Buonasera carissimi/me
Prima di lasciarvi alla lettura devo assolutamente scusarmi con tutti voi, sono scomparsa dal forum di punto in bianco senza avvertire coloro che seguono la storia.
Non posso essere scusata ma in un qualche modo mi devo assolutamente giustificare: ho passato un periodo intenso tra lo studio, problemi familiari e sentimentali, avevo la mente talmente affollata di preoccupazioni che non riuscivo neppure a scrivere una frase a senso compiuto.
Qualche settimana fa la voglia di scrivere è tornata grazie al cielo, perciò vi chiedo scusa e spero che tutti voi continuate a leggere questa storia così particolare.
Ci tengo a ringraziare tutti voi che avete recensito, tutti voi che avete inserito la storia tra le preferita, seguita o ricordata. Grazie di cuore perché m'incoraggiate a proseguire questa storia.
Vi lascio alla lettura del penultimo capitolo
un abbraccio
Mistiy
Ragazzi tosti
Levi dopo la cattura di Annie, era tornato all'ospedale per verificare le condizioni di Lysa. Non la trovò, l' affanno s'era formato alla bocca dello stomaco. Afferrò il braccio del primo infermiere vagante per i corridoio per interrogarlo sulla questione
<<
Dov'è la soldatessa
Lysa? >> domandò Levi.
<< Non ne ho idea, ci sono
troppi soldati per ricordare i nomi >> disse l'infermiera
con
noncuranza pronta per correre via ma Levi non glielo permise: la mano
si strinse attorno all'avambraccio, le dita affondarono prepotenti
nel camice.
<< Lysa è bassa, ha
capelli neri, occhi grandi di colore grigio, viso tondo e carnagione
chiara. Allora, dove si trova? >> il tono di Levi era
pacato e
tranquillo, eppure le
sopracciglia incurvate verso il basso, il volto contratto in mille
pieghe, tratti visivi che lo facevano somigliare a una belva pronta a
divorarla. La ragazza tremò sentendo la presa sul braccio
ferrea,
sbarrò gli occhi e balbettò : <<
S … sì, mi ric ..
ricordo di lei. Se n'è andata via senza permesso
poiché desiderava
riposare a casa >>
Levi abbandonò il braccio della
giovane e quest'ultima s'affrettò ad andar via come una
pecorella
impaurita dal lupo.
Levi non si rammaricò della
ragazza terrorizzata, non aveva tempo per provare un tale sentimento.
Rifletté sulle parole della giovane : … Tornare a
casa”. Quale
casa? Da quello che sapeva Lysa alloggiava negli ostelli riservati ai
soldati e non s'era mai presa un congedo, perciò non aveva
un luogo
in cui tornare.
Casa.
Ripeté mentalmente
e la risposta arrivò fulminea poiché tutti hanno
un luogo in cui
sono nati, in cui hanno vissuto una parte notevole della propria
esistenza. La casa di Lysa era la città sotterranea.
Rimase lì immobile sui propri
piedi mentre la gente esagitata gli passava accanto alla ricerca dei
propri cari.
Si poteva
affermare che il
destino aveva tracciato una soluzione perfetta: la ragazza era
certamente tornata giù nel ghetto e a causa delle condizioni
fisiche
in cui riversava, Lysa sarebbe rimasta lì fino alla fine dei
suoi
giorni. Comodo, no?
Arrivò l'immagine della
ragazza, distesa in una pozza melmosa con le vesti strappati, un
volto bianco tumefatto tracciato da grandi ematomi. Colto da un
brivido freddo, scacciò via la macabra visione, non ci
riuscì. La
figura rimaneva in fondo alle pupille. No, non poteva lasciarla
morire, non doveva fare la stessa fine di Erika.
Dal
primo momento che l'aveva vista, aveva desiderato che Lysa
scomparisse via per sempre dalla sua esistenza. Il desiderio si stava
realizzando con una tale facilità ma non poteva lasciar che
la
causalità tranciasse in tal modo il legame con la ragazza.
Levi non
poteva lasciarla morire giù, soffocata dalla puzza di fogna
in balia
dei criminali, dei stuprarti e dei morsi della fame.
. *** .
<<
Non ci siamo … non ci siamo … >>
Kenny sbuffò e scose la
testa lentamente per dare maggiore enfasi alle parole dette.
<<
Moccioso di merda?! >>
Levi
si sentì chiamato, innalzò il mento e sotto la
fioca luce della
candela apparì un occhio solo, il sinistro era chiuso,
gonfio come
una prugna acerba.
<<
Come accidenti pensi di sopravvivere in questo posto di merda se
continui a farti pestare da chiunque? >>
<<
Diventerò forte >> disse con fermezza, sapeva
che era sempre
una buona cosa mostrarsi deciso e imperturbabile. Non doveva mai
apparire lagnoso o insicuro, seppure bambino, doveva sempre mostrarsi
adulto dinnanzi agli ochhi di kenny.
<<
Dventerò forte >> ripetè Kenny in
falsetto con l'intento di
deriderlo. Proseguì: << una mezza sega come
te? Sei basso,
gracile come una bambina! Come credi di diventare
forte?!>>
<<
Mi allenerò >> rispose con la stessa fermezza
dato che i
commenti dell'adulto non lo avevano ferito, s'era sentito dire cose
ben peggiori.
<<
Non dovrai diventare solamente forte. Per spravvivere in questo posto
di merda dovrai diventare il figlio di puttana più tosto
della
città, e magari un giorno potrai uscire da qua sotto, sempre
se
sopravviverai >>
Alla mente
tornò quel momento,
quanti anni erano passati? Ventitre? Ventiquattro? Levi non se lo
ricordava e preferì non farlo, aveva altre faccende da
sbrigare.
A passo storpiato percorse la
gradinata, gradino per grandino s'allontanava, a poco a
poco la luce diveniva sempre più tetra. L'odore acre di
fogna sempre
più intenso si faceva largo nelle narici per scendere
giù nei
polmoni e rivoltare lo stomaco. Il fetore era sempre lo stesso, non
era cambiato nel corso degli anni.
Dinnanzi ai suoi occhi si
destava un paesaggio roccioso. Le Catapecchie diroccate la dicevano
lunga: il gigante femmina aveva provocato danni non solo sul mondo
sovrastante, ma anche in quello sotto stante. I passi titanici
avevano mosso il terreno a tal punto che la maggioranza delle case
erano crollate su se stesse.
Continuò
a marciare tra le
rovine e si dovette di nuove fermare. Vide un arco, era alto formato
da pilastri circolari e spessi. Lo chiamavano “l'arco dei
defunti”,
poiché oltrepassato s'entrava in un grande spiazzo di roccia
dove erano conficcate croci di legno.
S'appoggiò alla colonna e
lasciò navigare lo sguardo, le croci un tempo ritte e
ammassate si
presentavano spezzate, tutte sparse alcune sepolte sotto massi e
stalattiti staccatesi dalla volta grottesca.
Sotto la terra argillosa, sotto
i pezzi di legno, erano sepolte Kuchel ed Erika. Ma dove stavano
esattamente i loro corpi? Le croci con incisi i loro nomi erano
spezzate e sparse tra i tanti legni dedicati agli altri defunti, dove
stavano? Levi non ricordava la locazione esatta e per un secondo
sentì qualcosa salirgli dalla bocca dello stomaco: rabbia,
paura,
tristezza, disperazione, impotenza? Non seppe dargli un nome e non
volle rifletterci su poiché decise di ingoiare e ricacciare
giù
nello stomaco l'emozione. Doveva andare da Lysa, lei era viva e
necessitava d'aiuto.
. *** .
La ragazza
lasciò il corpo
cadere sul materasso. Sfinita dalla lunga marcia chiuse gli occhi,
inspirò ed espirò lentamente per recuperare
fiato, ma non perse
troppo tempo per regolarizzare il respiro poiché gli occhi
roteavano
lungo la stanza. Non ci poteva credere, era tornata a casa e questa
non aveva subito alcuna trasformazione. Nessun ladro era entrato per
impossessarsi dei pochi beni rimasti, nessuno l'aveva occupata
abusivamente. Pareva essere rimasta lì congelata nel tempo,
solo la
polvere depositata in ogni dove testimoniava il fatto che erano
trascorsi anni. Ne era certa, se avesse aperto l'armadio avrebbe
rivisto ogni abito di sua madre ma non lo fece. Per quanto sciocco ed
impossibile non era giunta lì per rimembrare il passato
remoto, ma
per risistemare gli eventi recenti. Troppe cose erano accadute e Lysa
doveva riordinare i ricordi, ripescarli poiché le parevano
fuggiti
via dalle mani.
Si alzò dal letto trattenendo
una bestemmia, aveva posato la gamba ingessata a terra dimenticandosi
che era frantumata. Strinse gli occhi per non piangere, strinse forte
le labbra per non urlare e quando la scarica di dolore si
placò,
movimentò con lentezza il braccio alla ricerca della
stampella.
L'acchiappò, cauta si mosse verso la scrivania. Nel terzo
cassetto
stavano dei fogli e una penna, così ricordava, difatti la
memoria
non l'ingannò. Con cautela si sedette, afferrò la
penna
stilografica e per qualche minuto osservò il foglio
ingiallito dalla
polvere.
Doveva far luce su ciò che era
accaduto durante la missione e l'unico modo per recuperare i ricordi
era scriverli una volta per tutte sulla carta.
Trevis
è morto.
Come
è morto?
Mi
ricordo, il segnale del capo squadra e tutti ci muovemmo. Una
manciata di soldati arrivò da Annie, le corde erano
già strette
attorno a lei. Io ero rimasta indietro pronta per aiutare i primi
arrivati all'obbiettivo. Correvo veloce ma Trevis mi superò.
Si
voltò, i nostri sguardi s'incrociarono e nei suoi occhi vidi
qualcosa che non riuscii ad interpretare poiché non mi diede
il
tempo. Mosse le labbra, disse qualcosa e poi mi diede una gomitata
talmente potente che persi l'equilibrio finendo a terra con lo
sguardo verso il cielo, un gran frastuono giunse, il cielo divenne
nero. Quando riaprii gli occhi c'era solamente polvere e pezzi di
carne.
Trevis
è morto, non l'ho visto morire eppure dicono che sono stata
l'unica
a sopravvivere, perchè?
No,
no, no … una cosa alla volta, cosa ha detto Trevis?
È dentro di
me, ne sono certa, cosa ha detto Trevis? I suoi occhi azzurri come
quello stesso cielo visto poco prima della devastazione, le labbra si
mossero, come si mossero? So leggere il labiale, le ho viste bene
movimentarsi … devo ricordarmelo! Ha mimato una
“s”, poi di
nuovo una”s”, poi una “a”. Ha
detto “ssa”? No, non ha
senso, ci deve essere un'altra lettera. Dopo la prima
“s” ….
giusto! Una “c”.
“
Scsa”.
Manca
una lettera, per una questione di logica deve essere stata la
“u”,
esce la parola “ scusa”.
Lysa si
congelò sul posto,
smise di scrivere, di respirare, di leggere, di pensare, per mera
inerzia il cuore continuò a battere, quanto avrebbe voluto
arrestare
anche quel muscolo.
La mano prese a tremare ma
nonostante ciò ricominciò a scrivere
poiché la verità stava
giungendo, per quanto dolorosa, per quanto sofferente la
verità
arrivava.
“
scusa”
Trevis
aveva capito: Annie si stava trasformando, pochi attimi c'erano
così
anziché salvarsi, correre via seguendo l'istinto della
sopravvivenza, lui si è voltato per gettarmi a terra.
È per questo
che mi sono salvata perché l'urto non mi è
arrivato direttamente
addosso.
Mi
ha salvata per poi scusarsi. No, non lo perdono!
Perché
non ti sei gettato Trevis? Diavolo se c'era qualcuno che meritava di
vivere quello eri tu! Trevis, il ragazzo più dolce,
simpatico,
sincero e amichevole che abbia mai conosciuto. Come hai potuto
privare il mondo dei tuoi sorrisi? Quelli che compievi ogni volta che
mi guardavi anche quando eri stanco e privo di forza tu riuscivi a
sorridere. Tu riuscivi a donare conforto a chiunque senza sforzo,
anche se non lo conoscevi tu porgevi una carezza a qualsiasi volto
piangente. Trevis, come hai potuto lasciare senza figlio i tuoi
genitori? Quando giungerà la neve la tua famiglia
riserverà un
posto a quella famosa tavola bandita di cibo preparato dalla tua cara
mamma eppure tu non ti presenterai. I tuoi fratelli giocheranno a
palle di neve e sentiranno la tua mancanza, come hai potuto fare
questo, Trevis!
La
verità giunse. Come un pugno
infuocato arrivò dritta allo stomaco, sentì il
bruciore promanare
dal petto per poi espandersi lungo il corpo, il cranio e in un
battere d'occhio tutto il corpo pareva andare a fuoco. Strinse forte
gli occhi, le sentì le lacrime arroganti volevano uscire ma
Lysa non
voleva piangere. Non era pronta, non poteva affrontare una tale
sofferenza.
Si diede uno schiaffo in testa
per scacciare via Trevis, si concentrò sul dolore presente
nella
gamba per non pensare alla sofferenza proveniente dal petto.
Lo sguardo girò affannato lungo
la stanza per incrociare il proprio riflesso in uno specchio.
Vide due occhi grigi iniettati
di rosso e si ricordò del caporale Levi, colui che le
somigliava
così tanto.
“Può
essere mio padre “
tal pensiero era passato in testa ma lo aveva rimosso poiché
le
pareva assurdo: lei, figlia dell'uomo più forte
dell'umanità? Una
menzogna ridicola, inoltre il padre non esisteva più, lo
aveva
ucciso anni fa nel bordello.
Un rumore e
Lysa rizzò il collo
colta dallo spavento. Due occhi nervosi si spostarono, il corpo
s'irrigidì pronta per attaccare colui che si stava
introducendo in
caso.
Si congelò sul posto quando la
tremolante luce della candela illuminò il volto di Levi.
Basita,
senza parole rimase a bocca semichiusa, la sorpresa nel vederlo nella
casa natale era tale che neppure un pensiero passò nella
mente della
ragazza.
Levi rimase immobile, prima
d'osservarla girò gli occhi lungo l'abitacolo. Lo guardava
senza
curiosità, con una certa noia e Lysa ebbe la sensazione che
era già
stato in casa sua.
<< Qui abitava Erika vero?
>> domandò Levi con titubanza, come se avesse
timore della
risposta.
Lysa si limitò ad annuire, era
ancora scandalizzata, non le pareva vera quella situazione.
<< Erika era tua madre,
vero? >>
Lysa annuì
<< Ho conosciuto tua madre
diciassette anni fa e credo di essere tuo padre. Pensi sia possibile?
>>
Lysa annuì, non aveva né
parole né pensieri da esprimere.
. *** .
“ Quello
che rimane di
Erika è una ragazza rancorosa “
pensò mentre osservava la
ragazza mangiare senza appetito.
Erano usciti dalla città
sotterranea per rifugiarsi all'interno della prima tavola calda.
Lysa era stanca, a stento
riusciva a tenere il mento alto, per mero orgoglio non lasciava
cadere la testa sul piatto. Provò compassione per quella
ragazza che
fino all'altro giorno pareva così fiera sul suo cavallo, in
quel
momento invece appariva un'altra persona: gracile, con le guance
smunte, spalle incurvate verso il basso.
“ Ha
un aspetto di merda”
pensò Levi, non espresse a voce tal pensiero
poiché era certo che
anche lei ne era consapevole. Doveva mangiare perciò decise
di
lasciarla tranquilla. Nel giro di pochi giorni le guance erano
divenute concave verso l'interno e le sue spalle sparivano nella
blusa bianca. Non sembrava aver fame dato che portava la forchetta
alla bocca con inerzia poiché erano passati troppi giorni
dall'ultima volta che aveva mangiato. Dopo un lasso di tempo
prolungato i morsi della fame s'attenuano fino a scomparire, Levi lo
sapeva bene. Anche lui era stato colpito da fame cronica. I sintomi
se li ricordava: lo stomaco duole e pare volersi distaccare dal
corpo, il budello si muove e produce quel fastidioso rumore simile ad
un rantolo animalesco. La cosa peggiore della fame è che ti
strappa
la capacità di pensare, s'impadronisce della mente e occupa
ogni
cosa. Pur di placare quel dolore sei disposto a compiere ogni gesto,
persino massacrare qualcuno pur d'ottenere un pezzo di pane. Levi
l'aveva fatto? Qualche volta era capitato, altre volte non ce n'era
stato bisogno perchè la fame tutto d'un tratto smette
d'assillarti,
non la si sente più. Il fisico necessita d'un supplemento
eppure lo
stomaco tace.
“ E'
come se il corpo
smettesse di lottare per sopravvivere, si rassegna a morire”
pensò
Levi, probabilmente quello era il caso di Lysa.
Vide che la ciotola di terra
cotta contenente la zuppa era quasi vuota. Erano rimaste due fette di
pane in un piatto poco distante.
<< Mangia anche quelle,
dopo ordina qualcos'altro >> disse Levi e due occhi
taglienti
come lame d'acciaio lo trafissero. Lui non distolse lo sguardo anche
se la cosa non lo lasciò affatto indifferente.
“
Devi
diventare il figlio di
puttana più tosto della città”
La voce proveniente dal passato
arrivò forte e chiara alle orecchie come se Kenny fosse
lì dinnanzi
a lui.
Levi era divenuto tosto, eccome
se lo era! Era sopravvissuto nel ghetto, era riuscito a uscire, aveva
perso il conto dei giganti uccisi nel corso delle missioni, aveva
visto morire Kuckel, Erika, Isabel, Farlan e tanti altri compagni ma
nonostante ciò era ancora vivo. Era divenuto talmente tosto
che
s'era meritato il soprannome “l'uomo più forte
dell'umanità”.
Nonostante il passato tormentato dalle mille difficoltà
superate,
dinnanzi allo sguardo diffidente della giovane non si vedeva forte,
si sentiva solamente un comunissimo :“figlio di
puttana che
aveva abbandonato sua figlia”.
Lysa non disse nulla, distolse
lo sguardo da Levi e afferrò una fetta di pane.
Sapeva di doverle parlare ma non
sapeva come fare, difettava in delicatezza poiché lui era
famoso per
la sua schiettezza. Tutto d'un tratto s'era ritrovato a rivestire le
vesti d'un padre, non aveva idea che indumenti indossassero questi
ultimi, né quali parole utilizzassero.
<< Lysa >> richiamò
la sua attenzione, la chiamata non innalzò il mento ma
solamente le
pupille. Continuò a masticare
<< Erika non mi ha mai
parlato di te, non sapevo che tu esistevi fino a quando non ti sei
arruolata nella legione esplorativa … >>
<< Come hai conosciuto mia
madre? >> pose la domanda con disinvoltura, non
alzò neppure
gli occhi eppure Levi sbarrò le palpebre colto dalla
sorpresa.
<< L'ho conosciuta per le
strade della città >> disse decidendo
d'omettere il fatto che
l'aveva salvata da uno stupratore. Una piccola bugia bianca, un
piccolo riguardo nei suoi confronti.
<< Quindi non l'hai
conosciuta nel bordello >>
<< No >> disse
velocemente e con la stessa velocità arrivò un
dubbio che espresse
immediatamente: << sei cresciuta nel bordello?
>>
<< No, ci ho lavorato
quando mamma se ne è andata >>
In un secondo il corpo di Levi
si pietrificò sul posto, una pressione si stanziò
sul petto fino a
quando Lysa non s'affrettò a dire: << lavavo i
pavimenti, non
mi prostituivo >>.
Riprese a respirare.
<< Mia madre … >>
la ragazza prese a parlare a voce bassa, con titubanza e lui
capì
che doveva porgli una questione importante così non la
esortò in
alcun modo. Si limitò a stare in silenzio fino a quando Lysa
ritrovò
le parole.
<< Mia madre … sai dove
è finita? >>
La domanda lo spiazzò e il
respiro se ne andò via assieme a un battito cardiaco.
Lysa non sapeva della morte di
Erika, come avrebbe potuto saperlo? Levi quel giorno s'era limitato a
inseguire il carnefice della donna per poi seppellirla in silenzio.
Non ne aveva fatto parola con nessuno poiché comunicare al
mondo la
sua morte era una questione troppo dolorosa e poi aveva dato per
scontato che Erika fosse sola al mondo. Non pensava che qualcuno
l'aspettasse a casa, quel qualcuno lo guardava con occhi colmi
d'aspettativa. Dopo così tanti anni doveva comunicare la
perdita
alla stessa figlia, colei che era rimasta nel dubbio per tutto quel
tempo.
<< L'ho trovata deceduta
nella discarica, quella vicina al mercato nero. >> disse
infine
e Lysa non mostrò alcuna emozione poiché
chinò il mento, lunghe
ciocche di capelli ricaddero lungo il viso formando un ombra sui suoi
occhi.
“ Sono
un pezzzo di merda “
pensò Levi tra sé e sè
<< L'hai uccisa tu? >>
domandò lei con fermezza senza mostrare il viso.
<< No >> la domanda
non lo sorprese. Era evidente, diffidava da lui e la cosa gli stava
bene così, nonostante tutto erano estranei anche se i
lineamenti
confermavano il loro legame di parentele.
<< L'ha uccisa uno
strozzino, l'ho ammazzato senza domandare il suo nome >>
disse
infine, come se la cosa potesse in un qualche modo confortarla.
<< Lysa, se avessi saputo
che tu esistevi … >>
<< Cosa avresti fatto?
Saresti tornato a prendermi? >> domandò e la
sua voce risuonò
arida e carica d'accidia.
<< Sì >> rispose
Levi senza esitazione perchè ne era certo, sarebbe andato a
prenderla. Non sapeva se avrebbe fatto il padre, se l'avrebbe tenuta
con sé oppure l'avrebbe affidata a una buona famiglia.
Allora aveva
così tante cose in testa …
<< Hai fatto bene a non
venire, ti avrei ammazzato >>
Levi non si sentì ferito dalla
dichiarazione, capì una cosa: Lysa era una ragazza tosta
esattamente
come lui. Chi l'aveva resa così? Nel suo caso era stato
Kenny, chi
aveva ricoperto lo stesso ruolo? Chi l'aveva guidata verso la
violenza?
La vide. Le spalle tremavano
assieme alle mani posate sul tavolo. Il volto chino
all'ingiù
nascondevano la sua espressione. Lysa era una ragazza tosta
addolorata e lo sapeva bene, i tosti non mostrano a nessuno le
proprie lacrime.
Rispettò il suo dolore,
distolse lo sguardo verso il locale, verso le cameriere, verso i
pochi clienti presenti.
Poteva dire qualche parola di
conforto, una cosa del tipo “passerà” o
“ andrà tutto bene”,
ma Levi non era quel tipo di persona, non riusciva a mentire e donare
false speranze. Ci sono cose che passano attraverso i muscoli, i
nervi, le vene e non se ne vanno mai più via.
“ Potrai
seppellirlo sotto
milioni di faccende, sotto le preoccupazioni del presente ma non
passerà mai poiché arriveranno quei momenti di
noia, di calma
piatta e ci ripenserai. Il medesimo dolore ripasserà, lungo
i
muscoli, i nervi, le vene” pensò tra se e
sé decidendo di
rimanere in silenzio. Per non ferire il suo orgoglio, spostò
gli
occhi verso le cameriere, i clienti, le mura del locale.