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Autore: Makil_    03/04/2017    12 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre. 
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos.
Y’ku: titolo singolare dell’isola di Caantos, nelle Terre Spezzate, il cui significato è letteralmente “il più ricco”. Il termine “y’ku” s’interpone tra il nome e la casata nobiliare di un principe dell’isola, posto a determinare la sua ascendenza nobile.
Incantatori: ordine giurato unico del continente di Pantagos. Si tratta a tutti gli effetti di un gruppo di sapienti  in cui sono raggruppati guaritori, speziali, alchimisti e finanche stregoni – benché in molti, e nel popolino nello specifico, non credano a questo genere di arti. La sede degli incantatori è la Gilda degli Incantatori, altresì detta Tempio Bianco, sulla Collina di Burk, a Fondocupo. 
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Quando il sole scese lontano ad ovest, remoto oltre le dune stagliate contro il cielo, Bart si ritrovò nuovamente nella lunga fila che aveva abbandonato con furore qualche giorno prima. Questa volta, era tra i primi in direzione della casupola dell’amanuense, molto più convinto a raggiungerla.
Nel mezzo di quel campetto in cui si diradava la fila, Bart scorse il punto in cui era avvenuta la rissa tra lui e Wictor, un piccolo spazio sterrato e ancora sporco di sangue, pezzi di armature e stoffa stracciata. “Il vento dovrebbe portare via tutto ciò, lasciarne solo un ricordo nelle menti di chi ha assistito. Non voglio che si sappia che sono caduto prima ancora di iniziare il torneo. Non voglio che Dalton sappia che sono già stato sconfitto.”                                                 
Sotto il cielo ormai colorato dal rosso del tramonto, la fila avanzò sempre più rapidamente, dissipandosi nel passare all’interno della capanna, una struttura in legno chiaro con quattro travi per lato ed un tetto di paglia secca sostenuto da assi robuste.
Fu solo quando il sole lasciò definitivamente spazio alla scura luce della sera, che Bart riuscì a vederla da vicino e ad oltrepassarne le porte. All’interno, in uno spazio ben poco angusto, si ergeva una scrivania dello stesso colore del legno che la circondava. Alle sue spalle giaceva chino un amanuense gobbo ed imbruttito dall’età, che scriveva furiosamente su un foglio di pergamena che si andava arrotolando oltre i suoi piedi. Bart sedette sul piccolo sgabello che si trovava nella capanna, esattamente dinanzi a quello. 
«Nome e cognome.» pronunciò l’amanuense senza neppure sollevare lo sguardo dal suo lavoro.                       
«Ser…» rispose Bart, ma le parole gli si conficcarono nella gola e lì rimasero. Tossì. «Bartimore. Ser Bartimore.»                   
«Tale ser Bartimore ha un cognome?»                                            
«No, non ha nessun cognome. In molti mi chiamano anche Bart, se può servire.»                                                             
«Credo proprio di no.» rispose l’amanuense. «Luogo di provenienza?»                                                                                
«Sette Scuri» rispose Bart. «Più impropriamente Fondocupo.»                                                                                                 
«Un uomo non può provenire da due luoghi distinti e separati. Sette Scuri o Fondocupo?»                                                              
Bart provò vergogna nel pronunciare nuovamente quel nome, per quanto da sempre gli era stato detto di non rinnegare le sue origini per nessuna ragione. «Fondocupo.»                                                                                                                            
«Bene, ser Bartimore di Fondocupo, la tua categoria è questa qui». L’ometto tarchiato indicò con l’indice scarno una lista composta da una decina di nomi, tutti poco rilevanti e conosciuti. Sulla sinistra, invece, erano elencati i nomi di tutti i partecipanti più nobili e famosi.
«Oh, quasi dimenticavo, signore. Io dovrei far parte della lista regale. Sostituisco Dalton Kordrum, il signore di Sette Scuri, e gareggio al suo posto». Bart aprì la casacca alla ricerca della missiva di Dalton. «Solo un momento». Con le mani che improvvisavano una strana danza all’interno della tasca, Bart cercò rapidamente la lettera che il suo signore gli aveva affidato per poter gareggiare.
Dinanzi a lui, l’amanuense lo guardava con fare insospettito. Quando Bart tirò fuori la missiva, notò che di questa non era rimasto altro che un insieme accozzato di frammenti di carta, ceralacca e pelle rossa. “Oh no, per tutte le Grazie!”. La missiva doveva essersi strappata nella foga della rissa contro Wictor, ed ora era ridotta ad uno stato davvero inaccettabile. Bart aveva attraversato strade, irti declivi scoscesi, vallate sinuose e campi aridi; aveva sopportato la fame, la sete e la disgrazia, e quella missiva aveva saputo resistere con lui. Poi, allo stesso modo, si era lasciata distruggere in un mero battito di ciglia quando anche il suo possessore era stato abbattuto. “Un’ingiustizia” pensò Bart nel tirare fuori i tre frammenti che la componevano. Posò tutto sul tavolo dell’amanuense che lo stava guardando sempre più con disinteresse. L’uomo tastò con due dita i frammenti di carta, avvicinandoli a formare una sola massa compatta.                                                                                                                                          
«E con queste che vorresti farci, ser Bartimore di Fondocupo?» chiese.                                                                             
«Intendo gareggiare al torneo. Purtroppo questo è quel che è rimasto della missiva del mio signore, ma posso assicurarti che è stata vergata dalla mano di Dalton Kordrum, il Sole del Sud, signore di Sette Scuri e difensore dei Verdi Confini.»            
«Tu puoi pure assicurare quel che vuoi fino a notte fonda, ser Bartimore di Fondocupo. Qui stiamo lavorando, e non è consentito richiedere di essere spostati nella lista regale senza un dovuto consenso.»                                                                                
«Il consenso c’è» disse Bart. «Ed è questa lettera. O quanto ne rimane.»                                                                                                
«Il consenso non c’è, dico io». L’uomo si fece più sfrontato del necessario e parlò con un tono di voce molto più tediato. «Vedi di accontentarti delle liste comuni se vuoi partecipare, o tornatene da dove sei venuto.»      
«Questo non è corretto» pronunciò Bart. «Posso far testimoniare Ortys Wysler, signore di Ardua Scogliera. Lui sa chi sono e sa chi mi ha delegato e perché.»                                                                                                                                  
«Nessuno può garantire per nessuno. Il torneo di Roshby è un avvenimento molto delicato ed importante allo stesso tempo: non è consentita la partecipazione di cavalieri inesperti nella lista regale. Vorrai scusarmi, ser, ma dovrai accontentarti; non ho scritto io le regole.»  
«Ho viaggiato per settimane pur di arrivare qui, da solo e sotto il sole cocente. Non è colpa mia se la missiva è arrivata in queste condizioni.»                                                                                                                                              
«Be’, non è neppure colpa mia». L’amanuense, insospettito da quelle parole, diede uno sguardo alla carta strappata e la esaminò con una rapida occhiata. «Ebbene, ser Bartimore di Fondocupo. Se tu fossi in me, un uomo che ha una responsabilità tanto elevata, accetteresti questo ammasso di carta distrutta? Accetteresti la partecipazione di un cavaliere sconosciuto, anonimo, alle liste regali? Lo faresti?»                                                                                                                      
Probabilmente no”. «Sì» disse secco Bart. «Ti ripeto che Dalton Kordrum ha scritto questa lettera. Ha delegato me per combattere in sua vece. Perché avrei dovuto fare tutta questa strada e tutta questa fila con un’epistola in mano, altrimenti?»        
«Per avere l’onore di gareggiare con i più celebri signori e cavalieri dell’epoca in cui i nostri genitori ci hanno messo al mondo. Sai in quanti lo fanno? Sai quante persone tentano di eludermi?». L’amanuense si grattò il naso con la penna d’oca. «Riformulo la domanda: se tu fossi me ed io fossi te, accetteresti questa… missiva?»                                           
«Sì, l’accetterei. So riconoscere un cavaliere onesto e sincero quando lo vedo. E questo perché anch’io lo sono.»                
«Male, molto male.» biascicò l’amanuense. «Ringraziamo le Grazie per aver fatto sì che io sia me e tu sia te, allora. Vedi in che disastro avresti cacciato il torneo, in tal caso?»                                                                                                                                                    
Bart s’incupì e l’amanuense parve notarlo fin troppo bene. «Oh, suvvia, ser Bartimore di Fondocupo, non restarne umiliato, dopotutto le liste comuni non sono poi così male. Credo tu abbia anche la stoffa per vincere tutti quelli che finora si sono proposti: scudieri, contadini, fattori, muratori. Oh, e c’è anche un aedo, uno di quelli tosti, s’intenda. Lo chiamano Pinky il Giallo, e dicono combatta con l’arpa e le corde della sua cetra.»                                                                                                                                                                            
«Non m’interessano quelle liste.» ribatté Bart con fare scontroso. Poi gli balenò alla mente la nobile frase del suo signore. “Consegna quella missiva a Wolbert Dorran. A lui soltanto”.  Rammentava ancora il tono sfinito di Dalton Kordrum nel suo letto di morte, le lenzuola ricoperte di aceto ed acqua, gli impacchi di cotone e seta bollente sulla fronte… e le macchie rosse sul suo viso, lungo le sue braccia, lì pronte a succhiare il suo sangue come pipistrelli nella più oscura spelonca. Era ciò che andava fatto, si disse, qualsiasi cosa fosse rimasto della lettera. «Dove posso trovare Wolbert Dorran?»                                                                                          
«Il castellano non farà miracoli. La sua parola, qui, vale molto meno di quella mia. E la mia vale tanto, sappilo. Non sono certo seduto qui per un brutto scherzo del destino… il mio posto è stato sudato duramente.»                                                                                        
«Non sono venuto qui a discutere di quanto valga la tua parola, signore». Bart lo rimproverò con lo sguardo, e lo stesso fece anche l’amanuense che aveva lasciato cadere la penna sulla pergamena. «Dimmi dov’è che posso trovarlo e poi me andrò.»                        
«Lo trovi nella sua torre. Lui sta sempre là a rimuginare sugli eventi e sulle catastrofi che si abbattono su noi uomini poveri ed innocenti. Vedi di non disturbarlo troppo per queste tue sciocchezze irrisolvibili.»                                                                                                  
Bart si alzò dallo sgabello e riafferrò i vari pezzetti di carta che aveva posto sulla scrivania. L’amanuense lo fermò prima che uscisse esclamando il suo nome, le braccia incrociate al petto.                                                                                                                 
«Hai le mani grandi e la parlantina svelta. Il tuo viso è lo stesso di chi lavora i campi, ser Bartimore di Fondocupo». L’amanuense ridacchiò in modo sfarzoso. «Sei sicuro di non voler tornare ad afferrare il tuo aratro? Ti vedrei meglio con quell’oggetto tra le mani. D’altronde, non vedo neppure la tua spada. Dove sono finiti i costumi cavallereschi che imponevano l’utilizzo delle armi a tutti i più buoni uomini votati?»                                                                                                                                                                                      
«Oh». Bart sbuffò sonoramente. «Anche tu hai le mani grandi e la parlantina svelta. Quel che ci distingue, però, è che quantomeno io ho avuto la decenza di non paragonarti al giullare di corte di Dalton Kordrum.»                        
«Questa voleva essere un’offesa?» domandò l’uomo. «Corri pure da Wolbert Dorran, ser Bartimore di Fondocupo. Di Fondocupo… un nome ed una garanzia! Poi torna, mi raccomando, se avrai la faccia tosta per farlo, ma portami una canzoncina decente quando avrai scoperto chi tra noi due è il vero giullare di questa deliziosa corte.»

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Note d'autore
Fiuh! Non credo nemmeno di esserci riuscito: questa settimana aggiornare è stato un lavoraccio incredibile, in quanto ho avuto davvero poco tempo per dedicarmi in toto alla storia (che è pronta, sia chiaro, ma che comunque richiede correzioni e qualche minuto di tempo libero pomeridiano), ma ce l'ho fatta!
Un capitolo di transizione, come avevo annunciato, che ci dimostra quanto sfortunato sia il povero Bartimore, ma soprattutto fa emergere il suo lato più testardo e sfrontato, mettendolo dinanzi ad un ometto tutt'altro che garbato. Insomma, anche Bartimore sa essere pungente se stuzzicato a lungo, una cosa che finora non avevamo avuto modo di vedere.
Vi ringrazio tutti, lettori e recensori passivi ed attivi, e mi congratulo con voi per avermi fatto raggiungere l'obiettivo di ben 100 recensioni; una cosa che non mi sarei mai aspettato. I vostri pareri mi sostengono e mi aiutano a migliorare giorno dopo giorno.
Detto ciò vi aspetto al prossimo capitolo [lunedì 10], uno spezzone della storia che sarà la base di tutta l'intera vicenda... da non perdere assolutamente, e che darà il via alla vera azione del Cavaliere e la fanciulla bionda. 
Makil_

 
   
 
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