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Autore: Nuel    20/03/2017    4 recensioni
Hogwarts apre le porte per la terza volta per Albus Potter. Quest'anno anche sua sorella minore Lily inizia a frequentare la più famosa scuola di magia e stregoneria del mondo, e mentre James stringe nuove amicizie, la vita familiare dei Potter potrebbe venire sconvolta.
Ogni pezzo è sulla scacchiera, sta ad Albus decidere se giocare quella che forse non è solo una semplice partita.
♦ Serie Imago Mundi, III
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Imago Mundi ϟ'
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L’ultimo Natale in famiglia




L’antivigilia di Natale, l’espresso da Hogwarts arrivò alla stazione di King’s Cross, restituendo alle famiglie decine di giovani maghi. Il chiacchiericcio e l’entusiasmo erano gli stessi che, il primo Settembre, avevano accompagnato la partenza di quegli stessi ragazzi per la scuola.
    Albus e James avevano passato gli ultimi due Natali a scuola, ma quell’anno, con anche Lily a Hogwarts, avevano pensato che i loro genitori avrebbero sentito troppo la loro mancanza, se non fossero tornati a casa per le vacanze, e Lily, in particolare, che non vedeva l’ora di essere di nuovo a casa, si era appostata davanti alla porta del vagone prima che il treno facesse l’ultima curva per entrare in stazione, lasciando ai fratelli il proprio baule.
Le vacanze di Natale erano arrivate in men che non si dica, tra l’arrivo della neve e le verifiche di fine trimestre iniziate quando ancora l’argomento principale degli studenti era la partita di Quidditch tra Grifondoro e Corvonero.
    Quando Lily si gettò strillando tra le braccia del padre, mentre Albus le seguiva trascinando il proprio baule e James arrancava dietro di loro cercando di trascinarne due, non c’era nessuno che non avesse sentito parlare di come James avesse volato durante quella partita, di come avesse preso le redini della squadra al posto di Roxanne e che non avesse menzionato almeno una volta Augustus Flint per fare un paragone o per chiedere chi fosse.
    «Ho sentito che hai giocato alla grande», disse Harry Potter quando abbracciò il maggiore dei suoi figli, poi prese il baule della figlia e guidò i ragazzi verso l’uscita della stazione.
    «È stato incredibile!», cinguettò Lily, rispondendo al posto di James. La compostezza che aveva cercato di tenere a scuola era già stata soppiantata da una spontanea vivacità.
    La partita era durata settantaquattro minuti e James aveva preso il boccino ma, sulle prime, c’era stato più entusiasmo tra i Serpeverde che tra i Grifondoro: gli studenti sembravano turbati, in particolare i compagni di casa di James che avevano creduto di conoscere il ragazzo e che lo avevano visto volare come l’ex capitano di Serpeverde, che avevano sempre disprezzato per i numerosi falli e per il modo di volare pericoloso e aggressivo. James non aveva commesso falli e, a ben guardare, il suo gioco era stato entusiasmante, il suo volo aveva calamitato gli sguardi, eppure non si poteva fare a meno di chiedersi cosa l’avesse spinto a giocare in quel modo.
    La teoria di Rose sul fatto che James fosse innamorato di Ausia aveva convinto Lily, ma Albus continuava ad avere qualche riserva. Inoltre, il suo cruccio più grande era di non aver ancora spedito a Carabà la propria mossa. «Dov’è mamma?», chiese all’improvviso, come se avesse notato solo mentre il padre infilava i bauli nell’auto l’assenza della madre.
    Harry Potter si grattò la fronte e stiracchiò le labbra in un sorriso. «Vi aspetta a casa. Voleva prepararvi una cena degna di Hogwarts».
    Lily strillò e saltellò contenta, mentre James sghignazzò all’idea della madre ai fornelli, ma salirono in auto e trascorsero il viaggio raccontando al padre quello che era successo in quei mesi. Albus sapeva che, una volta a casa, avrebbe dovuto riascoltare per l’ennesima volta il resoconto della partita del fratello e, sospirando, cominciò a guardare fuori dal finestrino.
    Quando arrivarono a Godric’s Hollow era ormai buio pesto, Lily si era addormentata sul sedile davanti, ma appena la macchina si era fermata nel vialetto di casa, era saltata giù come una molla. La porta si aprì e Ginevra Potter spalancò le braccia per accogliere i suoi ragazzi. Il profumino che veniva dalla cucina faceva sospettare l’intervento di nonna Molly e la cena fu allegra, piena di chiacchiere e di entusiasmo.
    Nel salotto li aspettavano un abete la cui punta toccava quasi il soffitto, e uno scatolone colmo di palline e fili dorati. «Abbiamo aspettato voi per addobbarlo», disse Ginny.
    «Vuoi dire per schiavizzarci», borbottò James, ma Lily sembrava entusiasta all’idea di decorare l’albero di Natale tanto quando sembrava stanca.
    «Lo farete domani», intervenne Harry, facendo levitare i bauli su per le scale, «adesso tutti a dormire». L’indomani sarebbe stata una giornata lunga.
    
Il Natale era una di quelle occasioni in cui l’intera famiglia Weasley si riuniva alla Tana. Era una festa chiassosa e felice, colorata e piena di cibo. Quando erano piccoli, il rito dello scambio dei doni durava ore e i regali erano sempre meravigliosi, ma addobbare l’albero in salotto era qualcosa che riguardava unicamente la loro famiglia: loro padre li prendeva a turno sulle spalle perché potessero mettere le palline sui rami più alti e loro madre usava la magia per accendere mille piccole luci artificiali. Non erano come le fate che illuminavano gli abeti nella Sala Grande di Hogwarts, ma quando i loro vicini Babbani venivano per lo scambio degli auguri non destavano alcuna sorpresa.
    Quell’anno, James, Albus e Lily furono lasciati soli ad addobbare l’albero di Natale: loro madre era uscita per delle commissioni e loro padre aveva ricevuto una chiamata urgente dal Ministero. Lily aveva messo il broncio, ma James le aveva promesso che avrebbe messo lei la decorazione più importante: il puntale, e Albus era persino riuscito a dimenticare la partita a scacchi. Avevano fatto a gara su chi sarebbe riuscito a mettere il maggior numero di addobbi e Lily era salita su una sedia per mettere il puntale sulla cima, lamentandosi che fosse rosso e dorato, come il resto delle decorazioni. Piagnucolò e pestò i piedi fino a quando James non si arrese e, presa la bacchetta, cambiò il rosso in verde e l’oro in argento.
    «Così non si distingue dall’albero», si era lamentato Albus, ma Lily si era limitata a fulminarlo con lo sguardo e sollevare il mento con aria di sufficienza. Poi se ne era andata via camminando sulle punte dei piedi per sembrare più alta.
    La signora Potter rientrò dopo il tramonto, in tempo per andare con loro alla Tana, ma quando presero la Metropolvere per andare dai nonni, il signor Potter non era ancora rincasato. In passato, Albus aveva notato i segni della preoccupazione sul volto di loro madre, quando loro padre non tornava a casa al termine dell’orario di lavoro, quella sera, invece, gli parve che la donna fosse solo irritata.
    Loro padre arrivò alla Tana poco prima di cena, scusandosi per il ritardo. La casa dei nonni era calda, rumorosa e affollata e nonno Arthur, che non lavorava più al Ministero, lo prese subito da parte per sapere cosa fosse successo. La tavola era stata preparata con tovaglie diverse accostate e piatti spaiati e le sedie erano tanto vicine da sembrare incastrate. Nonna Molly aveva cominciato a cucinare giorni prima e le zie avevano portato i loro piatti migliori, col risultato che la cucina era stipata di cibo che, l’indomani si sarebbero scambiati e che avrebbe riempito le dispense per giorni.
    «Allora, ho sentito che hai giocato una splendida partita», disse zio Ron a James, non appena lo vide. Albus prese le distanze: non ne poteva più di sentire la stessa storia e probabilmente lo era anche Roxanne che, dalla partita, non aveva più parlato molto di Quidditch. Come capitano era stata poco incisiva, senza contare che non doveva aver apprezzato lo stile di volo di James.
    Lily si era appartata con Rose, Lucy e Molly, come se non le avesse viste per chissà quanto tempo, mentre Victoire e Ted erano stati sequestrati da zio Percy che, al solito, aveva le sue rimostranze sulle scelte che i membri più giovani e inesperti della famiglia avevano fatto quando avrebbero potuto avvalersi prima del suo consiglio. Louis e Fred si erano seduti su un gradino della scala che portava ai piani superiori e sembravano molto assorti dalla loro conversazione, così Albus si guardò attorno, notando che il padre non era più nella sala. Sbirciò in cucina, dove zia Fleur e zia Audrey ridacchiavano lontane dai mariti, e bussò alla porta del bagno riconoscendo la voce di zio Charlie che diceva “occupato”. Sua madre chiacchierava con zia Angelina e sembrava molto più rilassata di quanto non fosse stata prima della loro partenza.
    Sbuffò chiedendosi dove fosse andato suo padre, quando uno spiffero freddo gli fece notare che la porta d’ingresso era socchiusa. Stava nevicando e all’aperto si gelava. Si accostò per chiudere, ma scorse suo padre e zia Hermione che si stringevano nei mantelli a pochi passi di distanza.
    «… Non qui, Hermione. Non adesso. Non voglio rovinare il Natale a nessuno», sentì dire a suo padre con voce grave.
    «Sì, hai ragione», rispose la madre di Rose, «ne parleremo quando i ragazzi saranno tornati a scuola».
    «Albus! Che stai facendo?», chiamò nonno Arthur, e Albus si allontanò dalla porta, prima che suo padre potesse accorgersi che stava origliando.
    «A tavola!», ordinò nonna Molly in quel momento, avanzando con la bacchetta spianata mentre pentole e tegami fluttuavano davanti a lei.
    La cena continuò fino a mezzanotte, quando arrivò il momento di scartare i regali. Lily e Hugo si erano addormentati sul divano già da un’ora, ma vennero svegliati perché “aprire i regali la mattina di Natale è da bambini”, aveva sentenziato Lily poco dopo che si erano seduti a tavola. Albus registrò distrattamente che i suoi genitori non si erano scambiati una sola parola per tutta la durate della cena.
    Lasciare la Tana con la Metropolvere richiese tempo, tanto che anche Albus cominciò a sbadigliare. Non vedeva l’ora di tornare a casa e, non appena ci arrivò, salì lentamente le scale. Come toccò il cuscino si addormentò come un sasso.

Quando Albus si svegliò doveva essere mattina inoltrata, ma la casa era silenziosa come se ancora tutti dormissero. Guardando fuori dalla finestra, vide che non nevicava più: era una bella e gelida giornata con la neve dorata dal sole e il cielo terso come può esserlo sono in inverno. Si stiracchiò sotto le coperte e dopo un paio di minuti si alzò.
    Le porte delle camere erano chiuse, da dietro quella di James si sentiva un leggero russare che lo fece sorridere mentre andava in bagno. L’orologio della cucina batté l’ora e Albus contò i rintocchi: dieci. Non dormiva così tanto da quando era piccolo.
    Anche se non aveva fame dopo la cena della sera prima, decise di scendere, magari avrebbe potuto bere del succo di zucca e sfogliare il giornale del giorno prima. Quando arrivò in salotto, però, sentì un rumore. C’era qualcuno che russava sul divano e Albus si bloccò, rimpiangendo di aver lasciato la propria bacchetta in camera.
    Girò intorno al divano e trattenne il fiato: suo padre dormiva lì, gli occhiali storti sul naso e una coperta pesante caduta a terra per metà. «Papà?», chiamò piano, prima di avvicinarsi.
«Papà?», chiamò ancora, con voce un po’ più alta.
    Harry Potter arricciò il naso e sbadigliò, abbracciandosi nel sonno come a stringersi meglio addosso la coperta, ma un momento dopo i suoi occhi si aprirono, annebbiati dal sonno e angosciati.
«Albus?», chiamò piano, mettendosi a sedere. Aveva i capelli scompigliati e lo stampo del cuscino su una guancia. «Che ci fai qui?».
    «Sono le dieci», rispose Albus e Harry Potter si passò una mano sul viso e si raddrizzò gli occhiali con aria pensierosa. «Perché hai dormito sul divano?», chiese ma, in qualche modo, gli sembrava di conoscere già la risposta.
    «Ehm…», farfugliò suo padre, «è un po’ complicato», disse, tenendo gli occhi bassi mentre si stropicciava le mani.
    «Tu e la mamma avete litigato?», chiese Albus. Suo padre sospirò e lo guardò in faccia. Albus si accorse della sua aria sciupata, della barba che aveva un giorno di troppo e delle occhiaie sotto gli occhi.
    «Sarebbe meglio aspettare anche James e Lily per parlarne», rispose suo padre, ma Albus continuò a fissarlo, aspettando di sapere.
    Alla fine le spalle di suo padre si afflosciarono. «Mamma e io ci stiamo separando», gli disse.
    Albus non rimase sorpreso. Non gli sembrò nemmeno di restarci male. Annuì in silenzio mentre suo padre allungava una mano per accarezzargli il viso e Albus gli si buttò tra le braccia. Suo padre lo strinse e gli baciò la fronte.
    «Prepariamo la colazione per gli altri, ti va?», gli chiese suo padre, e Albus annuì.
    Probabilmente, i loro genitori avrebbero atteso dopo colazione per dare loro la notizia.

 
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Per primissima cosa: buon compleanno, Ladyriddle! ^^
La nostra Lady ha annunciato su FB il suo ritorno, domani, quindi aspettatevi il nuovo capitolo di "Vaiolo di Drago" e, se ancora non lo fate, seguitela su FB! ^^

Ora veniamo a noi! Aspettavo da un po' di scrivere questo capitolo e spero che vi sia piaciuto. Da qui o, meglio, dal prossimo capitolo, inizierà uno spin-off che mi porterà ad aggiornare alternativamente le due storie, anche se non in modo costante: lo spin-off avrà delle tappe precise che coincideranno con la storia principale, ma poi proseguirà come storia indipendente, così sarete liberi di leggerla o meno,  avostro piacimento.
Se vi state chiedendo che cavolo sto facendo, ricordate che questa storia fa parte di una seria intitolata "Imago mundi" e ogni diramazione era prevista da tempo... anche se ci sto mettendo più di quanto pensassi. >.<
Come sempre, ringrazio tutti i lettori silenziosi (guardate che se vi fate vivi non mi offendo mica! >.<) e uwetta, che invece commenta ogni capitolo. Grazie!
Alla settimana prossima, salvo imprevisti, col decimo capitolo di #LaScacchieraIncostante! ^^
   
 
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