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Autore: Manto    26/03/2017    2 recensioni
◆ Arco narrativo principale: tradimento di Aizen; i personaggi e gli avvenimenti verranno ripresi e leggermente modificati dall’aggiunta di due personaggi originali.
Tsuki e Hoshi non stravolgeranno gli eventi: solo le persone con cui entreranno in contatto, causando risate e lacrime insieme ai loro compagni. Fatevi prendere per mano da loro, vi porteranno a conoscere le storie e il cammino che intraprenderanno sotto l’egida dei Quattro Cavalieri.
Il dolore, l’amore, il potere: venite a scoprire ciò che i personaggi non vi hanno mai raccontato, e la differenza che uno solo può portare sulle sorti di molti.
NOTE: Storia scritta a quattro mani con Flos Ignis.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Kuchiki Rukia, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Shūhei Hisagi, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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- LEVATEVI TUTTI! -

Alcuni Shinigami si voltarono con stupore all’udire quell’urlo soave, ma non fecero in tempo a spostarsi prima che “l’Uragano Tsuki”, come tutto il Seireitei l’aveva ribattezzata, piombasse su di loro.

- Scusate-scusate-scusate-sono-di-fretta-perdonatemi! -, riecheggiò l’eco della sua voce per le strade, la figura ormai svanita in un lampo di polvere. Maledizione, ma perché doveva venire a cercarmi proprio quando ero con loro? E adesso ci vorrà del bello e del buono per giustificarmi: già non sopporta i ritardi, se poi la causa di ciò sono Hoshi e Abarai-kun… e dire che quando l’ho lasciato sembrava dormire così profondamente…

Tsuki non l’avrebbe mai rivelato ad altri – perfino a sé stessa risultava duro ammetterlo – ma con il Capitano Ichimaru non riusciva mai a essere completamente tranquilla: per quanto smorzata dalla frequentazione e dai sentimenti che li univano, una spossante tensione le scendeva sulla pelle quando si trovava al cospetto del Taichou della Terza Brigata, un impulso istintivo del suo corpo, un invito alla cautela. Quando poi qualcosa lo irritava o non era di suo gradimento, il malessere che lei provava si acuiva, nonostante in fin dei conti fosse solo una sensazione: non era mai accaduto niente di spiacevole né lui l’aveva mai ferita… eppure il suo cuore tremava leggermente ogni volta che il suo sguardo si imbatteva nel perenne sorriso di Gin, o quando la sua voce quieta l’avvolgeva.

Poi, non appena uno dei due annullava ogni distanza fisica che li separava, le percezioni cambiavano; i loro corpi si stringevano come per paura di perdersi, e quando la Shinigami sentiva i rispettivi battiti premere contro il petto dell’altro fino a confondersi tutto taceva, come se mai fosse esistito.

Proprio in quell’istante, Tsuki vide comparire davanti a sé i quartieri della Terza Brigata; accelerò ancora di più il passo, per arrivare il prima possibile, e… lo vide troppo tardi.

- Fermaaaaa!! -, riuscì appena a gridare, prima di scontrarsi con violenza con la figura che le aveva tagliato la strada. Non poté evitare di finire a rotolare nella polvere insieme a quest’ultima, la testa che girava come un pallone e le maledizioni che voleva lanciare che le si confondevano nella mente; ma alla fine riuscì a fermarsi, e seppur barcollando si rimise in piedi. Ma tu guarda che razza di giornata!

- Ahi… questo ha fatto davvero male -, sentì lamentarsi al suo fianco, e voltandosi incontrò il viso sconvolto di Kira, ancora a terra.

- Kira-kun! -

Lo Shinigami sorrise, per poi alzarsi a sua volta. - Ah, Tsuki-chan, fattelo dire… tu sì che sai come stendere un uomo! -

Lei avvampò per l’insolita battuta, quindi si riprese e si gettò sul caro amico, per stritolarlo in un grosso abbraccio. - Certo che tu sei davvero sfortunato a incappare in me proprio ora! E comunque… per quella battuta…- Abbassò la voce con espressione contrita, facendo l’offesa, per poi esplodere in una risata. - Stendere te non è un problema, tu sei già cotto di me! -

Fu il turno del Fukataichou di diventare viola, e a quel punto il riso di Tsuki divenne più dolce. - Su, non fare quella faccia… tranquillo. Anche se… anche se dubito che Hinamori sia brava come me a stenderti. -

- Tsuki-chan! -, fu l’unica risposta strozzata, perché il riso irrefrenabile di lei coprì ogni altro suono, fino a quando Kira non riprese in mano la situazione. - Comunque… stavi cercando qualcosa qui da noi? -, chiese, cercando di vertere il discorso su altri lidi.

Ciò non sfuggì a Tsuki, che tuttavia decise di non infierire oltre sul poverino. - È così: il Capitano Ichimaru mi ha fatto chiamare… tipo un’ora fa. -

Il Tenente della Terza sorrise. - Se è questo il problema, non devi preoccuparti: il Taichou è impegnato, e credo ci vorrà del tempo prima che si liberi… quelli della Seconda sembrano in vena di polemica oggi. -

Tsuki aggrottò la fronte. - La Seconda Brigata? -

- Esatto. Alcuni dei nostri sono stati scelti per una missione congiunta con loro nel distretto Sessantotto del Rokungai Est, ed è da quasi mezz’ora che un messaggero del Capitano Soi Fon è giunto in tutta fretta e si è chiuso nei nostri uffici… -

- Hmm… ultimamente stanno avvenendo strani eventi laggiù. Mi sembra che la vostra non sia la prima squadra che viene inviata a controllare la situazione. - L’improvviso ricordo di una conversazione avuta il giorno prima con Hoshi le fece sorgere un orribile dubbio. - Kira-kun… potresti dirmi chi avete inviato per questa missione? -

Lo Shinigami le lanciò uno sguardo interrogativo, ma prima che potesse risponderle il Capitano che entrambi amavano comparve davanti a loro.

- Taichou -, proruppero quasi in perfetta sincronia mentre Ichimaru si fermava a pochi passi di distanza, il volto stranamente privo del caratteristico sorriso.

Qualcosa non va, pensò Tsuki, indietreggiando un poco per permettere a Kira e Gin di parlare senza che fossero ascoltati; ma quest’ultimo le fece cenno di restare. - Rimani, Umiko-chan. Interessa anche a te. -

Lei obbedì, confusa, e ascoltò, sempre più tesa a ogni parola, che cosa fosse accaduto quella mattina.

- L’intera squadra… annientata da un solo Hollow? Ma... ma era una delle più forti e… -, esclamò Kira, impallidendo, - … ed è l’ennesima volta che qualcuno dei nostri torna ferito, o non torna affatto. Ma che sta succedendo? -

Tsuki spalancò gli occhi; quindi davvero quella non era la prima missione che vedeva come obbiettivo il distretto Sessantotto. E Kira aveva ragione: come era potuto accadere che un gruppo di così tanti ed esperti Shinigami fosse stato sbaragliato da un unico Hollow?

Prima che potesse anche solo pensare a un ipotesi, lo sguardo di Gin si posò su di lei. - Tsuki-chan -, le disse, - sarebbe giusto che fossi tu a riferire a Yazora-san ciò che è successo. -

Per un solo attimo lei lo guardò senza comprendere; poi, nel tempo di un respiro, quelle parole la investirono con la forza di una tempesta. - Sì… è giusto che lo faccia io. Andrò subito -, riuscì solo a sussurrare, prima di sentire un freddo viscido penetrarle fin nelle ossa e gli occhi pizzicare. A malapena sentì la mano di Kira posarsi sulla sua testa e accarezzarla piano; perché i suoi pensieri erano tutti rivolti a come avrebbe potuto sostenere lo sguardo di Hoshi, quando le avrebbe detto che il suo amato fratellone non sarebbe mai più tornato da lei.


 


 


 

*******


 


 

- Altro sakè! -

L’espressione ‘navigare tra i flutti dell’alcool’ s’addiceva particolarmente a quella particolare locanda: situata nel distretto Quattordici di Rokungai Ovest, contava il maggior numero di salette private a disposizione dei clienti troppo ubriachi per andarsene sulle proprie gambe, o per chi volesse divertirsi in compagnia. Era sufficiente entrare per venire avvolti dall’odore di sakè, che rimaneva impigliato per diverse ore sui vestiti e sulla pelle, ma i gestori erano brave persone che vendevano a prezzo onesto dei liquori di qualità, per cui era sempre un posto molto frequentato, sia da Shinigami che da anime senza poteri spirituali.

L’ebbrezza che prendeva i sempre allegri avventori la si poteva assumere anche solo respirando l’aria di quel luogo di pazza gioia. Tuttavia, non sempre le persone si ritrovano a bere per divertirsi. Talvolta, l’alcool serve loro per dimenticare…

- Altro sakè, Yumi-chan, Ikka-kun! -

- Hoshiiiiii, già non ti…hic… sopporto quando sei… hic… una sola, ma ora siete in due… hic… se beviamo ancora…hic… diventate davvero troooooooppe per me! -

- Ikkaku, è antiestetico parlare in questo modo ad una signora! -

- Chi hai chiamato signora, dannato Yumi-chan? Ma, toglimi una curiosità… non trovi più “antiestetico” versarsi da bere sul proprio kimono invece che nella tazzina, piuttosto che il parlare scemo di Ikka-kun?? - Hoshi ghignò malignamente, vedendo il suo caro amico Pavoncello lanciare un urletto indignato mentre correva fuori per sciacquare immediatamente via le tracce alcoliche dai delicati tessuti con cui si vestiva ogni volta che non era in servizio. Conoscendolo non l’avrebbe rivisto prima dell’indomani, poiché non avrebbe sopportato di restare con i vestiti macchiati e se ne sarebbe tornato nella sua stanza all’Undicesima Brigata per cambiarsi, ma difficilmente avrebbe fatto nuovamente tutta quella strada solo per raggiungerli.

Hoshi buttò uno sguardo all’altro suo amico di bevute e divertimenti pazzi, constatando che era praticamente collassato sul tatami. In altre circostanze avrebbe riso come una matta e poi l’avrebbe svegliato in modi più o meno bruschi, a seconda dell’umore, ma ogni sua energia era stata già spesa nell’arco della giornata per fingere di sorridere davanti a tutti, per cui si limitò a pagargli una stanza, uscendo da quel posto per fare una passeggiata. Quel pomeriggio aveva raccattato i suoi due nakama dell’Undicesima e li aveva trascinati a forza in una gara di bevute, senza che loro protestassero minimamente o facessero domande sulla sua aria lugubre. Ecco perché li adorava incondizionatamente: erano spalle silenziose a cui aggrapparsi, mani amiche che sostenevano senza guardarti con pietà o dolore, cuori affettuosi che l’avvolgevano senza chiedere il perché ne avesse bisogno. A modo loro, erano davvero premurosi. Certo, erano completamente pazzi, ma lei di certo normale non lo era, quindi…

Non sapeva dove stava andando, si limitava a camminare seguendo l’istinto, inoltrandosi in vie sempre più buie e solitarie, abbandonando il vociare allegro delle strade principali in cui i locali accoglievano i clienti fino all’alba. Cercava solo un angolo in cui potersi lasciar andare a leccarsi le ferite, ma nemmeno questo suo desiderio fu esaudito…

- Hoshi, cosa ci fai qui? -

L’alcool le rendeva la vista annebbiata e i movimenti lenti e stanchi, ma il cervello le funzionava ancora fin troppo perfettamente. Non poteva non riconoscere quella pallida figura in avvicinamento, accompagnata da quel particolare tono di voce con cui pronunciava il suo nome, arrotondando la seconda sillaba.

- Toshiro… -

- Sono Hitsugaya-Taichou, quante volte dovrai farmelo ripetere? -

- Ma Toshiro è un nome così bello! Perché non dovrei usarlo? -

A quel punto lui si fermò a guardarla, studiandola: aveva forse qualcosa di strano in faccia? Poi lui sospirò sconsolato, e pure un po’ deluso. - Sei ubriaca. -

- Sono perfettamente lucida. -

- Da sobria mi avresti sentito avvicinarmi ancor prima che io mettessi piede nel distretto, probabilmente. E non avresti fatto un commento simile sul mio nome. -

- Ti chiamo sempre Toshiro. -

- Ma non è da te farmi complimenti simili. -

- Avrò pure bevuto un po’, ma non sono ubriaca. Faccio solo fatica a camminare… e non riesco a trattenere alcun pensiero dentro la mia testa. -

- Non ti trattieni mai, in realtà, per cui mi viene da domandarmi se tu non sia in stato alterato ventiquattr’ore al giorno… -

- Capitano! Non è un commento carino da fare al proprio Terzo Ufficiale… -

- Ma è la verità, e tu l’hai sempre preferita ad una bella menzogna, no? Affronti meglio le situazioni che ti sono chiare, tu stessa me lo hai detto. -

Hoshi si zittì, colpita in pieno. Ricordava perfettamente ogni dettaglio del momento di cui parlava il suo Capitano: non era abbastanza ubriaca da non capire che, in realtà, Toshiro Hitsugaya era venuto fin lì per lei, per ricordarle che doveva affrontare la verità come aveva sempre fatto. Perché era vero, le bugie erano tra le cose che più odiava al mondo. E il suo Taichou lo sapeva bene…

- Dai, ti porto a letto… si vede che fai fatica a camminare. -

- Se è lei, Taichou, credo che la nostra Hoshi si farebbe portare ovunque… -

- MATSUMOTO! - - RANGIKU-SAN! - I due lo dissero contemporaneamente, causando un aumento esponenziale della malizia insita delle risatine della Luogotenente della Decima.

- Yazora Hoshi! -

Ancor prima che la povera vittima… ma anche no, che la Shinigami potesse voltarsi a quel pericoloso richiamo, le braccia della sua migliore amica la strinsero al collo, per strozzarla e allo stesso tempo tenerla stretta.

- BAKA! Cosa ti salta in mente di scappare da me in un momento simile per UBRIACARTI? Ma sei pazza? -

- … te ne accorgi solo ora, Tsuki? -

- NON.LO.FARE.MAI.PIÙ! Mai più! -

- AHI! Sono ubriaca e mi prendono pure a pugni… -

- E NON FIATARE! -

L’altra non lo fece, ma fissò dritto negli occhi la sua nakama. Ormai non avevano bisogno di molte parole per comprendersi: i discorsi più intensi li facevano solo con uno sguardo, e anche quella volta non ci fu bisogno di altri commenti.

L’abbraccio intenso di Tsuki li avrebbe comunque spazzati via tutti, e Hoshi non poté fare altro che premere il capo contro il cuore della compagna e farsi cullare dal suo battito.

- Andiamo. Hai bisogno di dormire… ci pensiamo io e Rangiku-san a te -, le sussurrò l’amica, circondandole le spalle con un braccio.

Matsumoto si congedò dal suo Capitano, sussurrando: - Stia tranquillo, Hoshi è in buone mani con noi -, per poi raggiungerle.

Sotto lo sguardo di Hitsugaya, il trio si allontanò in direzione del dormitorio della Decima Brigata, per poi restare insieme alla Shinigami ubriaca fino a quando questa non si addormentò… e allora giunsero altre mani a cullarla.


 


 


 

*******


 


 


 

- Hoshi, sono io. -

La voce di Renji… Hoshi aprì gli occhi, cercando nel buio la figura dell’amico, un po’ confusa per l’assenza di Tsuki e Rangiku.

- Adesso accendo la luce per un momento, va bene? Altrimenti non capisco dove sei… -

No, non voleva vedere niente. Voleva solo restare immersa in quell’abbraccio di ombre.

Si alzò in fretta per intercettare il braccio dell’amico, affidandosi ai suoi sensi sviluppati per muoversi nel buio che permeava la sua stanza. Quella coperta oscura però non le bastava più per nascondere il dolore...

- Ma cosa… -

Le sue esili braccia lo strinsero a sé, aggrappandosi alla sua schiena forte, sperando che non sparisse anche quell’ancora che la tratteneva dall’affondare.

L’impeto del suo assalto li fece cadere entrambi tra le coperte ammucchiate un po’ ovunque, tra il disordine cronico che da sempre la caratterizzava.

Lui non pronunciò nemmeno mezza lamentela, limitandosi a stringere il più forte possibile quello scricciolo della sua migliore amica, fingendo di non notare le lacrime che gli stavano scorrendo sul collo.

Il giorno dopo lui sarebbe tornato a farla arrabbiare in tutti i modi che poteva, e lei gli avrebbe rispedito indietro colpo su colpo con tanto di interessi, fingendo di non essersi mai lasciata andare, di non aver ceduto alle lacrime.

Era questo il suo compito: darle uno spiraglio di normalità, di risate e lotte quotidiane che le avrebbero dato una parvenza di equilibrio. Se avesse avuto di nuovo necessità di sfogarsi sarebbe sicuramente corsa da Tsuki, era lei che avrebbe illuminato i cupi pensieri delle giornate a venire, mentre il suo compito era di donarle nuovamente un sorriso sincero, di mantenerla a contatto con la realtà.

Era fin troppo facile per Hoshi perdersi tra i più neri pensieri.

E infatti…

- Non te ne andare… non te ne andare anche tu… non posso perdervi entrambi… -

Era appropriato sorridere mentre la sua amica era così disperata? Sicuramente no, ma forse non era neppure sbagliato se a muovere le sue labbra era la tenerezza per quella ragazza incredibile.

- Scricciolo, non intendo andare da nessuna parte, non ti preoccupare. Ora cerca di riposare, domani andrà meglio. -

- Va bene, ma tu resta qui. -

- Non mi sarei mosso da qui neppure costretto. Ora però dormi, sorellina. -

Aveva davanti a sé una notte di veglia, ma Renji non si sarebbe mosso di un millimetro: avrebbe continuato a stringere quel corpicino che quasi spariva nel suo abbraccio, carezzandole i ricci di quel colore così simile ai suoi da far pensare che potessero davvero essere fratelli. Avrebbe vegliato sul sonno agitato che già incombeva su di lei, allontanando i demoni che di giorno celava dietro un sorriso sfacciato, perché è questo che fanno i fratelli maggiori: proteggono con tutte le loro forze chi nasce dopo di loro.

E ora che Takeshi se n’era andato, era compito interamente suo vegliare sulla sorellina pestifera, ma tanto fragile che il Destino gli aveva affidato.

   
 
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