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Autore: sissir7    15/03/2017    1 recensioni
Fondamentalmente, John e Sherlock rappresentano tutto quello che un amore non dovrebbe essere, tutto quello che un amore non dovrebbe pretendere. Ma come si sa, alla fine è l'amore a decidere tutto: vita, morte, gioia, dolore. Sherlock non è mai stato così sensibile e John non è mai stato così se stesso.
Questa è la mia visione di due persone fittizie che non sono mai state così reali.
Questa è la visione di un amore che dopo 130 anni non è stato dimenticato.
E mai lo sarà.
P.S. Vorrei tanto che venissero ascoltate le canzoni citate perchè sono quello che le mie parole non riusciranno mai a descrivere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock scese l’ultimo gradino e sentì delle voci.
Ancora assonnato si strofinò gli occhi appena entrato in cucina, confuso dalla forte luce di quella bella giornata di fine estate.
“Buongiorno tesoro.”
La mamma lo abbracciò e lui le sorrise. Aveva gli occhi stanchi come se non avesse dormito molto. La perdita di David l’aveva intristita e il sonno era l’ultima cosa a cui riusciva a pensare. Il padre era comodamente seduto sulla poltrona a leggere il giornale come tutte le mattine.
“Ciao papà.”
Era fermo di fianco a lui e gli posò una mano sulla spalla. Il padre si voltò regalandogli un sorriso. In queste situazioni inevitabilmente si addolciva perfino con lui.
“John dorme ancora?”
Nella mente di Sherlock apparse la piccola figura del corpo di John ancora sotto le lenzuola, a dormire beatamente e vide quelle lunghe ciglia chiare al sole come se fossero tra le sue dita.
“Sì. Ma lo sveglierò presto. Avevamo pensato di andare da qualche parte in questi giorni e spero non sia un problema. So che dovevo restare in famiglia ma davvero vorrei”
“Non preoccuparti.” Gli disse il padre.
“Hai bisogno di divertirti dopo tutto. Tornate durante il fine settimana e poi ripartite, questa è l’unica condizione che chiedo.”
Il padre fu assertivo ma in fondo ne era contento. Era sollevato. Era consapevole che John gli faceva bene e vivere un po' insieme da soli delle avventure sarebbe stato un punto da cui partire per costruire qualcosa di bello. Il padre ne era convinto.
“Va bene, torneremo venerdì sera allora. Mamma…”
Sherlock si voltò e andò ad abbracciare la donna che sorseggiava un caffè caldo.
“…per te va bene?”
La Signora Holmes gli posò una mano sul viso, leggerissima. Sherlock chiuse gli occhi.

Da piccolo la mamma faceva sempre quel gesto quando lui smetteva di piangere dopo essersi fatto male per una caduta o perché aveva rotto per sbaglio qualcosa. Un gesto di consolazione. Un gesto dolce per fargli sentire che andava tutto bene.
“Certo che potete andare. Ma non sconvolgerlo troppo, John è un ragazzo tranquillo e le tue pazzie mi preoccupano.”
“Pazzie?”
“L’anno scorso quando hai deciso di aspettare per iniziare l’università sei sparito per un anno e a mala pena ci chiamavi. Siamo venuti a sapere solo grazie alle conoscenze di tuo fratello dov’eri. E dio solo sa che hai fatto.”
Gli lanciò un’occhiataccia e lui distolse lo sguardo ridacchiando.
“Mycroft vi ha detto esattamente cosa ho fatto, avevo guardie che mi seguivano ogni giorno. Per questo l’ho fatto, perché sapevo che sarei stato al sicuro. E non ho fatto nessuna pazzia.”
Il padre scosse la testa.
“Caro Sherlock, lasciamo perdere l’argomento.” Disse ridendo.
La mamma scambiò uno sguardo di complicità con il marito e Sherlock semplicemente non poteva crederci e disse:
“Okay, okay. Qualcosa di…ricreativo l’ho fatto ma l’unica cosa importante non è che sono sano e vivo?”
Diede un bacio sulla guancia alla madre.
“E’ vero, l’importante è che tu torni sempre da noi. Okay?” Sorrise dolcemente.
“Promesso.”
“Sherlock, mi raccomando.”
La voce del padre era profonda e seria, gli occhi fissi sul giornale. La poltrona dava le spalle a Sherlock che non vedeva il volto un pò preoccupato dell’uomo.
“Cosa?”
“Lo sai.”
Sherlock non lo sapeva, non sapeva di cosa stava parlando.
“Non spenderò molto se è questo che ti preoccupa. O almeno… ci proverò.”
Fece spallucce.
“Con John intendo. Mi raccomando con John. Non lasciatevi prendere dalla novità e non ignorate le conseguenze.”
Sherlock si girò lentamente verso la mamma con gli occhi sgranati.
“Ma intende…” lo sussurrò alla mamma che annuì tranquilla.
Le guance di Sherlock si arrossarono e quella pelle bianca non fu mai così colorata. Si schiarì la voce.
“Staremo molto… a-attenti se mai ci capiterà una situazione del genere, papà, tranquillo.”
“Mh.”
Fu l’unica cosa che ricevette come risposta. Intanto la Signora Holmes aveva versato una tazza di caffè per John e disse a Sherlock di portarglielo. Obbedendo e non dicendo nient’altro salì e andò in camera dove John dormiva, ancora. Questa cosa dobbiamo risolverla, si disse Sherlock. Preferiva le persone mattutine e ovviamente John non lo era a quanto pare.


“Possiamo lasciarlo andare, così?”
Il Signor Holmes lo chiese alzandosi e poggiando il giornale sul posto che aveva appena lasciato.
“E’ giovane ma non è un irresponsabile. Starà bene. Ha John e non mi fido di nessun altro come mi fido di lui se si tratta di qualcuno che sta con nostro figlio.”
“Già, hai ragione.”
Lui le posò un piccolo bacio sulla fronte.
“David sarebbe stato felice di vedere Sherlock con qualcuno.”
Disse il Signor Holmes con un po' di amaro in bocca, sapendo quanto quell’uomo voleva bene a Sherlock e che ora non avrebbe mai più potuto vedere. La donna, gentilmente, annuì.
“Lo amava tanto. E lasciarlo è stato la cosa più difficile che ha mai fatto ed ora che non…”
Le scese una lacrima che asciugò subito.
“Quando abbiamo saputo che era morto ero seriamente spaventata. Pensavo solo a quanto Sherlock sarebbe stato totalmente solo stavolta. Ma John…” Henry la strinse.
“Lo so, cara. John è una speranza che non voglio ci deluda.”
La conversazione finì lì e i due andarono in giardino a godersi la mattinata.
La loro relazione era stata, ed era tutt’ora, come un forte albero che resiste anno dopo anno, che anche se spogliato e infreddolito dall’inverno rifioriva dei fiori più belli e aveva radici forti. Questa era ciò che speravano Sherlock avesse e John, non avendolo mai lasciato soprattutto durante il liceo, quasi erano certi che potesse dare a loro figlio una primavera bellissima che lo avrebbe fatto rifiorire sempre, dopo ogni inverno. David dal suo canto non poteva essere quella persona ma era sempre stato importante per Sherlock e i suoi genitori sapevano cosa lui provasse per quell’uomo troppo grande per lui e una cosa così impossibile non sarebbe mai potuta andare bene. John invece era un sole che riscaldava il cuore della Signora e del Signor Holmes. Un sole a cui non potevano chiedere altro se non risplendere per loro figlio.


Sherlock posò la tazza di caffè sul tavolino nella penombra sperando di centrare la superficie.
Piano scostò le tende e la luce di mattina inoltrata illuminò la stanza. Si avvicinò a John, sul bordo del letto, con il viso metà immerso nel cuscino. Si piegò lì, a pochi centimetri e accarezzò i capelli sottili troppo corti per i suoi gusti.
Sorrise.
Le labbra di John si curvarono e piano Sherlock posò un bacio di loro.
“Buong-“  
Non finì che le mani forti di John lo afferrarono e lo gettarono su di lui.
Sherlock quasi inciampò ma le mani di John gli stringevano decise i fianchi e, guidandoli, piano lo fecero sedere sul ventre di quell’uomo che lo guardava e lo teneva senza farlo muovere. Notò che John era più forte di quanto sembrava visto che era stato capace di muoverlo come voleva e quella sensazione di essere preso e stretto lo fece eccitare come mai gli era capitato.
Si rilassò e prese le mani di John nelle sue, incrociando le dita le une nelle altre ma non facendo muoverle da dove erano, strette, intorno alla sua vita.  “Buongiorno.” Disse finalmente, piano.
“Ti ho portato il caffè. Sai che ore sono?”
John scosse la testa.
Aveva su di lui quel ragazzo bellissimo e si chiese come la gente ancora può dubitare dell’esistenza degli angeli.
Gli occhi di Sherlock in quella luce erano verdi come un immenso prato illuminato da raggi dorati, intorno alla pupilla nera.
“Hai degli occhi mozzafiato con questa luce.” Sherlock inclinò un po' la testa.
Sentì il cuore stringersi.
“Devi alzarti comunque.” Disse piano, non riuscendo ad avere un tono più deciso.
Come poteva impuntarsi sul fatto che era tardi se John lo stringeva così, lo guardava così e gli sorrideva così.
John si alzò facendosi forza con le mani che lasciarono velocemente quelle di Sherlock.
Il suo petto nudo toccò la stoffa della maglietta del suo ragazzo.
“Hai avuto caldo stanotte?” chiese Sherlock, guardando le forme del petto di John.
“Sì, ho dovuto togliere qualcosa. Mi stavi attaccato come una calamita.” Risero piano.

Erano l’uno a pochi centimetri dall’altro, sul letto, Sherlock era su di lui, la luce lo rendeva stupendo, i capelli di John sembravano oro, le gambe forti di Sherlock lo stringevano, i brividi gli correvano lungo la schiena, i ricci scuri furono toccati da una dolce mano, le labbra si volevano, gli occhi si guardavano e Sherlock sembrava non respirare e John lo baciava come fosse la prima volta, era sempre la prima volta, era sempre nuovo e indimenticabile e tutto quello, quello era semplicemente un’altra giornata, quello era così semplice che tutti lo facevano, che tutti coloro che si amano lo hanno fatto ed ora, finalmente, toccava a loro e a Sherlock che respirava l’odore forte della pelle di John e John, John lo stringeva, lo avvolse con le sue braccia e lo avvolse tutto, quel corpo e poggiò la fronte sulla spalla di Sherlock e chiuse gli occhi e tutto quello, quei gesti, quella cosa che fanno tutti appena svegli, il volersi, il ricordarsi che ci si può toccare e stringere e dirsi che ci si ama, quello, era magnifico.
Era loro.

Sherlock poggiò le mani sul collo di John e baciò quei capelli sempre troppo corti e non smetteva di pensarlo.
“Vorrei che ti facessi crescere un po' i capelli. Non riesco neanche a passarci le dita.”
Ci provò, ma finì per dare solo una carezza. La sua voce era sottile, mai stata così esile.
“Vorrei stringerli come tu fai con i miei.” Disse e strofinò la guancia sui quei capelli morbidi.
John la prese come una richiesta e affondò le dita tra i ricci scompigliati di Sherlock che sorrise.
“Esatto, così.”
Chiuse gli occhi. Il sorriso di John gli si stampò sulla pelle.
Rimasero così per un po', qualche minuto. Silenzio.
“E’ così intimo. Tutto questo.”
Sherlock sentiva le mani di John ferme e clade sul suo fondoschiena che ogni tanto lo stringevano e le sue le teneva sulla schiena nuda di John.
Si mosse piano e guardò John negli occhi.
“Non lo voglio con nessun’altro.”
Sherlock era così serio. John annuì.
Quel corpo lo rendeva un’idiota che non sapeva neanche cosa dirgli. Si godeva solo quel calore, quelle sensazione che sì, erano così intime e che sentiva sue come mai prima.
“Nessun’altro ti avrà, Sherlock. Non lo permetterei mai.”
Lo baciò e respiri si fecero forti.
Quelle labbra ora erano sue, della sua bocca e, oh, quella lingua dentro di lui, sulla sua, era la cosa più strana e unica che avesse mai sentito ma non erano state sue tempo fa, erano state di altri, forse.
E quel pensiero turbò un po' Sherlock che terminò il bacio piano dicendo:
“In questi due anni, e devi essere sincero John, oltre a Frances c’è stato qualcun’ altro?”
John sospirò. Perché voleva saperlo, non contava nulla ormai.
“Non guardarmi così, non mi arrabbio. Vorrei solo sapere.”
“Non sarai geloso sapendo che ho stretto un altro ragazzo così come sto stringendo te? Così come sto desiderando te?”
Il tono era decisamente fatto a posta e unito a quel sorrisetto malizioso fece capire a Sherlock tutto. Il suo volto si irrigidì e John sorrise.
La gelosia non lo aveva mai sorpreso così prepotentemente come ora anche se sapeva che lo stava solo istigando.
Sentiva quelle mani stringerlo più forte e spingerlo verso il suo ventre e poi John iniziò a baciargli il collo, il petto da sopra la maglietta sottile.
“Hai fatto sesso con qualche ragazzo allora.” Chiuse gli occhi per concentrarsi meglio sul tocco di quelle labbra che continuavano il loro viaggio su e giù, fino alla sua mascella. John si fermò lì e piano disse:
“Due volte. Due ragazzi diversi. Uno l’ho conosciuto in una libreria e l’altro in un bar. Solo sesso. Solo una notte.”
Sherlock prese il volto di John nelle sue mani. John lo guardava tranquillo ma con un po' di nervosismo che le sue sopracciglia non potevano combattere.
“E’ stato bello?”
John abbassò lo sguardo. Non c’era motivo per mentire.
“Sì, è stato bello.”
“Mh.” 
E’…bello.”
“Non cerco una conferma John, so che è bello. Quel tono per rassicurarmi e farmi convincere che lo è, è inutile.”
“Io… io voglio solo che tu sappia che ti perderesti qualcosa di speciale. Qualcosa che ti completa come persona e che ti fa stare bene. Anche la scienza lo dice.”
John fece spallucce ed era così adorabile. Sherlock rise con gusto.
“Già, e la scienza non sbaglia mai.”
“Sei tu l’esperto. Dimmelo tu.”
Sherlock si fece serio a quello sguardo di John e fece scivolare le mani sulle sue spalle.
Guardò il suo petto e poi la curva del collo, del viso, quegli occhi blu acceso.
“Penso che sul sesso non sbaglia. Ci sono delle prove effettivamente e i fatti sono importanti.”
John lo guardava e si rese conto di quanto fosse ingenuo e puro e così fondamentalmente umano.

Dietro a quella persona fredda e sfacciata che mostrava a tutti, dietro quel volto forte e particolare che ti faceva capire che per lui la vita ed ogni sua sfaccettature non era un mistero, Sherlock era anche lui mosso da emozioni, desideri, curiosità.
Cose che non sapeva e che soprattutto non aveva mai provato.
Questa cosa rendeva John ancora più speciale per Sherlock, era come una confezione di cose nuove che John gli voleva regalare e che Sherlock era pronto a ricevere nel modo più semplice e sincero possibile.

“Un giorno...” si stese di nuovo, lasciando la presa sul corpo di Sherlock che si stupì di quel gesto.
“ti farò vedere quanto è bello donarsi a qualcuno. Sentire nel vero senso del verbo, qualcuno in te.”
“Un giorno?”
Chiese Sherlock incrociando le braccia. Era ancora su John, gambe forti attorno alla sua vita.
“Quando ne avremo davvero bisogno. Quando… sarà inevitabile.” 
John mise le mani dietro la testa per vedere meglio il volto di Sherlock un po' perplesso. Annuì.
“Dici che possiamo aspettare e che sentiremo quando sarà giusto. Mh. E ovviamente io ti do ragione perché ne sai più di me e mi conosci meglio di quanto io conosca me stesso, questo è poco ma sicuro. In più mi fido. Mh. Furbo.”
Con queste parole si distese accanto a John, fissando il soffitto.
“Non sono furbo né pretendo di sapere cosa è meglio per te o per il tuo corpo ma penso di sapere cosa è meglio per noi e …”
Fece una pausa, pesando quelle parole.
“Beh in realtà visto che come tu hai detto ho esperienza, io so cosa vuole il tuo corpo. E devi fidarti ancora di più per questo.”
John si girò e prese la tazza di caffè bevendolo piano anche se ormai quasi freddo.
“E’ una questione su cui non posso dibattere” affermò Sherlock sospirando.
L’assaggio che John gli aveva dato il giorno prima, dopo pranzo, faceva presagire che aspettare ne sarebbe valsa la pena.

John cambiò argomento sentendo che era meglio distrarlo.
“I tuoi genitori come stanno?” chiese, facendo tornare Sherlock alla realtà.
Si era perso nel pensare a quando avrebbe stretto John in quel modo lì, quel modo diverso da tutti i modi.
Come i baci, anche di strette ce ne sono di molti tipi.
“Stanno bene. Mamma ha pianto tutta la notte, occhi rossi e gonfi   e papà sembrava tranquillo. Gli ho detto che partiamo.”
Con un sorriso guardò John che alzò le sopracciglia in sorpresa.
“Oh. Bene. E dove?”
“Pensavo Londra.”
John distolse lo sguardo confuso.
“Ma lo sai che siamo appena venuti da lì vero?”
“Certo che lo so, ma non l’abbiamo mai girata insieme. Insieme insieme come siamo ora.”
Sherlock si alzò e rimase ai piedi del letto.
“Siamo persone diverse ora, siamo cresciuti, ci siamo baciati, ci amiamo. Tutto quello che vedremo da ora in poi lo vedremo con occhi diversi.”
“Cristo, quanto sei romantico. Dovresti scrivere delle poesie, saresti bravo.”
“Smettila John, sono i fatti. Io credo nei fatti.” Disse calmo.
“Tu credi in noi e nel nostro amore. E’ bellissimo. Ammettilo che un po' romantico lo sei o ti sei dimenticato di come mi hai invitato a ballare ieri sera?” Anche John si alzò e posò la tazza sul comodino.

A Sherlock non dava fastidio ammetterlo né gli dava fastidio dare ragione a John anche perché qualcuno che lo capisse così, che parafrasasse le sue frasi così colpendo in pieno cosa voleva dire non esisteva e mai sarebbe più esistito ma era una cosa abbastanza nuova e doveva metabolizzare. Andare per gradi. Alzò gli occhi al cielo e si avvicinò a John.
“Romantico, dolce, non mi importa. Senti, questo mondo fa schifo, l’ho appurato da vicino e sai di che parlo. Ci sono cose che non si spiegano, problemi, a nessuno importa di nessuno. E invece tu sei così…” Sospirò tremando quasi.
“Tu rendi tutto così tranquillo nella mia testa. Fai sembrare tutto più accettabile e più facile anche se non lo è ma anche questo non importa, non mi importa se non lo è, capisci. Qui sta la questione. Mi fai arrivare al punto che neanche mi interessa se la vita fa schifo fin quando ci sei tu. Ed è sdolcinatamente scontato ma sei il mio destino. E ammetterlo, sentirlo e dirlo è…nuovo. Ma è la cosa più reale che esiste per me.”
John deglutì, poggiando la mano al muro per reggersi.
“E’ un pensiero molto molto triste John, è una condizione umana davvero triste, ma io, anche io, perfino io, purtroppo anche io, mettila come vuoi, ho bisogno di qualcuno che posso chiamare mio. Ed in me, nel profondo di me stesso, tu sei mio.”
John si sedette sul letto non sapendo dove piazzare quella dichiarazione d’amore nella sua testa, se tra le opere più belle di Shakespeare e i tramonti che aveva visto a Venezia o tra i suoi libri preferiti e il caffè caldo la mattina. Comunque, era per lui.
Quello era per lui.
Sherlock gli si avvicinò.
“Non voglio farti svenire per due dolci parole.”Gli sorrise.
“Sei così sensibile.”
Disse piano e negli occhi sentiva come una mancanza, stavano per cedere e mai più distogliersi dal volto di John che alzò lo sguardo.
“Tu mi rendi stupido, amore. Mi fai sentire come se fossi fatto e come se nient’altro mi possa riscaldare se non tu. E dannazione, anche tu sei mio. Ti amo. E sono fottuto, Sherlock, fottuto. Io ti amo troppo. Non c’è via di ritorno, te ne rendi conto?”
John sembrava quasi sconvolto.
Aveva la pelle d’oca e Sherlock poggiò le dita su quella pelle ruvida, sulla spalla.
“Ed effettivamente non voglio ritornare da nessuna parte.”
“Neanche io.” Rispose Sherlock sorridendo.
Scesero a fare colazione come se il mondo fuori non esistesse.
C’erano solo loro.
E chiunque li avesse visti non poteva sperare altro se non che durasse.
Ma per quanto? 
   
 
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