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Autore: Tormenta    20/03/2017    2 recensioni
[Destiel | AU]
Castiel è un angelo, Dean nulla più d'un normale essere umano e la loro storia è raccontata interamente in rima. Dal testo:
Accadde un giorno: dopo aver combattuto una lunga guerra, / l’angelo di nome Castiel si ritrovò bloccato su questa Terra. / Tutta colpa d’un’ala ferita, / tale poiché in battaglia era stata colpita. [...] / Doveva dunque restare, rimettersi in sesto, / e pensò che se fosse rimasto immobile e muto / lì, sul cemento del vicolo dov’era caduto, / allora il processo di guarigione sarebbe stato più lesto. / Si mise quindi silenziosamente a sedere; / come unico compagno, le gocce fredde che piovevano da nuvole nere.
Genere: Poesia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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6.
Wherever you are

 

 
 
Richiamato all’ordine per ricoprir il ruolo di soldato,
Castiel era disceso dal suo piano natio
con l’atteggiamento dolente e rassegnato
di chi è pronto ad affrontare un rifiuto e un triste addio;
questo, perché a partir da quando lui l’aveva lasciato
senza sosta Dean gli aveva dedicato
un cantare trattenuto, stridente, stonato,
così diverso dalla solita melodia
e che gli aveva causato una tremenda agonia,
convincendolo d’essere tutt’altro che desiderato.
Si può dunque immaginar la sua gran sorpresa
nello scoprir che l’uomo era invece rimasto per tutto il tempo in attesa
di lui, d’un suo segno
e che non l’aveva fatto bruciando d’offesa,
bensì assillandosi nel tentativo di darsi un contegno.
Lo stupore lo strinse e lo rese allibito,
e pensando a quanto poco dei sensi umani avesse capito
s’avvilì, e si sentì smarrito.
Aveva letto Dean in un modo tutto scorretto
e non solo: persino ora faticava a comprendere il concetto;
perché l’uomo s’era addossato tanto travaglio
quando non era suo, lo sbaglio?
Gli errori, l’angelo li vedeva solo a proprio carico:
lui rischiava d’allontanarsi dal suo originale incarico,
lui era quello che provava le intricate sensazioni
che il Paradiso avrebbe condannato come aberrazioni.
Eppure Dean s’era autoaccusato, preoccupato –
aveva forse creduto d’esser stato abbandonato?
Alla sola idea Castiel non poté che vacillare:
separarsi non era mai stata una cosa che aveva amato fare
e credeva d’averlo espresso chiaramente;
invece anche in quello era stato incompetente
e per altro, con alle porte una nuova lotta armata
dai cieli indetta e guidata,
non avrebbe nemmeno avuto la possibilità
di dimostrare delle proprie intenzioni la bontà.
Questo, s’intende, posto che effettivamente riuscisse a dipartirsi,
cosa che – assurdo per un serafino della sua levatura a dirsi –
malgrado la lealtà alla guarnigione
e la certezza che quella da compiere fosse una necessaria missione,
non era sicuro sarebbe stato in grado di sopportare;
certo non senza batter ciglio, non senza penare,
non quando l’uomo lo fissava con quegli occhi caldi, ferventi,
portandolo a ricambiare con sguardi concupiscenti –
sguardi che per l’appunto lo legavano dov’era
spingendolo a domandarsi
cosa ci fosse dietro agli attenti intarsi
dell’espressione mossa ma severa
che Dean sfoggiava, muto,
dal momento in cui l’aveva informato che avrebbe combattuto.
L’affronto doveva essere una componente, decretò,
e sembrava legittimo, perciò:
«Mi dispiace» sussurrò, onesto come non mai;
intendeva scusarsi per aver causato guai,
e per tutta quell’incomprensione atroce
che più d’ogni altra avversità pareva esser la sua croce.
L’uomo l’osservò, attento, poi annuì
rigorosamente in silenzio – e lo lasciò appeso così.
Non parlò a sua volta, non fece gesti,
non inviò insomma segnali manifesti;
però tremava:
nel petto, nelle iridi, nelle ciglia
e le dita si tormentava,
almeno prima di portarle al viso per nasconder l’ombra vermiglia
che, sfumata, gli contornava gli occhi
e che venne scacciata dalle palpebre in un paio di rintocchi.
«Cas» chiamò poi, finalmente, con tono nero
«sii diretto. Questa volta sul serio non ti rivedrò più, vero?»
Spiacevolmente punto, l’angelo esitò
prima di replicare: «Non lo so.
Non ho idea di quanto a lungo dovremo lottare».
L’altro, stordito dal ricordo dell’ala spezzata,
avvertì scariche di brividi percorrerlo all’impazzata,
perché Cristo, Cas avrebbe rischiato di farsi ammazzare.
Si trattava d’una guerra – una guerra vera:
nessun concetto l’aveva mai strozzato in una tale, viva maniera,
e a riguardo non c’era assolutamente nulla che potesse fare.
«Dean, se tu non sei contrario, io da te vorrei tornare»
asserì Castiel cercando di risultare rassicurante,
ma purtroppo ottenne solo di render l’uomo ansante.
«Comunque potrebbero passare anni. Ho ragione?»
l’interrogò quello, scontrandosi con un cenno d’affermazione,
e poi gli sfuggì in un soffio: «Senza contare— potresti morire»;
dopodiché, non si trattenne dall’inveire.
«Dean» lo chiamò l’angelo nuovamente, austero,
nel tentativo di bloccare l’imprecante strazio;
nel farlo, avanzò anche, lasciando tra loro solo un misero spazio,
e una volta vicino proclamò: «Sono da sempre un guerriero.
So difendermi, non è necessario preoccuparsi per la mia sorte;
inoltre, se è per proteggere voi, io non temo la morte».
L’uomo scosse il capo, tutto meno che consolato;
sapere che Cas era pronto a sacrificarsi non era d’aiuto
e l’avrebbe gridato, se avesse potuto:
peccato che le parole, chiuse in gola, l’avessero abbandonato.
L’angelo colse il suo sconforto
e volle poggiargli un palmo su una spalla: strinse,
sperando che tanto fosse più di supporto.
Da tale semplice gesto, molto fu ciò che evinse:
percepì Dean sussultare, teso, e successivamente rilasciarsi pian piano
in risposta al tocco della sua mano,
poi gli soggiunse una rivelazione:
il tiepido calore del corpo sotto al ruvido tessuto
l’aveva subito reso ben più che compiaciuto –
da solo, aveva placato in parte la sua sottile agitazione
e riportato con forza alla luce ogni sua affettiva sensazione.
Si sentiva divinamente e al contempo lacerato da mille coltelli,
e si perse osservando l’uomo negli occhi, che s’erano ingranditi
e lo fissavano a loro volta, ricchi dei lumi più squisiti;
così distratto, non badò ai propri polpastrelli
che lentamente scorsero, nominatisi in controllo,
fino a raggiungere dell’altro la base del collo –
se alla fine se ne rese conto, fu perché Dean si schiarì la voce
spingendolo a far scendere lo sguardo, veloce.
Lo puntò sulla propria mano: di primo acchito
non poté che chiedersi perché quella si fosse spostata, stupito,
e poi non fece altro – non la mosse.
Piuttosto, per capir se e quanto errato quell’atto fosse,
tornò a scrutar l’uomo dritto nelle pupille:
nel verde trovò un rinnovato mare di scintille,
arrangiate in un’accesa ma mogia espressione
che aumentò la sua confusione;
ritenne saggio non illudersi d’aver scorto contentezza:
preferì contenere il rischio d’esser causa d’altra asprezza.
«Io—» cominciò dunque a dire ritirando la mano, per spiegare
che da sola quella aveva deciso cosa fare,
ma ancor prima di partire, la sua frase s’era già fermata,
perché l’altro abbassò la testa, interrompendo l’occhiata
e nel farlo si lasciò sfuggire un mezzo sospiro frustrato:
una reazione minima, tutto sommato,
ma che sconvolse l’angelo, poiché nelle sbirciate emozioni
che Dean nascondeva dietro combattute reazioni
e che riemergevano a tentoni,
improvvisamente lui capì di sentirsi del tutto rispecchiato.
S’immobilizzò, riflettendo in fretta,
e in quanto alla propria commozione reietta
finì con l’ipotizzare un fatto stupendamente nuovo;
sussurrò, grave: «Tu sai quello che provo».
Quelle parole risuonarono in profondità negli anfratti
e Dean, morso, risollevò la vista lentamente e a tratti;
tentennò, dunque, perché no, non sapeva cosa provava Castiel.
S’era solo concesso una mezza idea a riguardo
quella volta nell’anonimo motel
e chiamatelo codardo,
ma non riusciva a fidarsi di quei concetti astrusi
che temeva avrebbero inutilmente nutrito i suoi affetti illusi.
Per questo negò col capo, serrando la mascella
e scacciando dalla mente anche la percezione
della mano di Cas che lo sfiorava da sopra la flanella.
Quello fu reso sfiduciato dalla contraddizione
e fece per parlare ancora,
ma Dean, stretto dal tipo di diniego che divora,
non volle ascoltare: l’interruppe aprendo bocca per primo, allora.
«Cosa succederebbe se gli altri come te
scoprissero che sei sempre venuto da me?
Ho bisogno che tu me lo dica».
L’angelo lo scrutò come se trattar l’argomento gli costasse fatica,
ma non fuggì dalla domanda – non più:
«Probabilmente non potrei ritornare quaggiù.
Mai. Mi svuoterebbero la mente, mi farebbero dimenticare,
per evitare che il debole per l’umanità rischi d’alterare
la mia fedeltà ai cieli, e il mio servire;
così s’assicurerebbero che io non possa tradire».
L’uomo, sbigottito ed agitato, sbuffò fremente
e insultò tra sé e sé il Paradiso con aria insofferente.
Al che, Castiel continuò, amareggiato:
«Per loro è una cura –
e anche se io non mi sento affatto malato,
la verità è che hanno ragione ad avere paura».
S’adombrò, prima di confessare
il significativo frutto d’un precedente lungo rimuginare:
«Così come è vero che per voi – per te, morirei,
ribellarmi— se tu me ne dessi motivo, temo che lo farei».
Subito, calò un silenzio pesante com’un macigno:
l’uomo sentiva in petto quasi il ticchettio d’un ordigno,
tanto era strabiliato da Cas e dalla sua devozione;
come meritasse l’uno e l’altra, ancora esulava dalla sua comprensione
e soprattutto gli dava il tormento,
perché pareva che davvero fosse reciprocato il suo… sentimento.
Pensando a quello, e all’imminente ennesimo distacco,
tacque, soffocato e fiacco;
eppur voleva fare qualcosa, voleva reagire,
perché non sopportava di vedere l’angelo così fissato,
chiaramente in attesa d’un riscontro, angosciato
e con lo sguardo che minacciava ogni istante d’appassire.
Dunque, rigido, tese alla fine un braccio
e l’imitò: gli strinse una spalla con impaccio,
poi, guidato dall’enorme bisogno di dimostrare affetto
fosse quello anche non ricambiato, e pur negletto,
tentò di trasformare in ulteriori, più audaci azioni
tutti i possibili discorsi ricchi di sentimentali paroloni –
con gli occhi incatenati a quelli di Castiel, fece scivolare le dita
fin sulla sua nuca, e poi, pur col terrore che si trattasse d’una mossa proibita,
calando per timore le palpebre, tirò col palmo.
E in lui nulla si sarebbe più potuto definire calmo,
quando l’altro accettò senza resistenza il metaforico invito
e portò avanti la testa inclinata
fino quasi a poggiare la fronte sulla sua, aggrottata;
solo a quel punto osò tornare a sbirciarlo, e lo trovò sbalordito.
Chiunque altro avrebbe senza dubbio capito
ciò che lui stava celando dietro un gesto tanto dedicato;
l’angelo invece con le ciglia spalancate lo scrutava ammirato
come incapace di decidere se fidarsi o meno di ciò che aveva intuito.
E non poteva esserci scenario migliore,
si convinse Dean respingendo e rinnegando il dolore.
«Non farti spennare» mormorò con un gran magone
prima che gli potesse esser richiesta una qualunque spiegazione,
e Castiel, scuro e commosso in volto,
assentì con le labbra pressate in una linea assottigliata
prima di riportare, cauto ma disinvolto,
una mano laddove essa s’era precedentemente accomodata:
sull’uomo, in quel nido tra la gola e la spalla
il cui tepore faceva ora risonare il fervore già venuto a galla.
Si gonfiò di gioia poiché il contatto fu accolto appieno,
ma solo un attimo durò la leggerezza:
presto capì, infatti, che non poteva trattenersi oltre sul terreno,
perché la familiarità e la vicinanza solleticavano la sua cedevolezza
e ogni ulteriore secondo con Dean equivaleva ad una promessa –
quella d’una mancanza ancor più accentuata
che avrebbe portato ad un’esperienza in guerra a dir poco esasperata.
Dunque: «Devo andare» esalò malvolentieri,
e l’uomo prese nota con un’occhiata e un cenno severi:
si costrinse ad accettare la circostanza
ispirando a fondo coi tratti del viso che si facevano neri,
prima d’allontanarsi con combattuta riluttanza
così da ristabilire tra loro una parvenza di distanza.
Calarono le braccia d’entrambi, e tacque ogni parola
mentre il battito d’uno s’esibiva in qualche scomoda capriola
e le ali dell’altro si spiegavano, in un piano invisibile,
per compiere un viaggio verso l’alto che a stento pareva possibile
tant’era vasta la pena
che sopprimeva ogni sua idea serena.
Trascorse così l’istante d’esitazione più lungo di tutti,
scandito da ultimi sguardi e umori distrutti.
«Ciao, Dean» si congedò infine l’angelo come d’uso,
incapace di chiedere egoisticamente “Aspettami”, o di garantire
che sarebbe andato tutto bene, poiché non voleva rischiare di mentire;
piuttosto aggiunse, con rammarico profuso:
«Vorrò sempre tornare a trovarti».
A ciò, l’uomo avrebbe voluto rispondere: “Sarò qui ad aspettarti”,
ma si ritrovò con la lingua legata
e poté solo annuire e mugugnare con voce strozzata.
Per quello, s’odiò immediatamente e con trasporto
soprattutto perché da lì a un attimo, smorto,
Castiel prese il volo. D’improvviso la stanza era vuota
e Dean non era mai stato tanto cosciente d’essere un idiota:
Cas era partito, e lui non l’aveva nemmeno salutato;
per non parlare delle troppe cose che non aveva confessato.
Era ormai tardi, ma per tutto il silenzio si pentì di getto
mentre gli si apriva uno squarcio nel petto;
subito seppe che quella ferita l’avrebbe accompagnato in ogni momento,
e iniziò a piangergli copioso il cuore, in un tacito lamento.
 
 
 
Castiel aveva appena raggiunto i cieli,
quando nella testa gli esplose un fragoroso canto –
una straziante armonia tra il suo supplizio e quello d’un uomo affranto
che, presso la guarnigione, gli valse istantaneamente occhiate crudeli.
Sia chiaro: crudeli non per cieca e disgustata impulsività,
quanto più per una fredda e semplice curiosità.
Come mai prima, infatti,
lo stringeva la canzone che solo lui poteva sentire –
tanto da intaccare il suo lume, da farlo indebolire;
dunque gli altri angeli lo fissavano, stupefatti,
vociando tra loro perplessi
perché non capivano cosa debilitava i suoi riflessi.
Di domande, ne piovvero a decine,
insieme con le insinuanti ipotesi più svariate;
e poiché Castiel a rispondere non era incline,
mentre le note continuavano a gridare sfrenate,
con diligenza e paura genuine
si rifugiò nell’eseguire disposizioni isolate,
in preparazione alla guerra dettata dalle volontà divine
su cui doveva senza meno concentrare le proprie intenzioni agitate.
 
 
 
Fu praticamente per disperazione se, all’inizio,
nel tentativo di focalizzarsi solo sul servizio,
desiderò che la sconsolata musica si calmasse;
mancò sfortunatamente di prevedere quanto il suo animo ne necessitasse
e scoprì purtroppo il tremendo errore di giudizio
solo allorché le melodie si fecero più pacate, più basse.
Certo a massimo volume erano una dolorosa distrazione,
ma percepirle attenuarsi, sfuggire
a pari passo col ritmo a cui Dean reprimeva l’afflizione,
era una tortura anche peggiore da gestire;
significava infatti accettare che, ad oltranza,
lui, per l’uomo, sarebbe caduto nella dimenticanza.
E il pensiero d’essere scordato
bruciava e lo lasciava senza fiato,
perché sì, il bene di Dean era una priorità
e per lui dimenticare era forse l’opzione più ottimista,
ma comunque l’angelo non poteva ignorare la realtà –
cioè, che si ritrovava ad essere orribilmente egoista:
non voleva esser cancellato,
non voleva che il proprio posto fosse da qualcun altro occupato.
Realizzare che quello sarebbe stato il corso degli eventi
rese i suoi raggi, già tremanti,
ancor meno luminescenti,
condannandolo ad esser vittima d’ulteriori sguardi indaganti;
sguardi che continuarono nel tempo ad infittirsi
in risposta a quello che divenne un incontrollato affievolirsi.
Castiel, s’intende, fece sempre quanto in proprio potere per brillare,
ma la sua attenzione sulla Terra non smetteva di calare,
e sebbene s’impedisse di cercare e osservare
il responsabile della canzone a cui non voleva rinunciare,
la sua condizione riusciva solo a degradare.
 
 
 
Alla fine, si verificò il peggio:
dopo un ultimo, esausto lampeggio,
mentre di terrore e di confusione era ubriaco,
Castiel s’accorse d’esser divenuto completamente opaco.
Contemplò la propria Grazia spenta del tutto estraniato,
e dovette fronteggiare un fatto agghiacciante:
fino a quel momento s’era riparato, l’aveva evitato,
ma ora senza dubbio sarebbe stato stanato
e i piani alti l’avrebbero sottoposto, scalpitante,
alla quella loro cura definitiva e sfregiante.
Non aveva dove nascondersi
e la notizia sul suo stato fece presto a diffondersi;
tanto, che ancora non s’era nemmeno un po’ calmato
quando il suo comandante l’approcciò, tirandolo a sé
per dire, ferreo e posato:
«Castiel, devi venire con me».
 
 
 
Seguì il superiore pur restìo all’idea di darsi per vinto
e sulla via, capitò che prevalesse il freno dell’istinto:
in quelle occasioni, venne molto poco gentilmente spinto.
Non sapeva dove sarebbe stato condotto,
né tantomeno cosa di preciso l’aspettava;
in ogni caso, qualunque cosa potesse aver dedotto
dal silenzio di chi lo guidava,
essa fu spazzata via quando la meta gli s’aprì attorno:
era l’Eden, il paradisiaco giardino,
che di profumi e frutti e fiori era adorno
e non pareva promettere nulla di meschino.
Tra le frondose e vivaci piante, poco lontano,
sfoggiando un modesto aspetto umano,
spiccava Joshua, che di quel luogo era il guardiano;
l’alta autorità di quell’angelo era ampiamente risaputa
e nel momento in cui, dopo un’introduzione risoluta,
si congedò rapidamente il suo capitano,
Castiel, per restar saldo, poté solo aggrapparsi al proprio musicale brano.
Non sapendo quale comportamento tenere,
scelse d’attendere e di tacere;
trascorse ben poco, comunque, prima che fosse chiamato:
«Non essere timoroso. Vieni avanti, soldato».
Joshua sorrise, invitandolo con aria serena
e Castiel rigoroso eseguì,
mutando anche lui nella forma terrena.
«Sai perché sei qui?»
«Io— suppongo sia per via della mia luce. Si è spenta».
«Esatto. C’è qualcosa che ti tormenta;
ma non affannarti e non temere:
non serve che mi spieghi, so già tutto ciò che devo sapere»
precisò il tranquillo e benevolo giardiniere,
indicando verso l’alto con moderato brio
e alludendo al suo privilegio di poter parlare con Dio.
Al che, con mesta riverenza,
Castiel chinò il capo in segno di penitenza
e fece per scusarsi per la propria disonorevole condizione,
ma l’altro lo precedette, scandendo con ponderazione:
«Tu credi che ciò che hai fatto sia punibile e sbagliato,
ma tralasci che Lui conosce il percorso d’ogni suo figlio
e per ciascuno, vuol solo il bene e il meglio:
al punto a cui sei ora, ti ci ha accompagnato.
Non convincerti d’averlo in qualche modo offeso;
t’ha guardato cambiare – a distanza, resti inteso –
e non è turbato da ciò che sei diventato.
Tutt’altro» terminò enigmatico
mentre Castiel lo scrutava perplesso ed estatico.
«Quindi— cosa devo fare?
Come posso migliorare?»
«Questo, solo tu lo puoi determinare.
Non è per darti una risposta o ordini diretti
che t’ha fatto venire qui. È vero il contrario, in effetti».
Accarezzò un’ampia e verde foglia, sorridente,
prima di proseguire, evocativo e paziente:
«Ha visto quanto, e in quale direzione,
la tua individualità si sia evoluta, svelta,
ed è consapevole di chi e cosa può vantarsi d’avere la tua devozione;
per questo, ti dona la possibilità di fare una scelta».
Senza indugiare oltre, prese dell’altro una mano
e poggiò il palmo sul suo, consegnandogli piano
un piccolo oggetto su cui gli fece stringere la presa;
Castiel appena poté sbirciò, e s’irrigidì dalla sorpresa.
Era una fiala trasparente che brillava d’argento
ed emanava l’aura d’un potente ed antico strumento.
«Può accogliere una Grazia, e mantenerla inalterata
senza che essa debba essere strappata»
gli fu illustrato prima che chiedesse, con sgomento:
«Nostro Padre crede che io debba cadere?»
Com’era possibile che Lui fosse di quel parere?
«Io— non posso; non voglio disertare».
Era avvolto nell’angoscia e nello stupore,
e per rassicurarlo Joshua sottolineò, con fermo candore:
«È solo un’opzione, una strada che se vuoi puoi imboccare.
Sei a metà tra l’umanità e il Paradiso
e le tue intenzioni verso entrambi sono pure,
ma ti sta distruggendo l’esser così diviso
e Lui non vuole che la tua rovina sia dettata da infondate paure,
come quella di perdere il suo affetto».
«Come potrei non perderlo, se tradissi la mia natura?»
«Amare l’umanità non è un’abiura.
Lascia che ti racconti questo: sai cos’ha detto
la prima volta che un nostro fratello è caduto
non per ribellarsi, non per vigliaccheria,
ma per vivere come umano secondo la sua ideologia?
Ha detto: “Non l’avrei mai creduto!”
Dubitava che a un angelo quel tipo di vita sarebbe piaciuto
ed era felice d’esser stato smentito
e di veder un suo figlio adorare ciò che ha costruito».
Osservando la fiala, Castiel rifletté con intento;
certo l’idea che il Padre non condannasse il suo cambiamento
era per lui un enorme lenimento,
ma comunque tremava di fronte a quell’opportunità
poiché non era certo di saperla gestire con abilità:
se la sua Grazia, la sua essenza, non doveva esser strappata
per venir riposta nella piccola bottiglia argentata,
allora non sarebbe dovuto rinascere per cadere
e il solo concetto l’accendeva com’un braciere,
perché significava poter tornare subito dagli amici,
da Dean – e oh, che dolcissima tentazione:
la contemplò cullato dalle morbide note della loro canzone.
Ma sarebbe stato errato considerare solo quei benefici –
e infatti disse: «Come potrei mai abbandonare così il mio ruolo,
le mie ali, i miei fratelli?»
Joshua annuì, mormorando saggio: «Oh, figliolo!
Hai posto il più grande degli indovinelli.
Nello scegliere, è proprio questa la difficoltà;
ci sono sempre responsabilità e rinuncia, dove c’è libertà».
 
 
 
Fu ripensando a quelle parole con ostinazione
che, congedato, Castiel tornò tra le fila della guarnigione.
Lì, soldato tra soldati,
vendendo tutti ronzare come indaffarate api
e sentendo su di sé il peso dell’occhio paterno
e dei soliti sguardi ricchi di ripudio e di scherno
che mancavano ormai d’ogni traccia di bene fraterno,
fu assalito da ciò che era evidente:
il suo esser fuori posto, e differente.
Questo, non solo per via del suo lume, ancora spento,
ma anche e soprattutto perché si vedeva perduto –
uno straniero nella casa che aveva sempre conosciuto,
spinto, senza alcun riferimento,
su una strada con un bivio che lo riempiva di spavento.
Cercò un contatto, approcciando vari commilitoni
e offrendosi di contribuire alle comuni azioni,
ma tutti, seccamente, rifiutarono il suo aiuto;
poté allora solo isolarsi, raccogliendo le idee abbattuto.
 
 
 
Durava da un’eternità, la sua esistenza
eppure nessun periodo era mai stato per lui più infinito e convulso
di quello che trascorse rimuginando, avulso,
mentre il battaglione si preparava per la partenza.
Da una parte c’era la fiala,
dall’altra la sua lama:
l’umanità, una vita limitata ma intensa
con Dean, e quel sentimento che prometteva avventura
contro la volontà di lottare, senza ricompensa,
per proteggere il pianeta e ogni sua creatura.
Come poteva decidere? Certo, il Paradiso gli calzava stretto,
ma era anche vero che sulla Terra era alieno e inetto;
verso l’uno e l’altro mondo, dunque, era tirato,
ma in nessuno dei due poteva dirsi perfettamente incastrato.
Come già altre passate volte, essendo solo
si rivolse, per aver compagnia, alla melodia che chiamava dal suolo;
mai ne aveva avvertita una tal necessità
dacché fu con nuova, incredibile acuità
che percepì il bisogno il conforto.
E molto altro, realizzò, nell’animo gli era insorto –
brama, mestizia, nostalgia, gioia, ciascuna in mille nuove sfumature
che dei suoi pensieri inseguivano le sfaccettature.
S’ampliò, insomma, la sua capacità di sentire
tanto che quando squillarono le trombe d’inizio battaglia
per l’inquietudine quasi credette d’impazzire:
mentre l’esercito si lanciava contro chissà quale demonica marmaglia
lasciandosi alle spalle le porte di Pietro,
lui, paralizzato, rimase indietro;
e del fatto che con gli altri non corse,
nessuno se n’importò, né se n’accorse
tanto rasentava l’esser nullo
il credito che la guarnigione dava ad un angelo opaco, fasullo.
Certo questo pungeva, ma Castiel accantonò l’acerbità
ripetendosi piuttosto che era giunta l’ora della verità –
doveva correre testardamente verso la guerra,
o scendere per sempre sulla Terra.
Alla fine, dopo un ultimo sguardo ai cerchi celestiali
e un ultimo istante trascorso ad ascoltar le note mortali
chiuse gli occhi e batté con tremore le ali
confidando nella bontà dei propri ideali.
 
 
 
 







 
Angolo di Tormenta
Scusate, scusate, scusate. Parlando di “incidenti di percorso” nelle ultime note me la sono proprio tirata – avevo promesso un finale, e invece eccoci qua. In breve: il testo stava diventando infinito, e soprattutto non ero soddisfatta dell’effetto che dava l’avere la porzione conclusiva in totale continuità con questa sesta parte. Quindi ho deciso di fermarmi qui, e di mettere in programma un epilogo.
Vi chiedo ancora perdono, nella speranza che il capitolo (malgrado la... suspense della chiusura) sia comunque apprezzabile. :) Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
 
Grazie per aver letto e per la pazienza; lunedì prossimo arriverà l’ultimo aggiornamento (stavolta per davvero, giuro). Baci e a presto,
T. ♪
   
 
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