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Autore: SamuelRoth93    11/03/2017    0 recensioni
In un universo parallelo, precisamente nella piccola cittadina di Rosewood, ci sono quattro giovani e affascinanti bugiardi che lottano ogni giorno per nascondere i loro segreti. Perseguitati dalla misteriosa figura di A e dall'oscuro mistero che si cela alle sue spalle, riusciranno a mantenerli? Ma, soprattutto, riusciranno a sopravvivere?
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DICIASSETTE

“Working for A (Part I)”

 

 

Davanti al The Hart & Huntsman, Clarke stava prendendo un caffè con una giovane ragazza mora, quella mattina; una sua coetanea. In lontananza, all’angolo della strada, i due era spiati da Chloe.

“Devo dirlo, sono stupita che tu mi abbia contattato. – disse lei, ignara del motivo del loro incontro – Non ci sentiamo dai tempi del college.”

“Già, è passato molto tempo. – annuì, sorridendo ai vecchi tempi – Allora, Natalie Drew, come stai?”

“Molto bene, devo dire. – sollevò la mano, mostando l’anello che indossava all’anulare con eccitazione – Sto per sposarmi! Il prossimo Giugno.”

“Caspita, congratulazioni!” esclamò felice, proprio come lo era lei.

“Già, non ci credo nemmeno io. Ho sempre avuto delle relazioni disastrose, tu lo sapevi meglio di chiunque altro. Ma devo dire che… - lo fissò con un sorriso genuino – mi hai sempre tirato su di morale in quei momenti di sconforto. Hai anche predetto che avrei trovato l’uomo della mia vita prima o poi: ed è successo!”

“Sono contento per te, Natalie. Davvero, te lo meriti.”

“E tu che mi dici, Clarke Dimitri?”

“Nulla che tu già non sappia, no? – il suo sorriso si spense leggermente nel dirlo – Del resto, lavori per il Rosewood Observer.”

“Scusa, ti ho fatto una domanda stupida. Ho scritto io l’articolo sull’incendio a casa tua. – abbassò lo sguardo, mortificata - Mi dispiace.”

“Tranquilla, sono andato avanti.”

“Peccato che Jasper Laughlin sia fuggito e che nessuno riesca a trovarlo. Fa paura pensare che questo assassino sia ancora a piede libero dopo più di un mese.”

“Già…” accentuò le sopracciglia, scarno di parole sull’argomento.

“Allora, come mai hai voluto prendere un caffè con me, oggi?”

“Conosci Richard Stuart?”

“Lo scrittore? – rise – Certo, perché?”

“Perché sto per darti la tua notizia da prima pagina. – allungò il suo telefono lungo il tavolo – Cosa vedi?”

“Ma questo è suo figlio… Il mese scorso è stato aggredito assieme ai suoi amici da un paziente fuggito dal Radley. – osservò la foto con attenzione – E questo sembra proprio il Radley…”

“E’ il Radley, infatti.”

“Perché il figlio di Richard è al Radley?”

“Suo figlio non è al Radley; o meglio, non quello che tutti conoscono.”

Natalie restò confusa: “Aspetta, di che stai parlando? Non ti seguo.”

“Richard ha due figli, Natalie. Due Gemelli!”

“Quindi questo nella foto è uno dei gemelli?”

“Esatto. – annuì – Richard l’ha tenuto nascosto, è uno scoop questo!”

Quella si irrigidì, cambiando posizione sulla sedia: “Esattamente, cosa mi stai chiedendo?”

“Di scrivere un articolo, scoprire la verità su quel ragazzo!”

“Cosa? – sussultò – Non posso farlo, è una questione privata. I cittadini di Rosewood mi odierebbero, il Signor Stuart è amato da tutti.”

“Ricordi il secondo paziente fuggito assieme a Norman? La sua identità non è stata resa nota dalla polizia.”

“E allora?”

“E se ti dicessi che il secondo paziente fuggito era uno dei figli di Richard?”

“Clarke, non riesco a capire.”

“Potrebbe esserci qualcosa di grosso dietro. Il tuo articolo diventerebbe di dominio dei media, non resterebbe bloccato qui a Rosewood come una banale storiella dimenticata dal giorno dopo. Richard è uno scrittore abbastanza noto, ne parleranno tutti.”

“Perché lo stai facendo? – non capì, nonostante sembrò essere attratta dalla cosa – Che cosa ci guadagni?”

“Ho i miei motivi, voglio solo che tu scopra la storia di quel ragazzo. Sei l’unica che può farlo.”

Natalie lo fissò a lungo, cercando di scorgere il mistero che si celava nel suo sguardo. Alla fine, si alzò e prese la sua borsa.

“E’ stato bello rivederti, grazie per la chiacchierata!” esclamò con un sorriso di circostanza, per poi andarsene in maniera titubante.

Pochi minuti dopo, Clarke venne raggiunto da Chloe.

“Allora? Com’è andata?”

“Le ho messo la pulce nell’orecchio, vediamo cosa succede.”

“Speriamo bene, sono stanca di non sapere chi mi sta cercando.“ disse fiduciosa.

“Vedrai che scoprirà qualcosa, poi potremo tirare le somme e capire se quel ragazzo è davvero A!”

 

 

*

 

Tornato da scuola, nel pieno dell’orario di pranzo, Eric corse immediatamente al Brew per iniziare il suo turno di lavoro.

Non appena entrò, un uomo e una donna in completo nero si stavano allontanando dal bancone con i loro ordini. Fu Alexis ad averli serviti.

“Eric finalmente! - esclamò quella, mentre lui faceva il giro per entrare dietro al bancone – Ho una lezione fra venticinque minuti, stavo per chiamarti.”

“Scusa, c’era un po’ di traffico. – si giustificò, mentre indossava il grembiule e fissava i due clienti appena serviti con curiosità – Comunque chi erano quelli?”

“Quelli chi? – domandò distratta, mentre era intenta a togliersi il grembiule – Non essere enigmatico.”

L’altro glieli indicò con lo sguardo, sedevano in fondo al locale, e lei finalmente capì.

“Ah, quelli! Sono agenti dell’FBI, vengono da New york!”

“D-da New york, hai detto? – balbettò, sbiancando – P-perché? Che ci fanno qui?”

Quella trovò strana la sua reazione: “Ehm, devono svolgere un indagine, che ne so! – esclamò con disinvoltura, notando la sua agitazione – Perché tanto interesse?”

“Io? Interesse? – cercò di darsi un contegno, nascondendo con un sorriso la sua preoccupazione – No, è solo che è strano che due agenti di New york siano venuti fino a Rosewood. Dev’essere successo qualcosa di grosso.”

“Dici? – non le interessò un granchè – Sarà, ma io devo andare, adesso. – era di fretta - A stasera!” e gli passò accanto, uscendo dal bancone.

Eric le fece un cenno con la testa come saluto, poi spostò lo sguardo sui due agenti, seduti a bere il loro caffè e a leggere dei fogli.

 

*

 

Con i libri in mano, Rider aveva appena lasciato la sua classe, diretto verso il suo armadietto. Durante il tragitto incrociò Violet, ma distrattamente le passò accanto senza notarla, mentre quella, in procinto di parlargli non appena lo vide, rimase lì impalata in una smorfia alquanto basita; pensò che si sarebbe fermato e le avrebbe rivolto la parola.

Ovviamente, non digerì la cosa e si voltò a chiamarlo.

“Rider?”

Mentre quello metteva i suoi libri nell’armadietto, si voltò a piccole dosi, notando che Violet si stava rivolgendo a lui.

“Ehm…sì?” domandò distaccato, mentre continuava a sistemare l’interno del suo armadietto.

Quella si avvicinò, confusa: “E’ successo qualcosa per caso? Mi sei passato davanti come se fossi la donna invisibile.”

Rider chiuse lo sportello, abbastanza perplesso: “Come, scusa? Di cosa stai parlando?”

“Dovevamo vederci per quel caffè, poi ho saputo tramite la televisione cosa è successo a te e i tuoi amici. Sono venuta perfino a casa tua per sapere come stavi, prima delle vacanze di Natale, ma non ti trovavo mai a casa. Poi sono dovuta partire, perciò ti ho lasciato diversi messaggi; a cui non hai nemmeno risposto, tra l’altro.”

“Un caffè, dici? – trovò strano, per poi realizzare che forse lei e Nolan si erano conosciuti – Ooh, ma certo! – finse di ricordare, inventando una spiegazione – Scusa, sono davvero mortificato, ma devi sapere che dopo quello che mi è accaduto… Beh, ora partecipo a delle sedute di psicoanalisi; sai, per superare il trauma di quella notte. Mi hanno puntato contro una pistola, perciò…”

Quella si sentì stupida, comprendendolo: “Ma no, scusami tu. Dovevo immaginare che era per questo che mi stavi evitando. – gli sorrise – Il fatto è che ho apprezzato davvero molto il nostro avvicinamento alquanto inaspettato, visto che in passato non correva buon sangue fra noi.”

“Già, molto inaspettato!” sottolineò con molta ironia.

“Ascolta, quel caffè è ancora valido? Anzi, meglio ancora, potremmo tipo saltarlo e passare direttamente ad una cena o un cinema?”

“Ehm, magari ti scrivo io, ok? – cercò di defilarsi, fingendosi di fretta - Mi dai il tuo numero?”

“Ce l’hai già!” rise quella.

“Ma certo, è vero! – si diede un colpo sulla fronte – Che stupido che sono a volte!” esclamò, allontanandosi.

“Allora aspetto un tuo messaggio, eh?!”

“Assolutamente! Ciao!” scappò, mentre quella, appoggiata agli armadietti, lo fissò correre via con un sorrisetto spensierato.

 

*

 

A casa Blake, Nathaniel tornò finalmente a casa, dopo essere stato dimesso. Pete, il fidanzato di sua Zia Courtney, poggiò la valigia del ragazzo all’ingresso, mentre entravano.

“Casa dolce casa, eh?” gli sorrise la donna.

“Decisamente, Zia Courtney.    si sentì sollevato, ricambiando quel sorriso - Per un attimo ho temuto che mi avrebbero dimesso dopo una settimana o più.”

“E invece ti hanno liberato nel giro di tre giorni. – gli fece un occhiolino - Il medico deve aver apprezzato la mia voluta scollatura, mentre gli facevo pressioni sul farti tornare a casa.”

Pete, dietro Nathaniel, fece un colpo di tosse, lanciandole un’occhiataccia. Quella ricambiò con la stessa espressione, se non peggio.

“Oh, Pete, risparmiami la tua faccia seccata! Per poco tu e quella troietta di infermiera non vi scambiavate Instagram. – lo rimproverò, per poi rivolgersi a Nathaniel – Dovevi vederla, girava sempre sul nostro piano e, ogni volta, fissava Pete come un’invasata. – fulminò l’uomo, nuovamente – E veniva ricambiata la gatta morta!”

“Non la stavo ricambiando, è che la guardavo per sbaglio!” cercò di giustificarsi quello.

“Per sbaglio? – tuonò quella, facendo una smorfia incredula – Allora stanotte dormirai PER SBAGLIO sul divano, Pete!”

“Agli ordini!” roteò gli occhi con arrendevolezza, troppo debole per contrastare il suo carattere forte.

Dalla cucina, improvvisamente, arrivò Claire con il mestolo in mano.

“Finalmente siete arrivati, mi era sembrato di sentire le vostre voci…” li accolse con un ampio sorriso.

“Ciao, Mamma!” la salutò Nathaniel, mentre quella lo abbracciava.

“Ho fatto tante cose buone, spero che siate tutti affamati!”

Nathaniel sentì dolore alla spalla, mentre quella era ancora abbracciata a lui: “Ahh!”

“Oh mio Dio, scusami… - Claire si staccò da lui – Tutto bene, tesoro?”

“Sì, Mamma, non preoccuparti. – si sforzò di sorriderle, mentre il dolore si attenuava – Piuttosto, ho una fame da lupi, cosa ci hai preparato?”

“Tante cose buone, non sono nemmeno andata a lavorare oggi.” si mossè verso la cucina tutta briosa, facendo loro strada.

“E Papà?” le domandò, fermandola.

Claire si girò nuovamente verso di loro, lanciandosi un’occhiata cupa con Courtney. Subito, accennò rapidamente un sorriso, come se cercasse di nascondere qualcosa.

“Papà è al ristorante, purtroppo non ci raggiungerà. Jamie si è preso due giorni liberi, ha praticamente mandato avanti il ristorante da solo mentre eri in coma. Tuo padre era quasi sempre in ospedale con te; temeva potessero ucciderti come in quei casi di malasanità.”

Nathaniel reagì in maniera ostile: “Jamie lavora ancora per noi?”

“Certo tesoro, perché me lo domandi?”

“Niente, è che sono cambiate tante cose in un mese. Pensavo anche questa, ma a quanto pare ci ho sperato troppo!” esclamò, lasciando tutti abbastanza perpessi.

“Speravi che Jamie non lavorasse più per tuo padre? – intervenne Courtney, mentre erano ancora nel corridoio d’ingresso – Hai idea di quante studentesse del college vengano a mangiare nel vostro ristorante perché c’è quel fusto di Jamie a girare fra i tavoli?”

“Beh, non mi fido di lui. – ribattè Nathaniel - L’ultima volta che l’ho incontrato al ristorante, prima del ballo degli ex alunni, era un po’ strano.”

“Strano in che senso?” domandò Pete.

“Non ne ho idea, lasciamo perdere!” pensò Nathaniel, esausto.

“D’accordo, il pranzo si raffredda. – avvertì Claire, facendo cenno a tutti di spostarsi nell’altra stanza – Forza, andiamo!”

Quelli eseguirono, mentre Courtney e Pete continuavano il loro battibecco durante il tragitto.

“Sai, potrei guardare per sbaglio Jamie! Sono ancora giovane e attraente per lui.”

“Certo, prima però trova un rimedio per la tua prima ruga sulla fronte!” replicò l’altro, vendicativo.

Courtney spalancò la bocca, offesa, tirandogli uno schiaffo sulla spalla.

“Ritiralo subito! – esclamò isterica - Ritiralo, ritiralo, ritarlo, Pete!”

Nathaniel, che camminava dietro di loro, rise divertito.

 

 

*

 

Appena uscito dal palazzo che ospita lo studio di Wesam, Sam si imbattè in Cameron.

“Havery, ci incontriamo sempre!” esclamò quello, con il suo solito sorriso accattivante e il tono scherzoso.

Sam sforzò subito un sorriso, sorpreso di averlo incontrato: “Ehi, ciao!”

“Come stai? Ho saputo che Nathaniel è stato dimesso.”

“Caspita, non sapevo che Gossip girl fosse in città.”

“Sono rimasti tutti sconvolti da quello che vi è accaduto quella notte. – rabbrividì, cercando di mettersi nei loro panni – Un pazzo pricopatico che vi prende in ostaggio e cerca di uccidervi…Davvero terrificante, io me la sarei fatta sotto!”

Sam affondò le mani nelle tasche della sua giacca, abbassando lo sguardo, a disagio: “Già, terrificante è la parola giusta…”

Cameron restò a fissarlo, notando quanto fosse traumatizzato. Non sapendo cosa aggiungere, puntò lo sguardo sull’edificio dal qualche Sam era appena uscito.

“Sbaglio o qui c’è lo studio di quello psicologo?” domandò, supponendolo.

L’altro cercò, invano, di non sembrare misterioso: “Ehm, sì, ero giusto passato per disdire la seduta di oggi.”

“Sei venuto fin qui per disdire una seduta? – non se la bevve - Che fine hanno fatto i telefoni e le email?

“Ero nelle vicinanze, a dire il vero.” cercò di arrampicarsi sugli specchi, sempre più nervoso.

“Avanti, Sam. – provò a farlo confessare – In quel locale gay dove siamo stati, mi ricordo con chi stavi ballando. Ed era lo stesso uomo che poi ti ha rivolto la parola al ballo degli ex alunni.”

Nonostante l’evidenza, Sam non mollò così facilmente: “Che stai insinuando, scusa?”

“Guarda che l’ho capito che tu e lo psicologo avete una relazione. E poi, anch’io l’ho avuta con uno più grande di me: riconosco i sintomi.”

“Tipo?”

“Tipo, andare dove lavora!”

“Te l’ho detto, ero nelle vicinanze.”

Cameron continuò, come se non lo stesse ascoltando: “Quindi, o tradisci Nathaniel o la vostra relazione è finta.”

“Finta? – sorrise, fingendo di trovarlo ridicolo – E perché mai avremmo dovuto fingere?”

“Beh, dopo il video che avete girato con Anthony, diciamo che vi odiavano un po’ tutti, perciò… Usare la carta dei ragazzi gay che entrano a scuola per mano, facendo coming out davanti a tutti, fa breccia nei cuori. Resetta tutto. Fa notizia! E, come d’incanto, quello che c’era prima, viene dimenticato.”

Sam non ne potè più, arrendendosi: “Ok, basta, hai vinto! Ho una relazione segreta con il mio psicologo, contento?”

“Quindi Nathaniel è gay oppure no?”

“No, non è gay. L’abbiamo fatto per i motivi che hai appena detto tu.” mentì.

“Peccato, perché credevo che fosse gay anche prima di questa messa in scena…” pensò, abbozzando una faccia delusa.

“Aspetta, perché lo credevi? – restò incuriosito da quell’affermazione – Sai qualcosa che non so?”

Cameron si voltò verso la caffetteria che c’era alle sue spalle, per poi fare una proposta: “Se te lo dico, prendi un caffè con me?”

L’altro lo trovò come l’ennesimo tentativo di provarci con lui, incredulo e seccato: “Cameron, ancora?”

“No no, tranquillo, non ci sto provando con te. – mise in chiaro immediatamente – Certo, sei davvero un tipo strano visto che nessuno mi resiste, ma non ci sto provando. Lo giuro. Voglio solo essere tuo amico, è così difficile da credere?”

“Perché, Cameron?”

“Perché non ho così tanti amici come sembra. Le persone mi girano intorno solo perché sono bello, popolare e le mie feste sono leggendarie. – lo trovò triste da dire – Ma alla fine della fiera, nessuno mi gira intorno perché vuole sapere come sto o cercare di conoscermi davvero.”

Sam lo fissò a lungo, intenerito e compassionevole. Alla fine dovette arrendersi, ma da un lato era anche curioso di scoprire se Nathaniel fosse sempre stato gay o ha davvero capito di recente di esserlo.

“D’accordo, prendiamo un tavolo.”

“Alleluja, Havery! – esclamò, facendolo sorridere - Io che supplico qualcuno di prendere un caffè con me è una novità.”

“Beh, c’è sempre una prima volta!” aggiunse Sam, ironico, mentre si avviavano.

 

 

*

 

Rider, intanto, era al centro commerciale di Rosewood, nel reparto d’abbigliamento maschile, con il telefono all’orecchio.

Mentre attendeva che qualcuno rispondesse alla sua chiamata, sbirciò qualche vestito qua e là, teso. Finalmente ricevette risposta: da parte di Eric.

“Ehi, ciao, stavo per chiamarti…”

“Sam e Nathaniel non mi rispondono, evidentemente hanno di meglio da fare. – partì a raffica, isterico – Ora, almeno tu, puoi spiegarmi come mai mi ritrovo al  Rosewood mall  a cercare un outfit adatto ad un apppuntamento con Violet??”

Eric reagì sorpreso, oltre che confuso: “Cosa? Violet??”

“Ah, bene, dal tuo tono deduco che non ne sai niente. – prese un respiro profondo – Ok, Nolan deve aver stretto con Violet, mentre mi impersonava. Devo per forza continuare la messa in scena, poi dovrò inventarmi qualcosa per scaricarla. Non ho tempo per questo.”

“A proposito di tempo, prima al Brew c’erano degli agenti dell’FBI di New york.”

Rider si fermò bruscamente dal camminare: “Come? Da New york? – si agitò - Che altro sai?”

“E che diavolo ne so? So solo che New york = Edward Blanc!”

“E come avrebbero scoperto che è scomparso? Pensavo che A stesse tenendo tutto sotto controllo.”

“Non ne ho idea. – era teso anche Eric – Io credo che A non abbia capito per niente che abbiamo scoperto chi è il complice e che vogliamo consegnarglielo.”

“Ho provato a cercare Ector al Radley per farmi dare il computer e contattare A, ma sembra sparito.”

“E se A stesse cercando di incastrarci? Sono passati tre giorni da quando ci ha chiesto di consegnarli il complice, magari si è stufato di aspettare.”

“Infatti speravo di poter comunicare con A, chiedergli tipo una proroga; Clake non vive a Rosewood, come facciamo a catturarlo se non è qui?”

“Ascolta, io stacco tra dieci minuti. Ci vediamo da Nathaniel?”

“Sì, assolutamente. – uscì a passo veloce dal reparto di abbigliamento maschile - Dobbiamo pensare a come venire a capo di questa faccenda, al diavolo il mio appuntamento con Violet!”

“Va bene, a dopo!” chiuse Eric.

 

*

 

Nel frattempo, Sam e Cameron erano seduti ad uno dei tavoli esterni alla caffetteria, con molta gente intorno e il sole che batteva.

Sam vollè riprendere la conversazione da dove si erano interrotti: “Allora, mi dici cosa sai su Nathaniel?”

Cameron girò il suo cucchiaino dentro la tazza, raccontando: “Una sera ero su una di quelle nostre chat e c’era questo ragazzo in webcam con addosso una felpa aperta e tutti i suoi addominali in bella mostra. – ammiccò, mentre Sam restò abbastanza apatico – La faccia non si vedeva, ma la felpa era quella della squadra di nuoto: quella degli Shark!”

Sam restò leggermente perplesso: “Un secondo, tutto qui?”

“Ehm, sì!”

“Ok, ma come fai a dire che era Nathaniel? E quanto tempo fa è successo?”

“Lo scorso Marzo… - ricordò – E comunque sono certo che fosse Nathaniel, riconoscerei il suo corpo ovunque.”

“Ma non vuol dire niente, tutti i componenti della sua squadra hanno una tartaruga da urlo. E Nathaniel non è così stupido da tenersi addosso la felpa degli Shark.”

“Beh, io te l’ho detto. – gli sorrise scherzosamente - Magari mi sbaglio, ma almeno abbiamo fatto due chiacchiere.”

Sam gli lanciò un’occhiataccia: “Non riesco davvero a capirti, lo sai?”

“Avanti, Havery, smettila di fare il noioso. Noi gay dovremmo essere amici, raccontarci le cose…”

“Sentiamo, e cosa dovrei raccontarti esattamente?”

“Dici di stare con lo psicologo, ma ti interessi a Nathaniel non appena ti accenno un mio sospetto sulla sua presunta omosessualità. – lo fissò, intuitivo - Non sarà che hai una cotta per lui?”

“Ehm, ce l’avevo, ora non più. – rispose, poco credibile – Amo Wesam, sto con lui e mi fa sentire bene.”

“Io non credo proprio!” esclamò, fissandolo in maniera acuta.

A quel punto, Sam volse lo sguardo da altre parti, desideroso di volersi lasciar andare e sfogarsi: e lo fece.

“Ok, ascolta… - si fece più avanti con la sedia – La notte in cui siamo stati aggrediti, Nathaniel ha finalmente rivelato i suoi sentimenti per me. Prima di quella notte non ero sicuro che fosse gay, per questo mi sono interessato a ciò che mi stavi dicendo: volevo solo avere la certezza di alcune cose.”

L’altro rimase a bocca aperta: “Un secondo, Nathaniel ti ha detto di provare qualcosa per te prima del coma? – era elettrizzato - E ora? Come siete rimasti?”

“Ora sto con Wesam. Nathaniel sapeva che lo amavo, l’ha scoperto, ma…”

“Ma non sa che durante il coma ti sei messo con lui, giusto?” completò Cameron.

“Esatto, non lo sa. Però ha chiarito che non si sarebbe intromesso tra me e lui; proprio perché ha realizzato i suoi sentimenti un po’ troppo tardi.” concluse Sam, leggermente amareggiato.

“Interessante… - notò con attenzione quanto la cosa lo rattristasse – E Sam cosa pensa in tutto questo?”

“Ehm, cosa dovrei pensare? – trovò strana la domanda, sentendosi a disagio – Che vuoi dire?”

“Te la faccio semplice, Havery: sei innamorato di Wesam o di Nathaniel?”

“Sto con Wesam: secondo te?” sforzò un sorriso, come se nemmeno lui ne fosse convinto.

“Strano, però: non hai la faccia di qualcuno che è davvero innamorato!” esclamò con strafottenza.

“Sono affari miei, ok? – si seccò – Se ti ho detto che amo Wesam, allora è vero!”

“Calmati, non ti scaldare. Dico solo quello che percepisco, Sam.”

Più rilassato, Sam gli diede ragione: “Scusa, non volevo comportarmi da stronzo. E’ che prima che Nathaniel si svegliasse dal coma, li ho detto certe cose… Cose che penso tutt’ora.”

“Non puoi stare con il piede in due scarpe, Sam; quella è più una cosa mia. E non puoi nemmeno lasciare uno spiraglio di luce a Nathaniel, se stai con Wesam. E, viceversa, non puoi tradire la fiducia che Wesam ha in te, avvicinandoti nuovamente a Nathaniel. -  si meravigliò delle sue stesse sagge parole – Accidenti, mi sento come il Signor Giles in Buffy; solitamente non sono io a dare consigli.”

L’altro sospirò, rendendosi conto che aveva ragione: che c’era una guerra nel suo cuore e che doveva fare una scelta.

Quando spostò lo sguardo sulla strada, però, i suoi pensieri scomparvero con una nuvola di fumo portata via dal vento: Chloe e Clarke stavano passeggiando sul marciapiedi parallelo a quello loro, in lontananza.

“Clarke è in città!” esclamò Sam, alzandosi di colpo dalla sedia.

Cameron si girò a seguire il suo sguardo, ammirando la coppietta con un sorrisetto cinico: “Ma guarda, Chloe friendzoned si è sistemata con il fratello attraente di Anthony. Se fosse vivo, riderebbe fino all’ultima stagione di Grey’s anatomy; se mai avrà una fine quel telefilm.”

“Stanno insieme? – gli domandò, turbato dalla scena – Che ne sai?”

“Non è la prima volta che vedo Chloe con Clarke. Gli ho visti insieme anche al ballo degli ex alunni, lei è andata via con lui dopo l’esplosione.”

“Sì, l’ho vista anch’io. – ricordò Sam – Ma non vuol dire che stiano insieme, no?”

Cameron rise per qualche istante: “Ma dove vivi, Havery? E’ evidente che ha una relazione segreta o quasi: ho visto Chloe entrare anche nell’albergo dove alloggiava lui, una volta. E lo so per certo, visto che mio padre ne è il proprietario.”

“Davvero? – sgranò gli occhi - E’ andata nel suo stesso albergo?”

“Già, te l’ho appena detto! – ribadì, trovando strana la sua reazione – Come mai la cosa sembra turbarti? Hai per caso una cotta anche per Clarke?” scherzò nuovamente.

“No, è solo che è il fratello di Anthony. Non lo conosco molto bene, e a Chloe tengo ancora nonostante non siamo più amici come prima.”

“A proposito, come mai tu e Chloe non siete più amici?” si impicciò.

Sam prese la sua borsa da terra e tirò fuori una banconota dal suo portafoglio, buttandola sul tavolo: “Ora devo andare, mi ha fatto piacere parlare con te! Ciao!” esclamò, fuggendo via.

Non lasciò nemmeno il tempo a Cameron di salutarlo, che restò a parlare da solo: “Oook, ciao ciao. Che tipo strano quell’Havery!” pensò, pronto a pagare anche la sua parte del conto.

 

*

 

Dopo aver poggiato i suoi libri sul tavolo, Lindsey aprì il frigorifero per prendersi un succo fresco. Trasandata e con i capelli legati, si avvicinò al tavolo per versarlo nel bicchiere. In quell’istante, dalla porta sul retro, entrò Tasha; era sudata, indossava i leggins , un top che si intravedeva dalla cerniera aperta della felpa e le scarpe sportive.

“Tesoro, perché non sei venuta a correre con me? – si tolse le cuffie dalle orecchie, riprendendo fiato – Fuori c’è davvero una bella giornata!”

“Ehm, a dire il vero ho molto da studiare in questi giorni. – si toccò la fronte, il viso pallido – Magari un’altra volta.”

Prima che potesse dileguarsi, Tasha la fermò per un braccio, notando un comportamento insolito: “Lindsey, tutto bene?”

Quella la fissò dritto negli occhi, deglutendo con fatica: “Sì, sto bene. – finse un sorriso – Sono solo un po’ stanca, tutto qui.”

“Tesoro, è di nuovo quella Alexis? – si preoccupò per lei - Ti sta minacciando ancora? Sapevo che rigarle la macchina non era abbastanza.”

“No no, non c’entra nulla. Dopo avermi fatta lasciare con Julian, non ho più ricevuto altre minacce.”

“Allora cosa c’è?”

Lindsey, sotto pressione, iniziò a piangere: “E’ che sono successe tante cose in quest’ultimo mese…”

“Ti riferisci a quel pazzo che ha cercato di uccidere Rider e i suoi amici? Guarda che è morto, non può più fare del male a nessuno.”

“Tasha, ho giurato a mio padre di non dirlo, ma non ce la faccio più a tenermi tutto dentro. – tremò, mentre le lacrime scendevano copiose – Uno dei due pazienti fuggiti dal Radley è il gemello di Rider.”

“Cosa? – reagì confusa - Di che stai parlando?”

Poco dopo, le due erano sedute sugli sgabelli del tavolo, l’una di fronte all’altra: Lindsey le aveva raccontato tutto.

“Quindi Rider e questo ragazzo non sono nati da Zia Ellen?”

“No, ma da un’altra donna che non ho idea di dove viva o chi sia.”

Tasha incantò il vuoto, scioccata: “Rider non può aver affogato quel bambino, lo conosco da anni. – lo trovò ridicolo - Lui è sano di mente, questo Nolan potrebbe aver raccontato una balla.”

“Per questo mio Zio Gordon è tornato qui dall’Italia. Faranno delle sedute registrate, in modo da capire se è davvero stato Rider ad affogare quel bambino.”

“E dopo che succede? Rider finirà al Radley al posto di quell’altro?”

“Non lo so… - le scese una lacrima, sofferente – So solo che mi sembra di essere in un’altra casa e che non riesco più a guardare Rider con gli stessi occhi di prima dopo quello che Papà mi ha detto sul passato.”

“Tesoro, Rider non è un aspirante assassino.” la abbracciò, mentre quella piangeva fra le sue braccia.

“Tasha, per quanto ancora ti fermerai qui a Rosewood?”

“Ancora qualche giorno, ero venuta solo per passare a trovare Nathaniel Blake. – le sorrise - E i miei cugini preferiti.”

Lindsey si staccò lentamente, asciugandosi le lacrime: “Ancora in fissa per quel ragazzo? Tasha, per favore, lascia perdere.”

Quella le prese le mani: “Non devi badare a me. Ora che so queste cose, ti starò accanto. Non dev’essere stato un bel clima per te.”

“Già, peccato che non ci sia solo questo a preoccuparmi. – le lacrime ripresero – Tasha, io credo di essere incinta.”

A quella confessione, Tasha sgranò gli occhi: “Ne sei sicura?”

“Ho fatto il test due volte l’altro giorno ed è risultato positivo. – singhiozzò – E’ di Julian!”

“Oh, tesoro… - la fissò con empatia, realizzando in che situazione si trovasse – Non ti preoccupare, ci sono io adesso.” e la abbracciò forte.

 

*

 

Nel frattempo, nella camera di Nathaniel, era in corso una riunione del gruppo sugli ultimi sviluppi. Ognuno di loro era teso; Rider era poggiato di schiena alla finestra, Eric in piedi davanti al letto di Nathaniel, mentre ques’ultimo era seduto nel suo letto con le coperte fino alla pancia.

“Quindi è finita? – chiese proprio quello, nel panico - Stiamo per andare in prigione?”

Rider cercò di non darsi per spacciati: “Non ancora, non sappiamo cosa ci facciano qui quei due agenti.”

“Rider, per quale altro motivo due agenti dell’FBI dovrebbero essere qui? Per fare un tour del Brew e qualche selfie vicino all’albero più longevo della città? – intervenne Eric – Sono qui per Edward, siamo nella merda!”

In quell’esatto istante, Sam fece irruzione nella stanza.

“Clarke è in città!” esclamò, senza nemmeno riprendere fiato, chiudendo la porta.

Quelli lo fissarono, sgranando gli occhi.

“Bene, questa è una buona notizia… - pensò Rider, riflettendo – Abbiamo quello che vuole A, forse facciamo ancora in tempo a salvarci prima che sia troppo tardi.”

Sam non riuscì a seguirlo, facendo un smorfia confusa: “Troppo tardi per cosa?”

“Due agenti dell’FBI sono entrati al Brew prima… – lo aggiornò Eric, mentre l’altro diveniva pallido in volto – Tranquillo, per ora sappiamo che hanno preso solo una tazza di caffè e una ciambella.”

“Solo? – Sam pensò a quanto avesse minimizzato la cosa, spaventato – Ditemi che non vengono da New york, vi prego.”

Le loro facce risposero da sé. Lo sguardo di Sam precipitò verso il basso, gli mancò il fiato.

“Oh mio Dio, non ci credo…” scivolò con la schiena lungo la porta, sedendosi a terra con le ginocchia fino al mento.

Anche Nathaniel andò nel panico, subito dopo di lui: “Devo entrare in quel deposito!”

“Cazzo, Nat, vuoi prendermi in giro? – sussultò Eric – L’FBI è a Rosewood e tu pensi a farti beccare proprio nell’ultimo posto in cui dovresti essere?”

“Non sei tu il coglione dipinto su quella tela, ok? – alzò la voce, fulminandolo con lo sguardo – C’è la mia faccia lì sopra, quel pittore era un fottuto pittore vero e sapeva dipingere bene; mi riconosceranno in un secondo, andrò in galera prima di voi!” esclamò, sentendo male al petto.

Tutti si preoccuparono per Nathaniel, che si appoggiò alla spalliera del letto, chiudendo gli occhi e premendo una mano sul petto.

Rider avanzò verso il letto dell’amico: “Ok, facciamo tutti un bel respiro pronfondo. – si rivolse a tutti, poi subito a Nathaniel – Eric ha ragione, devi lasciar perdere il deposito. Bisogna prima capire cosa sta succedendo al distretto di polizia.”

A quella frase, tutti si voltarono a guardare Sam. Quello, però, non la prese bene.

“Un secondo, scordatevelo! Come dovrei esordire: “Ciao, Papà, per caso è iniziata l’indagine sull’uomo che ho seppellito nel bosco con i miei amichetti, il mese scorso?” … No, è assolutamente fuori discussione! Non ora che le tensioni con padre si sono affievolite durante il mese senza A.

“Ok, possiamo tornare al punto in cui Clarke è in città? – Eric attirò l’attenzione su di sé – A ha il potere di incastrarci o di salvarci, inutile fingere che non abbia i superpoteri, perciò… ci basta consegnarli Clarke e non dovremo affannarci così tanto nel cercare di non finire in prigione.”

“Va bene, mettiamo che riusciamo a consegnarli Clarke… - prese parola Nathaniel – Cosa mi dite di Jasper? E’ ancora nelle mani di A, non credo l’abbia ucciso.”

“Vuoi fare uno scambio con A? Jasper per Clarke?” intuì Eric dalle sue parole.

“E’ innocente, non merita di stare rinchiuso nel sotterraneo di chissà quale posto!” disse loro, Nathaniel.

“Nat, A non ci darà mai Jasper. – Rider lo riportò con i piedi per terra - Per la polizia, in questo momento, è un assassino ricercato: ed è proprio questo che ci mantiene tutti al secondo posto nel caso dell’omicidio Dimitri.”

“A meno che…” intervenne Sam, dopo aver riflettuto mentre discutevano.

“A meno che, cosa?” ripetè Eric, in attesa di ascoltare ciò che aveva pensato.

“Se mandassimo alla polizia il filmato delle telecamere di sorveglianza trovato a casa di Tyler, dimostreremmo che Anthony è ancora vivo e che Jasper è innocente: verrebbe scagionato dalle accuse a suo carico.”

“Se la polizia trovasse Anthony e A ci consegnasse Jasper, potrebbero entrambi incastrarci. – replicò Rider - Anthony ci farebbe colare a picco insieme a lui, mentre Jasper, a questo punto, farebbe qualsiasi cosa per uscirne dopo quello che ha passato.”

Nathaniel trovò tutto così assurdo e ingiusto: “Quindi consegnamo Clarke ad A, torniamo alle nostre vite e fingiamo che Jasper non esista?”

“Sì, Nathaniel, è esattamente questo che dobbiamo fare! – continuò Rider, rigido e deciso – Ragazzi, A lo sa che è stato Anthony ad investire Albert; era presente sulla scena dell’incidente e ha visto tutto. E ora che sa anche che è Clarke il complice di Anthony e non uno di noi, penserà che in tutti questi mesi abbiamo pagato abbastanza, ok? Una volta che avrà quello che vuole, ci penserà lui a far quadrare tutto quanto e a non mettere la polizia sulle nostre tacce e sulle sue. Finirà tutto!”

Dopo quelle parole, ognuno di loro abbassò lo sguardo, pieno di vergogna e senso di colpa.

“Lo so come vi sentite in questo momento. – aggiunse ancora Rider, un pizzico di sofferenza nella voce – Anche a me dispiace per Jasper, ma una parte di me vuole credere che quando tutto questo sarà finito, A troverà una soluzione anche per lui… - sospirò, cercando di convincerli - Sapete, ci sono molte persone nel mondo che cambiano aspetto, identità, non lasciando più traccia di sé. Qui non si tratta più di cosa è giusto o sbagliato, ma della nostra libertà contro quella di Jasper. E io, francamente, non mi sento colpevole di nulla per dover rinunciare alla mia. Tanto meno mi interessa cosa farà A con Clarke.”

Mentre Nathaniel e Sam avevano il volto girato verso altre direzioni, cercando di trattenere le lacrime e la rabbia, Eric decise di scegliere.

“Rider ha ragione, abbiamo tutta la vita davanti. E quello scambio che faremo con A rappresenta la chiave per aprire la porta che ci separa da tutto ciò che meritiamo di avere e di conquistare. Non è colpa nostra se siamo finiti in questo casino, siamo solo accorsi ad un messaggio di Anthony senza sapere perché ci avesse chiamati.”

Sam e Nathaniel si voltarono finalmente verso di loro, poi si guardarono l’uno con l’altro, come se stessero pensando di arrendersi e accettare.

Rider pensò di dare loro un ultimo incentivo: “Siamo tutti a pezzi, non devo di certo dirvelo io. Ma se non prendiamo questa decisione, la giusta decisione, la rimpiangeremo per sempre. Non ne usciremo mai. E io voglio così disperatamente uscirne.”

Anche Nathaniel fece la sua scelta, a suo malgrado: “Abbiamo un piano su come catturare Clarke?”

“Ehm, sì, in questi giorni ho fatto delle ricerche. – spiegò Rider - Ho accennato qualcosa ad Eric, in pratica dobbiamo procurarci un oppioide chiamato M99, che non è altro che un composto chimico che possiede un effetto analgesico molto più potente della morfina. Dovremo somministrarlo per endovena.”

In quell’angolino della stanza, Sam si lasciò scappare una risata isterica, mettendosi le mani sul volto per quel discorso così assurdo: “Oh mio Dio…”

“Sam, cosa ti prende?” gli domandò Eric.

“Per endovena? – Sam si tolse le mani dal volto, rispondendo con toco aggressivo – Almeno sappiamo come si fanno queste cose?”

“Sam, tranquillo, sarò io a farlo.” gli disse Rider.

“Ah, beh, scusami allora! – lo prese in giro, alzando le mani – Non sapevo ti fossi appena preso una bella laurea in medicina.”

“Non abbiamo altra scelta, ok? – ribattè Rider, infastidito - Inutile che ti metti a fare tutte queste scene, è così che prenderemo Clarke.”

“Così, come? – era curioso di sapere Nathaniel – Qual è il piano? Di certo non si presterà alla cosa di sua spontanea volontà, dobbiamo attirarlo da qualche parte.”

“Ragazzi, non è come decorare un uovo alle elementari. – si intromise Eric – Dobbiamo organizzarci.”

Sam trovò opportuno metterli al corrente di qualcos’altro, più calmo: “Quando ho visto Clarke, prima, era con Chloe.”

In seguito a questa confessione, Rider reagì confuso: “Con Chloe?”

Intervenne subito anche Eric: “Aspetta, non avevi detto che Chloe aveva lasciato il ballo con Clarke, quella sera?”

“Già, pensavo solo per un passaggio, ma a quanto pare c’è molto di più.”

“Pensate che lei sappia?” si chiese Nathaniel.

“Pff, nel sangue di Clarke scorre il sangue dei Dimitri: bugiardi patologici che pensano solo a sé stessi. – pensò Rider, certo – Sicuramente Chloe non ha la più pallida idea di con chi ha a che fare.”

“Appunto per questo, cerchiamo di tenerla fuori. – richiese Sam come priorità – Non voglio che qualcosa vada storto e che pur di riavere indietro la nostra libertà sacrificassimo anche lei.”

“Hai la mia parola, Sam. – gli garantì Rider – Nel piano che organizzeremo, faremo in modo che Chloe sia altrove mentre ci occupiamo di Clarke.”

“Allora siamo d’accordo?” domandò Eric, spostando lo sguardo fra loro tre.

Rider annuì, poi seguì anche Nathaniel e, infine, Sam: ormai era tutto deciso.

“Solo, facciamo presto. – desiderò Nathaniel, turbato – La ruota di A è ancora puntata sulla mia faccia e me la sto facendo davvero sotto.”

Naturalmente, Rider fu comprensivo nei suoi confronti: “Ci mettiamo all’opera, tranquillo.”

“Io, comunque, in questi giorni ho abbozzato uno schema su quello che sa la polizia fino ad ora. – Sam si sollevò da terra, aprendo il suo zaino e tirando fuori un quadernino – Ci sono due casi aperti e uno chiuso: Dimitri, Albert e l’aggressione che abbiamo subito al lago; in pratica siamo collegati a tutti e tre questi casi, senza contare che eravamo presenti anche all’esplosione della scuola, perciò mi chiedo come mai la polizia non ci abbia ancora arrestati.”

Rider aveva già una sua idea, a tal proposito: “Semplice: perché per loro risulta tutto un grande casino e A ha confuso ancora di più le carte in tavola, rendendo questi casi irrisolvibili. Per non parlare dei nostri alibi, che per ora reggono, tutto sommato.”

“Sì, ma se sopraggiungesse anche un quarto caso, possiamo prendere i nostri alibi e pulirci il culo. – Eric alluse al possibile ritrovamento di Edward Blanc – Scusate il francesismo, ma saremmo seriamente fregati.”

 

 

*

 

Più tardi, alla centrale di polizia, Carter Havery osservò gli agenti dell’FBI appena entrati nell’ufficio del tenente Jacobson; pensò si trattasse di qualcosa di grosso.

Tuttavia, l’uomo sembrò essere assai furibondo per qualche faccenda riguardante il lavoro e preferì andarsene.

Dentro quell’ufficio, intanto, i due agenti si stavano presentando con una stretta di mano al tenente e al detective Costa.

“Agente Murphy, salve. – disse l’uomo, per poi indicare la collega – E lei è l’agente Sanchez: FBI di New york.”

“Cosa vi porta qui a Rosewood?” domandò il tenente Jacobson, notando che l’agente Sanchez stringeva una busta gialla tra le mani.

“La polizia di New york ha ricevuto un filmato qualche giorno fa, il mittente è anonimo.” prese parola la donna, pronta a mostrare il contenuto della busta.

“Un cd?” si incuriosì il detective Costa.

“C’è anche una scritta sopra!” fece notare loro l’agente Murphy.

Sono morto… – lesse Jacobson – Un messaggio ben preciso!” trovò.

“Ovviamente è stato mandato da Rosewood, per questo siamo qui.” continuò Sanchez, mentre inseriva il cd nel lettore apposito.

Le immagini iniziarono a comparire sullo schermo del televisore. Jacobson e Costa osservarono con attenzione ogni fotogramma, mentre l’agente Murphy analizzava il filmato.

“Quattro inquadrature diverse riprese in un bosco. Nessun audio. Nessun volto.”

Costa avanzò leggermente in avanti, inquietato: “Sembra che qualcuno stia scavando una buca…”

“Il video è stato manipolato, non mostra chi regge le pale che stanno scavando.” spiegò Sanchez.

“Deduco che in quei borsoni ci siano parti di un corpo. – intervenne Jacobson – Potrebbero essere stati sepolti ovunque.”

“Abbiamo ragione di credere che siano stati sepolti qui a Rosewood… - Murphy fermò il filmato, tirando fuori un telefono chiuso dentro un sacchetto – Assieme al cd è arrivato anche questo cellulare.”

“A chi appartiene?” domandò Costa.

“Edward Blanc, un pittore Newyorkese. Risiede a New york dal 2009, ma ha un appartamento anche qui a Rosewood.”

“Risulta scomparso da più di un mese, secondo le indagini che abbiamo svolto. – continuò Sanchez – Abbiamo interrogato i suoi vari contatti in rubrica: quasi tutti l’hanno sentito solo e unicamente per messaggi. Temiamo che la persona che possedesse il suo telefono, si sia spacciato per lui.”

“E credete che la persona che conservasse il suo telefono, sia l’assassino?” pensò Jacobson.

“O è l’assissino o sa chi è l’assassino. – Sanchez riportò i loro sospetti – Questa persona vuole farci sapere che un uomo è stato ucciso, ma non ci mostra chi è stato. – si mostrò dubbiosa - Vuole giocare con noi, perchè è l’assassino? Sa chi è stato, ma è qualcuno a cui tiene?”

“E’ tutto molto confuso, a dire il vero: come le telecamere, ad esempio.  – aggiunse Murphy -Sembra siano state posizionate sulla scena del crimine, prima ancora del crimine.”

Mentre gli agenti parlavano a Jacobson, Costa si focalizzò sull’immagine bloccata sul televisione: ne contemplava i dettagli.

“…In ognuna di queste inquadrature, la pala è diversa.” notò.

Sanchez si voltò verso di lui, impressionata: “Lei è un ottimo osservatore, detective. Infatti nelle inquadrature che abbiamo esaminato, ci sono quattro pale diverse: come se sulla scena ci fosse più di una persona; per questo motivo crediamo che il mittente di questo materiale possa non essere l’assassino.”

“Se non è l’assassino, sembra proprio che abbia teso una trappola ai veri assassini. – ipotizzò Costa, anche se faceva fatica a capire certe dinamiche – Solo che non ha senso aspettare tutto questo tempo per coinvolgere la polizia.”

“Siamo qui proprio per risolvere questo mistero, infatti. Il caso è affidato al vostro distretto, visto che siamo nella vostra giurisdizione. Noi supervisioneremo le indagini e propongo di partire dall’appartamento della vittima.” spiegò Murphy.

Il tenente Jacobson era pronto: “Bene, riunisco subito una squadra per setacciare tutta la zona intorno a Rosewood.”

Poi, assieme agli agenti, uscì dall’ufficio. Il detective Costa, concentrato nel fissare ancora lo schermo, rimase: non face che riflettere sul fatto che sulla scena del crimine ci fosse più di una persona; e a proposito di questo, sembrò avere già qualche sospetto.

 

*

 

Nel pomeriggio, Wesam fece un piccolo viaggio per far visita ad una persona.

In piedi, davanti alla porta di un appartamento, aspettò di essere aperto dopo aver bussato; quando quella persona finalmente aprì, Wesam fu felice di non aver fatto un viaggio a vuoto: si trattava di Julie Orlando.

“Ehm, salve… - cominciò, imbarazzato – Suppongo che lei si ricordi di me, no?”

L’altra, alquanto sorpresa, annuì: “Ma certo, l’ho vista al ballo degli ex alunni al liceo di Rosewood. – trovò strana la sua visita – Solo che…”

“Sì sì, lo so che si starà chiedendo che cosa ci faccio qui. – cercò di dare una spiegazione, mettendo le mani in avanti – Il punto è che io sono lo psicologo di Sam Havery… E so!”

Quella rise, non afferrando: “Ok, di che cosa sta parlando? Sa, cosa?”

Wesam accentuò il suo sguardo: “So quella cosa che sai anche tu… - lo accentuò ancora di più - Quella cosa!”

“Oh mio Dio… - ora capì, grattandosi il capo – Ehm, senti, non restiamo qui a parlarne. Forza, entra!”

Seduti a tavola, qualche minuto dopo, Julie gli allungò lungo il tavolo una tazza di caffè che aveva appena preparato.

“Quindi ti sei trasferita a Courtland, dopo l’esplosione della Rosewood high school? – contemplò ogni dettaglio dell’appartamento, sorseggiando il suo caffè caldo – Carina la casa…”

“Beh, sì, ho dovuto trasferirmi qui perché il mio fidanzato insegna alla Northdale, adesso. – spiegò, più interessata al motivo della sua visita in realtà – Allora… Sai anche tu di A?”

“Sì, Sam si è aperto con me. Era inevitabile.”

“Wow, un po’ mi sento sollevata a non essere più l’unica a mantenere il loro segreto.”

“Beh, io invece non mi sento sollevato per niente. – mostrò quanto fosse preoccupato – Sam mi ha chiesto di non intervenire, anche se mi riesce difficile ogni giorno che passa. Dice che lui e i suoi amici hanno tutto sotto controllo, ma…”

Julie si sentì come attaccata: “Ascolta, se sei venuto qui per giudicarmi, ti fermo subito: io ho offerto loro il mio aiuto, ma in cambio volevo tutta la verità. Mi hanno raccontato di A, ma c’era molto di più. - si sfogò – La sera che ho lasciato Rosewood, dovevano passare da me e raccontarmi tutto il resto, ma non l’hanno fatto.”

“Se non sono venuti da te è perché A li ha distratti con uno dei suoi macabri giochi. – il suo volto cambiò, angosciato – Non hai idea di cosa hanno passato da quando te ne sei andata.”

“Tipo?”

“Tipo che A ha ucciso una persona e ha costretto i ragazzi a seppellirla nel bosco. Il corpo era suddiviso in quattro borsoni.”

Quella si portò una mano alla bocca, sconvolta: “Oh mio Dio…”

“Già, Oh mio Dio! – sottilineò, portandola a rendersi conto della gravità della situazione – Se sono venuto qui da te è perché sei l’unica persona che sa quello che so io, e che tiene a quei ragazzi e che può fare qualcosa per aiutarli.”

“Aiutarli, come? Non possono rivolgersi alla polizia, sai perfettamente che A ha qualcosa contro di loro, perciò…”

“Sì, i video di quella sera, lo so!” si lasciò sfuggire.

“Un secondo, ma… - percepì qualcosa di strano – Esattamente, cosa sai?”

Wesam rimase in silenzio, colto alla sprovvista. La donna si alzò dalla sedia, incredula.

“Oh mio Dio, ma tu sai proprio tutto. Anche quello che io non so! – esclamò, allontanandosi dalla tavola, basita – Caspita, ho chiesto loro mille volte di dirmi cosa nascondessero e che di me potevano fidarsi… Poi arriviti tu e boom, ti raccontano tutto? Davvero, non ho parole!”

“Sto con Sam! – rivelò a bruciapelo – Ho una relazione con Sam; per questo si è aperto con me, raccontandomi ogni cosa. I suoi amici non sanno che io so.”

L’altra si voltò, sconcertata: “Tu… stai con… Sam? – trovò assurdo - Ma quanti anni hai?”

“La cosa non è rilevante in questo momento: è successo! – cercò di nascondere il suo imbarazzo - Il punto è che hanno bisogno d’aiuto e io non riesco a starmene con le mani in mano.”

“E cosa vorresti fare? Lo sai che è stato A a far esplodere la scuola, vero?” gli fece notare quanto fosse pericoloso intromettersi.

“Lo so perfettamente, ma ci sarà pur qualcosa che possiamo fare. – insistette, determinato - Insomma, A è ossessionato da loro quattro. Li tiene d’occhio in ogni momento, ma… Non può avere occhi ovunque, no?”

Julie si lasciò incuriosire: “Vai avanti... ”

“Potremmo agire in maniera parallela, scoprire delle cose per conto nostro. A è troppo impegnato a star dietro loro per accorgersi di noi due.”

“Parli di una specie di Anti A-team?”

“Ascolta… - sospirò, preoccupato – Credo che Sam mi stia nascondendo altre cose. Nuove cose. E secondo me, teme di dirmele perché potrei seriamente intervenire.”

“Quindi quale sarebbe il piano?”

“Tu sai di Rosewood-riservato?”

Quella cercò di ricordare: “Ehm, sì, vagamente… E’ un file che i ragazzi speravano di trovare nella panic room. Secondo loro, quei file potevano contenere il motivo per cui A li ha presi di mira in maniera così feroce.”

“Beh, Rosewood-riservato è una raccolta di segreti creata dal loro amico Anthony. – le rivelò – Il ragazzo portava delle persone in un bosco e faceva con loro dei giochi. Era un luogo isolato, Sam ha detto che era recitanto e che non si poteva fuggire. Chi ci è finito, doveva confessare il segreto di qualcuno che conosceva in cambio della libertà.”

“Credi che… - si portò una mano alla bocca, sconvolta – Credi che Anthony torturasse quelle persone?”

“Non ne ho idea, Sam mi ha detto di aver parlato con qualcuno che ci è stato. In ogni caso, A sa di questa cosa e pare ci sia anche un complice.”

“Di Anthony?”

“Sì.”

“Credeva fosse uno dei ragazzi, visto che erano suoi amici. Da allora, Sam e gli altri hanno cercato di dimostrare il contrario e il loro piano attuale è scoprire chi è questo complice e farlo sapere ad A. Credono che dopo questo, li lascerà in pace.”

“Quindi A non li sta perseguitando perché pensa che abbiano ucciso qualcuno, vero? Tipo Albert.”

“Come sai di Albert?” domandò, sapendo già tutta la verità sul suo omicidio.

“Beh, ho vissuto abbastanza a Rosewood da informarmi sulle notizie più recenti. – spiegò – I ragazzi mi hanno chiesto di creare loro un alibi per la notte del suo omicidio, un falso scontrino, quindi ho pensato che potessero essere coinvolti nel suo omicidio.”

“Julie, io so tutto, ma non c’è bisogno che ti debba raccontare la verità. In ogni caso, ho promesso a Sam di non fare parola di nulla con nessuno, su quello che mi ha detto. – cercò di incoraggiarla – Perciò, devi fidarti di me. Ti assicuro che loro sono innocenti, nonostante abbiano fatto degli errori: errori che farebbe qualsiasi persona alla loro età.”

A quel punto, Julie sospirò, restando in silenzio per qualche secondo: “… D’accordo, ti credo. La domanda è: mentre i ragazzi cercano di scoprire chi è questo complice, noi che facciamo?”

A possiede dei video su quella notte; sono dei video che potrebbero incastrarli ed è con questo che lui o lei li ha tenuti in pugno fino ad ora.”

“Pensavo che i ragazzi avessero le idee chiare sull’identità di A.”

“Beh, non credo siano convinti fino in fondo sulla sua identità. Sono più concentrati a come liberarsi del loro persecutore, adesso. Quindi, per me, può essere chinque: anche una donna.”

“E vuoi che noi scopriamo questo?”

“Non proprio. Voglio solo recuperare il materiale che A possiede sui ragazzi. – illustrò il piano - Senza prove, non ha più potere su di loro: diventerebbe in automatico una persona che perseguita degli adoloscenti senza validi motivi.”

“E l’uomo che hanno seppellito? A può tenerli in pugno anche con quello, ci sono troppe cose a cui pensare!”

“Se troviamo il covo di A, troveremo anche delle prove che lo incriminano. Insomma, prima di consegnarlo ai ragazzi, l’ha ucciso con qualcosa: un’arma con sopra le sue impronte, intendo; non può non aver lasciato una minima traccia di sé.”

L’altra, eccitata dall’impresa, cercò di fare il punto della situazione: “Quindi se troviamo il suo covo, possiamo eliminare tutto quello che possiede contro i ragazzi e incastrare lui… o lei… o qualsiasi cosa esso sia, giusto?”

“Il piano è questo! - ribadì – Noi non siamo previsti, A non se lo aspetta. Possiamo agire indisturbati, mentre lui è concentrato su Sam e gli altri.”

Dopo essersi convinta che potevano farcela, Julie vollè togliersi ogni dubbio: “C’è altro che devi dirmi su loro quattro?”

“Questo è tutto quello che devi sapere. Per il resto, devi fidarti di me; come ti ho detto, hanno fatto degli sbagli, ma non meritano la galera.”

Julie, allora, annuì, fidandosi del tutto: “Ok ok… Allora, per prima cosa, ho bisogno che quando incontrerai Sam, tu metta un dispositivo che ti darò sul suo cellulare; mi servirà per importare tutti i dati sul mio computer: in questo modo, conosceremo i loro spostamenti, vedremo i messaggi di A e quant’altro. In ogni posto in cui si troveranno, quel mostro sarà sicuramente nelle vicinanze.”

“Perfetto!”

 

*

 

La sera calò su Rosewood. Carter Havery rientrò a casa sua di malumore, raggiungendo la cucina a passo nervoso. Sam, che era in salotto a fare i compiti, lo vide passare, e quel suo atteggiamento non passò inosservato; tant’è che si alzò per andare a vedere cosa fosse successo, lasciando i suoi libri aperti.

“Papà, è tutto a posto?” lo sorprese alle spalle, mentre quello aveva appena aperto il frigiorifero; tirò fuori una lattina di birra.

“Oh, sei a casa! – esclamò quasi sorpreso, pungente – Questa è una novità!”

“Ehm, stavo studiando… - notò che aveva qualcosa di strano – Papà, va tutto bene? Mi sembri di cattivo umore.”

L’altro prese un respiro, esaurito: “Niente, è solo che a lavoro…”

“Sì…?” lo incitò a continuare, curioso.

“Mi hanno negato quella promozione che aspettavo da mesi, ormai.”

“Cavolo, Papà, mi dipiace… - nonostante ciò, si sentì leggermente sollevato dal fatto che non fosse nulla di grave – E come mai?”

“Non lo so, forse non ho fatto abbastanza. Forse pensano che ancora non me lo meriti, anche se… - si infuriò nuovamente – Ho dato tutto me stesso in questo lavoro, da quando sono tornato in servizio dopo la morte di tua madre.”

“Vedrai che ci ripenseranno.” cercò di consolarlo, mentre l’altro sorseggiava la sua birra, più calmo.

Improvvisamente, il telefono dell’uomo suonò: ricevette un messaggio importante.

“Accidenti, devo tornare in centrale…”

Sam sfoggiò un sorriso ebete: “Che c’è, ci hanno ripensato sulla tua promozione?”

“No, è solo che sono arrivati due agenti dell’FBI da New york e pare che il nostro distretto abbia agganciato un grosso caso. Serve una squadra.”

“U-una squadra? – balbettò Sam, d’un tratto preso dal nervosismo – Una squadra per cosa?”

Carter si avvicinò a lui, mettendogli una mano sulla spalla: “Sam, credo sia meglio che tu torni a studiare. Non posso trattennermi, mi dispiace. – accennò un sorriso di circostanza – Mi raccomando, chiudi bene la porta e non fare tardi a letto.”

“Ehm, ok. Ok.” dovette eseguire, abbastanza teso.

Carter uscì, e come da richiesto, Sam chiuse bene la porta. In quell’istante, poggiando la schiena su di essa, pensò a cosa stesse accadendo e a cosa fosse trapelato dall’arrivo dei due agenti. Iniziò, così, ad andare in paranoia.

 

*

 

Appena scesi dall’auto di Rider, lui ed Eric erano nel quartiere del cugino di Nathaniel, diretti verso la sua abitazione.

Mentre attraversavano la strada, Eric era intento a rispondere ad un messaggio.

“Forse dovresti spegnerlo. – gli suggerì Rider, guardandosi attorno – Potresti meravigliarti delle vecchiette che vivono da sole: sentono persino il respiro delle piante.”

“Un secondo, finisco di rispondere ad Antonio. Domani c’è la serata karaoke e vuole che io mi esibisca; Alexis deve avergli parlato delle mie doti canore, a quanto pare.” ribattè infastidito, ogni volta che parlava di quell’uomo.

“Lo sai che domani dobbiamo catturare Clarke, vero? – si preoccupò per la riuscita del piano – Insomma, Clarke non resterà a Rosewood per sempre; ha una vita fuori da qui, rispetto a noi povere anime.”

“Tranquillo, non mancherò. – mise via il telefono – Non sono di turno domani, farò solo qualche canzone e poi potrò andarmene.”

Improvvisamente, iniziò a squillare il telefono di Rider, che recuperò in fretta e furia.

“Fortuna che ero io a dover spegnere il telefono!” esclamò Eric, seccato.

“E’ Violet! – rifiutò la chiamata – Dovevamo uscire stasera, ma mi sembra di averle detto chiaramente che la chiamavo io per aggiormenti.”

“E’ buffo come un tempo non ti sopportasse, mentre ora è interessata a te solo perchè ha avuto a che fare con una nuova versione di… te!”

“Con nuova versione di me, intendi Nolan?”

“Conosci altre versioni di te, per caso?” replicò con enfasi, mentre erano nel portico di Tyler.

“Allora… - si concentrò Rider – La chiave è sotto il vasetto che c’è sul bordo della finestra.”

Eric si avvicinò a quel vasetto, recuperandola: “Eccola qui!”

Quando furono dentro, Rider provò ad accendere la luce; ma non c’era corrente.

“Ovviamente! - esclamò sbuffando – Usiamo la luce dei telefoni.” suggerì.

I due, con la scarsa illuminazione dei loro schermi, si addentrarono, diretti in cantina.

“Sei sicuro che qui troveremo quello che ci serve?” domandò Eric, mentre il parquet, sotto i loro piedi, cigolava ad ogni passo.

“Sam ha detto che quando venne qui con Nathaniel, gli sembrò di aver visto in cantina una scatola di M99, il farmaco che ci serve per addormentare Clarke.”

“Perché Clarke teneva l’M99 in casa? – pensò, abbastanza perplesso - A cosa gli serviva?”

“Magari non serviva a lui…” insinuò.

“Un secondo, pensi che servisse ad Anthony?” colse la sua allusione, mentre scendevano per le scale.

Rider, davanti a lui, ne era più che certo: “Deve averlo chiesto a Tyler per paura che A lo catturasse di nuovo.”

“Per addormentare A? Dubito che sia così stupido da farsi mettere fuori gioco.”

“Beh, se nascondi la siringa sotto la manica, non è così impossibile.”

Giunti di sotto, puntarono la luce ovunque.

“Tyler si è deciso a ripulire questo posto. – notò Eric – Sam e Nat ce l’avevano descritto come un after-party.”

“L’avevo già intuito dal lucchetto assente, quando siano entrati. Se fuggi da Rosewood a gambe levate, non lasci la spazzatura in giro per casa; e con spazzatura non intendo la spazzatura vera, ma i tuoi sporchi segreti.”

Iniziarono a cercare, girovagando per la stanza.

“Come mai non è venuto Sam al posto mio? L’ha vista lui la scatola con dentro l’M99, noi non sappiamo nemmeno dove guardare.”

“Gliel’ho chiesto, ma ha preferito restare a casa a studiare. Dice che deve recuperare biologia prima che la ruota di A si sposti sulla sua faccia.”

“Comprensibile… - sospirò, continuando a cercare – Allora, hai già pensato a come faremo con Clarke? Di certo non possiamo infilzarlo con una siringa al collo nella hole del suo albergo.”

“Prima di tutto dobbiamo pensare a Chloe: lei è la ragione per cui Clarke è qui a Rosewood, perciò staranno sempre insieme.”

“Quindi infilziamo anche Chloe?”

“No, Chloe dovrà trovarsi a casa di Sam mentre noi facciamo i Dexter Morgan della situazione.”

“E Sam conosce questa parte del piano? Lo sai che non si parlano da tempo.”

“No, non la conosce. Però se vuole tornare ad alzare la sua media dei voti senza fare pause di occultamento cadaveri, deve sottostare alla cosa. La priorità è liberarci di A!”

Eric illuminò un ripiano che catturò la sua attenzione, nel mentre: “Ehi, qui ci sono delle scatolette. Presto, vieni a vedere!”

Rider si avvicinò, tirando giù da quel ripiano scatole e flaconi. Sembrò aver trovato ciò che cercava.

“Ecco l’M99!” esclamò, iniziando ad aprire la scatola.

“Spero che Anthony non l’abbia preso tutto!” incrociò le dita, Eric.

“Una fiala! – esultò Rider, tirandola fuori – E ci è andata bene se conti che in questa scatola ce ne dovrebbero essere tre.”

I due si guardarono, dopo quel momento di euforia; fecero largo ansie e paure.

“Cazzo, Rider, lo stiamo per fare davvero? Stiamo per drogare un uomo e consegnarlo ad un assassino?”

“Non dirlo, non voglio che la cosa mi entri in testa e mi crei timori. Voglio solo fare questa cosa e tornare alla mia normale e noiosissima vita di un tempo.”

Eric deglutì a fatica, ma era pronto: “Sì, anch’io…”

Entrambi convinti di ciò che dovevano fare, misero l’M99 in tasca senza persarci due volte e sgattaiolarono via.

 

*

 

Con suo padre bloccato tutta la notte in centrale, Sam pensò di andare da Wesam. Nel bel mezzo delle scale, ricevette una chiamata da parte di Nathaniel.

“Ehi, ciao, che succede?” rispose con l’affanno.

“Sto per andare al deposito!”

Sam si fermò di colpo, sgranando gli occhi: “Cosa? – tuonò – Nathaniel, non puoi andarci, è il momento peggiore per fare una cazzata simile!”

“Non ce la faccio, non riesco a non pensare alla polizia che entra in quel deposito e che trova il mio ritratto lì dentro.”

“Bene, allora pensa alla polizia che trova lì dentro sia te che il ritratto: è molto peggio, fidati!”

“Perché stai ansimando? – sentì attraverso il telefono – Che stai facendo?”

“Ehm, niente, sono solo uscito a buttare la spazzatura.” mentì.

“Senti, non riesco a dormire! – impanicò – Continuo a guardare sul mio telefono quella stupida ruota che punta sulla mia faccia e… Ti giuro, non riesco davvero a respirare. Ho già perso abbastanza per finire anche in galera per un omicidio che non ho commesso!”

“Nathaniel, per favore, fai come ti dico! – cercò di convincerlo - Devi riposarti, ok? Sei appena uscito dall’ospedale.”

“Te l’ho detto, non riesco a dormire! – ribadì ancora una volta – E poi da quando Eric ha detto di aver visto quei due agenti al Brew, sto letteralmente uscendo fuori di testa.”

“Beh, tu provaci a dormire! Questa cosa non riguarda solo te, d’accordo? Se uno di noi sprofonda, sprofondiamo tutti insieme. Non importa se ci sei tu sopra quel dipinto: è come se ci fossimo dipinti anche noi.”

Nathaniel si placò, finalmente: “…Va bene, d’accordo. E’ solo che… beh, lo sai perché ho reagito così.”

“Certo che lo so, Nat. – non lo biasimò – Siamo tutti minacciati dalla stessa persona. E credimi, anch’io sto impazzendo, ma dobbiamo restare lucidi finchè questa storia non sarà finita.”

“Per fortuna non sono solo in questa storia. – disse con tono più docile, riferendosi soprattutto a Sam - Se non avessi qualcuno da chiamare e che sa esattamente cosa sto passando, probabilmente avrei fatto qualche sciocchezza.”

“Già, anch’io sono contento di non essere solo. – si sentì a disagio per quelle parole così premurose - Ora, però, promettimi che non dovrò venire fino a casa tua per incatenarti al letto.”

“Te lo prometto… – sospirò – Ora mi rimetto a dormire.”

“Ok. A domani.”

“A domani, Sam.”

Quando mise il telefono giù, Sam raggiunse l’appartamento di Wesam, entrando con la chiave sotto lo serbino.

Wesam era sul divano che guardava la televisione in maniera spaparanzata, la mano immersa in un pacco di patatine; l’uomo si voltò a guardarlo, sorpreso di vederlo.

“Che ci fai qui? – si mise più composto, guardando l’orologio – Tuo padre non è a casa a quest’ora?”

“No, l’hanno chiamato in centrale. – si mostrò spaventato – Temo che stia accadendo!”

Wesam corse subito al suo fianco, preoccupato: “Sam, di cosa parli?”

Sam iniziò a tremare, piangendo in maniera isterica: “Ho appena mentito a Nathaniel al telefono, non so cosa fare, dovrei dirglielo, dovrei dirlo ai miei amici…”

L’altro lo prese per le spalle con forza, confuso: “Sam, di cosa stai parlando?”

“Ci sono due agenti dell’FBI a Rosewood e mio padre è stato chiamato per qualcosa di grosso. Sono qui per Edward, non c’è ombra di dubbio!”

“Adesso calmati!”

“No, non posso calmarmi! – si agitò usando toni alti - Sta per scoppiare una bomba, ok? E’ finita!”

“Senti, sediamoci un secondo e cerchiamo di trovare una soluzione, prepararci all’eventualità che…”

“Andrò in galera? – non lo lasciò finire, suscettibile – E’ questo che stavi per dire?”

“No, non stavo per dire quello. – si sentì messo in difficoltà - Dico solo che dobbiamo discutere su come devi comportarti per stare il più lontano possibile da queste indagini. Ok, avete seppellito voi il cadavere, ma la polizia questo ancora non lo sa.”

“Wesam, ti ricordo che c’è anche A! Probabilmente starà già concentrando tutte le sue forze per portarli a noi quattro e godersi il nostro arresto da un albergo a Tahiti.”

Wesam tentò ancora di calmarlo: “Ti stai fasciando la testa ancora prima di essertela rotta, Sam.”

“Senti, vado un attimo in bagno a sciacquarmi la faccia. – tolse il cappotto e lo poggiò – Magari quando torno, sarò meno teso e potremo parlare senza che io senta questo groppo in gola che mi segue da tutto il giorno… Non ti dispiace se resto da te per un paio di ore? Poi torno a casa mia, giuro.”

“Sam, tranquillo, puoi restare qui quanto vuoi.” gli fece sapere, premuroso.

Quando Sam si allontanò, dopo aver accenato un sorriso molto rigido, Wesam aspettò di sentire l’acqua scorrere prima di avvicinarsi di soppiatto al cappotto del ragazzo, recuperando il suo telefono; dalla sua tasca tirò fuori un piccolo dispositivo, che attaccò sul telefono in un punto ben nascosto per trasmettere dati al computer di Julie.

 

*

 

Nonostante avesse promesso a Sam che non si sarebbe mosso di casa, Nathaniel tirò fuori da sotto al letto un borsone; dentro c’erano delle cose che aveva preso dal garage e che li sarebbero servite per scassinare il deposito di Edward.

Vestito e con il borsone stretto in una mano, iniziò a scendere le scale con molta cautela; era all’incirca mezzanotte.

Improvvisamente, però, dovette fermarsi: gli sembrò di sentire qualcuno piangere.

A quel punto, lasciò il borsone e scese più giù, avviandosi verso la cucina; chi stava piangendo era sua madre, seduta davanti al tavolo e al buio.

Nathaniel accese la luce e si rivelò a lei, assai stranito: “Mamma… – quella si voltò – Ma che succede?”

“Oh, Nathaniel… - si alzò, continuando a piangere – Tesoro, devo dirti una cosa.”

“Così mi spaventi…”

“Riguarda tuo padre. – singhiozzò – Credo che abbia ripreso a bere.”

“Ne sei sicura?” si avvicinò a lei.

“Ormai sono mesi che non torna a casa la sera. Chiuso il ristorante, resta lì ad ubriacarsi e Dio solo sa se esce con la macchina nel cuore della notte.”

“Sei mai andata? Al ristorante, dico.”

“Sì, una volta. – spiegò – Era qualche giorno dopo Natale, tu eri ancora in coma. Quando sono arrivata lì, era quasi l’una di notte e c’era Jamie. Mi ha detto che tuo padre era uscito e che gli aveva detto di chiudere al posto suo. Ovviamente non li ho chiesto se fosse ubriaco quando gli ho parlato, non ho avuto il coraggio, però…”

“Però, cosa?”

“Jamie era strano, era come se si vergognasse. Forse non voleva dirmi che tuo padre era ubriaco.”

“Ok, adesso vado al ristorante. – si mossè, pronto ad uscire - Papà non può esserci ricaduto di nuovo, non dopo tutti quei mesi passati in quella clinica!”

“Un secondo, ma… - lo squadrò dalla testa ai piedi – Tu sei già vestito, come mai?”

Quello si fermò, schivo: “Ehm…volevo solo uscire a fare due passi.”

“Chiamo Courtney, così ci andate insieme. – si avvicinò al telefono - Io non me la sento di vedere tuo padre in quelle condizoni, non un’altra volta.”

Nathaniel annuì, prendendo le chiavi della macchina: “Dille di raggiungermi.”

“Ce la fai? Sei appena uscito dall’ospedale.”

“Sì, posso guidare. Tranquilla.” e uscì, dopo averla rassicurata.

 

*

 

Abbracciati sul divano, mentre in televisione davano un film in bianco e nero degli anni ’50, Sam si addormentò con la testa poggiata sul petto di Wesam.

L’altro, rimasto sveglio, scivolò via, stendendo Sam con delicatezza. Dopo essersi assicurato che dormisse davvero, prese il telefono e chiamò qualcuno.

“Pronto?” rispose una voce femminile, quella di Julie.

“Allora? Ha funzionato?”

“Sì, ha funzionato. Tutti i file presenti nel telefono di Sam, ora sono sul mio computer.”

“Hai trovato qualcosa di cui non siamo a conoscenza?”

“Ehm… ci sono molti messaggi minacciosi; da gelare il sangue, se devo essere sincera. A parte quelli, c’è una cosa che devi vedere. Puoi passare da me, domattina?”

“Certo! Assolutamente!”

“Lui non si è accorto di nulla?”

“Era in bagno quando ho messo il chip nel suo telefono.”

“E avete…???” fece un’improvvisa allusione, decisamente fuori luogo.

Wesam sussultò, leggermente imbarazzato: “Non credo che siano affari tuoi, e comunque: NO!”

“Scusa scusa scusa, e che… Scusa, devo ancora abituarmi al fatto che sono a conoscenza di una relazione alquanto proibita, dal momento che lui è un tuo paziente minorenne!”

“Minorenne? Compie diciotto anni fra soli due mesi!”

“Ah, beh, allora tutto a posto!” rise in maniera molto ironica, anche se mortificata.

Messo a disagio, Wesam preferì chiudere: “…Julie, ci sentiamo domani, ok?”

“Sì sì, certo. E scusa. Scusami se… - capì di essere diventata troppo logorroica – Beh, ciao!” e chiuse.

Facendo un lungo sospiro, Wesam lasciò il telefono e si voltò a fissare Sam; un sorriso gli comparve spontaneamente, mentre quello dormiva beatamente.

Improvvisamente, Sam si mossè, borbottando qualcosa.

“Nathaniel… Ti amo, Nathaniel…Svegliati, ti prego…”

La delusione negli occhi di Wesam, si fece immediatamente largo. Abbassando lo sguardo, però, non si sentì per nulla sorpreso nel sentire quelle parole; aveva sempre saputo, fin dall’inizio, che nel cuore di Sam c’era più di una persona. O, forse, solo una.

 

*

 

Nella sua stanza, intanto, Rider stava facendo la sua prima seduta. Sdraito ad occhi chiusi sul suo letto, ascoltava le parole di suo zio, seduto su una sedia accanto a lui.

“Cosa vedi?” iniziò, avviando la registrazione.

“Sono in giardino, fa caldo. – rispose Rider con gli occhi chiusi, in trance – Vedo Lindsey che gioca con la palla, non sono molto lontano da lei… Sono arrabbiato.”

“Sei arrabbiato perché non sta giocando con te? C’è qualcuno con lei?”

“No, non sono arrabbiato con lei. Non trovo il mio gioco, lo sto cercando da ore.”

“Che cos’è?”

“Un camion dei pompieri; me l’ha regalato papà, ci sono affezionato.”

“E chi pensi te l’abbia preso?”

“Non lo so… - strinse gli occhi, si sforzò di ricordare – Però so dove andare.”

“Aspetta, non muoverti. Resta dove sei. – gli ordinò – Sei proprio sicuro che Lindsey non stia giocando a palla con qualcuno?”

Si concentrò, allora: “… Sta ridendo, continua a giocare con la palla… però c’è come un…”

“Un…?”

“C’è come un’ombra che gioca con lei.”

“Ha delle sembianze umane quest’ombra?”

“Non voglio più restare qui, devo andare da un’altra parte!” si agitò.

“D’accordo, dove vuoi andare? Dimmi dove stai guardando adesso.”

“Sto guardando la casa dei vicini. – Rider era sempre più rigido e ansioso - Devo andare lì, sento che devo andare lì.”

“Sei sicuro di non voler andare prima da tua sorella?”

“Non ci voglio andare, ho detto!”

“Girati un secondo, concentrati bene su quell’ombra che è con lei. Solo per un secondo.”

Rider cominciò ad ansimare, sempre più nervoso: “Ok, li sto guardando. Li sto guardando.”

“Osserva bene l’ombra. Chi è?”

“Non lo so chi è, non ha volto!”

“Sì, che lo sai!” alzò la voce.

“Non lo so!” urlò disperato.

“Guarda bene!”

“E’ Nolan! – esclamò a squarciagola – Nolan è l’ombra che gioca con Lindsey! E’ Nolan!”

“Bene, ora svegliati!” gli ordinò con un tono più basso.

Rider aprì gli occhi di colpo; tutte quelle emozioni che aveva provato, svanirono.

“Non avevo mai provato nulla di simile, è stato strano. – si sollevò, riprendendo fiato – Era come se fossi davvero lì, in quel giorno, in quell’esatto istante.”

“Ti sei ricordato di Nolan, l’hai finalmente visto. – scrisse qualcosa sul suo taccuino - Raggiungeremo tutti gli obbiettivi della seduta a piccoli passi. Domani continueremo.” spiegò, fermando la registrazione.

Rider annuì, abbassando lo sguardo; quel primo passo fu già abbastanza intenso, perciò non riusciva nemmeno ad immaginare come sarebbero stati quelli successivi: i più importanti.

 

CONTINUA NEL DICIOTTESIMO CAPITOLO

 

 

  
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