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Autore: Sacapuntas    19/03/2017    1 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 12 - Ezekiel Pedrad




Il giorno dopo, quando mi sveglio, non sono più tanto impaziente che arrivi l'ora di pranzo per sedermi al tavolo di Elizabeth. In realtà, sono tentato di rimarere nel mio appartamento finchè tutta la tensione che si è creata fra noi non si diradi come nebbia. Sento che è quello che merito, isolarmi dal mondo e cercare un modo per sistemare le cose. Invece devo alzarmi e proseguire con la mia vita di sempre, come se nulla fosse successo, come se Elizabeth fosse ancora mia. Non sarà mai tua. Non sarà mai di nessuno. Sono certo che riuscirò a trovare un compromesso.
 Averla con me, adesso, è l'unica cosa che conta.

Saluto Max con un cenno della mano ed esco dallo studio, l'orologio segna mezzogiorno e mezzo ed io ho fame. Tutta quest'atmosfera pesante e tesa -Elizabeth, le Simulazioni, Max che parla di Jeanine come se fosse una dea scesa in terra- non ha fatto altro che scombussolare le mie abitudini alimentari. La mensa sembra meno affollata rispetto all'altro giorno, forse perchè la maggior parte degli Intrepidi sta combattendo contro la nausea da sbornia nel proprio letto. Mi dirigo verso l'unico tavolo libero -quello che dovrebbe essere il mio nuovo posto- e noto con sorpresa che Quattro è già seduto su una delle panchine di legno.
Non ho voglia di parlare con qualcuno, adesso, vorrei solo stare in silenzio e mangiare il mio hamburger, ma so che Quattro dovrà punzecchiarmi in qualsiasi modo, con quel suo umorismo sottile tipico dei Rigidi.
Abbandono il vassoio sul tavolo e, con poca grazia, mi lascio cadere accanto a lui. Mi rivolge solo una rapida occhiata, ma mi basta per sapere che è divertito dalla mia insistenza, ma allo stesso tempo infastidito.

"Nottata pesante, eh?" mormora pungente. Mi trattengo dal tirargli uno schiaffo in pieno volto, qua, davanti a tutti.
"Periodo pesante." lo correggo, ingoiando un pezzo di carne troppo cruda. Norman dovrebbe davvero prendere lezioni di cucina. "Con le simulazioni e..." Ed Elizabeth. "Il resto." dico, liquidando la voce nella mia testa con un gesto della mano. "Sono le grandi resposabilità di un Capofazione." commento nervoso, infine.
"Sai, ho saputo una cosa." mi dice, dopo un breve istante di silenzio. La carne mi si blocca in gola e per poco non soffoco. Che cosa ha saputo? Da chi? In un istante mi passa davanti l'immagine di Elizabeth che spiffera tutto a tutti per vendicarsi del mio abuso di autorità nei suoi confronti. Immagino tutti indicarmi, coprendosi le bocche con una mano per mascherare i loro sorrisi schernitori. No, non lo farebbe. Non lo farebbe mai.

"Ho saputo chi ha distrutto il tuo tavolo. E perchè, soprattutto." Internamente, tiro un profondo sospiro di sollievo. Il mio cuore comincia a calmarsi e assume di nuovo un ritmo regolare. Distolgo lo sguardo dal mio vassoio per seguire quello di Quattro, che ora è posato sull'informe e contorto ammasso di assi di legno in un angolo della grande mensa. Si volta di nuovo verso di me ed io faccio lo stesso, studiando incuriosito i suoi occhi blu scuro. "È stato Richard, me l'ha detto ieri quand'era ubriaco. Qualche notte fa, Elizabeth l'ha sfidato a rompere la prima cosa che gli capitasse sotto tiro. Non doveva essere molto sobrio, perchè è riuscito a rompere uno dei tavoli della mensa: il tuo." si porta alla bocca la forchetta "E suppongo abbia vinto."

"Fidati di me." mi aveva detto Elizabeth, quella notte nel mio appartamento. Aveva convinto Richard a rompere il mio tavolo -perchè sono sicuro che non si siano casualmente trovati in mensa, al momento della sfida- pur di avermi accanto, pur di non lasciarmi da solo. Ora, invece, tutto il suo sforzo è stato rovinato dalla mia cocciutaggine ed eccessiva sicurezza di me. Scuoto leggermente la testa e sto per ribattere qualcosa, ma con la coda dell'occhio vedo una figura alta e dalle spalle larghe che si avvicina al tavolo. Samuel.
Dovrei ringraziarlo, se ora so tutte quelle cose di Elizabeth, se so che ha avuto quel passato che preferirebbe dimenticare. Ma dovrei anche alzarmi e strozzarlo, perchè è responsabile -anche se in minima parte- dell'allontanamento della ragazza. E perchè è Samuel. E perchè ha un braccio attorno alle spalle di Elizabeth e se la tira a sè man mano che avanza verso me e Quattro. Sbruffone. Non si accorge nemmeno che Elizabeth preferirebbe essere ovunque tranne qui.

Come mi aspettavo, la Candida non si siede accanto a me, cedendo gentilmente il posto ad Alice, che occupa quasi metà panchina. Pera, è l'unica cosa che riesco a pensare quando la guardo. Richard, Elizabeth e Samuel si siedono al lato opposto del tavolo, ed io mi trovo proprio davanti ai suoi grandi occhi dorati. Noto con sorpresa che ha i capelli raccolti in una morbida treccia che le ricade sulla spalla destra, terminando poco sopra il petto. In un primo momento penso al tuo tatuaggio, scoperto alla vista di tutti, poi mi accorgo che indossa una felpa nera ed ha tirato su la cerniera coprendosi fin sopra le clavicole. La linea di inchiostro che serpeggia sul lato sinistro del suo collo potrebbe benissimo essere scambiata per una ciocca di capelli fuori posto. Alcuni ciuffi ribelli le ricadono sul viso, circondandolo di sottili boccoli scuri.

"Cos'è questa storia che hai disintegrato il mio tavolo, Richard?" chiedo, staccando gli occhi dalla bocca sottile di Elizabeth, dedicando all'iniziato soltanto una breve occhiata severa. So che è sufficiente per terrorizzarlo a morte, infatti l'Erudito impallidisce e smette di masticare per rivolgere un rapido sguardo spaventato a Elizabeth. La ragazza, seduta fra lui e Samuel, lo guarda e basta, senza dire una parola, concentrata com'è a masticare il disgustoso cibo che Norman ha preparato. Ha un gomito appoggiato sul tavolo e il braccio perpedicolare ad esso, la forchetta che le penzola dalla mano. Fa un gesto eloquente con la posata che ha fra le dita, esortando Richard a continuare. La guardo, non sembra essersi neanche accorta che sono seduto davanti a lei, ma Samuel sì. Continua a fissarmi con gli occhi socchiusi, come se io non me ne accorgessi.
"Abbiamo fatto una sfida, ho dovuto romperlo." si limita a dire Richard, spostando lentamente lo sguardo da Elizabeth al suo piatto. La ragazza ride appena percettibilemente, sfoggiando un mezzo sorriso. Appoggia la guancia alla mano per nascondere il suo già velato divertimento, e Samuel le rivolge uno sguardo interrogativo, ma lei abbassa lo sguardo sul suo vassoio e continua a masticare. "Forse ero ubriaco."

Sospiro e scuoto la testa contrariato. Mi concentro sul mio piatto per non essere distratto dal sorriso abbozzato di Elizabeth.
"Programmi per oggi?" chiede Quattro agli iniziati, dopo aver messo in bocca un pezzo di carne. Elizabeth aggrotta la fronte, ma non alza lo sguardo. Punzecchia con la forchetta il purè accanto alla bistecca con aria nervosa. "È l'unico giorno libero che vi concederemo durante il secondo modulo."
"Io e Samuel avevamo intenzione di andare all'Hancock: tra qualche giorno la zip-line non sarà più utilizzabile fino al prossimo anno. Vogliamo avere l'onore di salirci su per l'ultima volta." spiega Alice alla mia sinistra, alzando per la prima volta lo sguardo dal suo purè. "Richard? Ti unisci a noi?"
"Non ho di meglio da fare." l'Erudito alza le spalle, storcendo le labbra in una smorfia indifferente.
"Potresti rompere un altro tavolo." lo fulmino con lo sguardo. L'ho detto soltanto per vedere se Elizabeth avesse avuto una qualche reazione, ma invece lei continua a torturare la poltiglia di patate nel suo piatto, lo sguardo assente.
Essere ignorato da Elizabeth è forse anche molto peggio che essere la sua vittima. È come se per lei io non fossi mai esistito, come se noi non fossimo mai esistiti. Vorrei scaraventare il tavolo per la rabbia che mi monta dentro, pensando a quanto non sopporto questa mia sensazione di impotenza. Non può ignorarmi, non deve.

"Tu, Elizabeth?" chiede Samuel, risvegliando la Candida dai suoi pensieri. Lei sussulta e alza lo sguardo su di lui, aprendo i suoi enormi occhi da felino.
Vorrei essere al posto di Samuel, adesso, per godermi un primo piano delle sue iridi castane dalle mille sfumature. Sbatte le palpebre e schiude la bocca, guardando prima Alice e poi me, sfiorandomi appena percettibilmente con lo sguardo. Sento un brivido corrermi lungo la schiena, quindi mi raddrizzo e faccio finta che non sia successo nulla, che non mi abbia mai guardato, che non mi abbia mai provocato quella sensazione. "Vieni, sì o no?" ripete Samuel, ridendo. Non ha idea di cosa stia pensando Elizabeth in questo momento. Perchè, tu sì? Certo. Sta pensando all'insormontabile ostacolo che dovrà superare se accetterà l'invito di Samuel. L'altezza. Una delle sue sette paure nello Scenario. Sta pensando alla svariata distanza fra lei e il terreno una volta salita sull'Hancock. Sta pensando al vento che le sferzerà i vestiti quando si lancerà con la zip line. Lo so che lo sta pensando. Ha l'espressione sorpresa, immobile, come se fosse una fotografia, e non una bellissima ragazza che oggi non mi ha degnato di una parola.
Deve superare almeno una delle sue paure, altrimenti... Non voglio sapere cosa le accadrà.

Guardala. La sto guardando, è stupenda, quando spalanca gli occhi in quel modo. No, guardala meglio. Non capisco. Ti stai innamorando di un'Esclusa. Non è vero.
Elizabeth non diventerà un'Esclusa. L'idea di una fragile ma forte ragazza come lei che rovista in un cassonetto alla ricerca di un pezzo di carne cruda ammuffita mi fa venire la nausea.
Non può lasciarmi. Non lei. Non più di quanto abbia già fatto.
"Oh, andiamo, Candida. Non avrai mica paura dell'altezza. O forse sì? Dopotutto, non hai detto molto sul tuo Scenario." sogghigno, appoggiando il mento sulle nocche della mano destra. Le sto facendo del male, lo vedo dalla sua espressione sorpresa e oltraggiata quando si volta verso di me. Non pensavo che l'unico suo sguardo di cui avrei goduto oggi sarebbe stato così doloroso. Ci stiamo facendo del male entrambi. Riesco a sentire il nostro rapporto strapparsi in due come stoffa, unito soltanto da sottili filamenti di ricordi felici passati insieme. Quel bacio sotto l'albero, le notti trascorse a discutere degli argomenti più svariati, gli sfuggenti sguardi in mensa. Concentrati, lo stai facendo per lei. Lo so.

Elizabeth serra la mascella di scatto e aggrotta la fronte. Anche questa è una cosa che fa spesso. Ha un viso molto espressivo, certe volte. Altre, invece, impazzisco per scorgere anche soltato una scintilla di emozione nei suoi occhi dorati. Le dico qualcos'altro, per provocarla, ma mi concentro di più sulle sue braccia conserte sul tavolo, i piccoli pugni serrati intorno alla felpa nera. Vuole studiarti. E non deve più, ricordi? Sì. Non deve. Reggo il suo sguardo e le mie labbra si curvano in uno di quei sorrisi falsi e affilati che la mandano in bestia, ma che ogni tanto sfoggia anche lei. Se odia se stessa, penso, odia chiunque si comporti come lei.
"Vacci tu, Eric. O forse ti dà fastidio che io ti dia degli ordini?"
Sbianco improvvisamente, mentre le sue parole mi feriscono come lame taglienti.

Non può averlo detto.
Non può sapere una delle mie peggiori paure dello Scenario. Non può sapere della mia paura dell'obbedienza.
Non può avermelo letto in faccia. Non adesso, almeno.
Non importa, Dio, non più! Ora lo sa. Ed io devo fare di tutto per assumere un'espressione ancora più divertita di prima, anche se dentro sento qualcosa ribollirmi nelle vene. Il desiderio di correre. Reagisci.
La Pacifica accanto a me alza lo sguardo verso la sua amica, e lei ricambia l'occhiata preoccupata con una appena distratta. Posa di nuovo gli occhi su di me. Ed ecco che rivedo il grande felino in lei, con i grandi occhi -ora illuminati da una sinistra luce arancione- che mi scrutano senza sosta, come se fossero alla ricerca dei miei segreti più grandi. Mi correggo, anzi, è proprio così.

Raddrizzo la schiena, mi aiuta a sembrare più minaccioso. Lei fa lo stesso, ma sul suo volto non c'è neanche l'ombra di uno dei suoi bellissimi sorrisi che la fanno sembrare curiosamente innocente. Mi sta sfidando. E allora accetta la sfida. Lo farò. Posso essere un famelico felino anche io.
"Mi dà fastidio la gente come te, lo sai, Candida? Gente che non ammette di avere paura delle cose più banali. Che c'è, soffrire di vertigini ti rende meno speciale, bimba?" continuo imperterrito. Comportati come lei, è l'unico modo per esasperarla e farla salire sull'Hancock. Deve. O non supererà mai lei sue paure.
I suoi occhi sono attraversati da una scintilla di rabbia, e la sua mascella si serra ancora di più, mettendo in evidenza le sue guance scavate.
"Non chiamarmi bimba, idiota! Io non ho paura dell'altezza!" ringhia lei ad alta voce, e tutti al nostro si voltano di scatto di lei a bocca aperta. Persino Quattro è visibilmente scosso dal modo in cui Elizabeth mi ha chiamato. Lo sono anch'io. E sono anche parecchio irritato. Merda, Elizabeth, lo vuoi capire che lo sto facendo per te? Capisci cose impensabili, cose che io mi rifiuto di ricordare, e non riesci a capire che tengo così tanto a te da rovinare un intero rapporto?

Devo avere un'espressione parecchio austera, perchè ora tutti gli sguardi si sono spostati dalle labbra maledette di Elizabeth a me. Alice fa per parlare, ma io la interrompo immediatamente, prima che possa dire qualcosa di sconcluso. Per un momento sento che sto per perdere la calma, ritornare nei miei panni di Capofazione e punire Elizabeth in modo esemplare. Tipo farla penzolare sopra allo Strapiombo, attaccata alla ringhiera per cinque minuti. Ma non so se riuscirei mai a fare una cosa del genere ad una Candida. E mai a lei, soprattutto. Concentrati sull'obiettivo. Deve salire sull'Hancock. Esatto.
"Oh, davvero? E perchè non dimostri a questo idiota che ha torto?" le mie mani si stringono sul bordo del tavolo. Una scheggia mi si conficca nell'indice, ma il suo sguardo su di me è ancora più pungente. Perfetto, ora non potrà rifiutare. La stanno guardando tutti. Mi odierà. Ma sopravvivrà da Intrepida. Lo so.
"Come vuoi. Non ho nulla da perdere."
"Puoi perdere la vita, se fai un passo di troppo oltre il cornicione." le ricordo. Dovrebbe essere un buon incentivo.

La mascella di Elizabeth è attraversata da uno spasmo.
"Non mi importa. Ci andrò, se questo ti farà finalmente stare zitto." ringhia Elizabeth. "Anzi, perchè non vieni anche tu? Magari potrei farti accidentalmente inciampare giù dal novantanovesimo piano."
La sua minaccia non mi sfiora neanche, ma devo fingere che per me sia stata un grande affronto. A Samuel va giù di traverso il cibo e dopo qualche colpo di tosse si volta spaventato verso la ragazza. Alice e Richard hanno la stessa espressione, un misto fra sorpresa e terrore per la loro amica, che ora dovrà sopportare la grande e minacciosa risposta di Eric lo spietato. Quattro non batte neanche le palpebre, resta immobile, in attesa di una mia reazione oltraggiata.

Reagisci. E come? Non sono bravo a fingere. Andiamo, fai scena. Fingi che ti abbia mandato su di giri. Sul mio viso faccio comparire un'espressione di pura ira rabbiosa e sbatto con violenza il pugno sul tavolo. I bicchieri cadono a terra con un delicato tintinnìo e alcuni piatti si rovesciano, provocando l'angosciata curiosità di tutti i presenti della mensa, che si voltano verso il nostro tavolo, o meglio, verso Elizabeth.

Mi alzo in piedi e per poco non ribalto la panchina di legno, fortunatamente c'è Alice seduta, che con il suo peso riesce ad evitare l'incidente. Anche Quattro si alza, seguendo i miei movimenti con altrettanta velocità.
"Stammi a sentire, Candida. A me non importa che tu sia una ragazza, o che sia bassa e scuse simili. Te l'ho fatta passare liscia l'ultima volta, ma adesso stai superando ogni limite, ed io non ti permetto di minacciarmi in questo modo." sibilo puntandole il dito contro. Quattro mi prende per le spalle e tenta di allontanarmi, mormorando qualcosa che non riesco a capire. Ha un tono di voce così basso che a volte mi sembra che non abbia mai parlato. Mi libero dalla sua presa e lo spingo con poca forza da un lato in modo da poter fissare Elizabeth negli occhi.
La ragazza mi osserva, ed alla fine risponde con un sorriso sottile ed affilato.
Non è abbastanza. E che altro posso fare? Trascinarla fuori dalla mensa per far pensare agli altri che la sto per punire? Non è male, come idea. No, in effetti non lo è.

Emetto un grugnito animalesco e le afferro con violenza il braccio sinistro, stringendo la presa sulla sua felpa morbida. So che le sto facendo del male, anche perchè riesco a sentire la sua flebile voce sussurrare il mio nome, cercando di non farsi sentira dagli altri, mentre la trascino fuori dall'enorme sala. Qualcuno batte le mani e Samuel tenta di corrermi dietro, ma Quattro lo blocca afferrandolo per una spalla. Il Rigido alza gli occhi al cielo infastidito e riporta il ragazzo a sedere.
Ora che siamo fuori dalla mensa, Elizabeth alza il tono della voce di poco.
"Eric, basta, mi stai facendo davvero male." mormora dolorante. Imbocchiamo un tunnel da dove non passa mai nessuno e mi volto verso di lei, ha il viso contratto in una smorfia di dolore e quando il suo sguardo incrocia, noto con una certa amarezza che ha gli occhi lucidi. Sono così rari, casi come questi, che mi vedo costretto a lasciar andare la presa sul suo braccio. Per qualche motivo, mi sento infastidito. Forse non stavo fingendo del tutto, in mensa.
Il tunnel è illuminato da una fila di lampadine incastrate nel terreno che emanano una luce azzurrina dal basso verso l'alto, creando coni di luce sui muri di pietra. Con questa particolare luce, le sue guance risultano ancora più scavate nella pelle, e sembra più pallida del solito. Si sistema la felpa e si raddrizza, massaggiandosi il polso con una mano tremante. Abbassa lo sguardo.

"E ora cosa vuoi fare?" chiede lei con il suo solito tono di voce meccanico, per nulla spaventato. Sembrerebbe quasi tranquilla, se non fosse per i suoi occhi lucidi che guizzano da una parte all'altra del tunnel. Idiota, hai scelto il tunnel più stretto. E allora? È claustrofobica, pronto? Ma l'hai guardata la sua simulazione? Sì. Sì, l'ho fatto.
"Non ho intenzione di fare nulla." incrocio le braccia sul petto e mi appoggio al muro di pietra alle mie spalle. "Dovevo pur far sembrare di essere infastidito dalla tua minaccia, in qualche modo." sospiro.
"Quindi mi hai soltanto trascinata qui per fare scena?"
"In sostanza." mi volto, distogliendo lo sguardo da lei alle lampadine azzurre sul pavimento.
"E non vuoi farmi nulla?" la sua voce trema e tradisce una punta di paura. Mi giro di nuovo verso Elizabeth, confuso e forse preoccupato. Perchè pensa che voglia farle del male? Perchè ha quest'immagine tanto negativa di me? Aggrotto la fronte senza volerlo e lei se ne accorge, quindi sospira. Ed anche il suo sospiro è soggetto ad un tremore pauroso.

"Non ti toccherei mai contro la tua volontà." faccio scivolare gli occhi sul muro davanti a me, senza guardare nulla in particolare. Non riesco a fissarla mentre dico queste parole. "Lo sai."
Lei annuisce, ed io vorrei avere qualcosa da dirle per tranquillizzarla. Ma non me la sento. Non so neanche che rapporto abbiamo io e lei ormai. In realtà, non l'ho mai saputo. Forse ero il suo fidanzato, forse ero soltanto qualcuno di cui ha avuto bisogno per qualche giorno. Scaccio quel pensiero perchè lei intanto si è staccata dal muro dov'era appoggiata e ora si avvicina a passo incerto verso di me. Io la fisso senza un'espressione particolare in viso, ma quando lei appoggia la testa sul mio petto e mi stringe in un abbraccio delicato, non riesco a non sorridere -specialmente ora che non mi può vedere-. Non ricambio l'abbraccio, ma le accarezzo ugualmente i capelli, mentre con una mano le massaggio il polso dolorante. L'ho ferita così tante volte -adesso anche fisicamente- che quel gesto mi sembra così inappropriato, da parte sua.

"Lo so che l'hai fatto per me, sai?" mormora lei, la voce già debole ovattata dal cotone dei miei vestiti. Parla così dolcemente che non sembra neanche essersi rivolta a me. "Provocarmi per farmi salire sull'Hancock, intendo. Non credo che avrei accettato se non ci fossi stato tu a spronarmi. Dopotutto, Quattro non avrebbe detto nulla e nessuno avrebbe insistito. Ma tu l'hai fatto, nonostante ieri ti abbia trattato in quel modo." alza la testa, i suoi occhi sono ancora più lucidi. Mi riviene in mente il suo sguardo furioso mentre ieri mi spingeva con violenza, offesa dalla mia insistenza nei suoi confronti. Non dovrebbe scusarsi, la colpa è stata mia. Sto per dirglielo, quando lei interrompe il flusso dei miei pensieri. "Eric, non sai quanto mi dispiace. Te l'avrei detto prima o poi... Di mia madre. Confessartelo in preda alla rabbia non è stata la scelta migliore. Io non..." fa una piccola pausa. Si alza sulla punta dei piedi e le nostre labbra si sfiorano appena; si morde l'interno della guancia e sbatte più volte le palpebre per scacciare le lacrime. "...Non voglio avere segreti. Non con te, almeno."

Le sue parole mi colpiscono come un'ondata di aria gelida dritta nel petto. Il modo in cui mi sta guardando adesso -con quei suoi occhi grandi in affamati di risposte- mi fa pensare soltanto ad una cosa, ovvero che la desidero. E non come ho desiderato tutte le ragazze che ho avuto prima di lei, in modo volgare e puramente carnale.
In Elizabeth non cerco solo una notte e via. In Elizabeth cerco me, perchè penso che lei mi conosca meglio di quanto io conosca me stesso. Non sono sicuro di amarla, perchè non credo che il mio sia amore. O meglio, non so se l'essere tremendamente attratto e interessato a lei possa essere considerato amore. Ma so di per certo che la voglio accanto quando penso alle cose crudeli che sono stato capace di fare; la voglio accanto quando penso che sono stato il diretto responsabile della morte di Amar; la voglio accanto quando penso che non so fare altro che sbraitare ordini da una parte all'altra della Residenza; la voglio accanto quando, di notte, non riesco a fare altro che lasciarmi soffocare dai rimorsi.
Elizabeth ha detto di odiare se stessa, per tutto quello che fa senza volerlo, e all'inizio mi era sembrata una cosa talmente strana che non mi sono neanche soffermato sul vero significato di quell'affermazione. Forse -anzi, molto probabilmente- anche io odio me stesso, per le cattiverie che ho commesso, per tutto il dolore che ho provocato agli altri. E forse, dico forse, lei potrebbe aiutarmi a ritrovare quell'Eric che si è perso molto, troppo tempo fa.

                                                                                            ***

"Samuel, sei tu il prossimo!" sta urlando Zeke, mentre invita il Candido ad avvicinarsi alla zip line con un gesto della mano. Ha un grande sorriso che si allarga sulla sua pelle bruna, il sorriso di chi è sempre stato allegro tutta la vita, come se non avesse mai conosciuto il dolore, come se vivesse soltanto per essere felice. Chissà se è davvero così.
Siamo all'ultimo piano dello sconfinato grattacielo, l'Hancock, e di fronte a noi il sole sta per tramontare. Amo questo momento della giornata, quando non è nè pomeriggio nè sera, ed il cielo si tinge di quel particolare arancione-rosso che mi ricorda tanto gli occhi di Elizabeth in determinate situazioni.
Le nuvole si alternano, passando da un rosa pallido a un grigio plumbeo che risalta sul cielo dal colore vivace. Non c'è neanche troppo vento oggi, per cui le nuvole non spariscono all'orizzonte, spinte dall'aria fredda che le costringe a dileguarsi, ma piuttosto sfumano confondendosi le une con le altre e creando nuovi ed innumerevoli colori e sfumature sempre diverse.

Respiro a fatica, e non per lo splendido paesaggio di fronte a me. Se non ricordo male ci sono salito una sola volta, qui sull'Hancock, eppure non ricordavo che ci fossero talmente tante scale. Quando siamo usciti all'aria aperta e siamo sbucati da una piccolissima struttura squadrata sul tetto -come un camino dallo sgradevole odore di chiuso-, siamo stati inondati dalla fresca aria primaverile del tardo pomeriggio, ed io mi sono sentito vivo per la prima volta dopo tanto tempo.
Siamo circa una ventina di persone, qui sul tetto, ed io sono appoggiato al muro della piccola struttura, accanto alla porta che ci ha condotto all'ultimo piano. Cerco di riprendere fiato senza farmi notare dagli altri, che intanto sono tutti riuniti nei pressi del cornicione.
Elizabeth ed Alice sono dall'altra parte della struttura che regge la zip line. Alla fine la Candida ha dovuto dirglielo, alla Pacifica, che l'altezza le faceva girare leggermente la testa, altrimenti non avrebbe saputo spiegare la sua espressione angosciata identica a quella della simulazione una volta salita sul tetto del grattacielo. E quindi ora siamo di nuovo lontani.
Distolgo lo sguardo da lei e lo rivolgo agli iniziati -e non- raggruppati dall'altra parte del tetto. Riconosco solo Gabe -che ho individuato soltanto per il colore dei suoi capelli, Richard, Jonathan, Zeke e Samuel. Qualcuno che non sono riuscito a riconoscere è gia salito sulla zip line, ed è sparito lasciandosi dietro una folla urlante di Intrepidi.

Samuel si avvicina al cornicione, acclamato dai suoi amici e da Zeke, che batte le mani e urla come una scimmia impazzita. Non penso che sia la prima volta che Samuel si lancia con la zip line, a giudicare dalla sicurezza dei suoi movimenti. Non esita quando si muove sul cornicione al fianco di Zeke, o quando lui ed un altro Intrepido gli sistemano le imbragature sul petto. È rilassato, quasi sollevato.
Si sente soltanto un breve urlo prima che il corpo massiccio di Samuel scivoli velocemente sulla fune metallica, poi il Candido comincia a rimpicciolirsi sempre di più, finchè non diventa un puntino nero che si staglia nell'arancione del cielo. Gli Intrepidi urlano e, dopo neanche dieci minuti, anche Alice è sparita.
Mi assicuro che nè Zeke nè il suo compagno mi stiano guardando e mi avvicino con finto disinsteresse ad Elizabeth, che si stringe le braccia al petto. Non appena le sono vicino, alza gli occhi sui miei e tutti i colori vivaci del cielo alle mie spalle si riflettono nelle sue iridi ardenti.
"Stai tremando." le faccio notare, alzo le sopracciglia fingendo sorpresa. Non dovrei farlo, le dà sui nervi.
"Fa freddo." risponde laconica. Non si impegna neanche a far sembrare vera quell'affermazione.
"Sappiamo entrambi che stai mentendo." alzo gli occhi al cielo e la mia espressione si fa più dura e infastidita, ma soltanto perchè mi sono accorto che Zeke si è voltato nella nostra direzione. Siamo ad almeno una ventina di metri di distanza, ma ho comunque paura che possa sentire in qualche modo la nostra conversazione. "Lo sai mantenere un segreto?"
"Me l'hai davvero chiesto?" ride, ma le sue labbra tremano per la paura mentre si guarda intorno terrorizzata dall'altezza dell'Hancock. Effettivamente, era una domanda abbastanza stupida. Certo che sa mantenere un segreto, dannazione, è Elizabeth. Lei stessa è un segreto.

"Anche Quattro ha paura dell'altezza. Se ti può far sentire meno sola." abbozzo un sorriso poco convinto e faccio qualche passo indietro. Zeke fa un piccolo salto e scende dal cornicione, dirigendosi verso di noi. Guardo alle sue spalle, il suo compagno Intrepido si sta allontanando con la zip line, sparendo all'orizzonte.
"Lo so già." risponde, cercando di ricomporsi mentre l'Intrepido dalla pelle bruna accorcia la distanza con lunghe falcate.
"Vuoi dire che te l'ha detto?" so già cosa risponderà. Inutile chiederglielo. Ovvio che non gliel'ha detto, Quattro non rivelerebbe mai questo genere di cose.
"Ovvio che no!" sbotta lei "Non è mai venuto ai festeggiamenti sulla zip line. Non l'ho mai visto arrampicarsi su un edificio che superasse i dieci metri. Non ci vuole un genio per capirlo."
Ovvio che non ci vuole un genio, ci vuole un'Elizabeth. Sapere che è stata capace di studiare anche un tipo misterioso e riservato come Quattro mi provoca una sensazione di perenne tensione, ma ormai dovrei esserci abituato. Perchè questa ragazza continua a sorprendermi ogni secondo di più, nonostante non faccia altro che ripetere gli stessi comportamenti giorno dopo giorno? Forse perchè anche nelle più piccole cose, nelle più monotone azioni o nei più semplici movimenti che compie, c'è qualcosa che mi attrare sempre di più. Non sono sicuro che sia una cosa buona. O forse lo è, e sono semplicemente spaventato dal fatto che forse mi sto innamorando di Elizabeth.

Per paura che in qualche modo Elizabeth mi possa leggere nella mente, indietreggio ulteriormente, lasciando che un finto sguardo infastidito mi si formi sul volto. E poi, anche perchè Zeke ormai ci ha raggiunti. L'Intrepido mi guarda ed io faccio lo stesso. Ha gli occhi scuri come petrolio e i capelli così corti da sembrare semplicemente una chiazza più scura sulla sua testa. Un sorriso sincero e radioso si allarga sul suo viso, mettendo in contrasto il bianco dei suoi denti con il colore scuro della sua pelle.
Mi appoggio con nonchalance sul muro della piccola struttura, unica via d'accesso al tetto dell'Hancock e osservo Zeke, che sta facendo saettare lo sguardo -costantemente allegro e spensierato- da me alla piccola Candida che cerca di contenere il suo terrore. Elizabeth ha una postura rigida, forse anche troppo, e cerca di mascherare invano il suo disagio dietro un'espressione gelida e indifferente. Sembrerebbe anche convincente, sembrerebbe la solita Elizabeth cinica di sempre, se non fosse che i suoi occhi parlano più di quanto lei stessa non abbia mai fatto in vita sua.
Zeke ride e batte le mani mentre scuote la testa divertito. Lo fulmino con lo sguardo, ed intanto una nuova forma di ansia mi si forma nel petto come una bolla che si prepara a scoppiare.

"Bel lavoro, ragazzi, davvero. Complimenti." Zeke si poggia le mani sui fianchi e ci guarda soddisfatti. Elizabeth mi lancia un'occhiata veloce, come per chiedermi a che cosa si stia riferendo l'Intrepido, ma riceve in risposta uno sguardo altrettando perplesso da parte mia.
"Che cosa vuoi, Ezekiel?" sospiro, alzando gli occhi al cielo. Parte di questo fastidio è sincero, ma un'altra parte di me vorrebbe solo scappare, anche a costo di buttarsi giù dal novantanovesimo piano di questo grattacielo.
"Voglio sapere se pensavate davvero di nascondere la vostra relazione a me. Intendo dire, siete stati bravi a fingere davanti agli altri, dico sul serio. I continui rimproveri in mensa, le occhiate assassine che vi lanciavate durante gli allenamenti, e l'uscita di scena dalla sala oggi... Una messa in scena davvero ben fatta, non c'è che dire!" dice allegramente, come se ci stesse lodando, e non rimproverando per questa nostra relazione che non dovrebbe neanche esistere.

Senza volerlo, impallidisco, e in un primo momento penso che questo non abbia fatto altro che peggiorare la situazione, confermando la sua teoria su me ed Elizabeth. Poi mi giro verso di lei, e vedo che ha la stessa identica espressione, se non anche peggiore.
I suoi occhi, di solito sempre severi e calcolatori, hanno ora assunto una sfumatura di disperazione, una disperazione che rende l'espressione di Elizabeth più simile a quella di un umano, a quella di una sedicenne come le altre.
Ripenso alle sue piccole ma decise labbra sulle mie, ai nostri corpi fusi in uno solo nel letto del nostro appartamento, alle occhiate di desiderio che eravamo costretti a reprimere. Ora, in qualche modo, Zeke ha capito tutto. E nè io nè Elizabeth sappiamo come reagire.
Alla fine, dopo interminabili secondi di teso silenzio, è proprio lei a parlare.

"Zeke, non so come tu abbia fatto a capirlo, ma devi promettermi che non lo dirai a nessuno. Ricordi quando la scorsa notte ho impedito che Uriah e Blackmount si prendessero a botte a quella festa?" la guardo stranito, cosa diavolo c'entra Uriah Pedrad, il fratello minore di Zeke, con tutto questo? Ma lei ha uno sguardo sicuro e il tono di voce deciso, che solo ogni tanto trema sotto il peso delle sue parole.
"Certo che me lo ricordo. Erano ubriachi fradici. E, non per sottovalutare mio fratello ma... Contro quel bestione dubito che ne sarebbe uscito vincitore." Zeke continua ad avere un'espressione divertita, ed io vorrei prenderlo a pugni.
"E ti ricordi cosa mi hai detto mentre lo riaccompagnavi dai tuoi?" continua lei, prendendolo per le spalle con delicatezza ma determinazione. Al contatto con le sue piccole mani, le spalle di Zeke sembrano rilassarsi, ma la sua espressione muta in una leggermente più seria.
"Che avrei ricambiato il favore." sospira, ma non sembra minimamente arrabbiato, anzi, una lieve risata gli gorgoglia in gola. Sospiro. Ovviamente, anche in una situazione come questa Elizabeth aveva un asso nella manica. Lei sa quanto Ezekiel tenga a suo fratello Uriah, e non so se rigirare il loro legame fraterno contro di lui a suo favore sia stata una mossa subdola o geniale. Elizabeth sembra leggermente più sollevata, ora.

"Bene, è arrivato il momento di ricambiare. Non devi farti scappare neanche una parola su di me ed Eric. Non ne devi parlare con nessuno, neanche con Quattro. Nemmeno con Uriah. Non lo deve sapere nessuno, nè in questa Residenza nè nelle altre. Capito?"
"Ricevuto, forte e chiaro." risponde lui ridendo. Non sembra turbato neanche un quarto di quanto lo siamo io e lei. "Ma se mi è permesso esprimere una mia opinione... Siete una coppia davvero strana. Voglio dire, Elizabeth, sei simpatica, carina..." ci pensa su per qualche secondo "...a volte terrificante. Ma potresti comunque puntare a qualcosa di meno... clichè. Ma, come si dice, i gusti son gusti." alza le sopracciglia e fissa i suoi occhi scuri sui miei. Non ho mai desiderato picchiare qualcuno come ora desidero picchiare Zeke. "Allora, salite sulla zip line sì o no?" 
Elizabeth si passa una mano fra i lunghi capelli ed io la guardo in attesa di una risposta, come se fossi stato io a porle quella domanda. Lei schiude la bocca e, dopo pochi secondi, la richiude e scuote la testa.

"No, grazie. Preferisco tornare alla Residenza." mormora debolmente. La guardo, ha gli occhi lucidi, ma non piangerebbe mai davanti ad una persona che non sia io.
"Come vuoi." sorride, poi si rivolge a me ed il suo sorriso sparisce, facendo spazio ad una smorfia divertita. "Allora, Eric, perchè non fai il cavaliere e la riaccompagni?"
"Dacci un taglio, Ezekiel." prendo Elizabeth per il gomito ed apro la porta di metallo che conduce alle scale. Ci aspettano un'infinità di scalini e pianerottoli, ma il mio unico desiderio, ora, è quello di stare il più lontano possibile dall'Intrepido in questione.
Sto per chiudermi la porta alle spalle mentre Ezekiel si allontana verso la zip line, quando sento la voce del ragazzo che pronuncia il mio nome. Non ho mai sopportato che il mio nome venisse urlato in quel modo, come se si volesse richiamare l'attenzione di un amico. Io non potrei mai essere amico di uno come Zeke. Io non potrei mai essere amico di nessuno.

Ci voltiamo entrambi verso di lui. L'Intrepido alza il braccio e punta il dito verso Elizabeth, fissando lo sguardo su di me.
"Ricorda. Lo faccio per Uriah." grida per farsi sentire, dopodichè sparisce anche lui, e diventa a sua volta un puntino nero in un cielo che mano a mano diventa sempre più scuro.
Rimango immobile per qualche secondo, la mano ancora sulla maniglia arruginita della porta di metallo. Sospiro ed Elizabeth fa lo stesso. Ci guardiamo, ma lei distoglie quasi immediatamente lo sguardo, come se si sentisse colpevole di quello che è appena successo. Anche ora, vulnerabile e preoccupata, mi sembra la ragazza più forte e indistruttibile della città.
"E adesso?" chiedo, con un tono di voce che fa sembrare la mia domanda un rimprovero. Non voglio rimproverarla. Dopotutto, non ha nessuna colpa, abbiamo cercato entrambi di nascondere i nostri sentimenti l'uno per l'altro, ma evidentemente non è stato abbastanza.
"Adesso" sposta lo sguardo dal cielo bluastro a me, facendomi sentire piccolo e vulnerabile a mia volta "Speriamo che suo fratello valga una sua promessa." 
   
 
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