Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Mistiy_Ronny    21/03/2017    6 recensioni
"Levi! " il chiamato arrestò i propri passi ma non si voltò.
" Là fuori, noi due ci rincontreremo sotto al sole " la voce tremante dall'emozione giunse così forte e chiara che non c'era bisogno d'aggiungere alcuna altra parola.
Levi andò avanti e un sorriso tirato si disegnò sul suo volto, voleva credere alla promessa silenziosamente stipulata.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Buonasera carissimi/me

Prima di lasciarvi alla lettura devo assolutamente scusarmi con tutti voi, sono scomparsa dal forum di punto in bianco senza avvertire coloro che seguono la storia.

Non posso essere scusata ma in un qualche modo mi devo assolutamente giustificare: ho passato un periodo intenso tra lo studio,  problemi familiari e sentimentali, avevo la mente talmente affollata di preoccupazioni che non riuscivo neppure a scrivere una frase a senso compiuto.

Qualche settimana fa la voglia di scrivere è tornata grazie al cielo, perciò vi chiedo scusa e spero che tutti voi continuate a leggere questa storia così particolare.

Ci tengo a ringraziare tutti voi che avete recensito, tutti voi che avete inserito la storia tra le preferita, seguita o ricordata. Grazie di cuore perché m'incoraggiate a proseguire questa storia.

Vi lascio alla lettura del penultimo capitolo

un abbraccio

Mistiy


Ragazzi tosti


Levi dopo la cattura di Annie, era tornato all'ospedale per verificare le condizioni di Lysa. Non la trovò, l' affanno s'era formato alla bocca dello stomaco. Afferrò il braccio del primo infermiere vagante per i corridoio per interrogarlo sulla questione

<< Dov'è la soldatessa Lysa? >> domandò Levi.
<< Non ne ho idea, ci sono troppi soldati per ricordare i nomi >> disse l'infermiera con noncuranza pronta per correre via ma Levi non glielo permise: la mano si strinse attorno all'avambraccio, le dita affondarono prepotenti nel camice.
<< Lysa è bassa, ha capelli neri, occhi grandi di colore grigio, viso tondo e carnagione chiara. Allora, dove si trova? >> il tono di Levi era pacato e tranquillo, eppure le sopracciglia incurvate verso il basso, il volto contratto in mille pieghe, tratti visivi che lo facevano somigliare a una belva pronta a divorarla. La ragazza tremò sentendo la presa sul braccio ferrea, sbarrò gli occhi e balbettò : << S … sì, mi ric .. ricordo di lei. Se n'è andata via senza permesso poiché desiderava riposare a casa >>
Levi abbandonò il braccio della giovane e quest'ultima s'affrettò ad andar via come una pecorella impaurita dal lupo.
Levi non si rammaricò della ragazza terrorizzata, non aveva tempo per provare un tale sentimento. Rifletté sulle parole della giovane : … Tornare a casa”. Quale casa? Da quello che sapeva Lysa alloggiava negli ostelli riservati ai soldati e non s'era mai presa un congedo, perciò non aveva un luogo in cui tornare.

Casa. Ripeté mentalmente e la risposta arrivò fulminea poiché tutti hanno un luogo in cui sono nati, in cui hanno vissuto una parte notevole della propria esistenza. La casa di Lysa era la città sotterranea.
Rimase lì immobile sui propri piedi mentre la gente esagitata gli passava accanto alla ricerca dei propri cari.

Si poteva affermare che il destino aveva tracciato una soluzione perfetta: la ragazza era certamente tornata giù nel ghetto e a causa delle condizioni fisiche in cui riversava, Lysa sarebbe rimasta lì fino alla fine dei suoi giorni. Comodo, no?
Arrivò l'immagine della ragazza, distesa in una pozza melmosa con le vesti strappati, un volto bianco tumefatto tracciato da grandi ematomi. Colto da un brivido freddo, scacciò via la macabra visione, non ci riuscì. La figura rimaneva in fondo alle pupille. No, non poteva lasciarla morire, non doveva fare la stessa fine di Erika.
Dal primo momento che l'aveva vista, aveva desiderato che Lysa scomparisse via per sempre dalla sua esistenza. Il desiderio si stava realizzando con una tale facilità ma non poteva lasciar che la causalità tranciasse in tal modo il legame con la ragazza. Levi non poteva lasciarla morire giù, soffocata dalla puzza di fogna in balia dei criminali, dei stuprarti e dei morsi della fame.



. *** .


<< Non ci siamo … non ci siamo … >> Kenny sbuffò e scose la testa lentamente per dare maggiore enfasi alle parole dette.
<< Moccioso di merda?! >>
Levi si sentì chiamato, innalzò il mento e sotto la fioca luce della candela apparì un occhio solo, il sinistro era chiuso, gonfio come una prugna acerba.
<< Come accidenti pensi di sopravvivere in questo posto di merda se continui a farti pestare da chiunque? >>
<< Diventerò forte >> disse con fermezza, sapeva che era sempre una buona cosa mostrarsi deciso e imperturbabile. Non doveva mai apparire lagnoso o insicuro, seppure bambino, doveva sempre mostrarsi adulto dinnanzi agli ochhi di kenny.
<< Dventerò forte >> ripetè Kenny in falsetto con l'intento di deriderlo. Proseguì: << una mezza sega come te? Sei basso, gracile come una bambina! Come credi di diventare forte?!>>
<< Mi allenerò >> rispose con la stessa fermezza dato che i commenti dell'adulto non lo avevano ferito, s'era sentito dire cose ben peggiori.
<< Non dovrai diventare solamente forte. Per spravvivere in questo posto di merda dovrai diventare il figlio di puttana più tosto della città, e magari un giorno potrai uscire da qua sotto, sempre se sopravviverai >>


Alla mente tornò quel momento, quanti anni erano passati? Ventitre? Ventiquattro? Levi non se lo ricordava e preferì non farlo, aveva altre faccende da sbrigare.
A passo storpiato percorse la gradinata, gradino per grandino s'allontanava, a poco a poco la luce diveniva sempre più tetra. L'odore acre di fogna sempre più intenso si faceva largo nelle narici per scendere giù nei polmoni e rivoltare lo stomaco. Il fetore era sempre lo stesso, non era cambiato nel corso degli anni.
Dinnanzi ai suoi occhi si destava un paesaggio roccioso. Le Catapecchie diroccate la dicevano lunga: il gigante femmina aveva provocato danni non solo sul mondo sovrastante, ma anche in quello sotto stante. I passi titanici avevano mosso il terreno a tal punto che la maggioranza delle case erano crollate su se stesse.

Camminava a passo zoppicante, la gamba faceva ancora male ma mai quanto il ritrovarsi sotto la cupola rocciosa: quelle catapecchie gettate lì, la puzza di melma e fogna, gli squitti dei topi. Ritornava indietro a quei tempi in cui si dannava come un matto per la realizzazzione di quella leggenda, sì la si poteva definire così perchè uscire dalla città, acquistare la cittadinanza era un'impresa così impossibile che in pochi perseguivano quel sogno. Loro tre invece erano speciali, qualche volta capitava che si mettevano ad un tavolo ed Isabel parlava di cieli stellati, del sole, dell'aria fresca. Lui l'ascoltava con aria disinteressata ma ogni volta il suo petto si stringeva al solo pensiero di poter essere libero. Libero, lo era veramente?Passava sul terriccio aquitrino, ai lati dellla strada fangosa erano situate catapecchie malconcie, accellerrò il passo e le catapecchie divennero macerie. Fermò i piedi solamente quando vide una piccola gradinata, oltre un tempo ci stava una casa, per l'esattezza la casa che condivideva assieme ad Isabel e Farlen. Rimase fermo sui propri passi un poco turbato dalla vista. Sì, durante gli anni in segreto aveva coltivato il desiderio di distruggere quel posto con le proprie mani, di raderlo al suolo e farlo crollare su se stesso eliminandolo per sempre dal mondo, eppure quella vista non gli procurò alcuna soddisfazione. Isabel e Farlan erano morti e in quella catapecchia stavano le loro ultime cose, i loro oggetti, si poteva affermare che la loro memoria risiedeva lì dato che non erano stati sepolti.Levi proseguì, continuò a camminare, in fondo gli oggetti non erano così importanti, i nomi dei suoi amici erano cuciti col fil di ferro nel suo animo e un piccolo terremoto non li sarebbero riusciti a cancellare. Mai, così come i numerosi compagni persi in quelle guerre senza senso.

Continuò a marciare tra le rovine e si dovette di nuove fermare. Vide un arco, era alto formato da pilastri circolari e spessi. Lo chiamavano “l'arco dei defunti”, poiché oltrepassato s'entrava in un grande spiazzo di roccia dove erano conficcate croci di legno.
S'appoggiò alla colonna e lasciò navigare lo sguardo, le croci un tempo ritte e ammassate si presentavano spezzate, tutte sparse alcune sepolte sotto massi e stalattiti staccatesi dalla volta grottesca.
Sotto la terra argillosa, sotto i pezzi di legno, erano sepolte Kuchel ed Erika. Ma dove stavano esattamente i loro corpi? Le croci con incisi i loro nomi erano spezzate e sparse tra i tanti legni dedicati agli altri defunti, dove stavano? Levi non ricordava la locazione esatta e per un secondo sentì qualcosa salirgli dalla bocca dello stomaco: rabbia, paura, tristezza, disperazione, impotenza? Non seppe dargli un nome e non volle rifletterci su poiché decise di ingoiare e ricacciare giù nello stomaco l'emozione. Doveva andare da Lysa, lei era viva e necessitava d'aiuto.


. *** .


La ragazza lasciò il corpo cadere sul materasso. Sfinita dalla lunga marcia chiuse gli occhi, inspirò ed espirò lentamente per recuperare fiato, ma non perse troppo tempo per regolarizzare il respiro poiché gli occhi roteavano lungo la stanza. Non ci poteva credere, era tornata a casa e questa non aveva subito alcuna trasformazione. Nessun ladro era entrato per impossessarsi dei pochi beni rimasti, nessuno l'aveva occupata abusivamente. Pareva essere rimasta lì congelata nel tempo, solo la polvere depositata in ogni dove testimoniava il fatto che erano trascorsi anni. Ne era certa, se avesse aperto l'armadio avrebbe rivisto ogni abito di sua madre ma non lo fece. Per quanto sciocco ed impossibile non era giunta lì per rimembrare il passato remoto, ma per risistemare gli eventi recenti. Troppe cose erano accadute e Lysa doveva riordinare i ricordi, ripescarli poiché le parevano fuggiti via dalle mani.
Si alzò dal letto trattenendo una bestemmia, aveva posato la gamba ingessata a terra dimenticandosi che era frantumata. Strinse gli occhi per non piangere, strinse forte le labbra per non urlare e quando la scarica di dolore si placò, movimentò con lentezza il braccio alla ricerca della stampella. L'acchiappò, cauta si mosse verso la scrivania. Nel terzo cassetto stavano dei fogli e una penna, così ricordava, difatti la memoria non l'ingannò. Con cautela si sedette, afferrò la penna stilografica e per qualche minuto osservò il foglio ingiallito dalla polvere.
Doveva far luce su ciò che era accaduto durante la missione e l'unico modo per recuperare i ricordi era scriverli una volta per tutte sulla carta.

Trevis è morto.
Come è morto?
Mi ricordo, il segnale del capo squadra e tutti ci muovemmo. Una manciata di soldati arrivò da Annie, le corde erano già strette attorno a lei. Io ero rimasta indietro pronta per aiutare i primi arrivati all'obbiettivo. Correvo veloce ma Trevis mi superò. Si voltò, i nostri sguardi s'incrociarono e nei suoi occhi vidi qualcosa che non riuscii ad interpretare poiché non mi diede il tempo. Mosse le labbra, disse qualcosa e poi mi diede una gomitata talmente potente che persi l'equilibrio finendo a terra con lo sguardo verso il cielo, un gran frastuono giunse, il cielo divenne nero. Quando riaprii gli occhi c'era solamente polvere e pezzi di carne.
Trevis è morto, non l'ho visto morire eppure dicono che sono stata l'unica a sopravvivere, perchè?
No, no, no … una cosa alla volta, cosa ha detto Trevis? È dentro di me, ne sono certa, cosa ha detto Trevis? I suoi occhi azzurri come quello stesso cielo visto poco prima della devastazione, le labbra si mossero, come si mossero? So leggere il labiale, le ho viste bene movimentarsi … devo ricordarmelo! Ha mimato una “s”, poi di nuovo una”s”, poi una “a”. Ha detto “ssa”? No, non ha senso, ci deve essere un'altra lettera. Dopo la prima “s” …. giusto! Una “c”.

Scsa”.
Manca una lettera, per una questione di logica deve essere stata la “u”, esce la parola “ scusa”.


Lysa si congelò sul posto, smise di scrivere, di respirare, di leggere, di pensare, per mera inerzia il cuore continuò a battere, quanto avrebbe voluto arrestare anche quel muscolo.
La mano prese a tremare ma nonostante ciò ricominciò a scrivere poiché la verità stava giungendo, per quanto dolorosa, per quanto sofferente la verità arrivava.


scusa”
Trevis aveva capito: Annie si stava trasformando, pochi attimi c'erano così anziché salvarsi, correre via seguendo l'istinto della sopravvivenza, lui si è voltato per gettarmi a terra. È per questo che mi sono salvata perché l'urto non mi è arrivato direttamente addosso.
Mi ha salvata per poi scusarsi. No, non lo perdono!
Perché non ti sei gettato Trevis? Diavolo se c'era qualcuno che meritava di vivere quello eri tu! Trevis, il ragazzo più dolce, simpatico, sincero e amichevole che abbia mai conosciuto. Come hai potuto privare il mondo dei tuoi sorrisi? Quelli che compievi ogni volta che mi guardavi anche quando eri stanco e privo di forza tu riuscivi a sorridere. Tu riuscivi a donare conforto a chiunque senza sforzo, anche se non lo conoscevi tu porgevi una carezza a qualsiasi volto piangente. Trevis, come hai potuto lasciare senza figlio i tuoi genitori? Quando giungerà la neve la tua famiglia riserverà un posto a quella famosa tavola bandita di cibo preparato dalla tua cara mamma eppure tu non ti presenterai. I tuoi fratelli giocheranno a palle di neve e sentiranno la tua mancanza, come hai potuto fare questo, Trevis!


La verità giunse. Come un pugno infuocato arrivò dritta allo stomaco, sentì il bruciore promanare dal petto per poi espandersi lungo il corpo, il cranio e in un battere d'occhio tutto il corpo pareva andare a fuoco. Strinse forte gli occhi, le sentì le lacrime arroganti volevano uscire ma Lysa non voleva piangere. Non era pronta, non poteva affrontare una tale sofferenza.
Si diede uno schiaffo in testa per scacciare via Trevis, si concentrò sul dolore presente nella gamba per non pensare alla sofferenza proveniente dal petto.
Lo sguardo girò affannato lungo la stanza per incrociare il proprio riflesso in uno specchio.
Vide due occhi grigi iniettati di rosso e si ricordò del caporale Levi, colui che le somigliava così tanto.

Può essere mio padre “ tal pensiero era passato in testa ma lo aveva rimosso poiché le pareva assurdo: lei, figlia dell'uomo più forte dell'umanità? Una menzogna ridicola, inoltre il padre non esisteva più, lo aveva ucciso anni fa nel bordello.

Un rumore e Lysa rizzò il collo colta dallo spavento. Due occhi nervosi si spostarono, il corpo s'irrigidì pronta per attaccare colui che si stava introducendo in caso.
Si congelò sul posto quando la tremolante luce della candela illuminò il volto di Levi. Basita, senza parole rimase a bocca semichiusa, la sorpresa nel vederlo nella casa natale era tale che neppure un pensiero passò nella mente della ragazza.
Levi rimase immobile, prima d'osservarla girò gli occhi lungo l'abitacolo. Lo guardava senza curiosità, con una certa noia e Lysa ebbe la sensazione che era già stato in casa sua.
<< Qui abitava Erika vero? >> domandò Levi con titubanza, come se avesse timore della risposta.
Lysa si limitò ad annuire, era ancora scandalizzata, non le pareva vera quella situazione.
<< Erika era tua madre, vero? >>
Lysa annuì
<< Ho conosciuto tua madre diciassette anni fa e credo di essere tuo padre. Pensi sia possibile? >>
Lysa annuì, non aveva né parole né pensieri da esprimere.


. *** .


Quello che rimane di Erika è una ragazza rancorosa “ pensò mentre osservava la ragazza mangiare senza appetito.
Erano usciti dalla città sotterranea per rifugiarsi all'interno della prima tavola calda.
Lysa era stanca, a stento riusciva a tenere il mento alto, per mero orgoglio non lasciava cadere la testa sul piatto. Provò compassione per quella ragazza che fino all'altro giorno pareva così fiera sul suo cavallo, in quel momento invece appariva un'altra persona: gracile, con le guance smunte, spalle incurvate verso il basso.

Ha un aspetto di merda” pensò Levi, non espresse a voce tal pensiero poiché era certo che anche lei ne era consapevole. Doveva mangiare perciò decise di lasciarla tranquilla. Nel giro di pochi giorni le guance erano divenute concave verso l'interno e le sue spalle sparivano nella blusa bianca. Non sembrava aver fame dato che portava la forchetta alla bocca con inerzia poiché erano passati troppi giorni dall'ultima volta che aveva mangiato. Dopo un lasso di tempo prolungato i morsi della fame s'attenuano fino a scomparire, Levi lo sapeva bene. Anche lui era stato colpito da fame cronica. I sintomi se li ricordava: lo stomaco duole e pare volersi distaccare dal corpo, il budello si muove e produce quel fastidioso rumore simile ad un rantolo animalesco. La cosa peggiore della fame è che ti strappa la capacità di pensare, s'impadronisce della mente e occupa ogni cosa. Pur di placare quel dolore sei disposto a compiere ogni gesto, persino massacrare qualcuno pur d'ottenere un pezzo di pane. Levi l'aveva fatto? Qualche volta era capitato, altre volte non ce n'era stato bisogno perchè la fame tutto d'un tratto smette d'assillarti, non la si sente più. Il fisico necessita d'un supplemento eppure lo stomaco tace.
E' come se il corpo smettesse di lottare per sopravvivere, si rassegna a morire” pensò Levi, probabilmente quello era il caso di Lysa.
Vide che la ciotola di terra cotta contenente la zuppa era quasi vuota. Erano rimaste due fette di pane in un piatto poco distante.
<< Mangia anche quelle, dopo ordina qualcos'altro >> disse Levi e due occhi taglienti come lame d'acciaio lo trafissero. Lui non distolse lo sguardo anche se la cosa non lo lasciò affatto indifferente.

Devi diventare il figlio di puttana più tosto della città”
La voce proveniente dal passato arrivò forte e chiara alle orecchie come se Kenny fosse lì dinnanzi a lui.
Levi era divenuto tosto, eccome se lo era! Era sopravvissuto nel ghetto, era riuscito a uscire, aveva perso il conto dei giganti uccisi nel corso delle missioni, aveva visto morire Kuckel, Erika, Isabel, Farlan e tanti altri compagni ma nonostante ciò era ancora vivo. Era divenuto talmente tosto che s'era meritato il soprannome “l'uomo più forte dell'umanità”. Nonostante il passato tormentato dalle mille difficoltà superate, dinnanzi allo sguardo diffidente della giovane non si vedeva forte, si sentiva solamente un comunissimo :“figlio di puttana che aveva abbandonato sua figlia”.
Lysa non disse nulla, distolse lo sguardo da Levi e afferrò una fetta di pane.
Sapeva di doverle parlare ma non sapeva come fare, difettava in delicatezza poiché lui era famoso per la sua schiettezza. Tutto d'un tratto s'era ritrovato a rivestire le vesti d'un padre, non aveva idea che indumenti indossassero questi ultimi, né quali parole utilizzassero.
<< Lysa >> richiamò la sua attenzione, la chiamata non innalzò il mento ma solamente le pupille. Continuò a masticare
<< Erika non mi ha mai parlato di te, non sapevo che tu esistevi fino a quando non ti sei arruolata nella legione esplorativa … >>
<< Come hai conosciuto mia madre? >> pose la domanda con disinvoltura, non alzò neppure gli occhi eppure Levi sbarrò le palpebre colto dalla sorpresa.
<< L'ho conosciuta per le strade della città >> disse decidendo d'omettere il fatto che l'aveva salvata da uno stupratore. Una piccola bugia bianca, un piccolo riguardo nei suoi confronti.
<< Quindi non l'hai conosciuta nel bordello >>
<< No >> disse velocemente e con la stessa velocità arrivò un dubbio che espresse immediatamente: << sei cresciuta nel bordello? >>
<< No, ci ho lavorato quando mamma se ne è andata >>
In un secondo il corpo di Levi si pietrificò sul posto, una pressione si stanziò sul petto fino a quando Lysa non s'affrettò a dire: << lavavo i pavimenti, non mi prostituivo >>.
Riprese a respirare.
<< Mia madre … >> la ragazza prese a parlare a voce bassa, con titubanza e lui capì che doveva porgli una questione importante così non la esortò in alcun modo. Si limitò a stare in silenzio fino a quando Lysa ritrovò le parole.
<< Mia madre … sai dove è finita? >>
La domanda lo spiazzò e il respiro se ne andò via assieme a un battito cardiaco.
Lysa non sapeva della morte di Erika, come avrebbe potuto saperlo? Levi quel giorno s'era limitato a inseguire il carnefice della donna per poi seppellirla in silenzio. Non ne aveva fatto parola con nessuno poiché comunicare al mondo la sua morte era una questione troppo dolorosa e poi aveva dato per scontato che Erika fosse sola al mondo. Non pensava che qualcuno l'aspettasse a casa, quel qualcuno lo guardava con occhi colmi d'aspettativa. Dopo così tanti anni doveva comunicare la perdita alla stessa figlia, colei che era rimasta nel dubbio per tutto quel tempo.
<< L'ho trovata deceduta nella discarica, quella vicina al mercato nero. >> disse infine e Lysa non mostrò alcuna emozione poiché chinò il mento, lunghe ciocche di capelli ricaddero lungo il viso formando un ombra sui suoi occhi.

Sono un pezzzo di merda “ pensò Levi tra sé e sè
<< L'hai uccisa tu? >> domandò lei con fermezza senza mostrare il viso.
<< No >> la domanda non lo sorprese. Era evidente, diffidava da lui e la cosa gli stava bene così, nonostante tutto erano estranei anche se i lineamenti confermavano il loro legame di parentele.
<< L'ha uccisa uno strozzino, l'ho ammazzato senza domandare il suo nome >> disse infine, come se la cosa potesse in un qualche modo confortarla.
<< Lysa, se avessi saputo che tu esistevi … >>
<< Cosa avresti fatto? Saresti tornato a prendermi? >> domandò e la sua voce risuonò arida e carica d'accidia.
<< Sì >> rispose Levi senza esitazione perchè ne era certo, sarebbe andato a prenderla. Non sapeva se avrebbe fatto il padre, se l'avrebbe tenuta con sé oppure l'avrebbe affidata a una buona famiglia. Allora aveva così tante cose in testa …
<< Hai fatto bene a non venire, ti avrei ammazzato >>
Levi non si sentì ferito dalla dichiarazione, capì una cosa: Lysa era una ragazza tosta esattamente come lui. Chi l'aveva resa così? Nel suo caso era stato Kenny, chi aveva ricoperto lo stesso ruolo? Chi l'aveva guidata verso la violenza?
La vide. Le spalle tremavano assieme alle mani posate sul tavolo. Il volto chino all'ingiù nascondevano la sua espressione. Lysa era una ragazza tosta addolorata e lo sapeva bene, i tosti non mostrano a nessuno le proprie lacrime.
Rispettò il suo dolore, distolse lo sguardo verso il locale, verso le cameriere, verso i pochi clienti presenti.
Poteva dire qualche parola di conforto, una cosa del tipo “passerà” o “ andrà tutto bene”, ma Levi non era quel tipo di persona, non riusciva a mentire e donare false speranze. Ci sono cose che passano attraverso i muscoli, i nervi, le vene e non se ne vanno mai più via.

Potrai seppellirlo sotto milioni di faccende, sotto le preoccupazioni del presente ma non passerà mai poiché arriveranno quei momenti di noia, di calma piatta e ci ripenserai. Il medesimo dolore ripasserà, lungo i muscoli, i nervi, le vene” pensò tra se e sé decidendo di rimanere in silenzio. Per non ferire il suo orgoglio, spostò gli occhi verso le cameriere, i clienti, le mura del locale.

   
 
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