spaventava facilmente, ormai lo sapevano tutti: sentirla gridare, quindi, fece precipitare metà Istituto in biblioteca. La prima a irrompere, con la spada sguainata, fu Clary – un tornado di capelli rossi, abiti larghi e fogli scarabocchiati, seguita a ruota da Simon e Alec.
“Cos’è successo? Izzy? Izzy!” chiamò Simon, allarmato.
“Non posso crederci!” disse lei invece, dando le spalle agli altri. Si bloccarono tutti, eccezion fatta per Alec che, raggiunta la sorella, dischiuse le labbra.
“Magnus?” domandò, inclinando il capo. Lo Stregone era in piedi davanti il divano, gli abiti sgualciti – chiaramente indossati il giorno precedente – e i capelli che gli ricadevano ai lati del volto morbidamente. Metà dei presenti in quella stanza non lo aveva mai visto così trasandato. “Cosa ci fai qui? È successo qualcosa?” chiese poi, mascherando l’ansia che iniziava a montare in lui.
“Sono dovuto tornare a Los Angeles –” iniziò, ma Alec lo interruppe subito.
“Hai lasciato i ragazzi da soli? Avresti dovuto chiamarmi!” squittì allarmato, avanzando di un passo verso Magnus che sollevò le mani.
“Sono con Lily, non contavo di restare fuori tutta la notte – sono andato all’Istituto per prendere alcuni libri,” nel sentir il nome della ragazza, Alec sembrava essersi calmato lievemente.
“Ed è tornato con un altro ragazzino,” li interruppe Isabelle, le mani sui fianchi e lo sguardo inchiodato sul volto di Magnus. “Che, per inciso, ha distrutto mezza cucina,” aggiunse, facendo schioccare le labbra.
“Ho già detto che mi dispiace,” protestò una vocina alle spalle di Magnus. Lo Stregone si fece da parte, rivelando una montagna di riccioli dorati e disordinati a nascondere un volto bambinesco. Alec dischiuse le labbra, così come Clary e Jace ai suoi fianchi.
“È uno Shadowhunter – si nascondeva nell’Istituto da giorni,” Magnus lasciò vagare lo sguardo per la stanza, come alla ricerca di qualcuno, quindi si soffermò su Clary che aveva – saggiamente – nascosto la spada. “Tessa e Jem lo hanno visto al Mercato delle Ombre da Johnny Rook,” si bloccò, sollevando una mano per farla passare tra i riccioli del ragazzo che protestò con un basso mugolio, ma non si scostò. “Jonathan Herondale,” aggiunse poi, guardando direttamente Jace. La sua mano si serrò attorno il polso sottile di Clary, mentre incontrava di sfuggita gli occhi azzurri del minore. “Ricorda i Blackthorn, parlavano spesso con Jonathan durante le indagini riguardo la convergenza,” riprese Magnus, sedendosi – esausto – al fianco del biondo.
“Uno di loro mi ha puntato un coltello alla gola,” dichiarò lui, tornando a chinare lo sguardo verso il pavimento. Indossava un paio di logori jeans stracciati sul fondo e una maglia troppo grande per la sua esile figura.
“Biscottino, potresti andare a chiamarli?” domandò in maniera retorica Magnus, prima di reclinare il capo all’indietro. Riuscì giusto a socchiudere gli occhi prima di sentire le braccia di Alec avvolgersi attorno i suoi fianchi, tirandolo in piedi. Protestò, poggiandosi sulla spalla del ragazzo come un essere privo d’ossa.
“Volevo solo riposare gli occhi,” piagnucolò. Alec, sospirando, gli stampò un bacio contro la tempia e si diresse verso la porta.
“Abbiamo delle stanze per quello, Magnus – Jace, ti dispiace restare con lui? Immagino avrete qualcosa da raccontarvi,” disse il Nephilim, praticamente trascinandosi dietro il compagno quasi completamente addormentato. Simon corse in suo aiuto, lasciando Izzy e Jace in biblioteca con il nuovo arrivo.

“Perché tu e Jules non parlate?” domandò Ty, lanciando uno dei pugnali. Emma menò l’ennesimo fendente contro il manichino che, questa volta, perse definitivamente la testa. Rigirandosi la spada tra le mani, la bionda si voltò e si strinse tra le spalle, tentando di non dimostrare quanto realmente quella domanda l’avesse messa in difficoltà.
“Ci incrociamo raramente, l’Istituto è grande,” replicò, riponendo l’arma e portandosi le mani al capo per sistemare la coda quasi del tutto sfatta. Ultimamente passava parecchio tempo con Ty – qualsiasi cosa, pur di evitare Julian. Era passata una settimana e ancora non si parlavano.
“Livvy continuava a chiedere di voi due a Cristina. È convinta ci sia qualcosa,” continuò il minore, scagliando l’ultimo pugnale della fila. Emma lo affiancò e, inarcando le sopracciglia, osservò il bersaglio: tre nella testa, uno sul collo, uno su ciascuna spalla, tre nel petto.
“Sei spaventosamente bravo, Ty,” esclamò, posandogli dolcemente la mano sul capo.
“E tu stai evitando l’argomento,” disse l’altro, scostandosi con un basso lamento. Emma si inumidì le labbra prima di arricciarle in una piccola smorfia.
“Ty? Ty sei qui?” entrambi si voltarono verso la fonte del suono, e la ragazza rimase pietrificata: sulla soglia della porta stava Julian, i capelli disordinati come sempre, con alcune ciocche sporche di colore, così come lo zigomo sinistro e la punta delle dita che teneva avvolta attorno lo stipite della porta.
“Che succede?” chiese il minore, facendo sì che lo sguardo di Jules non incontrasse quello di Emma.
“C’è il figlio di Rook in biblioteca – hanno chiesto di noi,” disse sbrigativo. Emma notò il lieve guizzo dei muscoli delle sue spalle quando si era reso conto che il fratello non era solo.
“Il – cosa? Perché è qui?” il tono di Ty parve diventare più irritato e, istintivamente, la bionda gli posò la mano sulla spalla. Lo sentì fremere sotto il suo tocco e, a poco a poco, rilassarsi.
“È uno Shadowhunter, Ty. Un Herondale,” spiegò gentilmente Jules, scostando lo sguardo sulla mano di Emma. “Ascolta, Jace e Izzy sono con lui, raggiungili mentre io vado a chiamare gli altri,” disse poi. Ty sollevò lo sguardo verso la giovane alle sue spalle che gli sorrise, rassicurante, facendo ricadere entrambe le mani ai lati dei propri fianchi. Il minore schizzò fuori dalla stanza, lasciandoli soli.
Emma inspirò, voltandosi e dando in questo modo le spalle al ragazzo. Si mosse in avanti, verso le armi d’allenamento, ma non aveva la minima idea di dove metter le mani. Riusciva a percepirlo ancora, nella stanza, e sentiva il suo sguardo su di sé.
“Emma,” la richiamò, avanzando. Lei non si voltò ancora, respirando a fondo per tranquillizzarsi – detestava il modo in cui la faceva sentire. Debole, impotente, bisognosa di qualcuno al suo fianco. Non era mai stata così lei. Non lo aveva mai pensato. Non sarebbe dovuto essere così.
“Ho pensato all’altra sera,” riprese Julian, notando l’assenza di risposta dalla bionda. “Credo di aver fatto uno sbaglio – probabilmente mi sono solo lasciato trasportare, ma non sarebbe dovuto accadere, non” si bloccò qualche istante, come se non trovasse le parole giuste. O come se non sapesse esattamente cosa dire. “Non con te, ecco. È stato davvero un grande errore, ma spero di poter mantenere almeno un rapporto di amicizia,” continuò, stringendo le mani dietro la schiena. “Anche se capirei benissimo se non volessi più avere a che fare con me,” aggiunse. Notò l’improvvisa tensione dei muscoli della ragazza, e dovette far appello a tutte le sue forze per non precipitarsi ad abbracciarla. Stringerla a sé. Non doveva.
“Mi sembra giusto,” replicò lei con un filo di voce. “Ora ti conviene andare, gli altri ti aspettano e io devo finire di allenarmi,” aggiunse, continuando a non voltarsi. Julian annuì e, senza aggiungere altro, abbandonò la sala.
Fu allora che Emma crollò sulle ginocchia, piangendo lacrime silenziose che tratteneva da anni.

L’unica cosa a cui Julian riusciva a pensare erano gli occhi di Emma. Non li aveva visti mentre le parlava, e non sapeva se esserne più grato o dispiaciuto.
“Finché non ci viene detto qualcosa, non possiamo tornare all’Istituto di Los Angeles, Kit,” disse Livvy, colpendo quindi il fianco del fratello maggiore completamente assorto tra i suoi pensieri. Julian la guardò con gli occhi sbarrati e l’espressione confusa.
“Potrai restare qui,” si affrettò a dire Jace. Aveva una strana luce a illuminargli il volto: lo avevano notato tutti non appena erano entrati in biblioteca. Parlava con Kit come se lo conoscesse da tempo, e sorrideva.
Kit sollevò lo sguardo lentamente, prima verso Jace, poi verso il resto. Jules aveva capito cosa era accaduto a Johnny – ma non si aspettava assolutamente che un individuo come quello fosse uno Shadowhunters.
“Finché lui non mi punterà altri coltelli alla gola, mi sta bene,” mormorò, indicando Ty. Lui si irrigidì, incrociando le braccia al petto e sollevando lo sguardo al cielo.
“Era lavoro. Niente di personale,” replicò, sbuffando. Un piccolo sorriso divertito si fece spazio sulle labbra di Mark.
Allora Kit si voltò verso Jace, appoggiandosi nuovamente allo schienale del divano con un basso sospiro. Aveva l’aria di essere esausto.
“Mio padre ripeteva di continuo che tu sei uno dei peggiori Shadowhunter di sempre,” disse, rivolgendosi al biondo. “Fosse qui, gli chiederei il perché. Non lo capisco proprio.”
Quelle furono le parole che sciolsero la piccola riunione, lasciando solamente i due Herondale a parlare tra di loro.

Emma si rese conto di non essere più sul pavimento della palestra quando un piacevole calore l’avvolse come una coperta. Si era addormentata tra le lacrime senza neppure accorgersene.
“Jace?” mugugnò, sollevando lo sguardo. Le bruciavano gli occhi e le doleva il collo. Le labbra di Jace si curvarono in un piccolo sorriso mentre la stringeva con tenerezza, trasportandola lungo i corridoi dell’Istituto come se fosse leggera quanto una piuma.
“Fortuna che a trovarti sono stato io e non Alec,” le disse, voltandosi per aprire la porta della stanza della ragazza con le spalle. “Avrebbe sicuramente dato di matto,” aggiunse.
“Avresti dovuto svegliarmi,” protestò la ragazza nel momento in cui Jace la posava sul letto e si stendeva al suo fianco. Raziel, c’era qualche persona in quell’Istituto che non si era sdraiata lì?
“Hai ancora gli occhi rossi, Em, e non è allergia alla polvere,” le disse, sciogliendole i capelli per passarci le dita in mezzo. “Vuoi dirmi cosa è successo?” chiese quindi.
Emma sospirò, passandosi le mani sul volto.
“Julian vorrebbe mantenere il rapporto di amicizia,” disse di getto. Le sopracciglia di Jace si sollevarono di scatto mentre interrompeva il lento movimento delle dita tra i suoi capelli.
“Oh, e sarebbe un male perché – no, lascia stare, è inutile chiederlo,” replicò, mentre Emma socchiudeva nuovamente gli occhi. “C’è stato qualcosa tra di voi, non è vero?” le chiese quindi. Emma si morse l’interno della guancia prima di distendere le labbra in un flebile sorriso triste.
“Certo. Davvero un grande errore,” rispose. Le braccia di Jace si avvolsero attorno le sue spalle, attirandola a sé in un tenero abbraccio mentre sospirava.
“Detesto aver ragione,” borbottò, facendo sfuggire una breve risata a Emma mentre le lacrime riprendevano a scorrere sul suo volto. Detestava sentirsi così.

Vi chiedo immensamente scusa per il ritardo e per avere solo questo capitolo completato, ma la scuola mi sta tenendo impegnatissima e non ho quasi mai tempo. Cercherò di rimediare.
   
 
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