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Autore: channy_the_loner    13/03/2017    2 recensioni
Ogni storia d’Amore degna di essere raccontata comincia con il fiabesco C’era una volta.
Ma se vi parlassi di vampiri, spiriti, guerra, salvezza, maledizioni, sacrifici, tentazioni e paura, l’Amore sarebbe ancora così puro?
Loro non sono affatto innocenti fanciulle in attesa del principe azzurro; una giovane giornalista, una sorella protettiva, un’atleta ottimista, una superstiziosa combattente, una tenera fifona e una silenziosa malinconica, nient’altro che sei normali ragazze appartenenti a mondi totalmente diversi, ma accomunate dallo stesso Destino. Saranno costrette ad affrontare un viaggio attraverso l’Inconcepibile, dove tutto è permesso, per scoprire la loro vera identità; oltre il Normale, le certezze crollano e s’innalzano i dubbi, muri e muri di fragilità, ma dietro l’angolo ci sono anche motivi per abbatterli.
Si può davvero vivere per sempre felici e contenti, quando l’esistenza non è altro che un accumulo di dolore e lacrime? Quanto deve essere forte, l’Amore, per far nascere un sorriso nonostante tutto il resto? E infine, la Vita è un libro già scritto, o è il suo protagonista a prendere le redini del gioco?
-IN REVISIONE-
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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-PARTY AND BLOOD.

 

 

«Un premio all’ingegno. Seriamente, non potevi proporgli una condizione migliore?»

«Harumi-san, sai benissimo che Reiji è inflessibile quando si tratta di questo genere di cose. Ho dovuto darmi un contegno.»

«No, Selly, non lo so. Non sono mica io il suo piccolo succo di frutta.»

«Non importa, anzi, dovresti essermi grata per essere riuscita ad ottenere il suo permesso.»

Harumi roteò gli occhi e sospirò. «Io ho ottenuto quello di Shuu.»

«Ottenere il permesso di Shuu è facilissimo, dato che non gliene importa nulla di quello che fai.» commentò Tara sbadigliando, stanca e assonnata per la lunga giornata trascorsa.

«Esattamente come col playboy» rispose Harumi, indispettita. «Basta che gli dai del sangue e qualche bacetto.»

La rosa le lanciò un’occhiata di fuoco, ma decise di tenere la bocca chiusa – l’ultima cosa che desiderava, in quel momento, era litigare con un’amica preziosa come Harumi. Anche se si sentiva quasi offesa dall’affermazione detta dalla ragazza dai capelli verdi, decise di metterci una pietra sopra e di non pensarci; dopotutto, era vero, bastava davvero poco per convincere Laito di qualcosa, occorreva soltanto giocare d’astuzia e promettergli una qualche ricompensa interessante.

«Dai, ragazze, non fate così» intervenne Yui. «Dopotutto, è Reiji che prende decisioni anche per gli altri. Se ha accettato lui, probabilmente è fatta anche senza il consenso di qualcun altro.»

«Per qualcun altro intendi Cappio al collo?» chiese retoricamente Harumi guardandola di sottecchi.

«Si chiama Ayato» precisò la bionda con le goti lievemente arrossate. «Comunque lui non mi ha dato il permesso» aggiunse con voce più triste.

«Idiota possessivo che non è altro» borbottò Tara assottigliando gli occhi e gonfiando le guance.

«Io sono riuscita a convincere Kanato-kun dicendogli del banchetto dedicato ai dolci» disse Miki battendo allegramente le mani.

«Eccola, la mia piccola donnetta tutta miele e purezza» esclamò Harumi stringendo la castana tra le braccia e strofinandole vivacemente un pugno sulla testa.

«Mi fai male!» si lamentò scherzosamente l’occhialuta tentando di scrollarsi l’amica di dosso.

Selena osservò silenziosamente la scena con le labbra increspate in un debole sorriso: nonostante i modi di fare delle sue amiche alcune volte fossero alquanto infantili e giocosi, apprezzava i loro tentativi di alleviare la tensione che, da quei giorni a quella parte, da quando avevano iniziato a frequentare quella villa abitata da vampiri sadici e parecchio singolari, era sempre presente nell’aria. Tuttavia il suo piccolo sorriso scomparve appena incontrò gli occhi azzurri di Kin che, nonostante l’espressione facesse intendere una strana allegria, trasmettevano tristezza e rassegnazione: rassegnazione per quell’allegria menzognera, rassegnazione per il doloroso destino affidatole, rassegnazione per la triste notizia che le avevano dato i medici, rassegnazione per tutto.

 

 

***

 

 

Un ragazzo alto e magro, dai capelli color pece, gli occhi di un colore indefinito – sfocianti tra il blu e il grigio – e il portamento elegante e composto scese dal treno ad alta velocità con il suo bagaglio a mano perfettamente ordinato, guardandosi attorno per qualche attimo come per orientarsi, per poi dirigersi a passo ritmato verso l’uscita della stazione. Non guardava in faccia nessuno, solo un punto indefinito ma costante davanti a sé, facendolo apparire per niente intimorito o esitante e disperso agli occhi della gente, che lo osservava quasi rapita, sicuramente dalla sua bellezza commentata furtivamente da alcune ragazze che lo avevano adocchiato, tenendosi comunque a debita distanza. Ma era inutile – lui poteva sentire tutto.

Non badò alle occhiate bramose di alcune giovani dai cuori palpitanti né ad impacciati tentativi di approccio da parte di alcune di esse – il vecchio metodo dell’orologio non poteva di certo funzionare, una stazione ferroviaria è logicamente piena zeppa di orologi –, perché il suo unico obbiettivo era uscire di lì. E, quando finalmente riuscì ad assaporare sulla propria pelle l’aria fresca del mattino, si sentì sollevato.

Andò incontro ad un uomo prossimo alla mezza età e fece per salutarlo educatamente, ma l’altro lo precedette e lo strinse tra le proprie braccia con affetto. «Quanto sei cresciuto, figliolo» disse osservandolo da capo a piedi.

«Signor Komori» disse il ragazzo facendo un breve inchino.

«Ti prego, lascia perdere le formalità e chiamami Seiji» disse il prete dandogli una pacca amichevole sulla spalla.

Il ragazzo tentennò qualche attimo, anche se non diede troppo a vederlo. «Come vuole, Seiji.»

L’uomo gli mostrò un sorriso genuino e lo invitò a seguirlo verso un’automobile di vecchio tipo ma tenuta in buone condizioni. «Vedrai, Yui sarà felice di rivederti» disse il prete aggiustando lo specchietto retrovisore.

Il ragazzo, sedutogli accanto, accavallò le gambe e sembrò rilassarsi appena l’altro accese il motore dell’auto e iniziò a fare retromarcia per uscire dal parcheggio. “Yui…”

 

 

***

 

 

Ormai era questione di minuti, la festa di inizio estate stava per iniziare. Il sole era sul punto di tramontare del tutto, i suoi raggi che illuminavano il paesaggio erano pochi e si poteva azzardare a contarli, ma erano sempre accecanti e suggestivi, irraggiungibili e magici.

Ad Harumi non importava molto essere quasi impresentabile per la serata imminente; era più che felice di poter contribuire agli ultimi preparativi per la festa, e la sua tuta preferita era comodissima per quello scopo. La conoscevano tutti in paese per il suo altruismo fuori da ogni limite di immaginazione e ne andava fiera, terribilmente fiera; era solita ad aiutare ad ultimare gli allestimenti ogni anno, se non cooperare sin dall’inizio con i responsabili di quella festività ricorrente in quella particolare zona della regione.

«Harumi-chan, potresti portare questi scatoloni al magazzino centrale?» le chiese una signora di mezza età indicandole tre scatole di cartone contenenti alcune cianfrusaglie. «Quest’anno questi aggeggi non ci torneranno molto utili» continuò la donna indicando un vecchio bussolotto arrugginito.

«Certamente, signora Sasaki» rispose la ragazza con un sorriso, per poi prendere in braccio i tre scatoloni insieme, formando una pila che le andava a coprire la vista.

«Sicura di farcela? » le chiese la signora Sasaki con un velo di preoccupazione nella voce e negli occhi.

«Sì! È leggerissimo!» esclamò Harumi barcollando appena, per trovare un punto di stabilità. «Non c’è cosa che io non possa fare, se lo ricordi.» Ma non era vero. C’erano un sacco di cose che la ragazza dai capelli verdi non era in grado di fare, a cominciare dal trasportare quei tre scatoloni insieme: erano pesanti, eccome, e lei aveva mentito per non mostrarsi debole, perché lei non era per niente debole. Oppure, semplicemente, non voleva darlo a vedere.

S’incamminò verso il magazzino facendo attenzione a non cadere o a non scontrarsi con qualcuno, anche se, doveva ammetterlo, l’impresa era abbastanza ardua. Ma non poteva tornare indietro, non poteva arrendersi, non voleva arrendersi. Si fermò di colpo, giusto in tempo per evitare di scontrarsi con un gruppo di bambini che giocavano a rincorrersi. Anche lei, quando era bambina, amava giocare a rincorrersi con suo fratello, nonostante fosse molto più lenta di lui e finiva per perdere ogni volta, tranne quando lui fingeva di cadere per farla vincere e farsi giocosamente prendere in giro.

«Fate attenzione alla strada, bambini» disse Harumi al gruppetto, riconoscendo tutti i piccoli presenti; erano i suoi piccoli sottoposti del club dei boy scout.

«Agli ordini, Harumi-senpai!» risposero in coro i bambini imitando un saluto militare.

«Riposo, soldati!» esclamò la ragazza con un sorriso soddisfatto in volto, per poi permettere loro di riprendere a giocare.

Riprese a camminare senza togliersi quel sorriso dal viso, e quasi non si accorse di essere arrivata a destinazione: il magazzino centrale era una struttura non molto grande situata di fianco al municipio, perciò abbastanza veloce da raggiungere senza l’uso di veicoli. Tirò un sospiro di sollievo: le stavano per cedere le braccia, doveva assolutamente posare quei cartoni prima di combinare un disastro.

«Guardate un po’ chi abbiamo trovato… Una delle Bitches-chan!» le disse una voce nell’orecchio, facendola spaventare e cadere tutti gli scatoloni dalle braccia.

In quegli attimi si preparò psicologicamente al meglio: si preparò per sferrare un pugno a Laito, si preparò per tirar fuori dal profondo una quantità immensa di imprechi contro di lui e si preparò per raccogliere tutto il materiale da conservare da terra.

Ma semplicemente non accadde nulla.

Abbassò lo sguardo e mise a fuoco la figura di Shuu chinata a terra, sulle ginocchia, una mano tesa sotto i tre scatoloni a sorreggerli e gli occhi chiusi come al solito; poi, però, li aprì e i suoi zaffiri incontrarono gli occhi color nocciola della ragazza, senza trasmettere nessuna emozione. La stava solamente osservando. «Stai attenta» la ammonì alzandosi lentamente in piedi continuando a tenere in perfetto equilibrio le tre scatole di cartone, tanto da far impressionare Harumi; venne inoltre invasa dal suo profumo di acqua di colonia, che ormai avrebbe potuto riconoscere ovunque.

«Ma non sono pesanti?» chiese Harumi, indicando i tre scatoloni con un dito indice.

«Per niente» rispose il biondo per poi sbadigliare sonoramente e porgerle le scatole.

Harumi si affrettò a consegnare i tre scatoloni a due addetti del magazzino che vigilavano l’entrata; subito dopo augurò loro una buona serata e corse dai fratelli vampiri: non sapeva perché, ma saperli lì le metteva in uno strano stato di agitazione, dovuta al loro essere vampiri.

«Gli umani sono più deboli rispetto a noi» fece Reiji nel suo completo nero elegante. «Non te ne sarai per caso dimenticata?»

Lei si affrettò a negare, mentre Kanato fece capolino da dietro Reiji con Teddy ben stretto tra le braccia. «Teddy, è vero che gli umani sono esseri deboli e privi di spina dorsale, sai? Specialmente le donne. Loro sono così lagnose e problematiche…» sussurrò al suo amico di stoffa mentre era intento a lanciare occhiate furtive alla ragazza dai capelli verdi.

«Tu… Brutto marmocchio…» masticò tra i denti Harumi, lanciando al vampiro dai capelli lillà stilettate di fuoco.

«Come hai osato chiamarmi, sporca umana?!»

«Oh, non mi hai sentito?» chiese sarcasticamente Harumi. «Ho detto che sei un brutto marmocchio.»

Le pupille dell’altro si restrinsero di parecchio e fece per saltarle addosso, ma fu prontamente afferrato da Subaru per il cappuccio della felpa e sollevato da terra con estrema facilità. «SUBARU, LASCIAMI ANDARE SUBITO!» urlò Kanato dimenandosi per far lasciare la presa all’altro, ma ottenendo ben pochi risultati.

«Taci e non darmi ordini» disse l’albino con voce glaciale.

«Kanato, per favore, non comportarti in questo modo» disse Reiji mentre era intento a pulirsi gli occhiali con un panno bianco.

Il vampiro dai capelli lillà cacciò un urlo isterico e strinse così forte Teddy al suo petto al che, per un attimo, Harumi ebbe compassione per quell’orsetto di peluche; poi, però, Kanato si calmò e Subaru lo fece tornare a terra, ricevendo un’occhiata di fuoco da parte dell’altro.

«Piuttosto, che ci fate qui?» chiese la ragazza dai capelli verdi tuffando le mani nelle tasche.

«La nostra intenzione è quella di passare la serata con te e le altre nostre produttrici di sangue, come è nostra abitudine fare» rispose Reiji rimettendosi gli occhiali.

«Non erano questi i patti» disse Harumi, seria.

«Lo sappiamo» disse a sua volta Reiji, incrociando elegantemente le braccia.

«Non pensare che ce ne freghi qualcosa» s’intromise Subaru, appoggiato con la schiena al muro in parte a loro.

La ragazza sbuffò. «Selly è stata chiara quando ha dettato la condizione che tu, Reiji, hai accettato. Non dici sempre di essere un gentiluomo dalle buone maniere? Non rispettare i patti non fa bene al tuo galateo» disse tutto d’un fiato la verde.

Il vampiro con gli occhiali sembrò non scomporsi. «Concordo con te» rispose Reiji. «Infatti, io mi sono semplicemente limitato ad accontentare una richiesta fattami dai miei fratelli, ovvero venire qui oggi.»

Harumi parve rifletterci un attimo, poi assunse un’espressione seccata. «Perché ho l’impressione che Cappio al Collo e Playboy c’entrino qualcosa?» chiese puntando lo sguardo poco lontano da lì, incontrando subito le figure dei due gemelli dai capelli rossi, mentre erano intenti a corteggiare due ragazze frivole e che conosceva solo di vista – e di cui non si sarebbe mai fidata in tutta la sua vita.

Shuu rise lievemente. «Avevi dei dubbi a riguardo?» chiese il biondo abbandonandosi al muro del magazzino.

«No, nessuno» rispose Harumi, per poi scostarsi la frangia dalla fronte. «Comunque, visto che ormai siete qui, credo che non ci sia nulla che io possa fare per farvi levare le tende. Io vado a casa mia per cambiarmi, perciò non seguitemi. Le altre dovrebbero arrivare tra non molto, perciò aspettatele in piazza, alla panchina sotto al salice piangente» disse giocherellando con una lunga ciocca di capelli. «A dopo!» esclamò allontanandosi con un sorriso allegro e scuotendo una mano vivacemente.

 

 

***

 

 

«Ti rendi conto, Laito? In mezz’ora abbiamo rimorchiato tre pollastre a testa!» esclamò entusiasta Ayato dando una pacca al gemello.

I due avevano ben deciso di stare alla larga dagli altri fratelli, quella sera; avevano voglia di divertirsi, di fare baldoria e di darsi alla pazza gioia, perciò avevano ben pensato di evitare in tutti i modi gli altri Sakamaki, specialmente Reiji – l’ultima cosa che volevano era essere rimproverati miseramente davanti ad altre persone.

«Ma è naturale, Ayato-kun! Le ragazze sono tutte uguali, basta schioccare le dita et voilà!, sono tutte lì per rendersi a te» ridacchiò Laito accarezzandosi il labbro inferiore con un dito indice.

«Ah, è così, Laito-kun?»

Il vampiro col cappello, al suono di quella voce familiare, si voltò ed incrociò immediatamente quelle due occhi somiglianti a due grandi gemme nere contornate da ciocche di capelli rosa, che gli parvero così dannatamente belli ma anche velati di un sentimento negativo, come la rabbia o la delusione. «Princess-chan» la chiamò, osservandola da capo a piedi con espressione rapita.

La ragazza, sentendosi osservata fin troppo dagli occhi profondi del vampiro, arrossì appena, per poi oltrepassare i due fratelli facendo per andarsene; venne fermata prontamente dalle loro voci, che le intimavano – una prepotentemente e l’altra più allegramente – di restare lì con loro. Tara si voltò verso di loro e si maledisse mentalmente per ciò, perché aveva incontrato nuovamente gli occhi di Laito che, a quanto pare, non avevano alcuna intenzione di abbandonare la sua immagine.

«Princess-chan, stasera siamo vestiti allo stesso modo» cinguettò il vampiro alludendo ai colori che caratterizzavano i loro outfit casual, per poi prenderle una mano e portarsela alle labbra, in modo da farle un baciamano. «Sarà un caso oppure…?»

«È sicuramente un caso» si affrettò a rispondere lei, ritirando velocemente la mano per impedirgli di baciarne il dorso. «E poi è inutile che tenti di distrarmi, ho sentito benissimo le tue parole.»

«Non so di cosa tu stia parlando» rispose Laito con un sorridendo furbamente e anche con un po’ di divertimento.

«Non fare il finto tonto, che peggiori la situazione» bofonchiò Tara gonfiando le guance.

«Come sei scontrosa stasera» commentò Ayato. «Per caso, è quel periodo del mese?»

La ragazza sgranò gli occhi e arrossì, i muscoli le si irrigidirono appena vide Ayato ridere con il gemello della sua espressione scioccata. Si trattenne dal fare qualsiasi gesto volgare in pubblico, ma non voleva restare lì impalata, in silenzio. «COGLIONE!» sbraitò contro il maggiore dei due chiudendo le mani in due pugni, per poi girare i tacchi e andarsene indignata, continuando a borbottare parole incomprensibili.

 

 

***

 

 

La festa d’inizio estate era iniziata, ed era un buon quarto d’ora che la musica suonata dall’orchestra in piazza rimbombava per le vie del paese, permettendo a tutti i presenti di immergersi al meglio nell’atmosfera allegra e festiva.

«Buonasera» salutò una voce timida e femminile.

I Sakamaki presenti – ovvero Reiji e Kanato – si girarono nella direzione della suddetta voce e si ritrovarono davanti una ragazza non molto alta e dai capelli castani sciolti, che il minore dei due riconobbe dal suo odore. «Miki-chan?» la chiamò Kanato, mentre la squadrava da capo a piedi. Lei arrossì appena, ma poi fece un breve inchino per sottolineare il saluto precedente e sviare lo sguardo indagatore e severo di Reiji, che rispose all’inchino con un saluto cordiale; appena spostò lo sguardo altrove incontrò non una, bensì due chiome color della notte che catturarono la sua attenzione, portandolo a scattare sull’attenti e a raddrizzarsi gli occhiali sul ponte del naso, gesto che era solito fare quando era particolarmente preso da qualcosa. «Sono davvero dispiaciuto, ma attualmente mi vedo costretto a congedarmi per andare altrove» disse educatamente per poi allontanarsi dalla panchina.

Kanato non gli rispose neanche; aspettò che il fratello si allontanasse definitivamente, poi sorrise appena alla ragazza. «Sei davvero bella vestita così» le disse senza mezzi termini, tanto da farle incendiare le goti.

«Grazie, Kanato-kun» rispose torturandosi le mani.

Lui le lanciò un’altra occhiata. «Ti pregherei di non conciarti più in questo modo.»

Miki tentennò qualche istante, poi disse: «E perché? Hai appena detto che--»

«So quello che ho detto, non c’è bisogno di ripeterlo» la interruppe Kanato. «Piaci molto anche a Teddy.»

«Oh» commentò lei. «Be’, mi fa piacere.»

«NO, NON DEVE FARTI PIACERE!» urlò il vampiro, scattando in piedi. «Se piaci a Teddy, vuol dire che potresti interessargli del tutto, quindi inizierebbe a volerti bene. E Teddy deve voler bene solo a me, ne Teddy?»

Miki fece qualche passo indietro: le era tornata la paura. Nonostante avesse – in parte, certo – accettato il carattere e le abitudini di Kanato, quel vampiro riusciva ancora a terrorizzarla; il cuore le batteva a mille ogni volta che lui aveva uno dei suoi attacchi isterici, e la castana temeva costantemente per la sua incolumità. Vederlo in preda alle sue crisi la faceva disperare; desiderava lasciarsi andare, in quei momenti, ma ogni volta si costringeva a mantenere il controllo, per paura di peggiorare la situazione. «Ho capito» disse la ragazza, dopo aver fatto un respiro profondo. «Torno a casa e mi cambio. Metterò qualcosa che mi renda brutta, così Teddy sarà solo per te.»

Fece per voltarsi e andarsene, ma il vampiro la bloccò stringendole un polso; Miki si girò nuovamente, stavolta verso di lui, e subito incontrò i suoi grandi occhi profondi. Abbassò lo sguardo e lo puntò sulle loro mani, più precisamente sul punto che il vampiro le stava stringendo fino a lasciarle un livido. «Kanato-kun, mi stai facendo male» gli disse a bassa voce, mentre sul suo viso compariva una smorfia di dolore.

«Non andartene» le disse, serio. «Se ti mettessi qualcosa di brutto, mi vergognerei di andare in giro con te.»

Quelle parole le parvero una pugnalata allo stomaco: per lui contava solo l’apparenza?

«Così piaci molto anche a me» le confessò. «Mi piaci così tanto che mi viene voglia di baciarti e di morderti.»

All’interno di Miki in quel momento si scatenò una tempesta: la mente continuava a ripeterle che le sue parole fossero un inganno, che fossero state dette solo per incantarla, ma il suo cuore le diceva di arrendersi a lui, senza un perché. «Kanato-kun, lasciami, per favore» lo supplicò in poco più di un sussurro.

Lui, lentamente, le lasciò il polso, che Miki portò velocemente al petto, all’altezza del cuore, e prese a massaggiarlo con l’altra mano; non osava tornare a guardarlo, temeva la possibilità di affogare di nuovo in quegli abissi che erano i suoi occhi.

«Le ragazze sono parecchio sensibili, Teddy» disse Kanato tornando a rivolgersi al peluche. «Ecco, adesso è ferita. Cosa mi consigli di fare?» Il vampiro fissò intensamente il viso dell’orsacchiotto, poi lanciò degli sguardi veloci alla castana, subito dopo tornò a concentrarsi di nuovo sul pupazzo e mormorò un grazie, Teddy. «Andiamo a mangiare dei dolci, Miki-chan» le disse, per poi iniziare a camminare verso una zona poco distante da quella piazza, dove alcuni cittadini avevano allestito qualche bancarella con vari dolciumi da offrire ai golosi. La ragazza restò interdetta, ma poi raggiunse velocemente Kanato, affiancandolo e restando in silenzio.

E lui, con altrettanto silenzio, le strinse una mano con la propria.

 

 

***

 

 

«Hai capito cosa ti ho detto?» chiese Selena puntando le mani sui fianchi.

La ragazza che le stava di fianco sbuffò e annuì senza voglia, facendo scostare di poco i pochi ciuffi di capelli blu che le ricadevano sul viso. Era più bassa di Selena di circa venti centimetri e di corporatura era identica a lei; gli occhi erano a mandorla e azzurri e portava un piercing sulla lingua. I capelli erano lunghi e lisci, sembravano quasi una cascata d’acqua, se non fosse stato per il fatto che terminavano con una strana ed insolita sfumatura di un rosa appariscente. «Adesso posso andare dai miei amici? Cioè, già sono in ritardo, poi ti ci metti anche tu…» disse la ragazza roteando gli occhi al cielo.

«Signorina, bada a come ti rivolgi a me» rispose Selena, piccata.

«Sorellona, non farla troppo lunga e toglimi il guinzaglio» borbottò l’altra incrociando capricciosamente le braccia al petto.

«Ascoltami ben--»

Reiji apparve alle loro spalle, schiarendosi educatamente la voce. «Buonasera, Milady» la salutò guardandola dall’alto.

La blu, dopo essersi spaventata ma non averlo dato a vedere, si ricompose e si voltò verso il vampiro, ricambiando il saluto con altrettanta cortesia, per poi iniziare a fissarlo negli occhi, dando il via ad una strana gara di sguardi.

«Hey, ci sono anch’io!» esclamò scuotendo le mani per attirare la loro attenzione. «Chi sarebbe questo spilungone?»

Reiji assunse la sua espressione più seria e intimidatoria, puntando i suoi occhi sulla sua figura minuta e quasi infantile. «Il mio nome è Sakamaki Reiji. Gradirei se con me utilizzassi un linguaggio e un comportamento più educati» disse senza batter ciglio.

«Sì, va bene» rispose annoiata. «Senti, sorellona, che rapporti hai con questo qui, che mi tratta in questo modo?»

«Isako-nee, non avere questa confidenza con le persone a te sconosciute» la rimproverò Selena. «Comunque, lui è un mio compagno di studi» continuò, mentendo spudoratamente.

Reiji lanciò un’occhiataccia anche a lei, ammonendola in silenzio.

«Va bene, ci credo» disse l’altra. «Io mi chiamo Isako, sono la sorella minore di Selly, piacere» si presentò sfoderando un sorriso quasi abbagliante e mettendo in mostra due simpatiche fossette sulle guance.

«Il piacere è tutto mio» rispose Reiji facendole un baciamano. Rimase perplesso – quelle due ragazze erano sorelle e non avevano neanche molti anni di differenza, eppure avevano un odore completamente diverso.

«Bene, io me ne vado e vi lascio soli soletti» disse Isako facendo un occhiolino alla sorella, che divenne color porpora. Poi saltellò via a ritmo di musica senza neanche aspettare qualche altro permesso di congedo da parte della sorella, che stava continuando a darsi dei piccoli pugni sulla fronte per evitare di pensare alle parole dette da lei.

«Suvvia, Milady, non dirmi che sei rimasta sfregiata da quella frase» disse Reiji guardandola di sottecchi con un ghigno.

«Assolutamente no, ma che dici!» rispose lei, con forse troppa enfasi.

Reiji la squadrò da capo a piedi, osservando il suo abbigliamento. «Permetti la domanda, ma sarebbero questi i tuoi abiti da festa?» le chiese aggiustandosi gli occhiali sul naso.

«Perché? Sto male, forse?»

«Non mi azzarderei mai a dire qualcosa del genere, lo sai.»

Selena sospirò e puntò lo sguardo a terra. «Non sono ricca sfondata come te e i tuoi fratelli» rispose accarezzandosi un braccio con la mano opposta. «Ho una casa e una sorella da mantenere, dovrò pur sacrificare qualcosa.»

«Potresti spiegarti meglio, per cortesia?» chiese Reiji mascherando la sua curiosità con una lastra di ghiaccio.

La ragazza scosse la testa. «Lascia perdere, è meglio» disse, poi si sforzò di sorridere. «Piuttosto, saresti interessato alla biblioteca più antica della regione?»

 

 

***

 

 

In quel momento non gli importava più nulla. Non gli importava della musica più orecchiabile che avesse mai sentito; non gli importava delle occhiate veloci che gli stavano lanciando i passanti; non gli importava di Laito che lo stava tempestando di domande; non gli importava di quella ragazza – messa bene, doveva ammetterlo – spalmata tra le sue braccia.

Era scomparso tutto. Il mondo si era improvvisamente fermato quando l’aveva vista, da lontano, mentre parlava con due uomini che sembravano conoscerla molto bene. La cosa non gli faceva affatto piacere; i nervi avevano iniziato a pulsare, i muscoli si erano irrigiditi, le ossa erano diventate di piombo e le pupille si erano visibilmente ristrette appena il più giovane dei due le aveva sorriso e lei si era buttata tra le sue braccia, mentre l’altro se la rideva compiaciuto. Aveva sentito il suo odore dolce, lo aveva chiaramente percepito nell’aria e ne era rimasto ammaliato, come al solito. Poi aveva visto la sua figura vestita a festa. Non vedeva l’ora di azzannare quel collo bianco come il latte, lasciato scoperto dai capelli biondo platino legati in un alto chignon ordinato che non lasciava ricadere neanche un ciuffo di capelli, fatta eccezione per la frangetta ben pettinata che ricadeva sulla fronte della ragazza.

Si scrollò velocemente di dosso quella sconosciuta fin troppo invadente e la spinse tra le braccia del suo gemello, che rimase interdetto per qualche attimo, per poi iniziare a stuzzicare maliziosamente la ragazza, che si dimenticò completamente di Ayato, il quale aveva preso a marciare verso il suo obbiettivo. Strinse i pugni talmente forte che rischiò di ferirsi ai palmi delle mani, ma non ci badò tanto. Raggiunse l’oggetto dei suoi desideri in poche grandi falcate e subito si sentì gli occhi dei due uomini addosso. Afferrò la bionda da dietro e la strinse a sé con fare possessivo, facendo aderire perfettamente i loro corpi; nonostante stesse a contatto con la schiena della ragazza, poteva percepire con chiarezza il battito accelerato del suo cuore contro il proprio petto, e in quel momento gli parve di diventare un tutt’uno con quel suo profumo inebriante e delizioso.

«Scellerato, togli immediatamente le mani da mia figlia!» urlò il più anziano, furioso.

«Oi, stai zitto, vecchio» rispose sgarbatamente il rosso. «Chichinashi, cosa ci fai con questi du— Mia figlia?!»

«Ayato-kun, lasciami spiegare, te ne prego» disse flebilmente Yui facendo per scostarsi dalle braccia del vampiro.

«Mi sono perso qualcosa?» chiese Ayato lasciando la ragazza.

«Ecco…» fece lei, per poi indicare Don Komori. «Lui è mio padre, Komori Seiji.»

«Yui, cara, chi sarebbe questo giovanotto sgarbato?» chiese il prete senza smettere di fissare negli occhi il vampiro.

«Lui è--»

«AH?! Come osi chiamare Ore-sama giovanotto sgarbato?!» esclamò il rosso, gonfiando il petto. «Ti do il permesso di chiamarmi col mio nome, il grande e magnifico Ayato.»

Yui si passò una mano sul viso, mentre sospirava pesantemente.

L’altro ragazzo – lo stesso che Don Komori aveva incontrato quella mattina in stazione – rise lievemente alla scena, ma venne adocchiato dal rosso che, dopo averlo squadrato da capo a piedi, gli aveva rivolto uno sguardo sprezzante e cattivo. «E tu chi cavolo saresti?» gli chiese facendo qualche passo verso di lui, in modo da fronteggiarlo, e scoprì di essere più basso di circa dieci centimetri. «Ci stavi provando con la biondina?»

L’altro sorrise, beffardo. «Può darsi.»

«COME?!»

«Ragazzi, credo che possa bastare» disse Yui mettendosi tra i due. «Lui si chiama Ruki ed è un mio amico d’infanzia.»

«Solo amico?» chiese Ayato spostando lo sguardo dall’uno all’altra.

«Solo amico» rispose Ruki. «Tranne qualche volta, quando giocavamo all’allegra famigliola felice. All’epoca era facile farsi baciare dalle ragazze.»

Ayato fece per ribattere, ma venne fermato da una Yui rossa dall’imbarazzo, che protestò dicendo: «Questo non è affatto vero!»

Ruki si mise a ridere, anche se forzatamente, per prendere in giro entrambi. «Lo so» rispose. «Però vedere il tuo amichetto su tutte le furie cattura parecchio il mio interesse.»

Ayato lo afferrò per il colletto della camicia e lo strattonò appena. «Non prenderti tutta questa confidenza» scandì, gelido.

Ruki alzò le mani in segno di resa, ma divenne glaciale anche lui.

Don Komori si affrettò ad allontanarli, ammonendoli con rimproveri pacati ma severi. Yui aveva puntato lo sguardo a terra, triste e rassegnata: teneva molto a Ruki, e aveva paura che Ayato gli facesse del male, essendo un vampiro.

Proprio il rosso si accorse dello stato d’animo della ragazza e, mentre l’altro era impegnato a scusarsi formalmente con il prete, la afferrò per il braccio e la trascinò via, senza neanche parlarle. Lei neanche si spaventò – ormai si era abituata a quel comportamento misterioso e contorto di Ayato, tanto da non porsi neanche più che cosa gli passasse per la testa.

La portò lontano dalla festa, poi poté permettersi di teletrasportarsi altrove; scelse la stradina che conduceva alla magione sua e dei suoi fratelli che le ragazze percorrevano tutte le notti.

«Ayato-kun, perché mi hai portata qui?» chiese Yui innocentemente, una volta riconosciuto il posto.

Il vampiro strinse la bionda a sé, per poi avvicinare le proprie labbra all’orecchio della ragazza, preparandosi a morderle il lobo. «Quando lo capirai?» disse lui con voce roca.

«Cosa?»

«Che sei solo mia.»

 

 

***

 

 

Subaru odiava le feste. Odiava non solo quelle, ma anche le persone, la musica, i suoi fratelli ed ogni singolo giorno della sua vita. L’unica cosa che le era amica era la solitudine. Era convinto che non avesse bisogno d’altro; perché avrebbe dovuto desiderare cose o persone che non avrebbero fatto che ricordargli il passato ogni singolo giorno della propria vita? Lui se la sarebbe potuta cavare benissimo anche da solo. Trovava alquanto superficiali i rapporti con altre persone, perché sapeva che sarebbero potuti solo finire, data la loro fragilità; possedere ricchezze era inutile e la musica avrebbe contribuito a farlo impazzire definitivamente.

Si prese la testa tra le mani e si scompigliò i capelli. Si appoggiò con la schiena a un muro e scivolò lentamente a terra, per poi piegare le gambe al petto e nascondere la testa tra esse, sperando di scomparire seduta stante. Poi, però, sentì una mano morbida sfiorare delicatamente un proprio braccio e subito alzò il capo: i suoi occhi andarono a scontrarsi violentemente con quelli chiari di Kin che, accovacciata in parte a lui, sembrava essere arrivata da poco. «Ah, sei tu» le disse secco, tornando nella posizione precedente.

La ragazza restò in silenzio e immobile, distogliendo lo sguardo dalla figura del vampiro.

«Vattene, voglio stare da solo.»

Ma lei non si mosse di un millimetro. Sapeva che lasciarlo da solo sarebbe stata una pessima idea; era del parere che le persone avessero sempre bisogno di stare in compagnia, di avere qualcuno al proprio fianco. Perché Subaru la pensava diversamente? Perché non riusciva ad accettare di avere anche lui delle debolezze? Voleva dirglielo, voleva dirgli tutto ciò che pensava, tutto ciò che era represso nel suo cuore, voleva urlarglielo in faccia, urlarlo al mondo, che in quel modo non avrebbe risolto niente, la sua vita non sarebbe potuta migliorare.

Solo che non poteva.

«Hey, Mugon, oltre ad essere muta, sei diventata anche sorda?» le disse, velenoso e freddo.

Kin tornò a guardarlo, impassibile, senza scomporsi. Allungò una mano verso la tasta dei propri jeans chiari e ne estrasse un foglio di carta ripiegato più volte, poi lo porse al vampiro. Subaru la guardò, incerto, ma poi accettò di prendere il foglio; lo aprì e lo lesse velocemente, standosene in assoluto silenzio. Restò sconcertato dopo la lettura: quelle parole dure, quella firma in fondo alla pagina, quelle goccioline che parevano tanto lacrime tra le righe…

«Tu…» iniziò, con la gola stranamente e improvvisamente secca. «Hai completamente perso la voce?»

La ragazza annuì lentamente, con il labbro inferiore tremante, guardando il vampiro nei suoi occhi scarlatti, che sembravano ribollire in quel momento. L’albino, con un impeto di rabbia, appallottolò il foglio e lo lanciò violentemente lontano da loro, in modo da farlo scomparire dalle loro viste. Allungò le braccia verso la rossa e la tirò a sé, intrappolandola tra le sue gambe, in modo da non farla opporre; poi le scostò senza gentilezza la larga maglia color verde bottiglia in modo da scoprile il collo e una spalla e affondò i canini nella carne, iniziando a bere avidamente quel sangue che gli piaceva tanto. La sentì gemere appena di dolore, poi percepì il suo capo appoggiarsi contro il proprio petto e le mani stringergli la maglia bordeaux, nel tentativo impacciato di resistere al dolore. Si staccò appena per guardarla negli occhi, i loro nasi a sfiorarsi. «Fanculo alla voce» sussurrò rocamente. «Il tuo sangue manda in estasi.»

 

 

***

 

 

Si posizionò davanti allo specchio di camera sua e si osservò da capo a piedi: la divisa da boy scout le stava a pennello e le permetteva anche di stare comoda. La maglietta a maniche corte verde era decorata da qualche spilla donata come ringraziamento, mentre le altre erano ben fisse sulla giacca color muschio che, almeno per quella sera, aveva deciso di non indossare; i pantaloni mimetici erano puliti e intatti, nonostante fossero stati sottoposti a parecchi allenamenti e rocambolesche avventure con i suoi piccoli sottoposti. Si annodò i lacci delle scarpe da ginnastica nere consumate e indossò la sua fascia da caposquadra, annodandola al braccio, con un sorrisetto soddisfatto e fiero stampato sulle labbra.

«Ne Chiasso, hai finito? È stancante starti a guardare così a lungo…»

Harumi si voltò di scatto verso la porta-finestra e rabbrividì appena vide la figura di Shuu appoggiata alla ringhiera del balcone. «E tu da quanto tempo sei qui?!» urlò andando velocemente verso di lui.

«Da un po’» rispose il biondo, sbadigliando.

«Quale parte del non seguitemi non avevi capito?»

«Ah, ecco cosa avevi detto.»

Harumi sbuffò, stizzita. «Di’ la verità, mi hai visto mentre mi stavo--»

«Vestendo? Sì, anche se la parte migliore è stata quando ti sei spogliata.»

«DEFICIENTE!» Lo colpì con un pugno allo stomaco mettendoci tutta la propria forza, mentre le sue goti erano tinte di un vivace rosso scoppiettante. “Non si sarà fatto molto male, ma ne è valsa la pena.”

Il vampiro, di tutta risposta, le mostrò un ghigno soddisfatto. «Sono il primo che ti fa arrossire in questo modo?» chiese, così beffardo da mandarla ancora più in bestia.

«Sei il primo a cui voglio fare davvero del male» rispose lei, mentre i pugni le tremavano dalla rabbia.

«Non ci riuscirai, Chiasso.»

«Scommetti?»

Shuu sbadigliò nuovamente, borbottando un sei proprio noiosa.

«Se sono così noiosa, perché mi hai seguito?» chiese la ragazza incrociando le braccia al petto.

«Perché non mi andava di restare lì, con tutta quella confusione» rispose il vampiro con gli occhi chiusi. «Non riuscivo a dormire.»

«Ammettilo, sei un pervertito.»

«Non sono Laito.»

«Perché, voleva venire anche lui?»

«Non credo, di solito preferisce avere più ragazze che una sola» rispose Shuu con nonchalance.

Il pensiero della ragazza dai capelli verdi saettò a Tara – sperava tanto che non si stesse affezionando a quel vampiro, altrimenti avrebbe solo sofferto. Avrebbe vissuto di nuovo quell’esperienza che, anni addietro, l’aveva devastata.

«A cosa stai pensando?» chiese il vampiro guardandola negli occhi.

«A nulla» fece lei, vaga.

Shuu restò in silenzio, osservando la figura della ragazza poco distante da lui, mentre era in preda a borbottare strambi insulti e un nervo le pulsava visibilmente sulla fronte. La trovava parecchio intrigante. Con un movimento veloce la abbracciò da dietro, prendendola alla sprovvista.

«Che fai?» chiese lei, con le palpebre spalancate.

«Ho sete» rispose il vampiro.

«No, aspetta!» urlò Harumi, dimenandosi e riuscendo a liberarsi. «Non puoi mordermi!»

«Che stai dicendo?» disse lui, serio.

«Qualcuno potrebbe vedere il morso.»

«La cosa non ti intriga?» chiese Shuu ghignando.

«Per niente» rispose la ragazza, per poi correre dentro casa. Tornò sul balcone neanche un minuto dopo, con l’avambraccio decorato da un taglio da cui sgorgava lentamente del sangue.

«Che hai fatto?» domandò il vampiro senza staccare gli occhi dalla ferita.

«Mi sono tagliata» rispose Harumi, in imbarazzo. «Se proprio devi bere, allora serviti pure qui, ma senza mordermi, per favore.»

Shuu rimase allibito: il comportamento di quella sera di Harumi era strano, e di certo non ci sarebbe voluto un genio per capirlo. «Perché dovrei?» chiese il biondo, che era ancora intenzionato a morderla.

«Dopo devo incontrare i bambini della mia squadra del club di boy scout» rispose la ragazza. «Se mostro loro questo taglio, potrò raccontare loro una storia su come me lo sono fatto. Se dovessero vedere i segni dei tuoi canini, non saprei loro cosa dire. Avanti, non vorrai mica traumatizzarli?»

Il vampiro non seppe come ribattere. No, certamente. Avrebbe dovuto ammetterlo almeno a se stesso: non era così crudele da traumatizzare dei bambini. Non voleva neanche ricordare il suo, di trauma. «Sei proprio masochista» le disse in un soffio. Avvicinò il viso al braccio sanguinante di Harumi e, dopo averle leccato via tutto il liquido scarlatto che era sgorgato dal taglio, prese a bere direttamente da questo, mentre nelle sue orecchio rimbombava il silenzio più tombale. Aprì gli occhi e li puntò sul viso della ragazza, per poi seguire la traiettoria del suo sguardo: stava osservando l’interno della sua camera, immersa nei propri pensieri. Sembrava afflitta. «Perché ci sono due letti?» chiese il vampiro, fermandosi.

L’espressione di Harumi si rabbuiò maggiormente. «Una volta questa era la stanza anche di mio fratello» rispose, quasi assente.

«E ora lui dov’è?» domandò ancora, improvvisamente interessato all’argomento.

La ragazza prese a guardarlo negli occhi, tutt’altro che intenzionata a parlarne. «Pensa a bere e non scocciarmi.»

 

 

***

 

 

«È davvero deliziosa questa crostata, ne Teddy?»

Miki guardò Kanato, mentre lui si era di nuovo immerso in una conversazione con il suo peluche e stavolta l’argomento era la squisitezza di quella crostata di ciliegie, che Teddy sicuramente non avrebbe potuto assaggiare. A dire la verità, non le importava molto di quello che Kanato aveva da dire al suo orsacchiotto. Il suo pensiero era rivolto alla circostanza che si era andata a creare da quando si era accomodata a quel tavolino per due fuori, da una caffetteria con il vampiro: i passanti li osservavano di sottecchi, ridacchiando e volgendo loro sorrisi maliziosi, fraintendendo tutto. Ma la verità era che loro due, lì, sembravano davvero una coppia di fidanzati. Era arrossita a vista d’occhio appena l’aveva realizzato, mentre Kanato semplicemente con ci aveva badato più di tanto, perché troppo preso a gustare le prelibatezze servitegli da una cameriera – che aveva fatto un occhiolino di approvazione a Miki, con il solo risultato di farla arrossire maggiormente.

«Miki-chan, che hai?» chiese il vampiro, tornando a guardarla. «Sei così rossa. Ti senti bene?»

La ragazza scattò sull’attenti, mostrandogli un sorriso forzato. «Sì, sto benissimo» rispose, forse un po’ troppo velocemente.

A quel punto, Kanato diede vita ad un sorriso tutt’altro che innocuo. «È perché questo sembra un appuntamento tra fidanzati?» le domandò, malizioso.

Arrossì ancora di più, se possibile. «Ah, credi? Sembra così?» balbettò Miki, mentre le gambe le sembravano due budini.

«Sembra eccome» rispose Kanato, continuando a guardarla negli occhi. «Mi desideri così tanto da essere nervosa fino a questo punto?»

Alla ragazza per poco non uscì il fumo dalle orecchie – in che situazione si era andata a cacciare? Non ebbe neanche coraggio di rispondergli; forse era per la gola secca, oppure per la mancanza di parole, ma optò per distogliere lo sguardo da quello del vampiro e puntarlo altrove, ma ogni punto le sembrava sbagliato e inopportuno da osservare, finendo per cambiare obbiettivo in continuazione. «Sei adorabile quando sei imbarazzata, Miki-chan» le disse Kanato prendendole il mento con una mano e facendo in modo che lei tornasse a guardarlo.

La ragazza si limitò a non rispondergli, raddrizzandosi appena gli occhiali sul ponte del naso.

«È buono il tuo sorbetto?» le chiese il vampiro, indicando il suo bicchiere.

«Sì, ne vuoi un po’?» disse Miki porgendogli la coppa mezza vuota.

Kanato accettò in silenzio e prese tra le mani il bicchiere, per poi portare alle labbra la stessa cannuccia che stava usando la castana poco prima e iniziare a bere il liquido dal colore giallognolo, donatogli dall’essenza del limone. «Squisito» commentò, bevendone un altro po’, per poi restituirlo alla ragazza. «Però preferisco la mia crostata, è più dolce.»

«Hai ragione, le ciliegie sono deliziose» rispose Miki sorridendo. «Piacciono molto anche a me.»

Kanato spostò lo sguardo da lei alla sua fetta di crostata più volte, per poi trarre le proprie conclusioni. Prese la forchetta e tagliò un pezzetto del dolce, per poi portare tutto alle labbra della ragazza, costringendola ad aprire la bocca e a farle assaggiare il boccone. Miki masticò il pezzo di crostata lentamente, mentre i suoi occhi erano incatenati a quelli del vampiro, che sorrideva appena; poi sorrise anche lei, spostandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio, e le parve di vedere il sorriso di Kanato allargarsi ancora di più, ma conservare allo stesso tempo la sua bellezza disarmante.

Proprio in quel momento, il vampiro scattò in piedi e prese Teddy tra le sue braccia, per poi porgere una mano a Miki, invitandola ad alzarsi. La ragazza, confusa, gli prese la mano e si alzò, chiedendogli cosa gli fosse preso.

«Senti la musica lenta?» le chiese incamminandosi verso la piazza.

«Ecco, sì…» rispose timidamente lei, sostenendo il passo dell’altro.

Non le disse più niente, troppo impegnato a farsi strada tra la folla di persone. Arrivarono alla pista da ballo in poco tempo: c’erano molte coppie di innamorati intenti a dondolarsi sulle note della musica romantica, ed erano così prese dal loro amore che neanche si accorsero dell’arrivo dei due.

«Voglio ballare con te» disse Kanato stringendo un po’ più forte l’orsetto di peluche al petto. «Un po’ lo vuole anche Teddy.»

Non poteva crederci, non riusciva a crederci: era contesa da un vampiro e un peluche? La ragazza esitò un attimo. «Non è un problema?» chiese dondolandosi sui talloni. «Voglio dire, quale delle due proposte dovrei accettare?»

«Cosa intendi?»

«Be’» iniziò, puntando lo sguardo a terra. «Se accettassi l’invito di Teddy, tu ci rimarresti male, ma se accettassi il tuo, di invito, sarebbe Teddy a sentirsi rifiutato.»

Kanato rimase in silenzio, a pensare: non si sarebbe mai aspettato una risposta del genere. Guardò Teddy per qualche attimo, in una muta consultazione. «Miki-chan» la chiamò, tornando a guardarla. «Io e Teddy ci siamo messi d’accordo. Ballerai con entrambi.»

«Eh?»

Le afferrò la vita con una mano e la tirò a sé, guardandola negli occhi. La ragazza appoggiò una mano sul suo petto, e Kanato posizionò il suo peluche al lato dei loro corpi, facendolo poggiare sulle loro braccia; poi, con la mano opposta, afferrò la mano di Miki e fece incrociare le loro dita. Successivamente iniziò ad ondeggiare sul posto, invitandola a fare lo stesso. La paura di inciampare e cadere della ragazza svanì completamente, anche se continuava a fare attenzione a non calpestargli i piedi. Un sorriso le nacque spontaneamente sulle labbra. «Grazie per l’invito, Teddy» disse rivolgendo un sorriso dolce all’orsacchiotto. Percepì la presa del vampiro attorno alla vita intensificarsi, lo stesso fu per la mano; lo guardò in viso e vide le pupille dei suoi occhi restringersi visibilmente. La propria colonna vertebrale venne attraversata da un brivido di paura. «Grazie anche a te, Kanato-kun» sussurrò, per poi dargli un veloce bacio su una guancia. Subito dopo nascose il viso tra il collo e la spalla del vampiro, troppo imbarazzata per guardarlo negli occhi.

Sentì solo la presa sulla sua mano allentarsi di nuovo e il braccio avvolgerle di più la schiena.

 

 

***

 

 

Quella era decisamente la serata peggiore degli ultimi suoi anni. Non solo le sue amiche si erano come volatilizzate e non rispondevano al cellulare, non solo la sua collana si era rotta e aveva dovuto togliersela, non solo un ragazzino indisciplinato le aveva attaccato un foglio con una frase strana dietro la schiena – e per accorgersene le ci era voluto un vecchietto di buon cuore per farglielo notare –, ma aveva dovuto incontrare anche lui.

Si era immobilizzata appena aveva visto quei capelli color cenere risaltare tra le altre persone, appena aveva intravisto quegli occhi color malva, ancora più brillanti e splendenti di quanto lo fossero nei suoi ricordi. Il cuore aveva saltato un battito e si era sentita improvvisamente mancare. Credeva di essere riuscita a superare quella fase, di essere riuscita a togliersi dalla testa quella storia, di aver dimenticato, ma improvvisamente era riaffiorato tutto. Gli occhi iniziarono a pizzicarle, ma si impedì di piangere. Aveva già versato troppe lacrime per quel ragazzo che le ricordava fin troppo un periodo di debolezza del passato.

«Princess-chan, chi è quel ragazzo?» le chiese Laito, apparendole alle spalle.

Ma Tara non si mosse di un millimetro, né si spaventò; i suoi occhi erano ancora incatenati altrove. Il vampiro la scrollò appena per le spalle, riuscendo ad attirare l’attenzione della ragazza, che voltò lentamente la testa verso di lui.

«Nessuno di importante» rispose, atona.

Laito alzò un sopracciglio. «Purtroppo per te, non me la bevo» le disse. «Ho visto la luce che avevi negli occhi, e quella non mente mai. Avanti, chi è?»

La rosa sbuffò. «Un mio vecchio compagno di liceo, niente di più» rispose Tara, per poi allontanarsi da lì.

Laito si affrettò a seguirla fuori dall’ammasso di gente, facendo attenzione a non perderla di vista. La osservò attentamente, senza lasciarsi sfuggire nemmeno un suo movimento: era nervosa, agitata, turbata, e capì immediatamente che quel suo stato d’animo era dovuto a quel ragazzo che aveva fissato a lungo, senza neanche battere le ciglia. «Princess-chan, non mi aspetti?» la chiamò, una volta che si erano allontanati dalla folla. Si rese conto che le strade di quel paese erano davvero tristi e desolate quando erano spoglie di qualsiasi persona; a parte loro due, non c’era nessuno nei dintorni, si sentiva soltanto un rumore lontano che pareva fuori dalla realtà, in un’altra dimensione.

«Mi sono stancata, voglio andare a casa mia» gli rispose Tara, senza neanche voltarsi, continuando a camminare a passo di marcia.

«Ti accompagno io» le disse di rimando il vampiro.

«Non ce n’è bisogno, grazie. Torna pure dalle tue conquiste facili, che sicuramente ti soddisferanno più di me.»

Laito ghignò, malizioso. «Princess-chan, non è che sei gelosa?» chiese, tra il giocoso e il serio.

«Gelosa, io? Niente affatto!» esclamò girandosi verso di lui per un attimo, per poi riprendere a camminare.

Il vampiro restò immobile per alcuni istanti: aveva visto – eccome se aveva visto! – gli occhi arrossati della ragazza. Con uno scatto fulmineo le apparve dietro e la spinse in un vicolo in penombra, poi la bloccò contro un muro, tenendola ferma per i polsi, ma senza farle male.

«Lasciami subito» ordinò fredda, fissandolo negli occhi.

«Dimmi chi era» le disse, serio.

«Perché ti interessa tanto?»

«Rispondimi.»

Tara serrò la mascella e aggrottò la fronte. «Si chiama Andrew e ha frequentato il mio stesso liceo» iniziò. «Nonostante le sue origini americane, non aveva impiegato molto ad integrarsi con noialtri, ed era diventato popolare in poco tempo. È stato il mio primo amore.» Iniziò a piangere lentamente, tenendo il capo abbassato. «Lui è stato il primo che mi ha fatto battere il cuore all’impazzata, a farmi arrossire come una bambina, a farmi venire le farfalle nello stomaco ogni volta che incrociava il mio sguardo. Mi ero dichiarata, ma lui mi aveva respinta, perché non se la sentiva di avere una relazione con una ragazza del primo anno. Ai suoi amici, però, aveva raccontato che mi aveva portata a letto e poi se n’era andato, perché aveva assecondato una mia richiesta. In poco tempo ero diventata la sgualdrina della scuola, e ogni singolo giorno dovevo subire le risa e le prese in giro degli altri. È stato orribile» raccontò con un fil di voce.

Il vampiro restò in silenzio, ad ascoltare quelle parole che sembravano pesarle davvero tanto nel cuore. All’improvviso gli fece quasi tenerezza: le spalle tremanti, i singhiozzi sconnessi, la sua figura che sembrava fragile come il cristallo o la porcellana. Era bellissima ai suoi occhi. «Princess-chan, adesso ci sono io.»

La ragazza alzò di scatto la testa e puntò gli occhi in quelli del vampiro. «E quindi? Cosa vorresti dire? Dove vorresti arrivare?» disse Tara con sempre più intensità nella voce. «Sei un essere schifoso, una sporca sanguisuga con stupidi complessi di perversione che non fanno altro che farmi sentire a disagio! Sai che ti dico? Trovati un’altra ragazza, trovatene due o tre, anche dieci o cento, non me ne frega niente! E non venirmi a dire che sono gelosa, perché non lo sono. Piantala di gironzolarmi intorno, vattene e non farti vedere mai più, perché tu non sei niente per me!»

In Laito scattò qualcosa che non seppe definire, una specie di molla, che lo spinse a baciare la ragazza sulle labbra con una passione diversa dalla solita libido; era qualcosa di più forte, qualcosa che gli aveva completamente annebbiato la mente e che lo stava facendo diventare matto. Si staccò appena, quel soffio d’aria che gli serviva per parlare. «Stai zitta» le disse, con voce roca. Poi la baciò ancora, con forse più foga rispetto a poco prima. Le lasciò i polsi e s’impossessò della sua schiena, stringendola forte a sé, per sentirla più vicino, presente, lì, in quel momento, dove esistevano solo loro due.

Tara non riuscì a trattenersi e si lasciò trasportare dal bacio, alzandosi sulle punte per far aderire meglio i loro corpi, e appoggiò le mani sulle sue spalle, come ad aggrapparsi ad uno scoglio per non affogare in mare. Nella sua mente continuavano a ripetersi parole e divieti per quello che stava succedendo, ma semplicemente il corpo della ragazza era diventato autonomo e non rispondeva più ai comandi, perché troppo preso dalla danza focosa che avevano dato vita le loro lingue.

Il vampiro mise fine al bacio, soddisfatto e compiaciuto dalla reazione della ragazza, poi le leccò via una lacrima percorrendo tutta la guancia. «Tu…» le sussurrò, per poi darle un altro bacio, questa volta a stampo. «Tu sei una droga. La mia droga.» Le lasciò una fila di baci lungo in collo, poi le tolse le bretelle nere e le fece scivolare in basso la parte superiore della salopette corta; le alzò la maglia bianca fin sotto al seno, lasciandole scoperta la pancia. Le diede un altro veloce bacio vicino all’ombelico, poi la morse poco sotto la gabbia toracica, iniziando a bere il suo sangue e facendola gemere di dolore misto al piacere.

Tara era più rossa che mai in viso: non credeva di riuscire a provare così tanti sentimenti insieme, uno sopra l’altro, che le facevano attorcigliare lo stomaco e stringere forte le gambe. «Laito-kun…» mormorò, con gli occhi chiusi.

Il vampiro sorrise, perché il suo nome pronunciato da quelle labbra gli pareva davvero bellissimo.

Ma fu proprio in quel momento che nell’aria si elevarono più rumori violenti, simili a spari, accompagnati da un urlo raccapricciante.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Okay, my sweet readers, non potete neanche capire il sollievo che mi sta travolgendo in questo momento: cioè, ho impiegato UN MESE a scrivere questo capitolo! My Gosh, solo per l’immensa lunghezza di questo chappy dovete darmi un premio Nobel per i nervi saldi. Davvero, è il mio record personale! Sono fiera di me ^^

Comunque, a parte le cavolate, mi scuso se il contenuto fa schifo e sembra anche un po’ frivolo, ma in questo lungo mese di assenza ne ho passate di tutti i colori -.- Tra scuola, la casa, gli amici (lo dico come se fossero tantissimi, ma alla fine quanti ne sono? Si possono contare sulle dita delle mani LOL) e la mia personalissima depressione cronica multi-espressivamente-problemiccia (?) credo che sia un miracolo se sono ancora viva. Scusatemi tanto quindi, perché questa storia vi sta piacendo molto ed io ci impiego intere ere post-apocalittiche per aggiornare -.-“

Scusatemi anche se i personaggi (ovviamente intendo Shuu, Kanato e Ruki) sono un po’ OOC, ma volevo assolutamente far vivere loro tutto quello che ho descritto, e diciamo che meglio di così non sono riuscita a fare (cacchio, non so come gestirli, abbiate bontà :D)

Fatemi sapere se questo capitolo vi piace, e nel caso mi sia spinta un po’ troppo nella parte finale di Laito e Tara vi prego di farmelo presente (purtroppo non so valutarlo da sola… Sono in imbarazzoooohh~).

Spero di riuscire ad aggiornare più in fretta, ma purtroppo il mio essere lunatica è un problema che consiglio di non sottovalutare .-.

-Channy

 

 

Post Scriptum:

Kou: *compone un numero di telefono* … Pronto, centro psichiatrico seriale?

KOU-KUN, METTI VIA QUEL TELEFONO.

Kou: Lo faccio per il tuo bene, Neko-chan.

Va bene, allora a cena niente spaghetti con le vongole per te.

Kou: NUUUUU ç_ç

  
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