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Autore: _Lady di inchiostro_    24/03/2017    2 recensioni
C’è chi dice che la nostra strada è già stata decisa, che è il destino che stabilisce quali difficoltà dobbiamo incontrare durante il cammino, o chi ci accompagnerà durante il percorso.
C’è chi dice che la nostra strada, invece, ce la costruiamo da soli, che siamo noi a decidere chi incontrare, siamo noi padroni delle nostre azioni.
Iwaizumi Hajime aveva sempre creduto nella seconda opzione. Finché non ha incontrato Oikawa Tooru. E allora si chiese se il destino non volesse farli incontrare per davvero, in qualsiasi modo possibile.
***
[Future Fic and What if?] [Tanto angst e cose belle ♥]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[23 settembre 2016]






La sveglia trillò all’improvviso, e il suo rumore riempì la stanza per diversi minuti, mentre la figura stesa a letto si rigirava tra le coperte, la testa sotto il cuscino, nella speranza di riuscire a scacciare quel suono e di poter tornare a dormire un altro po’. 
Alla fine si arrese, fissando il tetto bianco sporco, la sveglia adesso spenta. Si chiese perché diavolo l’avesse impostata per quell’orario, dato che oggi avrebbe lavorato direttamente da casa, ma oramai il danno era fatto e, trascinando i piedi, si recò in cucina. 
Tirò fuori l’occorrente per prepararsi un buon caffè, accendendo la televisione per vedere quali notizie c’erano mentre aspettava che l’acqua bollisse. Al notiziario del mattino mandarono solo qualche servizio sporadico sul traffico, titoli in borsa, e qualche omicidio avvenuto nel cuore della notte. 
Tornò in stanza, la tazza verde menta adesso colma di caffè, e afferrò il cellulare per vedere se era arrivato qualche messaggio importante.
Rischiò quasi di versare il liquido marroncino, accorgendosi di una chiamata senza risposta effettuata dal suo capo, che si affrettò a richiamare subito. 
«Iwaizumi-kun?»  Una voce calda ma austera gli arrivò dritta all’orecchio, tradendo una nota d’irritazione, probabilmente dovuta al fatto che il ragazzo l’aveva richiamato dopo quasi un’ora. 
«Salve Oohashi-sensei!» disse, cercando di evitare di sbuffare, alzando comunque gli occhi al cielo. «Desiderava qualcosa?»
«Potresti passare in ufficio?» Per quanto potesse sembrare una richiesta, non lo era per niente. «Devo parlarti di una cosa.»
Il ragazzo strinse gli occhi stanchi, le dita a tenere il ponte del naso e il cellulare tra l’orecchio e la spalla. Stavolta, gli sfuggì un sospiro rassegnato, e per il momento non gli importava che il suo capo se ne fosse accorto. «Sto arrivando.»





Iwaizumi Hajime lavorava come giornalista per una rivista sportiva nata da un paio di anni – anche se prima era stato relegato nella sezione stampa. La Supootsu, per quanto non potesse competere con altre riviste di maggior successo, in quegli ultimi anni aveva riscontrato una certa fama e, nonostante tutto, continuava a tirare avanti. 
Dopo aver abbandonato l’università, l’unica occupazione che Hajime era riuscito a trovare, era stata quella di addetto alla stampa, e per un anno dovette accontentarsi di uno stipendio misero, prima di riuscire a spedire qualcosa al capo redattore; alla fine, resosi conto di avere tra le mani un ragazzo che ci sapeva fare, l’aveva preso con sé e sotto la direzione del suo team. 
Oohashi-sensei non era una persona cattiva, era solo un tipo molto pretenzioso e scrupoloso, ma non c’era da stupirsi visto che aveva lavorato per anni per il Tokyo Journal e che temeva sempre di vedersi sfumare davanti tutta la sua carriera e la sua redazione. 
Quella mattina il sole era tiepido e l’aria pregna di umidità. Hajime provò un certo sollievo quando entrò nella hall, trovandosi la graziosa segretaria ad accoglierlo, una signora di circa cinquant’anni e che in quegli anni gli aveva sempre portato caffè e ciambelle per colazione.
«Te ne tengo una da parte!» gli disse, facendogli poi segno di sbrigarsi, e Hajime le rivolse solo un sorriso di cortesia, veloce, prima che le porte dell’ascensore si chiudessero. 
Raggiunto il nono piano, trovò i suoi colleghi seduti alla scrivania, chini sui loro appunti, oppure intenti a fissare lo schermo del loro computer. Solo alcuni alzarono il capo per rivolgergli un saluto, che Hajime ricambiò in tutta fretta. Buttò un’occhiata alla sua scrivania, trovandola ovviamente vuota, come anche quella di fronte. Tomoko-san non era venuta quella mattina.
Era l’unica tra i suoi colleghi con cui Hajime avesse un minimo di confidenza. L’aveva conosciuta durante uno dei suoi primi giorni di lavoro, e ricordava di averla sentita litigare di brutto con uno degli altri addetti. Non ricordava bene per che cosa, né chi fosse quell’idiota, ricordava solo di essersi immischiato nella faccenda e di averla difesa. Da allora, veniva spesso a trovarlo sul posto di lavoro ed era solo grazie a lei se adesso aveva raggiunto quella posizione, altrimenti starebbe ancora tra le fogne a sentir macinare le stampanti. L’unica cosa buona di quel posto era l’odore della carta e dell’inchiostro. 
«Iwaizumi!» Voltò la testa, trovando il suo capo sulla soglia del suo ufficio, facendogli cenno di avvicinarsi. 
«Buongiorno Oohashi-sensei» disse, dopo averlo raggiunto e chiudendo la porta. Accolse l’invito del suo capo ad accomodarsi. 
La barba e i capelli erano bianchissimi, il viso tondo, ed era smilzo come un giunco. Si protrasse in avanti, i gomiti sulla scrivania, fissandolo con quegli occhi cerulei e taglienti.
«Andrò dritto al sodo, so che ti avevo dato il permesso di lavorare a casa in questi giorni. Ma mi serve il tuo aiuto…» s’interruppe un attimo. «Anzi, serve a Tomoko.»
Hajime spalancò appena gli occhi verdi, rimanendo comunque serio. 
«Domani aveva un’intervista in programma…» continuò. «Purtroppo, ha avuto un contrattempo… Ti ha accennato al concorso fotografico?»
Gliene aveva parlato qualche mese prima, quando entrambi si erano dedicati anima e corpo agli articoli sulle Olimpiadi, su come sarebbe andata questa stagione per i campioni giapponesi. Uno dei motivi per cui avevano iniziato a parlare era proprio il fatto che entrambi condividevano l’amore per la fotografia. Hajime aveva sentito parlare di questo concorso, ma aveva deciso di non partecipare perché preferiva fare un buon lavoro in vista di un periodo così intenso com’era quello delle Olimpiadi. 
Non pensava si tenesse adesso, credeva che l’estrazione del vincitore sarebbe stata la prossima settimana. 
«Mi ha assicurato che farà di tutto per arrivare in tempo, ma nel caso non fosse così…»
«Aspetti un attimo, ma l’intervista non si può rimandare?» chiese. 
«Purtroppo, la persona in questione è piuttosto esigente, e domani è il suo unico giorno disponibile…»
Iwaizumi storse il naso. Certo, domani era sabato, tutti erano disponibili per quel giorno, ma magari la gente avrebbe preferito riposarsi invece di lavorare solo perché  lei o lui doveva farsi i propri comodi. Si lasciò sfuggire un grugnito, e Oohashi-san alzò le sue folte sopracciglia verso l’alto, costringendo Hajime ad abbassare la testa, come a chiedere scusa. 
«Questa intervista è molto importante per noi» gli spiegò. «Sono quasi certo che le vendite schizzeranno alle stelle, come non si è mai visto! Non possiamo assolutamente rinunciare!»
«Posso sapere di chi si tratta?»
L’uomo si grattò la nuca, visibilmente a disagio. Conosceva Hajime da circa tre anni per sapere che tipo di persona fosse: era un giornalista eccellente, e a volte si trovava a pensare che un talento del genere fosse sprecato all’interno della sua agenzia; ma era anche una persona difficile con cui trattare, e sapeva che a seconda della persona che avrebbe dovuto intervistare, probabilmente avrebbe rifiutato. Come in quel caso.
«Oikawa Tooru.»
Come aveva giustamente previsto l’anziano uomo, Hajime si alzò in piedi, posizionandosi poi dietro la sedia. «No. No, no, no. Mi spiace, se lo può sognare!» Non gli piaceva parlare così con il suo capo, tuttavia non c’era altro modo per esprimere il suo disappunto. 
«Iwaizumi, ti rendi conto che l’alzatore titolare della Nazionale ci ha concesso un’intervista? Non ci capiterà più un’occasione del genere!»
«Questo lo capisco, ma conosco abbastanza sul conto di quel tipo per sapere che, possibilmente, lo investirei con la mia macchina!»
Non l’avrebbe fatto veramente – ci mancava solo una condanna all’ergastolo –, ma quasi sicuramente lo pensava.
Il signor Oohashi si passò una mano sul viso, esasperato. «Ti darò un aumento, se è necessario!» si affrettò a dire. 
«Non ho bisogno del suo aumento, grazie!»
«Ne sei sicuro? Devo dedurre che il pagamento degli alimenti vada bene?»
Hajime sgranò lo sguardo, masticando un’imprecazione, mentre Oohashi-sensei mostrava i denti, leggermente ingialliti per via della nicotina e dei sigari che continuava a fumare nonostante avesse oramai una certa età. Quell’uomo conosceva benissimo la sua vita privata per sapere che, in ogni caso, quei soldi gli servivano, e il suo stipendio gli serviva a stento per mantenere se stesso. L’idea che potesse usare la scusa dell’aumento per corromperlo, mandava Hajime in bestia, come quel sorriso di chi sapeva di avere appena fatto centro. 
«Hajime-kun, – cominciò, cercando di essere il più diplomatico possibile – se non vuoi farlo per me, fallo almeno per Tomoko. So che siete molto amici, e lei teneva veramente a questa intervista.»
Il giovane strinse lo schienale della sedia, prima di lasciarlo andare. Quell’uomo ci sapeva davvero fare con le parole, e dai libri sull’uso dell’arte oratoria che teneva nel suo ufficio, era facile intuire che avesse studiato abbastanza da sapere quali punti sensibili toccare per incantare le folle.
Assottigliò lo sguardo, prendendo poi un respiro profondo. Gli passarono davanti le immagini dell’alzatore della squadra di pallavolo, che sorrideva gioviale alle telecamere, e già sapeva che si sarebbe pentito della sua decisione. 
«Lo faccio solo per Tomoko-san.» 
L’uomo sorrise, prendendo un sigaro e piazzandoselo tra i canini. «Avrai comunque il tuo aumento. Grazie Hajime!»
Il ragazzo fece un lieve inchino, lasciando poi l’ufficio, mentre l’altro si recava in balcone per concedersi il gusto dolceamaro di un buon sigaro.




 
~


 
[24 settembre 2016]





Non appena era uscito dall’ufficio, Hajime aveva chiamato al telefono Tomoko per avere qualche informazione in più su come dovesse svolgersi l’intervista, oltre per sapere come stesse. 
La ragazza fu felice di sentirlo, e si era scusata un centinaio di volte per l’inconveniente, promettendogli che avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare. Gli aveva detto che l’intervista si sarebbe svolta in un bar nei pressi dell’ufficio, piccolo e non troppo affollato, così che Oikawa potesse sentirsi a proprio agio e non avesse altri giornalisti o – peggio ancora – qualche fan a infastidirli. L’appuntamento era per le nove. 
Tomoko gli aveva mandato tutti i suoi appunti e la lista delle domande la sera stessa, via email, dopo avergli annunciato tutta entusiasta che la sua foto era arrivata terza, e Hajime non poté che farle i complimenti. 
Sbuffò rumorosamente, gli occhi che saettavano dai fogli che aveva davanti, all’entrata, all’orologio a forma di gatto appeso al muro; quel tipo era già in ritardo di quindici minuti, e Hajime aveva il brutto presentimento che non si sarebbe presentato e che in realtà avesse solo preso in giro tutti. 
No, quel tipo non gli piaceva per niente. Lo trovava irritante.
L’unica nota positiva della sconfitta della squadra, era che non avrebbe più dovuto sentirlo parlare in televisione, o almeno non troppo spesso.
Bevve un altro sorso di caffè, il campanello appeso alla porta del locale che tintinnò. Lo sguardo attento del giornalista si spostò sulla figura che aveva appena fatto la sua comparsa nel locale: indossava un cardigan blu e dei semplicissimi jeans, il cappotto scuro adesso nelle mani della cameriera minuta che si trovava all’entrata. Strofinò le mani per riscaldarle, mentre faceva vagare lo sguardo da un tavolo all’altro, come alla ricerca di qualcuno. 
Per un attimo, Hajime non lo riconobbe – forse erano gli occhiali che stava indossando a tradirlo –, ma poi si disse che quei capelli assurdi e sempre fuori posto li aveva già visti da qualche parte. 
Si alzò in piedi, cercando di essere il più delicato possibile; la sedia strisciò comunque contro il pavimento, e il ragazzo ruotò la testa di lato, dritta nella sua direzione. Sbatté un attimo le palpebre, rimanendo imbambolato, mentre Hajime lo fissava come se aspettasse che si avvicinasse. 
«Sei tu il collega che deve sostituire Tomoko-chan?» chiese, e Hajime si sentì squadrato dalla testa ai piedi, con superiorità, come se lui fosse solo un insettino fastidioso. Inoltre, chi diavolo gli aveva dato il permesso di usare quel suffisso? Era stata Tomoko stessa?
Male. Molto male. Hajime voleva già versargli il caffè rimasto in testa.
Cercò di utilizzare tutto l’autocontrollo possibile. «Sì, sono Iwaizumi Hajime, piacere!»
Se fosse stato possibile, il ragazzo rimase più imbambolato di prima, osservandolo come se ci avesse appena visto qualcosa di anomalo in lui, gli occhi che si assottigliarono all’improvviso. Non aveva idea se quel tipo lo stesse facendo seriamente di proposito e aspettasse soltanto di ricevere un pugno sul naso per poterlo denunciare; di certo non stava guadagnando punti. 
«Tutto bene?» chiese, cercando di essere il più educato possibile, e il ragazzo parve riscuotersi improvvisamente, come se fosse stato sotto l’effetto di un qualche incantesimo. 
«Sì, scusami!» disse, sorridendo, e anche così Hajime continuò a trovarlo insopportabile.
«Bene, allora cominciamo?» Si sedette e aspettò che anche l’altro facesse lo stesso. «Vuoi ordinare qualcosa?» chiese poi, più per cortesia che per altro. 
«Un caffè macchiato è più che sufficiente, grazie!» trillò, e Hajime si trattenne dal produrre un verso infastidito mentre chiamava la cameriera. 





Era già passata un’ora, e l’istinto omicida di Hajime sembrava essersi placato, anche se in alcuni momenti aveva raggiunto vette altissime, soprattutto dopo che una delle cameriere l’aveva riconosciuto e Oikawa ne aveva approfittato per togliersi gli occhiali con fare affabile e filtrare con lei. 
Non era credente, tanto meno cattolico, ma conosceva abbastanza della cultura occidentale grazie a Tomoko per sapere che, in questi casi, bisognava pregare tutti i santi possibili. Ecco, probabilmente Iwaizumi l’aveva fatto inconsciamente, anche se l’unico nome che conosceva era quello della madre della sua collega. 
Tutto sommato, non era andata male, e anche se per lui le informazioni ricavate sarebbero bastate a riempiere almeno quattro pagine della rivista, Tomoko aveva pensato davvero a tutto, e c’era come minimo un’altra colonna di domande da poter porre. 
Cercò quella che poteva essere più interessante, mentre l’alzatore lo fissava, le mani giunte e il mento sopra le dita, un sorriso a incorniciargli il viso; e se Hajime prima avrebbe voluto strapparglielo dalla faccia, adesso ci aveva fatto l’abitudine.
«Dunque…» cominciò, per essere poi interrotto subito dopo.
«Vieni dalla prefettura di Miyagi, per caso?»
Alzò un sopracciglio, leggermente irritato. Che cosa c’entrava lui?
«Sono io che dovrei fare le domande…»
Oikawa rise di gusto. «Scusami, hai ragione, e solo che… io credo di conoscerti, sai?»
Hajime era leggermente scettico su questo. Se avesse davvero conosciuto un tipo del genere, probabilmente non se lo sarebbe mai dimenticato in tutta la sua vita. 
«Andavi al Sendaishi Aoyama Nursery quando eri piccolo?»
Ah.
Poteva effettivamente essere che non si ricordasse di quella faccia da schiaffi. Quegli anni della sua vita li aveva cancellati completamente. 
Avrebbe voluto rispondergli che non erano affari suoi, ma a quel punto non sapeva come avrebbe reagito il ragazzo, e non voleva che Tomoko-san ci andasse di mezzo. Gli aveva mandato un messaggio e stava per arrivare, quindi quella tortura sarebbe finita tra un po’. Tanto valeva dargli corda. 
«Sì...?» disse, non ancora sicuro su cosa volesse andare a parare.
Il ragazzo sorrise, e stavolta era sincero, luminoso, e Hajime non credeva che ne fosse seriamente capace, pareva che quell’espressione da donnaiolo fosse l’unica che riuscisse a produrre. «Allora ci avevo visto giusto! Non ti ricordi proprio di me?»
Il giornalista strinse gli occhi, mentre il ragazzo si sporgeva in avanti per permettergli di osservarlo meglio – non che ci fosse chissà quanta vicinanza, visto che Hajime era indietreggiato.
Non riusciva a vedere altro se non la faccia dell’alzatore della squadra di pallavolo, la sua espressione ripresa in primo piano quando era sul campo, il suo sorriso quando si stringeva la sua ragazza addosso. E no, quella faccia non gli aveva mai detto nulla, gli provocava solo un senso di fastidio, come un’ortica sulla pelle. 
«Ti do un indizio» disse allora il setter, continuando a sorridere. «Mi hai tirato la palla in faccia, una volta, e mi hai fatto sanguinare il naso…»
E a quel punto l’immagine di un ragazzino della sua età, i capelli castani scompigliati, il viso rosso e bagnato dalle lacrime, gli apparve davanti. Come anche l’immagine di lui che gli infilava dentro il naso sanguinante un batuffolo di cotone. 
I suoi occhi si spalancarono, tornando a ricomporsi subito dopo, visto che Oikawa lo osservava speranzoso.
«Oh» disse, senza mostrare particolare interesse, quando in realtà non poteva che essere sorpreso quanto l’alzatore. «Eri tu?»
«Eh già!» disse, ridendo. «Sei stupito?»
«Più che altro mi stupisce che l’alzatore titolare della Nazionale fosse una totale schiappa da piccolo!» E che l’avesse fatto sanguinare, ma questo non poteva che essere un motivo di vittoria per Hajime. 
Il castano rise ancora, e Iwaizumi si sentì a disagio nell’avvertire quegli occhi che brillavano su di sé, che lo scrutavano in ogni minima parte, e si ritrovò curioso di scoprire perché diavolo lo osservasse così. 
Quel gioco di sguardi continuò per un po’, prima che il giornalista tornasse sui suoi fogli, e Oikawa ebbe solo il tempo di aprire la bocca per potergli porre un’altra domanda, quando…
«Hajime-kun!»
Tomoko raggiunse i due giovani in tutta fretta, la coda di cavallo mezza storta e la mantellina che indossava che quasi strascicava per terra. 
I capelli erano rosso Tiziano, ricci come quelli di sua madre, e aveva i tratti fini di una qualsiasi ragazza giapponese. Nessuno, neanche Hajime la prima volta che l’aveva conosciuta, avrebbe mai detto che per metà fosse italiana. Sua madre si era trasferita anni prima, e adesso lavorava come mangaka per una piccola rivista per ragazzi. Era per questo che Tomoko era tra le preferite di Oohashi-sensei – oltre al fatto che avesse proprio un debole per sua madre –, guadagnandosi di tanto in tanto l’astio dei colleghi. A lei, però, non importava granché. 
«Scusami per il ritardo!» Ne approfittò per abbracciare il collega, ora in piedi, che le fece subito i complimenti di persona, strappandole una risatina nervosa. Si rivolse poi alla persona seduta di fronte, visibilmente in imbarazzo. «Tu devi essere Oikawa Tooru, giusto? Molto lieta!»
«Madame, – e nel pronunciare quella parola in francese, le fece il baciamano, e Tomoko andò in fiamme – il piacere è tutto mio!»
Hajime alzò gli occhi al cielo, soprattutto perché conosceva bene la sua collega da sapere che era la prima volta che riceveva delle avance di questo tipo, e quel tipo l’aveva capito perfettamente. Si chiese come facesse la sua fidanzata a sopportarlo, probabilmente lui l’avrebbe picchiato fino a farlo sanguinare… peggio di quanto avesse fatto quando erano bambini.
La consapevolezza di quanto aveva appena scoperto lo investì in pieno, e sentì il necessario bisogno di levare le tende.
«Posso andare, o hai bisogno di me?»
La ragazza si voltò verso Hajime, la mano ancora tenuta da quella di Oikawa, rivolgendogli un lieve sorriso. «Certo, Hajime-kun, e grazie di tutto!»
Salutò entrambi, lei con la promessa che si sarebbero visti lunedì in ufficio, Oikawa con un cenno di cortesia, silenzioso e giusto per dire che gli aveva fatto piacere conoscerlo. O rivederlo, dipende dai punti di vista. 
Di certo, per il castano valeva la seconda ipotesi. Hajime, però, questo non poteva saperlo. Come non poteva vedere l’espressione velata di tristezza che Oikawa rivolse alla sua figura mentre si allontanava dal locale.





Quello che restava della sua infanzia, sua zia l’aveva conservato in una scatola. Avrebbe voluto lasciarla a casa della donna, ma quest’ultima aveva insistito perché lui se la portasse dietro; alla fine, gliela aveva portata lei, durante il trasloco.
Hajime l’aveva relegata in un angolo sopra l’armadio, e non credeva che l’avrebbe mai ripescata, pensava che sarebbe rimasta lì a fare la muffa. E, di fatti, quando la prese tra le mani la trovò ricoperta da un doppio strato di polvere, e una persona allergica probabilmente sarebbe morta all’istante.
La spolverò per bene prima di aprirla, trovandogli dentro cianfrusaglie varie, qualche giocattolo che era riuscito a salvarsi dalla spazzatura, e un album di fotografie.
Lo sfogliò il più velocemente possibile, anche se il solo aprirlo gli fece venire una stilettata al petto, trovando poi la pagina che gli interessava.
C’erano un paio di fotografie di lui da piccolo, il visino imbronciato ma gli occhi vispi per via dello scarabeo che aveva appena catturato, e alcune foto con suo padre, il retino in mano. Poi, eccola, l’unica foto che aveva conservato dei suoi compagni d’asilo: una foto di gruppo per cui le sue insegnanti avevano insistito parecchio, tutti con i grembiulini celesti, mentre le due donne indossavano un grembiule rosa e dai richiami floreali.
Osservò ad uno ad uno quei volti, non ricordandone neanche mezzo; non che avesse molta confidenza con gli altri bambini, del resto nella foto lui stava vicino ad una delle maestre, sempre con lo sguardo contrito. Alla fine lo trovò, in prima fila, stretto tra due ragazzine che probabilmente smaniavano per averlo più vicino, e nonostante questo Oikawa continuava a sorridere.
Ora aveva una visione più chiara di chi fosse quel ragazzino, e ricordò la sua vocina stridula che lo salutava dopo l’incidente della palla. Strinse l’album tra le mani, perché non aveva ricominciato a ricordare solo quello, ma anche che cosa successe quel giorno, e forse era per questo che il suo cervello aveva deciso deliberatamente di cestinare tutto.
La suoneria estremamente fastidiosa di Skype lo risvegliò dai suoi pensieri, avvertendolo che stava ricevendo una videochiamata. Si sbrigò a sistemare tutto, sedendosi poi davanti al suo portatile e accettando la videochiamata.
Per i primi secondi, vide solo un’immagine sfocata, come se un pittore impazzito avesse gettato dei colori sulla tela per sbaglio; poi, piano piano, i contorni si fecero più delineati, e la figura di una bambina di circa quattro anni apparve sul suo campo visivo. Era seduta su un lettino, le gambe incrociate, ma balzò subito non appena lo vide.
«Ciao papà!» esclamò, entusiasta, e Hajime non riuscì a resistere dal sorriderle, intenerito.
«Ciao Akane!» le rispose. «Come stai? Hai cenato?»
La bambina annuì vigorosamente. «Katsu-san ha comprato il sushi! Mamma non è ancora tornata! Tu papi?»
«Sì, certo, ho già cenato.» Stava mentendo, in realtà aveva lavorato tutto il giorno a un articolo che aveva in cantiere da mesi, e quando ebbe finito, erano già le nove di sera inoltrate. Era andato alla ricerca della scatola in attesa che sua figlia lo chiamasse, visto che quel tarlo non lo aveva abbandonato per tutto il pomeriggio. «Com’è stata la giornata?»
«Mi sono divertita un sacco! Abbiamo giocato a lanciarci la palla!» E la bambina continuava ad annuire e ridere, mentre il padre imbastiva la migliore espressione di sorpresa di cui fosse capace. «La maestra ha detto che sono molto brava! Tu giocavi a qualche gioco del genere, vero? Me l’ha detto una volta la mamma!»
«Sì, giocavo a pallavolo.»
«Quando sarò grande voglio provarci!»
Non sapeva quale stella ringraziare per avere la fortuna di poter parlare con sua figlia, sebbene lui e sua moglie non fossero più sposati; anzi, a dirla tutta, era una fortuna che sua figlia lo considerasse suo padre. Aveva solo tre anni quando lui e Minori, sua compagna per tutto il liceo e sua moglie per solo un anno, avevano deciso di lasciarsi. La donna, tuttavia, era una persona dal carattere mite, e non gli aveva mai vietato la possibilità di venirla a trovare, anche se le visite si facevano sempre più rare.
Ora che Akane era più grande, vedersi su Skype praticamente quasi tutti i giorni era una comodità a cui non potevano rinunciare.
Doveva essere sincero, forse doveva ringraziare proprio Minori per non avergli mai vietato nulla, neanche il privilegio di essere padre.
«Ma non avevi detto che quando eri grande volevi essere una violinista come la mamma?» Minori suonava nell’orchestra di Osaka da diversi anni, oramai, ed era conosciuta in quasi tutto il paese.
Akane parve rifletterci su. «Non posso fare entrambe le cose?»
«Se ci riesci, sì!» disse, ridendo, e la bambina non poté che ridere a sua volta, assolutamente convinta di potercela fare. 
Ci fu un attimo di silenzio, rotto dalla bambina, che – notò adesso Hajime – aveva i capelli raccolti in due treccine. «Quando ci vediamo, allora, giochiamo assieme?»
Non rispose subito, si concesse un attimo per guardare sua figlia, che gli assomigliava così tanto nell’aspetto, gli occhi verdi e i capelli nerissimi, mentre caratterialmente era lo specchio di sua madre, così gentile e pura che ad Hajime venne quasi il dubbio di essere veramente lui il padre di quella bambina.
C’era solo innocenza in quella semplicissima domanda, e il giornalista fece un sorriso forzato, perché per lui quella domanda era come un colpo allo stomaco, perché non sapeva quando l’avrebbe effettivamente rivista. 
«Certo!» le rispose, e fortunatamente la bambina non parve accorgersi del repentino cambio di umore del padre. 
«Tu che hai fatto oggi?» gli chiese poi.
Alzò le spalle. «Niente di che, ho intervistato un membro della squadra di pallavolo della Nazionale.»
La bambina si sporse in avanti, scattando e facendo quasi cadere il computer di lato. Ad Hajime venne un colpo. «Davvero? Quindi è uno famoso?»
«Sì…»
«Che bello, il mio papà ha intervistato un personaggio famoso!» urlò, battendo le mani. «Posso dirlo ai miei compagni, domani?»
Iwaizumi allargò il sorriso sul suo viso e annuì. Fu in quel momento che sentì lo scricchiolare di una porta che si apriva, e una voce che parlava a sua figlia.
Doveva essere Katsu. Hajime si chiese perché diavolo si spaventasse di lui. Okay, erano stati compagni al liceo, c’era stato un buon rapporto, niente di che, e adesso stava con la sua ex-moglie. Glielo aveva detto, non c’era nessun rimpianto, era una decisione che lui e Minori avevano preso insieme.
«Ciao Katsu!» lo chiamò, e sentì il giovane produrre un verso di stupore. Gli apparve davanti poco dopo, i capelli neri e corti, il viso puntellato di lentiggini, affiancato a quello della bambina. 
«Ciao Iwaizumi!» lo salutò, con una leggera titubanza. «Stavo giusto dicendo ad Akane che è ora di andare a letto, no?»
Fissò l’orologio del portatile, notando che erano già le dieci di sera. «Hai ragione. Akane, coraggio, a letto!»
La bambina mise il broncio per un po’, per poi alzare le spalle e mormorare un: «Va bene!», poco convinto. Meno male che era una bambina obbediente, tutto sommato.
«Buonanotte, papi!» disse, salutandolo con la manina che sventolava, e Hajime ricambiò, mentre Katsu-san cercava di chiudere la chiamata senza sembrare troppo invadente. 
In pochi secondi, Hajime si ritrovò di nuovo solo, la casa completamente in silenzio, se non fosse per l’orologio a muro che ticchettava. Si alzò in piedi, stiracchiandosi, indeciso se andare a letto presto o rileggere l’articolo un’altra volta. 
Ad attirare la sua attenzione, però, fu la scatola posata sulla sedia, l’album lasciato in bilico là sopra. Lo riaprì, proprio alla pagina di prima, trovandovi il faccino paffuto di Oikawa Tooru che lo fissava, sorridente.
Ora che ci pensava, lo aveva lasciato con un’espressione da pesce lesso per ben due volte e a distanza di anni. Fece un mezzo sorriso, richiudendo poi il raccoglitore e posandolo dentro la scatola.
Qualunque cosa volesse il setter non l’avrebbe saputo mai. E poi, probabilmente si era già dimenticato di lui.
Come doveva fare lo stesso Hajime, mentre rimetteva la scatola al suo posto. Non avrebbe fatto riaffiorare ancora una volta il suo passato.
Purtroppo, però, Hajime si sbagliava di grosso.





 
[I’m feeling better since you know me
I was a lonely soul but that’s the old me
A little wiser now but you show me
Yeah, I feel again]




 
Delucidazioni:
E sono tornata ad aggiornare, yay! ^^
Spero che si sia capito, ma Oikawa e Iwa-chan si sono conosciuti quando erano piccoli, ma non sono mai diventati amici; dunque, l’intera storia girerà attorno a questo punto, e non solo… #youknowhatImean

Qualche spiegazione random:
-Supootsu è la traduzione di “sport” in giapponese, fantasia portami via!
-Il Tokyo Journal esiste davvero.
-Oohashi-sensei è tipo un Pericle mancato; io non sono responsabile di questo, la colpa è tutta della Storia Greca che ho studiato per un esame.
-Il Sendaishi Aoyama esiste davvero, è un nome di un asilo che ho cercato personalmente :’)
-Sì, Tomoko è per metà italiana, e il personaggio della madre è stato costruito sulle fattezze di mia sorella; nei prossimi capitoli avrà maggiore spazio, ve l’assicuro. Il significato del nome della ragazza, invece, è il seguente: “Bambina amichevole” o “Bambina saggia”. Spiegherò meglio il significato di questo nome verso la fine della storia, trololol!
-Hajime ha avuto un passato turbolento, ma non vi dirò mai perché. Se volete saperlo, leggete *le danno fuoco* Comunque, Akane è una bambina preziosissima e io la amo tanto! *nasconde la lacrime* Il significato del suo nome è il seguente: “Rosso brillante”. E niente, basta il titolo a spiegarlo xD
-Minori invece significa: “Verità”, e anche qui la spiegazione del nome avverrà dopo; Katsu: “Vittoria”. Perché questo nome? Uhm… forse perché ha fregato la moglie ad Iwa-chan e quindi ha vinto su di lui? *la lanciano in aria*

Che dire, questo era tutto quello che dovevo dire. Oh, lo spezzone alla fine prende spunto dalla canzone dei OneRepublic, Feel Again <3
Ringrazio chiunque sia disposto a farmi sapere cosa ne pensa della storia, della caratterizzazione dei personaggi, o anche chi solo legga questa cosuccia insulsa :’)
E un grazie speciale va alla mia beta e waifu LysL_97, che sta amando sta storia pur non conoscendo il fandom! *piange porporina*
Al prossimo aggiornamento, allora! ;)
_Lady di inchiostro_
 
  
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