CAPITOLO
DICIASSETTE
“Working
for A (Part I)”
Davanti
al The Hart & Huntsman, Clarke
stava prendendo un caffè con una giovane ragazza mora,
quella mattina; una sua
coetanea. In lontananza, all’angolo della strada, i due era
spiati da Chloe.
“Devo
dirlo, sono stupita che tu mi abbia contattato. – disse lei,
ignara del motivo
del loro incontro – Non ci sentiamo dai tempi del
college.”
“Già,
è passato molto tempo. – annuì,
sorridendo ai vecchi tempi – Allora, Natalie
Drew, come stai?”
“Molto
bene, devo dire. – sollevò la mano, mostando
l’anello che indossava all’anulare
con eccitazione – Sto per sposarmi! Il prossimo
Giugno.”
“Caspita,
congratulazioni!” esclamò felice, proprio come lo
era lei.
“Già,
non ci credo nemmeno io. Ho sempre avuto delle relazioni disastrose, tu
lo
sapevi meglio di chiunque altro. Ma devo dire che… - lo
fissò con un sorriso
genuino – mi hai sempre tirato su di morale in quei momenti
di sconforto. Hai
anche predetto che avrei trovato l’uomo della mia vita prima
o poi: ed è
successo!”
“Sono
contento per te, Natalie. Davvero, te lo meriti.”
“E
tu che mi dici, Clarke Dimitri?”
“Nulla
che tu già non sappia, no? – il suo sorriso si
spense leggermente nel dirlo – Del
resto, lavori per il Rosewood Observer.”
“Scusa,
ti ho fatto una domanda stupida. Ho scritto io l’articolo
sull’incendio a casa
tua. – abbassò lo sguardo, mortificata - Mi
dispiace.”
“Tranquilla,
sono andato avanti.”
“Peccato
che Jasper Laughlin sia fuggito e che nessuno riesca a trovarlo. Fa
paura
pensare che questo assassino sia ancora a piede libero dopo
più di un mese.”
“Già…”
accentuò le sopracciglia, scarno di parole
sull’argomento.
“Allora,
come mai hai voluto prendere un caffè con me,
oggi?”
“Conosci
Richard Stuart?”
“Lo
scrittore? – rise – Certo,
perché?”
“Perché
sto per darti la tua notizia da prima pagina. –
allungò il suo telefono lungo
il tavolo – Cosa vedi?”
“Ma
questo è suo figlio… Il mese scorso è
stato aggredito assieme ai suoi amici da
un paziente fuggito dal Radley. – osservò la foto
con attenzione – E questo sembra
proprio il Radley…”
“E’
il Radley, infatti.”
“Perché
il figlio di Richard è al Radley?”
“Suo
figlio non è al Radley; o meglio, non quello che tutti
conoscono.”
Natalie
restò confusa: “Aspetta, di che stai parlando? Non
ti seguo.”
“Richard
ha due figli, Natalie. Due Gemelli!”
“Quindi
questo nella foto è uno dei gemelli?”
“Esatto.
– annuì – Richard l’ha tenuto
nascosto, è uno scoop questo!”
Quella
si irrigidì, cambiando posizione sulla sedia:
“Esattamente, cosa mi stai
chiedendo?”
“Di
scrivere un articolo, scoprire la verità su quel
ragazzo!”
“Cosa?
– sussultò – Non posso farlo,
è una questione privata. I cittadini di Rosewood
mi odierebbero, il Signor Stuart è amato da tutti.”
“Ricordi
il secondo paziente fuggito assieme a Norman? La sua
identità non è stata resa
nota dalla polizia.”
“E
allora?”
“E
se ti dicessi che il secondo paziente fuggito era uno dei figli di
Richard?”
“Clarke,
non riesco a capire.”
“Potrebbe
esserci qualcosa di grosso dietro. Il tuo articolo diventerebbe di
dominio dei media,
non resterebbe bloccato qui a Rosewood come una banale storiella
dimenticata
dal giorno dopo. Richard è uno scrittore abbastanza noto, ne
parleranno tutti.”
“Perché
lo stai facendo? – non capì, nonostante
sembrò essere attratta dalla cosa – Che
cosa ci guadagni?”
“Ho
i miei motivi, voglio solo che tu scopra la storia di quel ragazzo. Sei
l’unica
che può farlo.”
Natalie
lo fissò a lungo, cercando di scorgere il mistero che si
celava nel suo
sguardo. Alla fine, si alzò e prese la sua borsa.
“E’
stato bello rivederti, grazie per la chiacchierata!”
esclamò con un sorriso di
circostanza, per poi andarsene in maniera titubante.
Pochi
minuti dopo, Clarke venne raggiunto da Chloe.
“Allora?
Com’è andata?”
“Le
ho messo la pulce nell’orecchio, vediamo cosa
succede.”
“Speriamo
bene, sono stanca di non sapere chi mi sta cercando.“ disse
fiduciosa.
“Vedrai
che scoprirà qualcosa, poi potremo tirare le somme e capire
se quel ragazzo è
davvero A!”
*
Tornato
da scuola, nel pieno dell’orario di pranzo, Eric corse
immediatamente al Brew
per iniziare il suo turno di lavoro.
Non
appena entrò, un uomo e una donna in completo nero si
stavano allontanando dal
bancone con i loro ordini. Fu Alexis ad averli serviti.
“Eric
finalmente! - esclamò quella, mentre lui faceva il giro per
entrare dietro al bancone
– Ho una lezione fra venticinque minuti, stavo per
chiamarti.”
“Scusa,
c’era un po’ di traffico. – si
giustificò, mentre indossava il grembiule e
fissava i due clienti appena serviti con curiosità
– Comunque chi erano
quelli?”
“Quelli
chi? – domandò distratta, mentre era intenta a
togliersi il grembiule – Non
essere enigmatico.”
L’altro
glieli indicò con lo sguardo, sedevano in fondo al locale, e
lei finalmente
capì.
“Ah,
quelli! Sono agenti dell’FBI, vengono da New york!”
“D-da
New york, hai detto? – balbettò, sbiancando
– P-perché? Che ci fanno qui?”
Quella
trovò strana la sua reazione: “Ehm, devono
svolgere un indagine, che ne so! –
esclamò con disinvoltura, notando la sua agitazione
– Perché tanto interesse?”
“Io?
Interesse? – cercò di darsi un contegno,
nascondendo con un sorriso la sua
preoccupazione – No, è solo che è
strano che due agenti di New york siano
venuti fino a Rosewood. Dev’essere successo qualcosa di
grosso.”
“Dici?
– non le interessò un granchè
– Sarà, ma io devo andare, adesso. – era
di
fretta - A stasera!” e gli passò accanto, uscendo
dal bancone.
Eric
le fece un cenno con la testa come saluto, poi spostò lo
sguardo sui due
agenti, seduti a bere il loro caffè e a leggere dei fogli.
*
Con i libri in
mano, Rider
aveva appena lasciato la sua classe, diretto verso il suo armadietto.
Durante
il tragitto incrociò Violet, ma distrattamente le
passò accanto senza notarla,
mentre quella, in procinto di parlargli non appena lo vide, rimase
lì impalata
in una smorfia alquanto basita; pensò che si sarebbe fermato
e le avrebbe rivolto
la parola.
Ovviamente, non
digerì la
cosa e si voltò a chiamarlo.
“Rider?”
Mentre quello
metteva i
suoi libri nell’armadietto, si voltò a piccole
dosi, notando che Violet si
stava rivolgendo a lui.
“Ehm…sì?”
domandò distaccato,
mentre continuava a sistemare l’interno del suo armadietto.
Quella si
avvicinò,
confusa: “E’ successo qualcosa per caso? Mi sei
passato davanti come se fossi
la donna invisibile.”
Rider chiuse lo
sportello,
abbastanza perplesso: “Come, scusa? Di cosa stai
parlando?”
“Dovevamo
vederci per quel
caffè, poi ho saputo tramite la televisione cosa
è successo a te e i tuoi
amici. Sono venuta perfino a casa tua per sapere come stavi, prima
delle
vacanze di Natale, ma non ti trovavo mai a casa. Poi sono dovuta
partire,
perciò ti ho lasciato diversi messaggi; a cui non hai
nemmeno risposto, tra
l’altro.”
“Un
caffè, dici? – trovò
strano, per poi realizzare che forse lei e Nolan si erano conosciuti
– Ooh, ma
certo! – finse di ricordare, inventando una spiegazione
– Scusa, sono davvero
mortificato, ma devi sapere che dopo quello che mi è
accaduto… Beh, ora
partecipo a delle sedute di psicoanalisi; sai, per superare il trauma
di quella
notte. Mi hanno puntato contro una pistola,
perciò…”
Quella si
sentì stupida,
comprendendolo: “Ma no, scusami tu. Dovevo immaginare che era
per questo che mi
stavi evitando. – gli sorrise – Il fatto
è che ho apprezzato davvero molto il
nostro avvicinamento alquanto inaspettato, visto che in passato non
correva
buon sangue fra noi.”
“Già,
molto inaspettato!”
sottolineò con molta ironia.
“Ascolta,
quel caffè è
ancora valido? Anzi, meglio ancora, potremmo tipo saltarlo e passare
direttamente ad una cena o un cinema?”
“Ehm,
magari ti scrivo io,
ok? – cercò di defilarsi, fingendosi di fretta -
Mi dai il tuo numero?”
“Ce
l’hai già!” rise
quella.
“Ma
certo, è vero! – si
diede un colpo sulla fronte – Che stupido che sono a
volte!” esclamò,
allontanandosi.
“Allora
aspetto un tuo
messaggio, eh?!”
“Assolutamente!
Ciao!”
scappò, mentre quella, appoggiata agli armadietti, lo
fissò correre via con un
sorrisetto spensierato.
*
A casa Blake,
Nathaniel tornò
finalmente a casa, dopo essere stato dimesso. Pete, il fidanzato di sua
Zia
Courtney, poggiò la valigia del ragazzo
all’ingresso, mentre entravano.
“Casa
dolce casa, eh?” gli
sorrise la donna.
“Decisamente,
Zia
Courtney. – si sentì
sollevato, ricambiando quel sorriso
- Per un attimo ho temuto che mi avrebbero dimesso dopo una settimana o
più.”
“E
invece ti hanno liberato
nel giro di tre giorni. – gli fece un occhiolino - Il medico
deve aver
apprezzato la mia voluta scollatura, mentre gli facevo pressioni sul
farti
tornare a casa.”
Pete, dietro
Nathaniel,
fece un colpo di tosse, lanciandole un’occhiataccia. Quella
ricambiò con la
stessa espressione, se non peggio.
“Oh,
Pete, risparmiami la
tua faccia seccata! Per poco tu e quella troietta di infermiera non vi
scambiavate
Instagram. – lo rimproverò, per poi rivolgersi a
Nathaniel – Dovevi vederla,
girava sempre sul nostro piano e, ogni volta, fissava Pete come
un’invasata. –
fulminò l’uomo, nuovamente – E veniva
ricambiata la gatta morta!”
“Non
la stavo ricambiando,
è che la guardavo per sbaglio!” cercò
di giustificarsi quello.
“Per
sbaglio? – tuonò
quella, facendo una smorfia incredula – Allora stanotte
dormirai PER SBAGLIO
sul divano, Pete!”
“Agli
ordini!” roteò gli
occhi con arrendevolezza, troppo debole per contrastare il suo
carattere forte.
Dalla cucina,
improvvisamente, arrivò Claire con il mestolo in mano.
“Finalmente
siete arrivati,
mi era sembrato di sentire le vostre voci…” li
accolse con un ampio sorriso.
“Ciao,
Mamma!” la salutò
Nathaniel, mentre quella lo abbracciava.
“Ho
fatto tante cose buone,
spero che siate tutti affamati!”
Nathaniel
sentì dolore alla
spalla, mentre quella era ancora abbracciata a lui:
“Ahh!”
“Oh
mio Dio, scusami… -
Claire si staccò da lui – Tutto bene,
tesoro?”
“Sì,
Mamma, non
preoccuparti. – si sforzò di sorriderle, mentre il
dolore si attenuava –
Piuttosto, ho una fame da lupi, cosa ci hai preparato?”
“Tante
cose buone, non sono
nemmeno andata a lavorare oggi.” si mossè verso la
cucina tutta briosa, facendo
loro strada.
“E
Papà?” le domandò,
fermandola.
Claire si
girò nuovamente
verso di loro, lanciandosi un’occhiata cupa con Courtney.
Subito, accennò
rapidamente un sorriso, come se cercasse di nascondere qualcosa.
“Papà
è al ristorante,
purtroppo non ci raggiungerà. Jamie si è preso
due giorni liberi, ha
praticamente mandato avanti il ristorante da solo mentre eri in coma.
Tuo padre
era quasi sempre in ospedale con te; temeva potessero ucciderti come in
quei
casi di malasanità.”
Nathaniel
reagì in maniera
ostile: “Jamie lavora ancora per noi?”
“Certo
tesoro, perché me lo
domandi?”
“Niente,
è che sono
cambiate tante cose in un mese. Pensavo anche questa, ma a quanto pare
ci ho
sperato troppo!” esclamò, lasciando tutti
abbastanza perpessi.
“Speravi
che Jamie non
lavorasse più per tuo padre? – intervenne
Courtney, mentre erano ancora nel
corridoio d’ingresso – Hai idea di quante
studentesse del college vengano a mangiare
nel vostro ristorante perché c’è quel
fusto di Jamie a girare fra i tavoli?”
“Beh,
non mi fido di lui. –
ribattè Nathaniel - L’ultima volta che
l’ho incontrato al ristorante, prima del
ballo degli ex alunni, era un po’ strano.”
“Strano
in che senso?”
domandò Pete.
“Non
ne ho idea, lasciamo
perdere!” pensò Nathaniel, esausto.
“D’accordo,
il pranzo si
raffredda. – avvertì Claire, facendo cenno a tutti
di spostarsi nell’altra
stanza – Forza, andiamo!”
Quelli
eseguirono, mentre
Courtney e Pete continuavano il loro battibecco durante il tragitto.
“Sai,
potrei guardare per
sbaglio Jamie! Sono ancora giovane e attraente per lui.”
“Certo,
prima però trova un
rimedio per la tua prima ruga sulla fronte!”
replicò l’altro, vendicativo.
Courtney
spalancò la bocca,
offesa, tirandogli uno schiaffo sulla spalla.
“Ritiralo
subito! – esclamò
isterica - Ritiralo, ritiralo, ritarlo, Pete!”
Nathaniel, che
camminava
dietro di loro, rise divertito.
*
Appena uscito
dal palazzo
che ospita lo studio di Wesam, Sam si imbattè in Cameron.
“Havery,
ci incontriamo
sempre!” esclamò quello, con il suo solito sorriso
accattivante e il tono
scherzoso.
Sam
sforzò subito un
sorriso, sorpreso di averlo incontrato: “Ehi,
ciao!”
“Come
stai? Ho saputo che
Nathaniel è stato dimesso.”
“Caspita,
non sapevo che
Gossip girl fosse in città.”
“Sono
rimasti tutti
sconvolti da quello che vi è accaduto quella notte.
– rabbrividì, cercando di
mettersi nei loro panni – Un pazzo pricopatico che vi prende
in ostaggio e
cerca di uccidervi…Davvero terrificante, io me la sarei
fatta sotto!”
Sam
affondò le mani nelle
tasche della sua giacca, abbassando lo sguardo, a disagio:
“Già, terrificante è
la parola giusta…”
Cameron
restò a fissarlo,
notando quanto fosse traumatizzato. Non sapendo cosa aggiungere,
puntò lo
sguardo sull’edificio dal qualche Sam era appena uscito.
“Sbaglio
o qui c’è lo
studio di quello psicologo?” domandò, supponendolo.
L’altro
cercò, invano, di
non sembrare misterioso: “Ehm, sì, ero giusto
passato per disdire la seduta di
oggi.”
“Sei
venuto fin qui per
disdire una seduta? – non se la bevve - Che fine hanno fatto
i telefoni e le
email?
“Ero
nelle vicinanze, a
dire il vero.” cercò di arrampicarsi sugli
specchi, sempre più nervoso.
“Avanti,
Sam. – provò a
farlo confessare – In quel locale gay dove siamo stati, mi
ricordo con chi
stavi ballando. Ed era lo stesso uomo che poi ti ha rivolto la parola
al ballo
degli ex alunni.”
Nonostante
l’evidenza, Sam non
mollò così facilmente: “Che stai
insinuando, scusa?”
“Guarda
che l’ho capito che
tu e lo psicologo avete una relazione. E poi, anch’io
l’ho avuta con uno più
grande di me: riconosco i sintomi.”
“Tipo?”
“Tipo,
andare dove lavora!”
“Te
l’ho detto, ero nelle
vicinanze.”
Cameron
continuò, come se
non lo stesse ascoltando: “Quindi, o tradisci Nathaniel o la
vostra relazione è
finta.”
“Finta?
– sorrise, fingendo
di trovarlo ridicolo – E perché mai avremmo dovuto
fingere?”
“Beh,
dopo il video che
avete girato con Anthony, diciamo che vi odiavano un po’
tutti, perciò… Usare
la carta dei ragazzi gay che entrano a scuola per mano, facendo coming
out
davanti a tutti, fa breccia nei cuori. Resetta tutto. Fa notizia! E,
come
d’incanto, quello che c’era prima, viene
dimenticato.”
Sam non ne
potè più,
arrendendosi: “Ok, basta, hai vinto! Ho una relazione segreta
con il mio
psicologo, contento?”
“Quindi
Nathaniel è gay
oppure no?”
“No,
non è gay. L’abbiamo
fatto per i motivi che hai appena detto tu.” mentì.
“Peccato,
perché credevo
che fosse gay anche prima di questa messa in
scena…” pensò, abbozzando una faccia
delusa.
“Aspetta,
perché lo
credevi? – restò incuriosito da
quell’affermazione – Sai qualcosa che non
so?”
Cameron si
voltò verso la
caffetteria che c’era alle sue spalle, per poi fare una
proposta: “Se te lo
dico, prendi un caffè con me?”
L’altro
lo trovò come l’ennesimo
tentativo di provarci con lui, incredulo e seccato: “Cameron,
ancora?”
“No
no, tranquillo, non ci
sto provando con te. – mise in chiaro immediatamente
– Certo, sei davvero un
tipo strano visto che nessuno mi resiste, ma non ci sto provando. Lo
giuro.
Voglio solo essere tuo amico, è così difficile da
credere?”
“Perché,
Cameron?”
“Perché
non ho così tanti
amici come sembra. Le persone mi girano intorno solo perché
sono bello,
popolare e le mie feste sono leggendarie. – lo
trovò triste da dire – Ma alla
fine della fiera, nessuno mi gira intorno perché vuole
sapere come sto o
cercare di conoscermi davvero.”
Sam lo
fissò a lungo,
intenerito e compassionevole. Alla fine dovette arrendersi, ma da un
lato era
anche curioso di scoprire se Nathaniel fosse sempre stato gay o ha
davvero
capito di recente di esserlo.
“D’accordo,
prendiamo un
tavolo.”
“Alleluja,
Havery! –
esclamò, facendolo sorridere - Io che supplico qualcuno di
prendere un caffè
con me è una novità.”
“Beh,
c’è sempre una prima
volta!” aggiunse Sam, ironico, mentre si avviavano.
*
Rider, intanto,
era al
centro commerciale di Rosewood, nel reparto d’abbigliamento
maschile, con il
telefono all’orecchio.
Mentre attendeva
che
qualcuno rispondesse alla sua chiamata, sbirciò qualche
vestito qua e là, teso.
Finalmente ricevette risposta: da parte di Eric.
“Ehi,
ciao, stavo per
chiamarti…”
“Sam e
Nathaniel non mi
rispondono, evidentemente hanno di meglio da fare. –
partì a raffica, isterico
– Ora, almeno tu, puoi spiegarmi come mai mi ritrovo al Rosewood
mall a
cercare un outfit adatto ad
un apppuntamento con Violet??”
Eric
reagì sorpreso, oltre
che confuso: “Cosa? Violet??”
“Ah,
bene, dal tuo tono
deduco che non ne sai niente. – prese un respiro profondo
– Ok, Nolan deve aver
stretto con Violet, mentre mi impersonava. Devo per forza continuare la
messa
in scena, poi dovrò inventarmi qualcosa per scaricarla. Non
ho tempo per
questo.”
“A
proposito di tempo,
prima al Brew c’erano degli agenti dell’FBI di New
york.”
Rider si
fermò bruscamente dal
camminare: “Come? Da New york? – si
agitò - Che altro sai?”
“E che
diavolo ne so? So
solo che New york
= Edward Blanc!”
“E
come avrebbero scoperto
che è scomparso? Pensavo che A stesse
tenendo tutto sotto controllo.”
“Non
ne ho idea. – era teso
anche Eric – Io credo che A non
abbia capito per niente che abbiamo scoperto chi è il
complice e che vogliamo
consegnarglielo.”
“Ho
provato a cercare Ector
al Radley per farmi dare il computer e contattare A,
ma sembra sparito.”
“E se A stesse cercando di incastrarci? Sono
passati tre giorni da
quando ci ha chiesto di consegnarli il complice, magari si è
stufato di
aspettare.”
“Infatti
speravo di poter
comunicare con A, chiedergli tipo
una proroga; Clake non vive a Rosewood, come facciamo a catturarlo se
non è qui?”
“Ascolta,
io stacco tra
dieci minuti. Ci vediamo da Nathaniel?”
“Sì,
assolutamente. – uscì
a passo veloce dal reparto di abbigliamento maschile - Dobbiamo pensare
a come
venire a capo di questa faccenda, al diavolo il mio appuntamento con
Violet!”
“Va
bene, a dopo!” chiuse
Eric.
*
Nel frattempo,
Sam e
Cameron erano seduti ad uno dei tavoli esterni alla caffetteria, con
molta
gente intorno e il sole che batteva.
Sam
vollè riprendere la
conversazione da dove si erano interrotti: “Allora, mi dici
cosa sai su
Nathaniel?”
Cameron
girò il suo
cucchiaino dentro la tazza, raccontando: “Una sera ero su una
di quelle nostre
chat e c’era questo ragazzo in webcam con addosso una felpa
aperta e tutti i
suoi addominali in bella mostra. – ammiccò, mentre
Sam restò abbastanza apatico
– La faccia non si vedeva, ma la felpa era quella della
squadra di nuoto:
quella degli Shark!”
Sam
restò leggermente
perplesso: “Un secondo, tutto qui?”
“Ehm,
sì!”
“Ok,
ma come fai a dire che
era Nathaniel? E quanto tempo fa è successo?”
“Lo
scorso Marzo… - ricordò
– E comunque sono certo che fosse Nathaniel, riconoscerei il
suo corpo
ovunque.”
“Ma
non vuol dire niente,
tutti i componenti della sua squadra hanno una tartaruga da urlo. E
Nathaniel
non è così stupido da tenersi addosso la felpa
degli Shark.”
“Beh,
io te l’ho detto. –
gli sorrise scherzosamente - Magari mi sbaglio, ma almeno abbiamo fatto
due
chiacchiere.”
Sam gli
lanciò
un’occhiataccia: “Non riesco davvero a capirti, lo
sai?”
“Avanti,
Havery, smettila
di fare il noioso. Noi gay dovremmo essere amici, raccontarci le
cose…”
“Sentiamo,
e cosa dovrei
raccontarti esattamente?”
“Dici
di stare con lo
psicologo, ma ti interessi a Nathaniel non appena ti accenno un mio
sospetto
sulla sua presunta omosessualità. – lo
fissò, intuitivo - Non sarà che hai una
cotta per lui?”
“Ehm,
ce l’avevo, ora non
più. – rispose, poco credibile – Amo
Wesam, sto con lui e mi fa sentire bene.”
“Io
non credo proprio!”
esclamò, fissandolo in maniera acuta.
A quel punto,
Sam volse lo
sguardo da altre parti, desideroso di volersi lasciar andare e
sfogarsi: e lo
fece.
“Ok,
ascolta… - si fece più
avanti con la sedia – La notte in cui siamo stati aggrediti,
Nathaniel ha
finalmente rivelato i suoi sentimenti per me. Prima di quella notte non
ero
sicuro che fosse gay, per questo mi sono interessato a ciò
che mi stavi
dicendo: volevo solo avere la certezza di alcune cose.”
L’altro
rimase a bocca
aperta: “Un secondo, Nathaniel ti ha detto di provare
qualcosa per te prima del
coma? – era elettrizzato - E ora? Come siete
rimasti?”
“Ora
sto con Wesam.
Nathaniel sapeva che lo amavo, l’ha scoperto,
ma…”
“Ma
non sa che durante il
coma ti sei messo con lui, giusto?” completò
Cameron.
“Esatto,
non lo sa. Però ha
chiarito che non si sarebbe intromesso tra me e lui; proprio
perché ha
realizzato i suoi sentimenti un po’ troppo tardi.”
concluse Sam, leggermente
amareggiato.
“Interessante…
- notò con
attenzione quanto la cosa lo rattristasse – E Sam cosa pensa
in tutto questo?”
“Ehm,
cosa dovrei pensare?
– trovò strana la domanda, sentendosi a disagio
– Che vuoi dire?”
“Te la
faccio semplice,
Havery: sei innamorato di Wesam o di Nathaniel?”
“Sto
con Wesam: secondo
te?” sforzò un sorriso, come se nemmeno lui ne
fosse convinto.
“Strano,
però: non hai la
faccia di qualcuno che è davvero innamorato!”
esclamò con strafottenza.
“Sono
affari miei, ok? – si
seccò – Se ti ho detto che amo Wesam, allora
è vero!”
“Calmati,
non ti scaldare.
Dico solo quello che percepisco, Sam.”
Più
rilassato, Sam gli
diede ragione: “Scusa, non volevo comportarmi da stronzo.
E’ che prima che
Nathaniel si svegliasse dal coma, li ho detto certe cose…
Cose che penso
tutt’ora.”
“Non
puoi stare con il
piede in due scarpe, Sam; quella è più una cosa
mia. E non puoi nemmeno
lasciare uno spiraglio di luce a Nathaniel, se stai con Wesam. E,
viceversa,
non puoi tradire la fiducia che Wesam ha in te, avvicinandoti
nuovamente a
Nathaniel. - si
meravigliò delle sue
stesse sagge parole – Accidenti, mi sento come il Signor
Giles in Buffy; solitamente
non sono io a dare consigli.”
L’altro
sospirò, rendendosi
conto che aveva ragione: che c’era una guerra nel suo cuore e
che doveva fare
una scelta.
Quando
spostò lo sguardo
sulla strada, però, i suoi pensieri scomparvero con una
nuvola di fumo portata
via dal vento: Chloe e Clarke stavano passeggiando sul marciapiedi
parallelo a
quello loro, in lontananza.
“Clarke
è in città!”
esclamò Sam, alzandosi di colpo dalla sedia.
Cameron si
girò a seguire
il suo sguardo, ammirando la coppietta con un sorrisetto cinico:
“Ma guarda,
Chloe friendzoned si è sistemata con il fratello attraente
di Anthony. Se fosse
vivo, riderebbe fino all’ultima stagione di Grey’s
anatomy; se mai avrà una
fine quel telefilm.”
“Stanno
insieme? – gli
domandò, turbato dalla scena – Che ne
sai?”
“Non
è la prima volta che
vedo Chloe con Clarke. Gli ho visti insieme anche al ballo degli ex
alunni, lei
è andata via con lui dopo l’esplosione.”
“Sì,
l’ho vista anch’io. –
ricordò Sam – Ma non vuol dire che stiano insieme,
no?”
Cameron rise per
qualche
istante: “Ma dove vivi, Havery? E’ evidente che ha
una relazione segreta o
quasi: ho visto Chloe entrare anche nell’albergo dove
alloggiava lui, una
volta. E lo so per certo, visto che mio padre ne è il
proprietario.”
“Davvero?
– sgranò gli
occhi - E’ andata nel suo stesso albergo?”
“Già,
te l’ho appena detto!
– ribadì, trovando strana la sua reazione
– Come mai la cosa sembra turbarti?
Hai per caso una cotta anche per Clarke?” scherzò
nuovamente.
“No,
è solo che è il
fratello di Anthony. Non lo conosco molto bene, e a Chloe tengo ancora
nonostante non siamo più amici come prima.”
“A
proposito, come mai tu e
Chloe non siete più amici?” si impicciò.
Sam prese la sua
borsa da
terra e tirò fuori una banconota dal suo portafoglio,
buttandola sul tavolo:
“Ora devo andare, mi ha fatto piacere parlare con te!
Ciao!” esclamò, fuggendo
via.
Non
lasciò nemmeno il tempo
a Cameron di salutarlo, che restò a parlare da solo:
“Oook, ciao ciao. Che tipo
strano quell’Havery!” pensò, pronto a
pagare anche la sua parte del conto.
*
Dopo aver
poggiato i suoi
libri sul tavolo, Lindsey aprì il frigorifero per prendersi
un succo fresco.
Trasandata e con i capelli legati, si avvicinò al tavolo per
versarlo nel
bicchiere. In quell’istante, dalla porta sul retro,
entrò Tasha; era sudata,
indossava i leggins ,
un top che si
intravedeva dalla cerniera aperta della felpa e le scarpe sportive.
“Tesoro,
perché non sei
venuta a correre con me? – si tolse le cuffie dalle orecchie,
riprendendo fiato
– Fuori c’è davvero una bella
giornata!”
“Ehm,
a dire il vero ho molto
da studiare in questi giorni. – si toccò la
fronte, il viso pallido – Magari
un’altra volta.”
Prima che
potesse
dileguarsi, Tasha la fermò per un braccio, notando un
comportamento insolito:
“Lindsey, tutto bene?”
Quella la
fissò dritto
negli occhi, deglutendo con fatica: “Sì, sto bene.
– finse un sorriso – Sono
solo un po’ stanca, tutto qui.”
“Tesoro,
è di nuovo quella
Alexis? – si preoccupò per lei - Ti sta
minacciando ancora? Sapevo che rigarle
la macchina non era abbastanza.”
“No
no, non c’entra nulla.
Dopo avermi fatta lasciare con Julian, non ho più ricevuto
altre minacce.”
“Allora
cosa c’è?”
Lindsey, sotto
pressione,
iniziò a piangere: “E’ che sono successe
tante cose in quest’ultimo mese…”
“Ti
riferisci a quel pazzo
che ha cercato di uccidere Rider e i suoi amici? Guarda che
è morto, non può
più fare del male a nessuno.”
“Tasha,
ho giurato a mio
padre di non dirlo, ma non ce la faccio più a tenermi tutto
dentro. – tremò,
mentre le lacrime scendevano copiose – Uno dei due pazienti
fuggiti dal Radley è
il gemello di Rider.”
“Cosa?
– reagì confusa - Di
che stai parlando?”
Poco dopo, le
due erano
sedute sugli sgabelli del tavolo, l’una di fronte
all’altra: Lindsey le aveva
raccontato tutto.
“Quindi
Rider e questo
ragazzo non sono nati da Zia Ellen?”
“No,
ma da un’altra donna
che non ho idea di dove viva o chi sia.”
Tasha
incantò il vuoto,
scioccata: “Rider non può aver affogato quel
bambino, lo conosco da anni. – lo
trovò ridicolo - Lui è sano di mente, questo
Nolan potrebbe aver raccontato una
balla.”
“Per
questo mio Zio Gordon
è tornato qui dall’Italia. Faranno delle sedute
registrate, in modo da capire
se è davvero stato Rider ad affogare quel bambino.”
“E
dopo che succede? Rider
finirà al Radley al posto di
quell’altro?”
“Non
lo so… - le scese una
lacrima, sofferente – So solo che mi sembra di essere in
un’altra casa e che
non riesco più a guardare Rider con gli stessi occhi di
prima dopo quello che
Papà mi ha detto sul passato.”
“Tesoro,
Rider non è un
aspirante assassino.” la abbracciò, mentre quella
piangeva fra le sue braccia.
“Tasha,
per quanto ancora
ti fermerai qui a Rosewood?”
“Ancora
qualche giorno, ero
venuta solo per passare a trovare Nathaniel Blake. – le
sorrise - E i miei
cugini preferiti.”
Lindsey si
staccò
lentamente, asciugandosi le lacrime: “Ancora in fissa per
quel ragazzo? Tasha,
per favore, lascia perdere.”
Quella le prese
le mani:
“Non devi badare a me. Ora che so queste cose, ti
starò accanto. Non dev’essere
stato un bel clima per te.”
“Già,
peccato che non ci
sia solo questo a preoccuparmi. – le lacrime ripresero
– Tasha, io credo di
essere incinta.”
A quella
confessione, Tasha
sgranò gli occhi: “Ne sei sicura?”
“Ho
fatto il test due volte
l’altro giorno ed è risultato positivo.
– singhiozzò – E’ di
Julian!”
“Oh,
tesoro… - la fissò con
empatia, realizzando in che situazione si trovasse – Non ti
preoccupare, ci
sono io adesso.” e la abbracciò forte.
*
Nel frattempo,
nella camera
di Nathaniel, era in corso una riunione del gruppo sugli ultimi
sviluppi.
Ognuno di loro era teso; Rider era poggiato di schiena alla finestra,
Eric in
piedi davanti al letto di Nathaniel, mentre ques’ultimo era
seduto nel suo
letto con le coperte fino alla pancia.
“Quindi
è finita? – chiese
proprio quello, nel panico - Stiamo per andare in prigione?”
Rider
cercò di non darsi
per spacciati: “Non ancora, non sappiamo cosa ci facciano qui
quei due agenti.”
“Rider,
per quale altro
motivo due agenti dell’FBI dovrebbero essere qui? Per fare un
tour del Brew e
qualche selfie vicino all’albero più longevo della
città? – intervenne Eric –
Sono qui per Edward, siamo nella merda!”
In
quell’esatto istante,
Sam fece irruzione nella stanza.
“Clarke
è in città!”
esclamò, senza nemmeno riprendere fiato, chiudendo la porta.
Quelli lo
fissarono,
sgranando gli occhi.
“Bene,
questa è una buona
notizia… - pensò Rider, riflettendo –
Abbiamo quello che vuole A, forse
facciamo ancora in tempo a
salvarci prima che sia troppo tardi.”
Sam non
riuscì a seguirlo,
facendo un smorfia confusa: “Troppo tardi per
cosa?”
“Due
agenti dell’FBI sono
entrati al Brew prima… – lo aggiornò
Eric, mentre l’altro diveniva pallido in
volto – Tranquillo, per ora sappiamo che hanno preso solo una
tazza di caffè e
una ciambella.”
“Solo?
– Sam pensò a quanto
avesse minimizzato la cosa, spaventato – Ditemi che non
vengono da New york, vi
prego.”
Le loro facce
risposero da
sé. Lo sguardo di Sam precipitò verso il basso,
gli mancò il fiato.
“Oh
mio Dio, non ci credo…”
scivolò con la schiena lungo la porta, sedendosi a terra con
le ginocchia fino
al mento.
Anche Nathaniel
andò nel
panico, subito dopo di lui: “Devo entrare in quel
deposito!”
“Cazzo,
Nat, vuoi prendermi
in giro? – sussultò Eric –
L’FBI è a Rosewood e tu pensi a farti beccare
proprio nell’ultimo posto in cui dovresti essere?”
“Non
sei tu il coglione dipinto
su quella tela, ok? – alzò la voce, fulminandolo
con lo sguardo – C’è la mia
faccia lì sopra, quel pittore era un fottuto pittore vero e
sapeva dipingere
bene; mi riconosceranno in un secondo, andrò in galera prima
di voi!” esclamò,
sentendo male al petto.
Tutti si
preoccuparono per
Nathaniel, che si appoggiò alla spalliera del letto,
chiudendo gli occhi e
premendo una mano sul petto.
Rider
avanzò verso il letto
dell’amico: “Ok, facciamo tutti un bel respiro
pronfondo. – si rivolse a tutti,
poi subito a Nathaniel – Eric ha ragione, devi lasciar
perdere il deposito.
Bisogna prima capire cosa sta succedendo al distretto di
polizia.”
A quella frase,
tutti si
voltarono a guardare Sam. Quello, però, non la prese bene.
“Un
secondo, scordatevelo!
Come dovrei esordire: “Ciao,
Papà, per
caso è iniziata l’indagine sull’uomo che
ho seppellito nel bosco con i miei
amichetti, il mese scorso?” … No,
è assolutamente fuori discussione! Non
ora che le tensioni con padre si sono affievolite durante il mese senza
A.”
“Ok,
possiamo tornare al
punto in cui Clarke è in città? – Eric
attirò l’attenzione su di sé
– A ha il potere di
incastrarci o di
salvarci, inutile fingere che non abbia i superpoteri,
perciò… ci basta
consegnarli Clarke e non dovremo affannarci così tanto nel
cercare di non
finire in prigione.”
“Va
bene, mettiamo che
riusciamo a consegnarli Clarke… - prese parola Nathaniel
– Cosa mi dite di
Jasper? E’ ancora nelle mani di A,
non credo l’abbia ucciso.”
“Vuoi
fare uno scambio con A? Jasper per
Clarke?” intuì Eric dalle
sue parole.
“E’
innocente, non merita
di stare rinchiuso nel sotterraneo di chissà quale
posto!” disse loro,
Nathaniel.
“Nat, A non ci darà mai Jasper.
– Rider lo riportò con i piedi per terra
- Per la polizia, in questo momento, è un assassino
ricercato: ed è proprio
questo che ci mantiene tutti al secondo posto nel caso
dell’omicidio Dimitri.”
“A
meno che…” intervenne
Sam, dopo aver riflettuto mentre discutevano.
“A
meno che, cosa?” ripetè
Eric, in attesa di ascoltare ciò che aveva pensato.
“Se
mandassimo alla polizia
il filmato delle telecamere di sorveglianza trovato a casa di Tyler,
dimostreremmo che Anthony è ancora vivo e che Jasper
è innocente: verrebbe
scagionato dalle accuse a suo carico.”
“Se la
polizia trovasse
Anthony e A ci consegnasse Jasper,
potrebbero entrambi incastrarci. – replicò Rider -
Anthony ci farebbe colare a
picco insieme a lui, mentre Jasper, a questo punto, farebbe qualsiasi
cosa per
uscirne dopo quello che ha passato.”
Nathaniel
trovò tutto così
assurdo e ingiusto: “Quindi consegnamo Clarke ad A, torniamo alle nostre vite e fingiamo
che Jasper non esista?”
“Sì,
Nathaniel, è esattamente
questo che dobbiamo fare! – continuò Rider, rigido
e deciso – Ragazzi, A lo
sa che è stato Anthony ad
investire Albert; era presente sulla scena dell’incidente e
ha visto tutto. E
ora che sa anche che è Clarke il complice di Anthony e non
uno di noi, penserà
che in tutti questi mesi abbiamo pagato abbastanza, ok? Una volta che
avrà
quello che vuole, ci penserà lui a far quadrare tutto quanto
e a non mettere la
polizia sulle nostre tacce e sulle sue. Finirà
tutto!”
Dopo quelle
parole, ognuno
di loro abbassò lo sguardo, pieno di vergogna e senso di
colpa.
“Lo so
come vi sentite in
questo momento. – aggiunse ancora Rider, un pizzico di
sofferenza nella voce –
Anche a me dispiace per Jasper, ma una parte di me vuole credere che
quando
tutto questo sarà finito, A troverà
una soluzione anche per lui… - sospirò, cercando
di convincerli - Sapete, ci
sono molte persone nel mondo che cambiano aspetto, identità,
non lasciando più
traccia di sé. Qui non si tratta più di cosa
è giusto o sbagliato, ma della
nostra libertà contro quella di Jasper. E io, francamente,
non mi sento
colpevole di nulla per dover rinunciare alla mia. Tanto meno mi
interessa cosa farà
A con Clarke.”
Mentre Nathaniel
e Sam
avevano il volto girato verso altre direzioni, cercando di trattenere
le
lacrime e la rabbia, Eric decise di scegliere.
“Rider
ha ragione, abbiamo
tutta la vita davanti. E quello scambio che faremo con
A rappresenta la chiave per aprire la porta che ci separa da
tutto
ciò che meritiamo di avere e di conquistare. Non
è colpa nostra se siamo finiti
in questo casino, siamo solo accorsi ad un messaggio di Anthony senza
sapere
perché ci avesse chiamati.”
Sam e Nathaniel
si
voltarono finalmente verso di loro, poi si guardarono l’uno
con l’altro, come
se stessero pensando di arrendersi e accettare.
Rider
pensò di dare loro un
ultimo incentivo: “Siamo tutti a pezzi, non devo di certo
dirvelo io. Ma se non
prendiamo questa decisione, la giusta decisione, la rimpiangeremo per
sempre.
Non ne usciremo mai. E io voglio così disperatamente
uscirne.”
Anche Nathaniel
fece la sua
scelta, a suo malgrado: “Abbiamo un piano su come catturare
Clarke?”
“Ehm,
sì, in questi giorni
ho fatto delle ricerche. – spiegò Rider - Ho
accennato qualcosa ad Eric, in
pratica dobbiamo procurarci un oppioide chiamato M99, che non
è altro che un
composto chimico che possiede un effetto analgesico molto
più potente della
morfina. Dovremo somministrarlo per endovena.”
In
quell’angolino della
stanza, Sam si lasciò scappare una risata isterica,
mettendosi le mani sul
volto per quel discorso così assurdo: “Oh mio
Dio…”
“Sam,
cosa ti prende?” gli
domandò Eric.
“Per
endovena? – Sam si
tolse le mani dal volto, rispondendo con toco aggressivo –
Almeno sappiamo come
si fanno queste cose?”
“Sam,
tranquillo, sarò io a
farlo.” gli disse Rider.
“Ah,
beh, scusami allora! –
lo prese in giro, alzando le mani – Non sapevo ti fossi
appena preso una bella
laurea in medicina.”
“Non
abbiamo altra scelta,
ok? – ribattè Rider, infastidito - Inutile che ti
metti a fare tutte queste
scene, è così che prenderemo Clarke.”
“Così,
come? – era curioso
di sapere Nathaniel – Qual è il piano? Di certo
non si presterà alla cosa di
sua spontanea volontà, dobbiamo attirarlo da qualche
parte.”
“Ragazzi,
non è come
decorare un uovo alle elementari. – si intromise Eric
– Dobbiamo organizzarci.”
Sam
trovò opportuno
metterli al corrente di qualcos’altro, più calmo:
“Quando ho visto Clarke,
prima, era con Chloe.”
In seguito a
questa
confessione, Rider reagì confuso: “Con
Chloe?”
Intervenne
subito anche
Eric: “Aspetta, non avevi detto che Chloe aveva lasciato il
ballo con Clarke,
quella sera?”
“Già,
pensavo solo per un
passaggio, ma a quanto pare c’è molto di
più.”
“Pensate
che lei sappia?”
si chiese Nathaniel.
“Pff,
nel sangue di Clarke
scorre il sangue dei Dimitri: bugiardi patologici che pensano solo a
sé stessi.
– pensò Rider, certo – Sicuramente Chloe
non ha la più pallida idea di con chi
ha a che fare.”
“Appunto
per questo,
cerchiamo di tenerla fuori. – richiese Sam come
priorità – Non voglio che
qualcosa vada storto e che pur di riavere indietro la nostra
libertà
sacrificassimo anche lei.”
“Hai
la mia parola, Sam. –
gli garantì Rider – Nel piano che organizzeremo,
faremo in modo che Chloe sia
altrove mentre ci occupiamo di Clarke.”
“Allora
siamo d’accordo?”
domandò Eric, spostando lo sguardo fra loro tre.
Rider
annuì, poi seguì
anche Nathaniel e, infine, Sam: ormai era tutto deciso.
“Solo,
facciamo presto. –
desiderò Nathaniel, turbato – La ruota di A
è ancora puntata sulla mia faccia e me la sto
facendo davvero sotto.”
Naturalmente,
Rider fu
comprensivo nei suoi confronti: “Ci mettiamo
all’opera, tranquillo.”
“Io,
comunque, in questi
giorni ho abbozzato uno schema su quello che sa la polizia fino ad ora.
– Sam
si sollevò da terra, aprendo il suo zaino e tirando fuori un
quadernino – Ci
sono due casi aperti e uno chiuso: Dimitri, Albert e
l’aggressione che abbiamo
subito al lago; in pratica siamo collegati a tutti e tre questi casi,
senza
contare che eravamo presenti anche all’esplosione della
scuola, perciò mi
chiedo come mai la polizia non ci abbia ancora arrestati.”
Rider aveva
già una sua
idea, a tal proposito: “Semplice: perché per loro
risulta tutto un grande
casino e A ha confuso ancora di
più
le carte in tavola, rendendo questi casi irrisolvibili. Per non parlare
dei
nostri alibi, che per ora reggono, tutto sommato.”
“Sì,
ma se sopraggiungesse
anche un quarto caso, possiamo prendere i nostri alibi e pulirci il
culo. –
Eric alluse al possibile ritrovamento di Edward Blanc –
Scusate il francesismo,
ma saremmo seriamente fregati.”
*
Più
tardi, alla centrale di
polizia, Carter Havery osservò gli agenti dell’FBI
appena entrati nell’ufficio
del tenente Jacobson; pensò si trattasse di qualcosa di
grosso.
Tuttavia,
l’uomo sembrò
essere assai furibondo per qualche faccenda riguardante il lavoro e
preferì
andarsene.
Dentro
quell’ufficio,
intanto, i due agenti si stavano presentando con una stretta di mano al
tenente
e al detective Costa.
“Agente
Murphy, salve. –
disse l’uomo, per poi indicare la collega – E lei
è l’agente Sanchez: FBI di
New york.”
“Cosa
vi porta qui a
Rosewood?” domandò il tenente Jacobson, notando
che l’agente Sanchez stringeva
una busta gialla tra le mani.
“La
polizia di New york ha
ricevuto un filmato qualche giorno fa, il mittente è
anonimo.” prese parola la
donna, pronta a mostrare il contenuto della busta.
“Un
cd?” si incuriosì il
detective Costa.
“C’è
anche una scritta
sopra!” fece notare loro l’agente Murphy.
“Sono morto… – lesse
Jacobson – Un messaggio ben preciso!”
trovò.
“Ovviamente
è stato mandato
da Rosewood, per questo siamo qui.” continuò
Sanchez, mentre inseriva il cd nel
lettore apposito.
Le immagini
iniziarono a
comparire sullo schermo del televisore. Jacobson e Costa osservarono
con
attenzione ogni fotogramma, mentre l’agente Murphy analizzava
il filmato.
“Quattro
inquadrature
diverse riprese in un bosco. Nessun audio. Nessun volto.”
Costa
avanzò leggermente in
avanti, inquietato: “Sembra che qualcuno stia scavando una
buca…”
“Il
video è stato
manipolato, non mostra chi regge le pale che stanno
scavando.” spiegò Sanchez.
“Deduco
che in quei borsoni
ci siano parti di un corpo. – intervenne Jacobson –
Potrebbero essere stati
sepolti ovunque.”
“Abbiamo
ragione di credere
che siano stati sepolti qui a Rosewood… - Murphy
fermò il filmato, tirando
fuori un telefono chiuso dentro un sacchetto – Assieme al cd
è arrivato anche
questo cellulare.”
“A chi
appartiene?” domandò
Costa.
“Edward
Blanc, un pittore
Newyorkese. Risiede a New york dal 2009, ma ha un appartamento anche
qui a
Rosewood.”
“Risulta
scomparso da più
di un mese, secondo le indagini che abbiamo svolto. –
continuò Sanchez –
Abbiamo interrogato i suoi vari contatti in rubrica: quasi tutti
l’hanno
sentito solo e unicamente per messaggi. Temiamo che la persona che
possedesse
il suo telefono, si sia spacciato per lui.”
“E
credete che la persona
che conservasse il suo telefono, sia l’assassino?”
pensò Jacobson.
“O
è l’assissino o sa chi è
l’assassino. – Sanchez riportò i loro
sospetti – Questa persona vuole farci
sapere che un uomo è stato ucciso, ma non ci mostra chi
è stato. – si mostrò
dubbiosa - Vuole giocare con noi, perchè è
l’assassino? Sa chi è stato, ma è
qualcuno a cui tiene?”
“E’
tutto molto confuso, a
dire il vero: come le telecamere, ad esempio.
– aggiunse Murphy -Sembra siano state
posizionate sulla scena del
crimine, prima ancora del crimine.”
Mentre gli
agenti parlavano
a Jacobson, Costa si focalizzò sull’immagine
bloccata sul televisione: ne
contemplava i dettagli.
“…In
ognuna di queste
inquadrature, la pala è diversa.” notò.
Sanchez si
voltò verso di
lui, impressionata: “Lei è un ottimo osservatore,
detective. Infatti nelle
inquadrature che abbiamo esaminato, ci sono quattro pale diverse: come
se sulla
scena ci fosse più di una persona; per questo motivo
crediamo che il mittente
di questo materiale possa non essere l’assassino.”
“Se
non è l’assassino,
sembra proprio che abbia teso una trappola ai veri assassini.
– ipotizzò Costa,
anche se faceva fatica a capire certe dinamiche – Solo che
non ha senso
aspettare tutto questo tempo per coinvolgere la polizia.”
“Siamo
qui proprio per
risolvere questo mistero, infatti. Il caso è affidato al
vostro distretto,
visto che siamo nella vostra giurisdizione. Noi supervisioneremo le
indagini e
propongo di partire dall’appartamento della
vittima.” spiegò Murphy.
Il tenente
Jacobson era
pronto: “Bene, riunisco subito una squadra per setacciare
tutta la zona intorno
a Rosewood.”
Poi, assieme
agli agenti,
uscì dall’ufficio. Il detective Costa, concentrato
nel fissare ancora lo
schermo, rimase: non face che riflettere sul fatto che sulla scena del
crimine
ci fosse più di una persona; e a proposito di questo,
sembrò avere già qualche
sospetto.
*
Nel pomeriggio,
Wesam fece
un piccolo viaggio per far visita ad una persona.
In piedi,
davanti alla
porta di un appartamento, aspettò di essere aperto dopo aver
bussato; quando
quella persona finalmente aprì, Wesam fu felice di non aver
fatto un viaggio a
vuoto: si trattava di Julie Orlando.
“Ehm,
salve… - cominciò,
imbarazzato – Suppongo che lei si ricordi di me,
no?”
L’altra,
alquanto sorpresa,
annuì: “Ma certo, l’ho vista al ballo
degli ex alunni al liceo di Rosewood. –
trovò strana la sua visita – Solo
che…”
“Sì
sì, lo so che si starà
chiedendo che cosa ci faccio qui. – cercò di dare
una spiegazione, mettendo le
mani in avanti – Il punto è che io sono lo
psicologo di Sam Havery… E so!”
Quella rise, non
afferrando: “Ok, di che cosa sta parlando? Sa,
cosa?”
Wesam
accentuò il suo
sguardo: “So quella cosa che sai anche tu… - lo
accentuò ancora di più - Quella
cosa!”
“Oh
mio Dio… - ora capì,
grattandosi il capo – Ehm, senti, non restiamo qui a
parlarne. Forza, entra!”
Seduti a tavola,
qualche minuto
dopo, Julie gli allungò lungo il tavolo una tazza di
caffè che aveva appena
preparato.
“Quindi
ti sei trasferita a
Courtland, dopo l’esplosione della Rosewood high school?
– contemplò ogni
dettaglio dell’appartamento, sorseggiando il suo
caffè caldo – Carina la casa…”
“Beh,
sì, ho dovuto
trasferirmi qui perché il mio fidanzato insegna alla
Northdale, adesso. – spiegò,
più interessata al motivo della sua visita in
realtà – Allora… Sai anche tu di A?”
“Sì,
Sam si è aperto con
me. Era inevitabile.”
“Wow,
un po’ mi sento
sollevata a non essere più l’unica a mantenere il
loro segreto.”
“Beh,
io invece non mi
sento sollevato per niente. – mostrò quanto fosse
preoccupato – Sam mi ha
chiesto di non intervenire, anche se mi riesce difficile ogni giorno
che passa.
Dice che lui e i suoi amici hanno tutto sotto controllo,
ma…”
Julie si
sentì come
attaccata: “Ascolta, se sei venuto qui per giudicarmi, ti
fermo subito: io ho
offerto loro il mio aiuto, ma in cambio volevo tutta la
verità. Mi hanno
raccontato di A, ma c’era
molto di
più. - si sfogò – La sera che ho
lasciato Rosewood, dovevano passare da me e
raccontarmi tutto il resto, ma non l’hanno fatto.”
“Se
non sono venuti da te è
perché A li ha
distratti con uno dei
suoi macabri giochi. – il suo volto cambiò,
angosciato – Non hai idea di cosa
hanno passato da quando te ne sei andata.”
“Tipo?”
“Tipo
che A ha ucciso una persona e ha
costretto
i ragazzi a seppellirla nel bosco. Il corpo era suddiviso in quattro
borsoni.”
Quella si
portò una mano
alla bocca, sconvolta: “Oh mio Dio…”
“Già,
Oh mio Dio! – sottilineò,
portandola a rendersi conto della gravità
della situazione – Se sono venuto qui da te è
perché sei l’unica persona che sa
quello che so io, e che tiene a quei ragazzi e che può fare
qualcosa per
aiutarli.”
“Aiutarli,
come? Non
possono rivolgersi alla polizia, sai perfettamente che A
ha qualcosa contro di loro,
perciò…”
“Sì,
i video di quella
sera, lo so!” si lasciò sfuggire.
“Un
secondo, ma… - percepì
qualcosa di strano – Esattamente, cosa sai?”
Wesam rimase in
silenzio,
colto alla sprovvista. La donna si alzò dalla sedia,
incredula.
“Oh
mio Dio, ma tu sai
proprio tutto. Anche quello che io non so! –
esclamò, allontanandosi dalla
tavola, basita – Caspita, ho chiesto loro mille volte di
dirmi cosa
nascondessero e che di me potevano fidarsi… Poi arriviti tu
e boom, ti raccontano
tutto? Davvero, non ho parole!”
“Sto
con Sam! – rivelò a
bruciapelo – Ho una relazione con Sam; per questo si
è aperto con me,
raccontandomi ogni cosa. I suoi amici non sanno che io so.”
L’altra
si voltò,
sconcertata: “Tu… stai con… Sam?
– trovò assurdo - Ma quanti anni hai?”
“La
cosa non è rilevante in
questo momento: è successo! – cercò di
nascondere il suo imbarazzo - Il punto è
che hanno bisogno d’aiuto e io non riesco a starmene con le
mani in mano.”
“E
cosa vorresti fare? Lo
sai che è stato A a far
esplodere la
scuola, vero?” gli fece notare quanto fosse pericoloso
intromettersi.
“Lo so
perfettamente, ma ci
sarà pur qualcosa che possiamo fare. – insistette,
determinato - Insomma, A è
ossessionato da loro quattro. Li tiene d’occhio in
ogni momento, ma… Non
può avere occhi ovunque, no?”
Julie si
lasciò
incuriosire: “Vai avanti... ”
“Potremmo
agire in maniera
parallela, scoprire delle cose per conto nostro. A
è troppo impegnato a star dietro loro per accorgersi di noi
due.”
“Parli
di una specie di
Anti A-team?”
“Ascolta…
- sospirò,
preoccupato – Credo che Sam mi stia nascondendo altre cose.
Nuove cose. E
secondo me, teme di dirmele perché potrei seriamente
intervenire.”
“Quindi
quale sarebbe il
piano?”
“Tu
sai di
Rosewood-riservato?”
Quella
cercò di ricordare:
“Ehm, sì, vagamente… E’ un
file che i ragazzi speravano di trovare nella panic
room. Secondo loro, quei file potevano contenere il motivo per cui A li ha presi di mira in maniera
così
feroce.”
“Beh,
Rosewood-riservato è
una raccolta di segreti creata dal loro amico Anthony. – le
rivelò – Il ragazzo
portava delle persone in un bosco e faceva con loro dei giochi. Era un
luogo
isolato, Sam ha detto che era recitanto e che non si poteva fuggire.
Chi ci è
finito, doveva confessare il segreto di qualcuno che conosceva in
cambio della
libertà.”
“Credi
che… - si portò una
mano alla bocca, sconvolta – Credi che Anthony torturasse
quelle persone?”
“Non
ne ho idea, Sam mi ha
detto di aver parlato con qualcuno che ci è stato. In ogni
caso, A sa di questa cosa e pare
ci sia anche
un complice.”
“Di
Anthony?”
“Sì.”
“Credeva
fosse uno dei
ragazzi, visto che erano suoi amici. Da allora, Sam e gli altri hanno
cercato
di dimostrare il contrario e il loro piano attuale è
scoprire chi è questo
complice e farlo sapere ad A.
Credono che dopo questo, li lascerà in pace.”
“Quindi
A non li sta perseguitando
perché pensa
che abbiano ucciso qualcuno, vero? Tipo Albert.”
“Come
sai di Albert?”
domandò, sapendo già tutta la verità
sul suo omicidio.
“Beh,
ho vissuto abbastanza
a Rosewood da informarmi sulle notizie più recenti.
– spiegò – I ragazzi mi
hanno chiesto di creare loro un alibi per la notte del suo omicidio, un
falso
scontrino, quindi ho pensato che potessero essere coinvolti nel suo
omicidio.”
“Julie,
io so tutto, ma non
c’è bisogno che ti debba raccontare la
verità. In ogni caso, ho promesso a Sam
di non fare parola di nulla con nessuno, su quello che mi ha detto.
– cercò di
incoraggiarla – Perciò, devi fidarti di me. Ti
assicuro che loro sono
innocenti, nonostante abbiano fatto degli errori: errori che farebbe
qualsiasi
persona alla loro età.”
A quel punto,
Julie
sospirò, restando in silenzio per qualche secondo:
“… D’accordo, ti credo. La
domanda è: mentre i ragazzi cercano di scoprire chi
è questo complice, noi che
facciamo?”
“A possiede dei video su quella notte;
sono dei video che potrebbero
incastrarli ed è con questo che lui o lei li ha tenuti in
pugno fino ad ora.”
“Pensavo
che i ragazzi
avessero le idee chiare sull’identità di A.”
“Beh,
non credo siano
convinti fino in fondo sulla sua identità. Sono
più concentrati a come
liberarsi del loro persecutore, adesso. Quindi, per me, può
essere chinque:
anche una donna.”
“E
vuoi che noi scopriamo questo?”
“Non
proprio. Voglio solo
recuperare il materiale che A possiede
sui ragazzi. – illustrò il piano - Senza prove,
non ha più potere su di loro:
diventerebbe in automatico una persona che perseguita degli adoloscenti
senza
validi motivi.”
“E
l’uomo che hanno
seppellito? A può
tenerli in pugno
anche con quello, ci sono troppe cose a cui pensare!”
“Se
troviamo il covo di A, troveremo
anche delle prove che lo
incriminano. Insomma, prima di consegnarlo ai ragazzi, l’ha
ucciso con
qualcosa: un’arma con sopra le sue impronte, intendo; non
può non aver lasciato
una minima traccia di sé.”
L’altra,
eccitata dall’impresa,
cercò di fare il punto della situazione: “Quindi
se troviamo il suo covo,
possiamo eliminare tutto quello che possiede contro i ragazzi e
incastrare lui…
o lei… o qualsiasi cosa esso sia, giusto?”
“Il
piano è questo! -
ribadì – Noi non siamo previsti, A
non se lo aspetta. Possiamo agire indisturbati, mentre lui è
concentrato su Sam
e gli altri.”
Dopo essersi
convinta che
potevano farcela, Julie vollè togliersi ogni dubbio:
“C’è altro che devi dirmi
su loro quattro?”
“Questo
è tutto quello che
devi sapere. Per il resto, devi fidarti di me; come ti ho detto, hanno
fatto
degli sbagli, ma non meritano la galera.”
Julie, allora,
annuì, fidandosi
del tutto: “Ok ok… Allora, per prima cosa, ho
bisogno che quando incontrerai
Sam, tu metta un dispositivo che ti darò sul suo cellulare;
mi servirà per
importare tutti i dati sul mio computer: in questo modo, conosceremo i
loro
spostamenti, vedremo i messaggi di A e
quant’altro. In ogni posto in cui si troveranno, quel mostro
sarà sicuramente
nelle vicinanze.”
“Perfetto!”
*
La sera
calò su Rosewood. Carter
Havery rientrò a casa sua di malumore, raggiungendo la
cucina a passo nervoso. Sam,
che era in salotto a fare i compiti, lo vide passare, e quel suo
atteggiamento
non passò inosservato; tant’è che si
alzò per andare a vedere cosa fosse
successo, lasciando i suoi libri aperti.
“Papà,
è tutto a posto?” lo
sorprese alle spalle, mentre quello aveva appena aperto il
frigiorifero; tirò
fuori una lattina di birra.
“Oh,
sei a casa! – esclamò
quasi sorpreso, pungente – Questa è una
novità!”
“Ehm,
stavo studiando… -
notò che aveva qualcosa di strano –
Papà, va tutto bene? Mi sembri di cattivo
umore.”
L’altro
prese un respiro,
esaurito: “Niente, è solo che a
lavoro…”
“Sì…?”
lo incitò a
continuare, curioso.
“Mi
hanno negato quella
promozione che aspettavo da mesi, ormai.”
“Cavolo,
Papà, mi dipiace…
- nonostante ciò, si sentì leggermente sollevato
dal fatto che non fosse nulla
di grave – E come mai?”
“Non
lo so, forse non ho
fatto abbastanza. Forse pensano che ancora non me lo meriti, anche
se… - si
infuriò nuovamente – Ho dato tutto me stesso in
questo lavoro, da quando sono
tornato in servizio dopo la morte di tua madre.”
“Vedrai
che ci
ripenseranno.” cercò di consolarlo, mentre
l’altro sorseggiava la sua birra, più
calmo.
Improvvisamente,
il
telefono dell’uomo suonò: ricevette un messaggio
importante.
“Accidenti,
devo tornare in
centrale…”
Sam
sfoggiò un sorriso
ebete: “Che c’è, ci hanno ripensato
sulla tua promozione?”
“No,
è solo che sono
arrivati due agenti dell’FBI da New york e pare che il nostro
distretto abbia
agganciato un grosso caso. Serve una squadra.”
“U-una
squadra? – balbettò
Sam, d’un tratto preso dal nervosismo – Una squadra
per cosa?”
Carter si
avvicinò a lui,
mettendogli una mano sulla spalla: “Sam, credo sia meglio che
tu torni a
studiare. Non posso trattennermi, mi dispiace. –
accennò un sorriso di
circostanza – Mi raccomando, chiudi bene la porta e non fare
tardi a letto.”
“Ehm,
ok. Ok.” dovette
eseguire, abbastanza teso.
Carter
uscì, e come da
richiesto, Sam chiuse bene la porta. In quell’istante,
poggiando la schiena su
di essa, pensò a cosa stesse accadendo e a cosa fosse
trapelato dall’arrivo dei
due agenti. Iniziò, così, ad andare in paranoia.
*
Appena scesi
dall’auto di
Rider, lui ed Eric erano nel quartiere del cugino di Nathaniel, diretti
verso
la sua abitazione.
Mentre
attraversavano la
strada, Eric era intento a rispondere ad un messaggio.
“Forse
dovresti spegnerlo.
– gli suggerì Rider, guardandosi attorno
– Potresti meravigliarti delle
vecchiette che vivono da sole: sentono persino il respiro delle
piante.”
“Un
secondo, finisco di
rispondere ad Antonio. Domani c’è la serata
karaoke e vuole che io mi esibisca;
Alexis deve avergli parlato delle mie doti canore, a quanto
pare.” ribattè
infastidito, ogni volta che parlava di quell’uomo.
“Lo
sai che domani dobbiamo
catturare Clarke, vero? – si preoccupò per la
riuscita del piano – Insomma,
Clarke non resterà a Rosewood per sempre; ha una vita fuori
da qui, rispetto a
noi povere anime.”
“Tranquillo,
non mancherò.
– mise via il telefono – Non sono di turno domani,
farò solo qualche canzone e
poi potrò andarmene.”
Improvvisamente,
iniziò a
squillare il telefono di Rider, che recuperò in fretta e
furia.
“Fortuna
che ero io a dover
spegnere il telefono!” esclamò Eric, seccato.
“E’
Violet! – rifiutò la
chiamata – Dovevamo uscire stasera, ma mi sembra di averle
detto chiaramente
che la chiamavo io per aggiormenti.”
“E’
buffo come un tempo non
ti sopportasse, mentre ora è interessata a te solo
perchè ha avuto a che fare
con una nuova versione di… te!”
“Con nuova versione di me, intendi
Nolan?”
“Conosci
altre versioni di
te, per caso?” replicò con enfasi, mentre erano
nel portico di Tyler.
“Allora…
- si concentrò
Rider – La chiave è sotto il vasetto che
c’è sul bordo della finestra.”
Eric si
avvicinò a quel
vasetto, recuperandola: “Eccola qui!”
Quando furono
dentro, Rider
provò ad accendere la luce; ma non c’era corrente.
“Ovviamente!
- esclamò sbuffando
– Usiamo la luce dei telefoni.” suggerì.
I due, con la
scarsa
illuminazione dei loro schermi, si addentrarono, diretti in cantina.
“Sei
sicuro che qui
troveremo quello che ci serve?” domandò Eric,
mentre il parquet, sotto i loro
piedi, cigolava ad ogni passo.
“Sam
ha detto che quando
venne qui con Nathaniel, gli sembrò di aver visto in cantina
una scatola di
M99, il farmaco che ci serve per addormentare Clarke.”
“Perché
Clarke teneva l’M99
in casa? – pensò, abbastanza perplesso - A cosa
gli serviva?”
“Magari
non serviva a lui…”
insinuò.
“Un
secondo, pensi che
servisse ad Anthony?” colse la sua allusione, mentre
scendevano per le scale.
Rider, davanti a
lui, ne
era più che certo: “Deve averlo chiesto a Tyler
per paura che A lo catturasse di
nuovo.”
“Per
addormentare A? Dubito che sia
così stupido da farsi
mettere fuori gioco.”
“Beh,
se nascondi la
siringa sotto la manica, non è così
impossibile.”
Giunti di sotto,
puntarono
la luce ovunque.
“Tyler
si è deciso a
ripulire questo posto. – notò Eric – Sam
e Nat ce l’avevano descritto come un
after-party.”
“L’avevo
già intuito dal
lucchetto assente, quando siano entrati. Se fuggi da Rosewood a gambe
levate,
non lasci la spazzatura in giro per casa; e con spazzatura non intendo
la
spazzatura vera, ma i tuoi sporchi segreti.”
Iniziarono a
cercare,
girovagando per la stanza.
“Come
mai non è venuto Sam
al posto mio? L’ha vista lui la scatola con dentro
l’M99, noi non sappiamo
nemmeno dove guardare.”
“Gliel’ho
chiesto, ma ha
preferito restare a casa a studiare. Dice che deve recuperare biologia
prima
che la ruota di A si sposti sulla
sua faccia.”
“Comprensibile…
- sospirò,
continuando a cercare – Allora, hai già pensato a
come faremo con Clarke? Di
certo non possiamo infilzarlo con una siringa al collo nella hole del
suo
albergo.”
“Prima
di tutto dobbiamo
pensare a Chloe: lei è la ragione per cui Clarke
è qui a Rosewood, perciò
staranno sempre insieme.”
“Quindi
infilziamo anche
Chloe?”
“No,
Chloe dovrà trovarsi a
casa di Sam mentre noi facciamo i Dexter Morgan della
situazione.”
“E Sam
conosce questa parte
del piano? Lo sai che non si parlano da tempo.”
“No,
non la conosce. Però
se vuole tornare ad alzare la sua media dei voti senza fare pause di
occultamento cadaveri, deve sottostare alla cosa. La
priorità è liberarci di A!”
Eric
illuminò un ripiano
che catturò la sua attenzione, nel mentre: “Ehi,
qui ci sono delle scatolette.
Presto, vieni a vedere!”
Rider si
avvicinò, tirando
giù da quel ripiano scatole e flaconi. Sembrò
aver trovato ciò che cercava.
“Ecco
l’M99!” esclamò,
iniziando ad aprire la scatola.
“Spero
che Anthony non
l’abbia preso tutto!” incrociò le dita,
Eric.
“Una
fiala! – esultò Rider,
tirandola fuori – E ci è andata bene se conti che
in questa scatola ce ne
dovrebbero essere tre.”
I due si
guardarono, dopo
quel momento di euforia; fecero largo ansie e paure.
“Cazzo,
Rider, lo stiamo
per fare davvero? Stiamo per drogare un uomo e consegnarlo ad un
assassino?”
“Non
dirlo, non voglio che
la cosa mi entri in testa e mi crei timori. Voglio solo fare questa
cosa e
tornare alla mia normale e noiosissima vita di un tempo.”
Eric
deglutì a fatica, ma
era pronto: “Sì,
anch’io…”
Entrambi
convinti di ciò
che dovevano fare, misero l’M99 in tasca senza persarci due
volte e
sgattaiolarono via.
*
Con suo padre
bloccato
tutta la notte in centrale, Sam pensò di andare da Wesam.
Nel bel mezzo delle
scale, ricevette una chiamata da parte di Nathaniel.
“Ehi,
ciao, che succede?”
rispose con l’affanno.
“Sto
per andare al
deposito!”
Sam si
fermò di colpo,
sgranando gli occhi: “Cosa? – tuonò
– Nathaniel, non puoi andarci, è il momento
peggiore per fare una cazzata simile!”
“Non
ce la faccio, non
riesco a non pensare alla polizia che entra in quel deposito e che
trova il mio
ritratto lì dentro.”
“Bene,
allora pensa alla
polizia che trova lì dentro sia te che il ritratto:
è molto peggio, fidati!”
“Perché
stai ansimando? –
sentì attraverso il telefono – Che stai
facendo?”
“Ehm,
niente, sono solo
uscito a buttare la spazzatura.” mentì.
“Senti,
non riesco a
dormire! – impanicò – Continuo a
guardare sul mio telefono quella stupida ruota
che punta sulla mia faccia e… Ti giuro, non riesco davvero a
respirare. Ho già
perso abbastanza per finire anche in galera per un omicidio che non ho
commesso!”
“Nathaniel,
per favore, fai
come ti dico! – cercò di convincerlo - Devi
riposarti, ok? Sei appena uscito
dall’ospedale.”
“Te
l’ho detto, non riesco
a dormire! – ribadì ancora una volta – E
poi da quando Eric ha detto di aver
visto quei due agenti al Brew, sto letteralmente uscendo fuori di
testa.”
“Beh,
tu provaci a dormire!
Questa cosa non riguarda solo te, d’accordo? Se uno di noi
sprofonda,
sprofondiamo tutti insieme. Non importa se ci sei tu sopra quel
dipinto: è come
se ci fossimo dipinti anche noi.”
Nathaniel si
placò,
finalmente: “…Va bene, d’accordo.
E’ solo che… beh, lo sai perché ho
reagito
così.”
“Certo
che lo so, Nat. –
non lo biasimò – Siamo tutti minacciati dalla
stessa persona. E credimi,
anch’io sto impazzendo, ma dobbiamo restare lucidi
finchè questa storia non
sarà finita.”
“Per
fortuna non sono solo
in questa storia. – disse con tono più docile,
riferendosi soprattutto a Sam -
Se non avessi qualcuno da chiamare e che sa esattamente cosa sto
passando,
probabilmente avrei fatto qualche sciocchezza.”
“Già,
anch’io sono contento
di non essere solo. – si sentì a disagio per
quelle parole così premurose -
Ora, però, promettimi che non dovrò venire fino a
casa tua per incatenarti al
letto.”
“Te lo
prometto… – sospirò
– Ora mi rimetto a dormire.”
“Ok. A
domani.”
“A
domani, Sam.”
Quando mise il
telefono
giù, Sam raggiunse l’appartamento di Wesam,
entrando con la chiave sotto lo
serbino.
Wesam era sul
divano che
guardava la televisione in maniera spaparanzata, la mano immersa in un
pacco di
patatine; l’uomo si voltò a guardarlo, sorpreso di
vederlo.
“Che
ci fai qui? – si mise
più composto, guardando l’orologio – Tuo
padre non è a casa a quest’ora?”
“No,
l’hanno chiamato in
centrale. – si mostrò spaventato – Temo
che stia accadendo!”
Wesam corse
subito al suo
fianco, preoccupato: “Sam, di cosa parli?”
Sam
iniziò a tremare,
piangendo in maniera isterica: “Ho appena mentito a Nathaniel
al telefono, non
so cosa fare, dovrei dirglielo, dovrei dirlo ai miei
amici…”
L’altro
lo prese per le
spalle con forza, confuso: “Sam, di cosa stai
parlando?”
“Ci
sono due agenti
dell’FBI a Rosewood e mio padre è stato chiamato
per qualcosa di grosso. Sono
qui per Edward, non c’è ombra di dubbio!”
“Adesso
calmati!”
“No,
non posso calmarmi! –
si agitò usando toni alti - Sta per scoppiare una bomba, ok?
E’ finita!”
“Senti,
sediamoci un
secondo e cerchiamo di trovare una soluzione, prepararci
all’eventualità che…”
“Andrò
in galera? – non lo
lasciò finire, suscettibile – E’ questo
che stavi per dire?”
“No,
non stavo per dire
quello. – si sentì messo in difficoltà
- Dico solo che dobbiamo discutere su
come devi comportarti per stare il più lontano possibile da
queste indagini.
Ok, avete seppellito voi il cadavere, ma la polizia questo ancora non
lo sa.”
“Wesam,
ti ricordo che c’è anche
A! Probabilmente starà
già
concentrando tutte le sue forze per portarli a noi quattro e godersi il
nostro
arresto da un albergo a Tahiti.”
Wesam
tentò ancora di
calmarlo: “Ti stai fasciando la testa ancora prima di
essertela rotta, Sam.”
“Senti,
vado un attimo in
bagno a sciacquarmi la faccia. – tolse il cappotto e lo
poggiò – Magari quando
torno, sarò meno teso e potremo parlare senza che io senta
questo groppo in
gola che mi segue da tutto il giorno… Non ti dispiace se
resto da te per un
paio di ore? Poi torno a casa mia, giuro.”
“Sam,
tranquillo, puoi
restare qui quanto vuoi.” gli fece sapere, premuroso.
Quando Sam si
allontanò,
dopo aver accenato un sorriso molto rigido, Wesam aspettò di
sentire l’acqua
scorrere prima di avvicinarsi di soppiatto al cappotto del ragazzo,
recuperando
il suo telefono; dalla sua tasca tirò fuori un piccolo
dispositivo, che attaccò
sul telefono in un punto ben nascosto per trasmettere dati al computer
di
Julie.
*
Nonostante
avesse promesso
a Sam che non si sarebbe mosso di casa, Nathaniel tirò fuori
da sotto al letto
un borsone; dentro c’erano delle cose che aveva preso dal
garage e che li
sarebbero servite per scassinare il deposito di Edward.
Vestito e con il
borsone
stretto in una mano, iniziò a scendere le scale con molta
cautela; era
all’incirca mezzanotte.
Improvvisamente,
però,
dovette fermarsi: gli sembrò di sentire qualcuno piangere.
A quel punto,
lasciò il
borsone e scese più giù, avviandosi verso la
cucina; chi stava piangendo era
sua madre, seduta davanti al tavolo e al buio.
Nathaniel accese
la luce e
si rivelò a lei, assai stranito:
“Mamma… – quella si voltò
– Ma che succede?”
“Oh,
Nathaniel… - si alzò,
continuando a piangere – Tesoro, devo dirti una
cosa.”
“Così
mi spaventi…”
“Riguarda
tuo padre. –
singhiozzò – Credo che abbia ripreso a
bere.”
“Ne
sei sicura?” si
avvicinò a lei.
“Ormai
sono mesi che non
torna a casa la sera. Chiuso il ristorante, resta lì ad
ubriacarsi e Dio solo
sa se esce con la macchina nel cuore della notte.”
“Sei
mai andata? Al
ristorante, dico.”
“Sì,
una volta. – spiegò –
Era qualche giorno dopo Natale, tu eri ancora in coma. Quando sono
arrivata lì,
era quasi l’una di notte e c’era Jamie. Mi ha detto
che tuo padre era uscito e
che gli aveva detto di chiudere al posto suo. Ovviamente non li ho
chiesto se
fosse ubriaco quando gli ho parlato, non ho avuto il coraggio,
però…”
“Però,
cosa?”
“Jamie
era strano, era come
se si vergognasse. Forse non voleva dirmi che tuo padre era
ubriaco.”
“Ok,
adesso vado al
ristorante. – si mossè, pronto ad uscire -
Papà non può esserci ricaduto di
nuovo, non dopo tutti quei mesi passati in quella clinica!”
“Un
secondo, ma… - lo
squadrò dalla testa ai piedi – Tu sei
già vestito, come mai?”
Quello si
fermò, schivo:
“Ehm…volevo solo uscire a fare due
passi.”
“Chiamo
Courtney, così ci
andate insieme. – si avvicinò al telefono - Io non
me la sento di vedere tuo
padre in quelle condizoni, non un’altra volta.”
Nathaniel
annuì, prendendo
le chiavi della macchina: “Dille di raggiungermi.”
“Ce la
fai? Sei appena
uscito dall’ospedale.”
“Sì,
posso guidare.
Tranquilla.” e uscì, dopo averla rassicurata.
*
Abbracciati sul
divano,
mentre in televisione davano un film in bianco e nero degli anni
’50, Sam si
addormentò con la testa poggiata sul petto di Wesam.
L’altro,
rimasto sveglio,
scivolò via, stendendo Sam con delicatezza. Dopo essersi
assicurato che
dormisse davvero, prese il telefono e chiamò qualcuno.
“Pronto?”
rispose una voce
femminile, quella di Julie.
“Allora?
Ha funzionato?”
“Sì,
ha funzionato. Tutti i
file presenti nel telefono di Sam, ora sono sul mio computer.”
“Hai
trovato qualcosa di
cui non siamo a conoscenza?”
“Ehm…
ci sono molti
messaggi minacciosi; da gelare il sangue, se devo essere sincera. A
parte
quelli, c’è una cosa che devi vedere. Puoi passare
da me, domattina?”
“Certo!
Assolutamente!”
“Lui
non si è accorto di
nulla?”
“Era
in bagno quando ho
messo il chip nel suo telefono.”
“E
avete…???” fece
un’improvvisa allusione, decisamente fuori luogo.
Wesam
sussultò, leggermente
imbarazzato: “Non credo che siano affari tuoi, e comunque:
NO!”
“Scusa
scusa scusa, e che…
Scusa, devo ancora abituarmi al fatto che sono a conoscenza di una
relazione
alquanto proibita, dal momento che lui è un tuo paziente
minorenne!”
“Minorenne?
Compie diciotto
anni fra soli due mesi!”
“Ah,
beh, allora tutto a
posto!” rise in maniera molto ironica, anche se mortificata.
Messo a disagio,
Wesam
preferì chiudere: “…Julie, ci sentiamo
domani, ok?”
“Sì
sì, certo. E scusa.
Scusami se… - capì di essere diventata troppo
logorroica – Beh, ciao!” e
chiuse.
Facendo un lungo
sospiro,
Wesam lasciò il telefono e si voltò a fissare
Sam; un sorriso gli comparve
spontaneamente, mentre quello dormiva beatamente.
Improvvisamente,
Sam si
mossè, borbottando qualcosa.
“Nathaniel…
Ti amo,
Nathaniel…Svegliati, ti prego…”
La delusione
negli occhi di
Wesam, si fece immediatamente largo. Abbassando lo sguardo,
però, non si sentì per
nulla sorpreso nel sentire quelle parole; aveva sempre saputo, fin
dall’inizio,
che nel cuore di Sam c’era più di una persona. O,
forse, solo una.
*
Nella sua
stanza, intanto,
Rider stava facendo la sua prima seduta. Sdraito ad occhi chiusi sul
suo letto,
ascoltava le parole di suo zio, seduto su una sedia accanto a lui.
“Cosa
vedi?” iniziò,
avviando la registrazione.
“Sono
in giardino, fa
caldo. – rispose Rider con gli occhi chiusi, in trance
– Vedo Lindsey che gioca
con la palla, non sono molto lontano da lei… Sono
arrabbiato.”
“Sei
arrabbiato perché non
sta giocando con te? C’è qualcuno con
lei?”
“No,
non sono arrabbiato
con lei. Non trovo il mio gioco, lo sto cercando da ore.”
“Che
cos’è?”
“Un
camion dei pompieri; me
l’ha regalato papà, ci sono affezionato.”
“E chi
pensi te l’abbia
preso?”
“Non
lo so… - strinse gli occhi,
si sforzò di ricordare – Però so dove
andare.”
“Aspetta,
non muoverti.
Resta dove sei. – gli ordinò – Sei
proprio sicuro che Lindsey non stia giocando
a palla con qualcuno?”
Si
concentrò, allora: “…
Sta ridendo, continua a giocare con la palla…
però c’è come un…”
“Un…?”
“C’è
come un’ombra che
gioca con lei.”
“Ha
delle sembianze umane
quest’ombra?”
“Non
voglio più restare
qui, devo andare da un’altra parte!” si
agitò.
“D’accordo,
dove vuoi andare?
Dimmi dove stai guardando adesso.”
“Sto
guardando la casa dei
vicini. – Rider era sempre più rigido e ansioso -
Devo andare lì, sento che
devo andare lì.”
“Sei
sicuro di non voler
andare prima da tua sorella?”
“Non
ci voglio andare, ho
detto!”
“Girati
un secondo,
concentrati bene su quell’ombra che è con lei.
Solo per un secondo.”
Rider
cominciò ad ansimare,
sempre più nervoso: “Ok, li sto guardando. Li sto
guardando.”
“Osserva
bene l’ombra. Chi
è?”
“Non
lo so chi è, non ha
volto!”
“Sì,
che lo sai!” alzò la
voce.
“Non
lo so!” urlò
disperato.
“Guarda
bene!”
“E’
Nolan! – esclamò a
squarciagola – Nolan è l’ombra che gioca
con Lindsey! E’ Nolan!”
“Bene,
ora svegliati!” gli
ordinò con un tono più basso.
Rider
aprì gli occhi di
colpo; tutte quelle emozioni che aveva provato, svanirono.
“Non
avevo mai provato
nulla di simile, è stato strano. – si
sollevò, riprendendo fiato – Era come se
fossi davvero lì, in quel giorno, in quell’esatto
istante.”
“Ti
sei ricordato di Nolan,
l’hai finalmente visto. – scrisse qualcosa sul suo
taccuino - Raggiungeremo
tutti gli obbiettivi della seduta a piccoli passi. Domani
continueremo.”
spiegò, fermando la registrazione.
Rider
annuì, abbassando lo
sguardo; quel primo passo fu già abbastanza intenso,
perciò non riusciva
nemmeno ad immaginare come sarebbero stati quelli successivi: i
più importanti.
CONTINUA NEL
DICIOTTESIMO CAPITOLO