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Autore: Xion92    10/04/2017    5 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ma quanto sarà lungo questo capitolo? Ve lo dico io. Ventidue pagine word con font 12 ed interlinea 1,5. Godetevi il capitolo e la cover nuova se non l'avete ancora vista, che ho aggiunto al capitolo 71. Io nel frattempo vado di là a prendere un ricostituente.

 

Capitolo 74 – Il quarto potenziamento

 

Per l’ennesima volta in quella giornata, Ryou tirò fuori il cellulare dalla tasca, e per l’ennesima volta controllò l’ora sul display. Le sette e mezza. Ancora poco, e quella agonia sarebbe finita.
Quel balletto che Minto stava preparando per la sera del 29 novembre aveva avuto l’effetto di rendere ancora più tesa l’aria nel locale. Erano giorni ormai che Minto, per la pressione e il nervosismo a cui questo spettacolo l’aveva sottoposta, era diventata intrattabile. Aveva sempre da ridire su tutto, ogni volta che, nei momenti di tranquillità, i ragazzi si mettevano a chiacchierare, lei riusciva a infilare in mezzo alla discussione un pretesto per litigare, durante i turni non le andava più bene niente, e ogni scusa era buona per criticare il lavoro dei suoi compagni. Anche durante i combattimenti minori – durante i quali, fortunatamente, lui non se la doveva sorbire – Minto aveva sempre da lamentarsi sull’attacco di quella o il modo di schivare di quell’altra. All’inizio Ryou aveva deciso di tenere il conto di quante volte lei e Ichigo si mettessero a litigare nel corso di una singola giornata, ma l’aveva perso dopo poche ore e aveva dovuto rinunciare.
Ma anche gli altri compagni sembravano enormemente seccati dal suo modo di fare irritabile. Soltanto Zakuro riusciva a rimetterla al suo posto quando esagerava, zittendola con poche e severe intimazioni. Ma non durava a lungo, e dopo un tempo massimo di mezz’ora Minto trovava un altro appiglio per ricominciare a discutere.
Era da una settimana buona che andava avanti questa storia, ma almeno Ryou era sicuro che, quando quel balletto fosse finalmente concluso, tutto sarebbe tornato alla normalità. Ora erano le sette e mezza. Il balletto sarebbe cominciato alle nove. Bisognava tenere duro ancora per poco.
A dire il vero il problema, quel pomeriggio, non era stata tanto Minto – che nemmeno era venuta al turno pomeridiano, visto che era dovuta andare al teatro con le sue colleghe di danza per prepararsi – quanto quel fenomeno della sua coinquilina. Lui e Keiichiro avevano chiuso il locale un’ora prima del solito per permettere ai ragazzi di prepararsi a dovere per la serata. Si sarebbero incontrati a Shibuya, davanti al teatro, mezz’ora prima dell’inizio dello spettacolo. Il problema era che Angel doveva prepararsi a casa di loro due, e qui erano incominciati i guai.
La questione dei vestiti era stata risolta velocemente, perché Ichigo, nei mesi precedenti, aveva provveduto a comprare ad Angel di tutto, anche abiti più eleganti, benché sobri e adatti allo stile della sua compagna. Il problema era stato invece un altro.
“Non puoi pensare di andare al teatro più importante di Tokyo con quegli spinaci”, le aveva detto Ryou indicandole la testa, autoritario, appena avevano chiuso il Caffè. “Perciò, dopo che ti sarai fatta la doccia, ti farai anche la piastra.”
Angel, evidentemente irritata per quel velato insulto, gli aveva chiesto: “che è la piastra?”
“L’unica cosa che potrebbe mai metterti a posto quei capelli che hai sempre disordinati”, le aveva risposto provocatorio lui.
“Angel-san, vieni in bagno che ti faccio vedere”, le aveva detto conciliante Keiichiro.
Una volta in bagno, le aveva mostrato quell’oggetto misterioso, e le aveva spiegato: “vedi? Se lo attacchi alla presa, questo ferro si arroventa, così quando ci passi i capelli in mezzo diventano lisci.”
A quel punto gli occhi di Angel si erano velati di terrore, e lei aveva iniziato a farneticare: “un ferro rovente… passato così vicino alla testa e alle orecchie?” Poi si era girata verso Ryou. “Boss, potrai dire quello che ti pare, puoi anche tagliarmi i viveri per una settimana, ma io quell’affare non lo tocco! Non m’importa se mi chiudi a chiave in camera!”
“Non fare l’idiota”, l’aveva ripresa severo lui. “Non dovrai toccare proprio niente. La piastra te la farà Keiichiro, lui è capace, e non ti brucerà la testa e le orecchie.”
“No, no, non voglio!” aveva protestato di nuovo Angel, terrorizzata, ed aveva cercato di passargli di fianco per uscire dal bagno. Ma lui l’aveva subito afferrata per il colletto della camicia.
“Dove scappi? Vieni qua!”
E dopo averla riportata fra lui e Keiichiro, le aveva detto in modo duro: “Se ad Aoyama va bene che tu esca con lui messa come sei di solito, farà pure come gli pare, scelta sua. Ma se esci con me, voglio che ti metta in una maniera decente. Tutti noi stasera andremo in un posto elegante, e ci vestiremo e sistemeremo di conseguenza. Non pretendo che anche tu ti metta in chissà che abiti distinti, ma almeno i capelli devi averli in ordine, e non voglio dovermi vergognare a portarti in giro così. Mi hai capito bene?”
Così Angel si era dovuta rassegnare, e dopo essersi fatta la doccia e asciugata i capelli, Keiichiro si era messo a cercare di piastrarglieli. Ma aveva dovuto chiamare in aiuto Ryou dopo pochi minuti, perché la ragazza, rigida, tesa e chiaramente insofferente, man mano che lui le passava il ferro sui capelli, tendeva pian piano a sgusciargli via scivolando verso la porta.
Quindi Ryou, brontolando, si era piazzato vicino a Keiichiro, e quando notava che la ragazza tendeva ad allontanarsi troppo da loro due, la riacchiappava e la ritrascinava al suo posto.

“Sei davvero bella così, Angel-san, non sembri nemmeno più tu”, si complimentò Keiichiro, asciugandosi il sudore dalla fronte, una volta finito il lavoro. “Sembri un pochino Ichigo-san quando non ha i capelli legati. Vedrai gli altri come ti faranno i complimenti quando ti vedranno!”
“Che fatica, comunque, davvero”, commentò Ryou. “E meno male che ti ci sei messo tu a fare questo lavoro. Se l’avessimo mandata dal parrucchiere l’avrebbe sbattuta fuori dopo neanche cinque minuti.”
Angel, senza dire una parola, come risposta a quelle osservazioni si portò noncurante una mano alla testa e fece per passarsela tra i capelli. Subito Ryou le afferrò il polso e le tirò giù il braccio.
“Lasciali stare”, la ammonì.
Quando finalmente arrivò l’ora di uscire, tutti e tre erano vestiti in modo diverso dal loro uso abituale. Sia Keiichiro che Ryou avevano indossato il loro smoking, il primo grigio scuro e il secondo bianco. I due uomini avevano lasciato che Angel potesse conciliare i suoi usi con una certa forma di eleganza, quindi lei si era messa un paio di pantaloni più attillati dei suoi jeans abituali, delle scarpe di vernice nera e, sopra la sua camicia bianca stirata, una giacca nera. Di accessori addosso non ne aveva; a dire il vero Ryou, qualche giorno prima, le aveva aperto la possibilità di indossare un paio di orecchini, ma appena lei aveva saputo che per metterseli avrebbe prima dovuto bucarsi le orecchie era stata travolta da un attacco di panico, così il ragazzo aveva dovuto lasciare immediatamente perdere.
Angel era abituata ad andare dovunque a Tokyo a piedi o coi mezzi pubblici, ma quella sera Keiichiro decise di prendere la macchina e arrivare al teatro come si conviene per una serata elegante.
Una volta che il più grande ebbe parcheggiato la macchina e furono scesi, Ryou si rese conto con rammarico che tutte le manovre e le fatiche fatte per sistemare i capelli della sua coinquilina erano state perfettamente inutili, perché Angel, approfittando del fatto che era seduta dietro e i suoi due amici non la potevano vedere, si era scompigliata i capelli con la mano per tutta la durata del viaggio, così che adesso erano tornati esattamente come prima, come se quel ferro rovente non li avesse mai toccati.
I loro amici invece, che già stavano davanti al teatro ad aspettarli, erano vestiti tutti eleganti, chi più e chi meno. Forse, fra tutti, solo Bu-ling era quella un po’ più sobria; Zakuro abbagliava per la sua bellezza e per la perfezione dei suoi lineamenti, tanto che sarebbe stata bene anche senza vestito elegante, gonna e stivali col tacco; Retasu eccezionalmente era venuta coi capelli sciolti e con le lenti a contatto, e si era messa un tubolare con la gonna a sirena e dei guanti bianchi che le arrivavano al gomito; Ichigo non aveva ricercato tutta quella eleganza, ma si era acconciata i capelli diversamente in modo che i codini le scendessero ondulati invece che lisci come al solito; e Masaya, come gli altri due uomini, si era limitato a uno smoking molto sobrio, che però gli dava un’aria distinta.
Al vedere gli altri ragazzi, Ryou diede una gomitata leggera sul fianco di Angel e le chiese senza essere duro:
“e allora, non hai vergogna di te stessa?”
“Neanche un po’, boss”, gli rispose lei senza esitare.
Quando anche Keiichiro, Ryou ed Angel si furono riuniti agli altri, Keiichiro propose:
“allora entriamo, che qua fuori fa freddo?”
A quelle parole Ichigo, Masaya e Zakuro si girarono a guardare Retasu, che abbassò lo sguardo imbarazzata. Bu-ling la incitò a bassa voce:
“dai, Retasu-neechan, chiediglielo!”
Allora l’interessata rialzò gli occhi e chiese al ragazzo di fronte a lei, con tono sicuro:
“Ryou-kun, volevo sapere… se posso sedermi vicino a te.”
Allora, il capo della squadra si infilò le mani nelle tasche della giacca e assunse un’aria tra il dubbioso e l’indifferente.
“Non penso proprio che sia una buona idea.”
Il viso di Retasu si velò di delusione, gli altri ragazzi guardarono Ryou con disappunto e Keiichiro gli lanciò un’occhiata nervosa.
“Se tu ti siedi di fianco a me, poi io come faccio a restare sempre concentrato sullo spettacolo?” chiese a quel punto Ryou, sempre con la sua aria indecisa, tirando fuori una mano e accarezzandosi il mento.
Gli altri lasciarono andare un sospiro di sollievo e a Retasu il viso diventò istantaneamente di un bel colore rosso vivo. Allora Ryou si mise a ridere e tese la mano verso di lei. Retasu, presa dalla vergogna, fece per tendergli la sua, ma Bu-ling, dandole una spinta da dietro, la mandò a finire direttamente contro di lui.
“Uuuuh!”, esclamarono in coro Bu-ling e Ichigo, che non erano capaci di farsi i fatti propri.
Ma nonostante questi scherzi, Retasu si riprese abbastanza bene e si tenne stretta al fianco di Ryou.

Quando fu il momento di entrare, Angel alzò gli occhi per osservare meglio il luogo dove ci sarebbe stato lo spettacolo, visto che finora, concentrata sui suoi compagni, non ci aveva prestato particolare attenzione. Si trattava di un enorme parallelepipedo bianco, molto esteso sul piano orizzontale, e dal centro di questo edificio si innhe-Control: max-age=0 Origin: h colore bianco. Chissà a cosa serviva? Forse era pieno di stanze per gli attori che si trattenevano per più giorni in quel teatro per gli spettacoli. Sul muro vicino all'entrata riuscì a leggere, con enorme soddisfazione, i kanji che dicevano Shin Kokuritsu Gekijou, Nuovo Teatro Nazionale.
Una volta dentro, mescolati a una clientela vestita in modo elegante e distinto, andarono a ritirare i biglietti che avevano già ordinato e presero posto nella platea. Ad Angel quasi girava la testa, tanto era enorme e spaziosa quella stanza. Il pavimento andava degradante verso il basso, c’erano file e file di poltroncine in velluto rosso, e in fondo un palco decorato su cui le ballerine si sarebbero esibite.
I ragazzi fecero appena in tempo a sedersi prima che le luci si iniziassero ad abbassare. Angel si piazzò nell’estremità della fila vicino al corridoio per non sentirsi soffocare, e gli altri, nella stessa fila, si accomodarono secondo i propri gusti: Masaya e Ichigo subito vicino a lei, Bu-ling, Zakuro, Keiichiro, e Ryou e Retasu dall’altra estremità.
Lo spettacolo inizialmente, per Angel fu un qualcosa di affascinante e particolare, perché l’apertura proruppe in grande stile, con una musica caratteristica e inusuale, e le ballerine, fra cui Minto ancora non c’era, iniziarono ad esibirsi in modo aggraziato. Dopo i primi dieci minuti, però, la mente della ragazza iniziò ad offuscarsi e la sua testa ad appesantirsi; lo spettacolo non era fatto altro che di musica, senza nessuna spiegazione o parte parlata e, nonostante lei sapesse la trama della storia, era davvero difficile farsi catturare dalle esibizioni di quelle ragazze. Dopo il primo impatto entusiasmante, il tutto iniziò ad assumere una piega lenta, tediosa e prolissa, e il fatto che fossero le nove di sera, l’enorme sala fosse buia e il riscaldamento acceso al massimo non aiutava. Angel appoggiò il gomito sul bracciolo della poltrona e la guancia sul palmo della mano, pestandosi ogni tanto il piede destro col sinistro.
“Angel-neechan… Angel-neechan!” sentì chiamare da molto lontano, dopo quelli che parevano essere cinque minuti.
Angel aprì gli occhi all’improvviso e la prima cosa che notò fu che le luci erano accese, sul palco non c’era più nessuno e alcuni degli altri signori che componevano la platea stavano camminando su e giù per il corridoio.
Girò la testa: Bu-ling era in piedi di fronte a lei e la guardava.
“C’è l’intervallo, Angel-neechan. Allora, non era bellissima Minto-neechan? Era la più meravigliosa di tutte, non trovi anche tu?”
“Oh, ma certo!”, rispose Angel, recuperando all’istante lucidità.
Masaya, che la fissava, sospirò e scosse la testa.

Quando si riabbassarono le luci per il secondo atto, Angel fece per riappoggiare la testa sulla mano e lasciarsi di nuovo andare al sonno, ma dopo pochi minuti rialzò il capo di scatto e iniziò a guardarsi attorno nervosamente.
“Cosa c’è, Angel?”, sentì Masaya sussurrarle nel buio.
“C’è Waffle”, gli rispose lei in un bisbiglio.
“Dove?” le chiese ancora lui.
“Non lo so. Non è qui. Avvisa le altre”, fece lei.
I guerrieri dovettero alzarsi alla bell’e meglio, cercando per quanto possibile di evitare di disturbare gli altri spettatori.
“Fa’ attenzione”, si raccomandò Ryou con Retasu mentre cercavano di uscire dalla fila.
“Tranquillo, Ryou-kun. Andiamo a controllare, ma può darsi che non sia niente. Voi restate qui”, gli rispose Retasu.
Una volta fuori dalla sala, i ragazzi poterono cominciare a parlare col loro tono di voce normale.
“Dov’è Waffle, Angel?” chiese Ichigo, nervosa.
L’interessata si guardò in giro. A sinistra c’era la biglietteria con l’uscita, a destra iniziavano i corridoi con i camerini, gli uffici e i magazzini.
“Di qua. Andiamo a controllare”, disse Angel, indicando la destra.
“Non pensate che avremmo dovuto chiamare Minto-neechan, prima di andare?” chiese Bu-ling mentre si incamminavano guardinghi per i corridoi.
“Non è necessario disturbarla per un controllo, Bu-ling. Può darsi che non sia niente di grave e che Angel-san si sia sbagliata”, le spiegò Retasu.
Dopo poco, mentre percorrevano un corridoio dritto e senza svolte, da sopra le loro teste rimbombò un rumore forte e sordo. Anzi, più che un rumore, come un potente suono di tromba profondo e prolungato. Le luci di emergenza rosse sopra le porte si accesero e, in lontananza, si iniziò a sentire un potente scalpitare, il rimbombare provocato dai piedi delle persone che scappavano, lasciando precipitosamente il teatro.
Il suono di tromba sopra le loro teste si ripeté.
“Viene da fuori!” esclamò Zakuro.
“Trasformiamoci, che è meglio!”, ordinò Ichigo.

Una volta trasformati, Mew Ichigo disse: “è meglio uscire e andare a controllare. Torniamo indietro.”
Ma, prima che potessero attuare il loro proposito, Mew Angel gridò: “Waffle!”
Un istante dopo, il ragazzo alieno si materializzò a pochi metri da loro, lungo il corridoio.
“Voi non andrete proprio da nessuna parte”, ghignò, puntando il jitte contro i guerrieri.
“Pronti a combattere, ragazzi”, incitò gli altri Mew Ichigo, materializzando la sua StrawBell Bell.
Prima però che Waffle ebbe il tempo di lanciargli un raggio elettrico, si voltò all’improvviso e parò un Ribbon Mint Echo che gli stava arrivando alle spalle.
“Mew Mint!”, gridò Mew Zakuro.
La nuova arrivata sembrava palesemente nervosa. “Brutto alieno, come ti sei permesso di interrompere il mio spettacolo? Ci tenevo molto, era da mesi che lo stavo preparando; e i miei genitori e mio fratello erano venuti a guardarmi.”
E tese di nuovo l’arco, minacciosa, verso di lui.
Waffle, preso fra due fuochi, guardò alla sua sinistra il gruppo incompleto di guerrieri, alla sua destra Mew Mint, e scoppiò a ridere.
“Vi mettete in sette contro uno e vi sentite anche forti? Oh, ma qui bisogna riequilibrare.”
Evocò un piccolo alieno para-para, insieme a varie sferette luminose.
“Fusione!” gridò, alzando il braccio.
Dalle sfere di energia scaturirono una decina di piccoli mostri pennuti, non più grossi di un pollo, che iniziarono a sfrecciare volando per il corridoio.
“Ma come sono carini!”, esclamò Mew Pudding, con gli occhi brillanti.
Waffle però, con un ghignetto perfido, diede un ordine a quei mostri con un cenno della mano. Subito quei chimeri si portarono in volo dietro Mew Mint, in modo da avere l’intero gruppo di guerrieri di fronte a loro, e iniziarono a frullare velocemente le loro piccole ali. Dopo pochi secondi si innalzò un fortissimo vento che iniziò a spingere i ragazzi all’indietro. Tutti si misero a cercare di resistere puntando i piedi, ma inutilmente.
“Come possono delle ali così piccole produrre tutto questo vento?” chiese Mew Mint, con le braccia incrociate davanti alla faccia.
Il Cavaliere Blu si era messo dietro Ichigo in modo da bloccare la sua scivolata all’indietro, ma anche lui faceva fatica a rimanere fermo sul posto. Mew Angel si era buttata a terra a quattro zampe per arginare l’impatto col vento, ma più opponeva resistenza e più la potenza della massa d’aria aumentava.
Mew Lettuce girò la testa dietro di sé e notò che, alla fine del corridoio, c’era una stanzetta, con la porta aperta, che dava a uno stretto magazzino, di quattro metri quadri. Il piano di Waffle era evidentemente quello di mandarli a finire lì dentro.
L’attacco dei chimeri durò parecchi minuti, ma, lentamente, i mostri riuscirono ad avere la meglio e, centimetro per centimetro, i ragazzi vennero spinti sempre più indietro, fino ad arrivare oltre la porta del magazzino. Mew Angel, che, essendosi stesa a terra, era l’unica ad essere riuscita ad evitare parzialmente la folata di vento, era rimasta ancora fuori, ma Waffle risolse andandole vicino e affibbiandole un colpo così forte che la scaraventò nella piccola stanza, insieme ai suoi compagni. Quando furono tutti riuniti, Waffle chiuse con violenza la porta e fece un altro cenno ai suoi chimeri. I quali, obbedienti, lanciarono dal becco un raggio rinforzante che ricoprì l’intera superficie dell’uscio.
“Ora voi state qui buoni, va bene?” gridò Waffle, trionfante, ai suoi nemici rimasti dall’altra parte. “E non cercate di uscire, tanto non c’è modo per voi di aprire questa porta. Vedrete come sarà contento mio padre, quando saprà che vi ho intrappolato tutti!”
Ma, dopo aver detto quella frase, gli venne un dubbio. Facendo due conti, quella era proprio l’ora in cui suo padre Flan si ritirava per la preghiera della sera, e Waffle sapeva bene che non voleva essere disturbato. Strinse il pugno per la rabbia, visto che l’unica cosa che gli restava da fare era aspettare che avesse finito, prima di andarlo a chiamare. Doveva per forza fare così. Sapeva che non sarebbe mai stato in grado di occuparsi da solo di quei sette guerrieri. Fuori da quell’edificio si stava muovendo un grosso chimero di quelli più forti, ma Waffle sapeva di avere un controllo limitato su di lui. Non era detto che, se gli avesse ordinato di attaccare le Mew Mew, lui gli avrebbe obbedito. E inoltre, sì, prima di ucciderli voleva sentire delle parole di approvazione dalla bocca del suo genitore, voleva sentirsi dire da Flan quanto era stata geniale la sua idea e quanto finalmente gli avesse dato soddisfazione come figlio.
“E va bene, se ci sarà da aspettare, aspetterò”, scrollò infine le spalle. Però, prima di teletrasportarsi, puntò il jitte contro i piccoli chimeri pennuti lì vicino a lui.
“Voi non mi servite più”, sentenziò con voce gelida.

“Waffle! Waffle, maledetto te e chi t’ha fatto, apri questa porta!” gridava Mew Angel dall’interno, battendo il pugno contro il portone rinforzato.
Gli altri avevano rinunciato da tempo a cercare di forzare l’entrata. Tutti avevano tentato, coi loro attacchi, di abbattere la barriera di energia, ma invano. Fra tutti, solo il Cavaliere Blu avrebbe forse avuto qualche possibilità, ma la stanza in cui erano rinchiusi era troppo piccola e stretta e non gli era possibile usare la sua spada. Le ragazze avevano provato ad usare i loro ciondoli per contattare Ryou, ma da quella prigione la comunicazione era bloccata e non gli era possibile stabilire alcun tipo di contatto con l’esterno. Si erano allora allontanati tutti dalla porta per cercare di riflettere e trovare una soluzione, solo Mew Angel ancora non si era arresa.
“Waffle, ti giuro, io da qui prima o poi esco, e quando esco ti apro come un coniglio! Sì, ti apro come un coniglio!” gridò ancora, rabbiosa, tenendo le orecchie appiattite sulla testa.
Gli altri ragazzi, o appoggiati al muro o seduti sulle casse, tirarono un sospiro e non dissero nulla. Ma Mew Mint, che stava nervosamente in piedi in mezzo al pavimento, sbottò:
“la vuoi finire una buona volta?!”
“Oh, scusami se non mi sono rassegnata all’idea di rimanere qui dentro, scusami, eh”, le rispose sarcastica Mew Angel, senza nemmeno voltarsi e mantendosi aggrappata alla porta.
“Smettila subito di gridare!” alzò all’improvviso la voce l’altra. “Razza di incivile! Smettila immediatamente!”
Stavolta Mew Angel voltò di scatto la testa. “…che hai detto?” chiese con voce gelida.
“Hai capito benissimo! Smetti di comportarti in questo modo, adesso!” ripeté alterata Mew Mint.
Mew Angel, senza distoglierle gli occhi di dosso, si staccò lentamente dalla porta e girò il corpo verso di lei. Gli occhi le fiammeggiavano, ma non disse niente.
“Noi qui stiamo cercando di trovare un rimedio a questa soluzione! E tu cosa fai, invece? Coi tuoi modi volgari e barbari, non fai che distrarci! Sei sempre stata così, dal primo momento che ti abbiamo accolta fra noi. Ed io non ne posso più, sono stufa! Ma perché non fai la prima cosa buona che tu abbia mai fatto da quando sei arrivata e non torni da dove sei venuta?” per l’emotività, il corpo le tremava e le erano venute le lacrime agli occhi.
“Ora ascoltami bene”, replicò Mew Angel andandole sul viso, aggressiva, abbassando ancora di più le orecchie e raddoppiando il volume della coda. “Fin dall’inizio non ti è mai andato bene quello che facevo. Sia come lavoro, sia come combatto, sia per tutto. E questo solo perché non mi comporto e non parlo come piace a te, e forse perché sono un po’ più emotiva di te. E ogni volta hai sempre qualcosa da ridire per mettermi in difficoltà. Ma chi ti credi di essere?! Solo la mia leader e il mio boss possono permettersi di dirmi quello che devo fare, non certo te! Te sei esattamente uguale a me, non mi sei superiore solo perché sei nella squadra da prima. Io ti sto antipatica? L’ho capito benissimo da tempo. Ebbene, anche te mi stai antipatica. Sì, non ti sopporto, ecco! Va meglio, ora?”
I loro compagni erano rimasti atterriti, ma Mew Zakuro si mise in mezzo e le separò con forza.
“Finitela subito, voi due!” ringhiò minacciosa.
Allora le due litiganti si ritirarono sdegnosamente nel loro, a braccia conserte e tenendosi con una spalla appoggiata alla parete, evitando nel modo più assoluto di incrociare lo sguardo dell’altra.
Mentre stava infuriando il litigio, Bu-ling, invece di stare a sentire, non aveva fatto altro che aggirarsi per la stanza a quattro zampe, annusando in tutti gli angoli e tutte le casse del materiale ammassate. Ancora adesso, a litigio concluso, non aveva smesso.
“Mew Pudding, cosa fai?” chiese Mew Lettuce, con voce nervosa.
Quando fu arrivata ad annusare il lato di una cassa di legno, Mew Pudding agitò la coda un paio di volte e si mise a spingerla per spostarla. Gli altri, che la fissavano curiosi, rimasero sbalorditi quando videro, sul muro prima coperto, un foro di modeste dimensioni.
“Guardate! Guardate! Il tubo di aerazione! Amici, ma chi è Bu-ling?!” esclamò la bambina vantandosi, battendosi la mano sul petto.
“I miei complimenti, Mew Pudding!” esclamò Mew Ichigo, accorrendo ed esaminando il buco. Non c’erano grate a coprirlo. “Di qui possiamo uscire!”, esclamò.
“Non credo, Mew Ichigo”, obiettò il Cavaliere Blu avvicinandosi. “Questo buco è molto stretto, non riuscirei certo a passare.”
“Neanch’io”, si aggiunse Mew Zakuro.
“E neanch’io”, incalzò Mew Lettuce.
“Ma non possiamo lasciare voi tre qui”, decise Mew Ichigo. “O andiamo tutti insieme o niente!”
“Ma una di quelle che può passare può uscire da sola e trovare il modo di aprire la porta”, propose Mew Lettuce.
“Ci pensa Bu-ling!” si batté il petto la più piccola. “Vedrete, tempo dieci minuti e sarete fuori!”, e fece per buttarsi a capofitto nel foro.
“No, aspetta!” scattò all’improvviso Mew Angel e, afferrando la bambina già dentro a metà per la coda, la tirò fuori a forza. “Ascoltate”, invitò gli altri orientando le orecchie in avanti.
Tutti quanti rimasero in silenzio, attenti. E di nuovo quel forte e prolungato squillo di tromba si ripeté.
“Quel rumore c’era anche prima. C’è un mostro là fuori”, disse Mew Angel.
“Beh, e che problema c’è, Angel-neechan?” risolse Mew Pudding alzando le spalle. “Bu-ling eviterà quel grosso mostro senza problemi.”
“Visto che questo mostro è apparso nel quartiere, di sicuro avranno spento tutte le luci. Ci sono chimeri che hanno una vista ottima. Chi esce fuori non deve avere vestiti dai colori vistosi, o verrà notato subito”, spiegò Mew Angel.
“Questo è vero, Angel-neechan”, ammise Mew Pudding grattandosi la testa. “La divisa gialla di Bu-ling si vede un chilometro lontano…”
“Anch’io ce l’ho di un colore troppo acceso”, aggiunse Mew Ichigo. “Ma allora chi può…?”
“Vado io!” si sentì una voce alle loro spalle. Mew Mint, che fino ad allora non aveva detto nulla, si staccò dal muro e si avvicinò alla parete col buco.
“Mew Mint… ti offri volontaria per andare a cercare un modo per liberarci?” le chiese incredula Mew Ichigo.
“Sì. Meglio andar fuori nel pericolo che dividere questo cubo con certi elementi”, rispose asciutta Mew Mint senza far nomi. “Non dovrei metterci molto”, disse a Mew Ichigo, e la leader annuì.
Mew Mint allora si infilò a quattro zampe nel condotto, e il resto del gruppo rimase in attesa.

Passava il tempo in modo indefinito in quella stanzetta claustrofobica,  senza che nulla cambiasse per i sei prigionieri rimasti. Si erano tutti seduti contro il muro, a testa china e i nervi in tensione, tenendo l’orecchio teso se per caso la loro compagna non fosse appena lì fuori a sbloccare la porta. Ma i minuti passavano e tutto rimaneva uguale.
Mew Ichigo sentiva sempre più forte nel cuore la sensazione che a Mew Mint fosse successo qualcosa che le stesse impedendo di attuare il loro piano. Quando la tensione divenne insopportabile, si alzò in piedi. I suoi cinque compagni volsero lo sguardo verso di lei, attenti.
“C’è qualcosa che non va. Certamente le è successo qualcosa”, sentenziò con tono grave.
Gli altri guerrieri annuirono con l’incertezza negli occhi e, a quel punto, anche Mew Angel si alzò in piedi.
“Vado anch’io. Vado a cercarla.” annunciò. “La mia divisa e i miei capelli sono neri, il mostro non mi vedrà.”
Gli altri la guardarono sbalorditi, e Mew Pudding obiettò: “ma come, Angel-neechan? Se prima siete state sul punto di arrivare a picchiarvi…”
“Lo so, eravamo molto nervose, tutte e due”, la interruppe Mew Angel. “Ma non ha senso bisticciare fra noi. Il nostro vero nemico è solo Flan.”
A quelle parole, Mew Ichigo, che anche lei aveva fissato la sua compagna quasi incredula, a quel punto sciolse la sua espressione in un sorriso d’approvazione e privo di stupore.
Mew Angel si rivolse direttamente a lei: “vado da sola. Che nessun’altra mi segua mentre sono fuori. Restate tutti qui, vedrete, scoprirò quello che è successo e verremo a liberarvi.”
E, senza aspettare il consenso di Mew Ichigo, infilò testa e spalle dentro il buco.
“Sei sicura di passarci? Hai le spalle un po’ troppo larghe”, disse il Cavaliere Blu dietro di lei.
“Fa’ una cosa, Mew Angel: togliti quella sciarpa, meno cose hai addosso e meglio riuscirai a passare”, aggiunse Mew Ichigo.
Mew Angel tolse la testa dal buco e la guardò, incerta ed evidentemente combattuta tra il desiderio di obbedirle in modo incondizionato e l’affetto che provava per quell’indumento. “No, leader, la mia sciarpa non la lascio”, disse stringendosi con una mano la stoffa blu intorno al collo.
“Dai, te la terrò io. Te la restituirò dopo, quando ci rivedremo”, insisté Mew Ichigo, tendendole la mano.
Allora Mew Angel, riluttante, si svolse la sciarpa dal collo e gliela porse. Solo allora Mew Ichigo si rese conto di quanto in realtà la divisa della sua compagna stonasse con la loro, lei che aveva il collarino ma non quel ciondolo dorato che serviva ad attivare la trasformazione.
Appena consegnata la sua sciarpa, Mew Angel si rimise a quattro zampe e riuscì ad infilare prima il collo, poi le spalle e infine il resto del corpo.
“Contiamo su di te!”, gridò Mew Ichigo nell’apertura.
“Fa’ attenzione, mi raccomando!” le fece eco il Cavaliere Blu.
“Dì un po’, Ichigo-san, non te ne sei accorta?” le chiese Mew Lettuce con un risolino.
“Di cosa?” chiese stupita Mew Ichigo, guardandola.
Mew Lettuce accennò con la testa al foro nel muro. “Lei ha dato a te, la sua leader, gli ordini.”
“Hai ragione”, riconobbe Mew Ichigo. Poi ripensò a quello che Mew Angel aveva detto prima: non ha senso bisticciare tra noi. Il nostro vero nemico è solo Flan.
‘Avevo avuto ragione, su di lei’, concluse soddisfatta tra sé e sé, appoggiandosi di nuovo al muro.

‘Avanti… avanti…’ si ripeteva nella mente Mew Angel, mentre avanzava a gattoni per quello stretto tubo. Era difficile. Le ginocchia e le spalle, a forza di strusciare contro la superficie ruvida, le dolevano, ed era sicura che stessero anche sanguinando. Ma non aveva tempo né modo di fermarsi a verificare. Aveva un solo pensiero in mente: trovare la sua compagna dispersa. Si stava sentendo molto a disagio, senza la protezione della sua preziosa sciarpa. Non c’era mai stata una volta, da quando era diventata grande, che aveva combattuto senza. Senza quel pezzo di stoffa blu al collo, si sentiva quasi nuda.
Alla fine, dopo un camminare infinito per quel percorso buio, scorse una luce filtrare. Il tubo terminava con una grata, ma al di là c’era la città. Arrivata a destinazione, la ragazza piantò una delle ali della sua Angel Whistle tra le fessure della griglia, e facendo forza sul bastone riuscì a scardinare la barriera. Spinse più in là quell’inferriata e sporse la testa.
Esattamente come aveva previsto: il quartiere di Shinjuku era completamente deserto e le luci spente; non c’era più un’anima viva in giro. Uno spettacolo inquietante. Mew Angel si trascinò fuori dal tubo infisso nel muro e si alzò in piedi. Fu allora che sentì di nuovo quel rombo tedioso provenire dal cielo, ed alzando gli occhi scorse una figura alata stagliarsi contro la luna. La vedeva piccola perché volava alta, ma calcolò che fosse grossa in realtà come un palazzo di tre piani.
Ecco perché non c’era più nessuno. Di sicuro tutte le persone erano scappate da quella zona e si erano rifugiate nei quartieri intorno, in attesa che al chimero ci pensassero le Tokyo Mew Mew. Succedeva sempre così.
Ora bisognava trovare Mew Mint. Chissà dov’era finita? Mew Angel iniziò a percorrere il perimetro del teatro, chiamando sottovoce il nome della sua compagna.
Ad un tratto trasalì: il grosso chimero, con un battito d’ali, stava iniziando a ridiscendere. Forse l’aveva sentita? La ragazza, senza perder tempo, si addossò schiena contro il muro, che in quel momento era in ombra, e rimase immobile e in silenzio. Dopo poco, il mostro atterrò vicino a lei, e Mew Angel lo poté vedere bene: si trattava di un gigantesco cigno dal piumaggio nero, con il becco e le zampe rosse. Anche gli occhi erano infuocati, e sembrava possedere un’ottima vista.
Il chimero girò sospettoso gli occhi nel punto in cui stava lei, scrutando il muro perplesso ma con grande attenzione. Mew Angel era spalmata contro la parete, non osava neppure respirare. Il cigno fissò la zona in cui era appoggiata a lungo, indeciso. Ma alla fine lasciò perdere e spiccò di nuovo il volo, generando una grossa folata di vento e tornando a stagliarsi contro il cielo.
Mew Angel allora lasciò andare un profondo sospiro, sentendo che le gambe le cedevano. Non osava neppure immaginare cosa sarebbe successo a Mew Ichigo, se fosse stata al posto suo: il mostro l’avrebbe notata subito, con quella divisa così brillante e accesa. E non osava nemmeno pensare a cosa sarebbe successo a lei se si fosse trovata in quella identica situazione l’anno prima: si sarebbe scagliata senza ragionare su quel chimero, senza rendersi conto del pericolo, andando incontro a una morte certa, di sicuro.
“Mew Mint… Mew Mint…” riprese a chiamare sottovoce, continuando a percorrere il perimetro e tenendosi addossata al muro. Percorse in questo modo quasi tutto il teatro, senza trovarla. Dove poteva essere finita? Non avrebbe mai osato tornare dalla sua leader a mani vuote, questo era certo come la morte.
“Qui… sono qui”, sentì rispondere quando ormai era tornata al punto di partenza.
“Mew Mint… dove sei?” chiese ancora Mew Angel.
“Qui.”
Mew Angel scrutò meglio la parete più avanti e vide che in essa c’era una parte più infossata in cui Mew Mint si era riparata, ed ora stava rannicchiata.
“Sbrigati, ci entri anche tu”, le intimò la Mew Mew blu. “Sei da sola?”
“Sì.” Una volta che fu di fianco a lei, Mew Angel le chiese: “che succede? Qual è il problema?”
“Il problema”, le spiegò l’altra. “È che le entrate per il teatro sono state tutte sbarrate. Io potrei sfondare le porte, ma se lo facessi il chimero lassù si accorgerebbe di me.”
“L’hai visto, no? Era lui che faceva quel rumore”, incalzò Mew Angel.
“Sì. È il mio. Ne sono sicura”, aggiunse decisa Mew Mint.
“Veramente?” chiese a occhi spalancati Mew Angel.
“Sì. Ma non posso affrontarlo da sola. Ho trovato una porta che non è stata sbarrata, si trova verso la cima di questo palazzo”, ed indicò il grattacielo bianco che partiva dal centro del teatro. “È una di quelle entrate fatte apposta per chi deve fare manutenzione. Però… guarda lassù.”
Mew Angel guardò, e appena vide quello che la sua compagna le indicava abbassò le orecchie e sollevò il labbro scoprendo i denti.
“Quel bastardo…” ringhiò scorgendo Waffle che stava seduto sul bordo dell’edificio, mentre scrutava il panorama sottostante.
“Esatto”, annuì Mew Mint. “La porta non è tanto lontana da lui. Se vado lassù mi vedrà di sicuro.”
Mew Angel abbassò lo sguardo, tesa, e agitò un orecchio un paio di volte.
“Allora ascolta. Ecco cosa faremo”, disse infine a Mew Mint. “Ci dividiamo. Io uscirò da questo buco e andrò incontro al bastardo sul tetto. Lo terrò occupato quanto più possibile, e nel frattempo te potrai avvicinarti alla porta senza che ti veda.”
“Ma sei matta?” chiese incredula Mew Mint. “Quell’alieno potrebbe ucciderti, anzi, lo farà di sicuro.”
Mew Angel però scosse la testa. “Non lo farà. Fidati, io lo conosco molto bene, e so come devo prenderlo. Non mi attaccherà, di questo sono sicura.”
Mew Mint la fissò senza dire niente, e Mew Angel insisté, in tono convincente e sorridendole determinata: “esco prima io. Aspetta dieci minuti, poi esci anche te e va’ a liberare gli altri. Ci vediamo dopo.”
Allora anche Mew Mint le rivolse un sorriso d’intesa, annuì e le mostrò il pugno col pollice alzato. “Buona fortuna, Mew Angel!”
Una volta separata dalla sua compagna, Mew Angel corse più velocemente che potè, tenendosi attaccata al muro per non farsi vedere, e arrivò sul retro del teatro; da lì, Waffle doveva darle le spalle, a meno che non si fosse girato. Con pochi salti, aggrappandosi agli stretti davanzali delle finestre, arrivò in cima. Il suo piano all’inizio prevedeva che, appena giunta sul tetto, avrebbe attirato l’attenzione di Waffle immediatamente, ma cambiò idea appena ebbe esaminato la situazione effettiva. Waffle era una decina di metri di fronte a lei, seduto sul bordo del grattacielo, lasciando spenzolare i piedi nel vuoto. La ragazza, al vederselo lì così, che non si era accorto della sua presenza, si sentì impossibilitata a resistere e fece un ghignetto furbo, leccandosi il labbro superiore. Poi, in punta di piedi, iniziò ad avvicinarsi a lui.

Waffle, seduto sul ciglio del baratro, fissava con aria annoiata la città in parte buia sottostante. Ogni tanto alzava gli occhi verso il chimero che volava nel cielo. Aveva provato a comunicare con lui, ma evidentemente quello si riteneva troppo potente per abbassarsi a stabilire un contatto.
“Che noia!” sbuffò il ragazzo. Quanto tempo mancava alla fine della preghiera di suo padre? Forse una mezz’ora. Doveva tenere duro. Tanto quei terrestri non sarebbero andati da nessuna parte.
Stava per lasciarsi cadere sdraiato all’indietro, quando accadde qualcosa che lo portò quasi all’infarto: sentì un forte “buh!” gridato proprio dentro il suo orecchio, così, invece di cadere all’indietro, cadde all’avanti, riuscendo però ad evitare di oltrepassare il bordo aggrappandosi all’angolo del palazzo.
Appena ebbe controllato chi fosse quel figlio d’un cane che aveva osato tanto, rimase sbalordito: Angel era a poca distanza da lui, in piedi sul tetto, e non riusciva quasi nemmeno a respirare da quanto rideva. Rideva, e intanto con una mano si teneva la pancia, e con l’altra si copriva gli occhi pieni di lacrime.
“Ma… ma cosa…?” ansimò il ragazzo, rimettendosi in piedi di fronte a lei. “Come fai tu…? Cioè, tu eri laggiù, io ti ho vista…”
“Lo so”, rispose lei, calmandosi a fatica. “Però sono uscita, perché mi ero stufata di stare là dentro.”
Waffle era totalmente interdetto. “Tu… tu… ma sei da sola? O anche i tuoi compagni sono scappati?”, chiese sospettoso.
“No, qui ci sono solo io”, rispse Mew Angel tranquillamente.
Waffle si grattò una tempia, indeciso; non sapeva cosa pensare. Sapeva che Angel non era una che mentiva, ma sapeva anche che qui poteva voler dire qualunque cosa. Mentre rifletteva, sentì uno sbatter d’ali sopra la sua testa. Alzò gli occhi: il chimero aveva visto Mew Angel e si stava dirigendo in picchiata verso di loro per colpirla.
Waffle sentì un moto di ribellione. Detestava quella terrestre come nemmeno lui sapeva cosa, ma era sicuro di questo: se lei fosse morta, sarebbe stato per mano sua, non di un chimero. Quindi, mentre il mostro scendeva in picchiata, fece un gesto con la mano, non sapendo nemmeno se sarebbe servito a qualcosa. Incredibilmente, il mostro notò il suo cenno e fermò la picchiata. Sbatté le ali un paio di volte e riprese il volo, ignorando i due ragazzi.
Waffle sospirò. Bene, eccola lì la sua avversaria. Quale migliore occasione per scagliarlesi contro? Ma, mentre tendeva i muscoli, colse ancora una volta quella strana luce brillarle negli occhi fieri, e ancora una volta sentì quello sgradevole brivido scuotergli la spina dorsale. Non poteva assolutamente attaccarla. Odiava ammetterlo a se stesso, ma quella sensazione misteriosa che gli prendeva quando fissava lo sguardo nel suo non era altro che paura. Waffle si rendeva ben conto che Angel non era più l’impulsiva e inesperta ragazzina che aveva combattuto quella volta nel bosco, tanto tempo prima. Era cresciuta, era diventata una combattente forte e consapevole delle proprie abilità e capacità, e se l’anno prima lui la vedeva chiaramente come un essere debole e di gran lunga inferiore a lui, ora era arrivata ad incutergli timore. Allora sarebbe stato capace di ucciderla in pochi minuti, ora invece non era sicuro di poter avere la meglio su di lei tanto facilmente, se l’avesse affrontata. Non poteva mettersi a combattere contro Angel, altrimenti se ne sarebbe accorta; lei ancora non sembrava essersi resa conto che ormai in realtà lo equiparava in potenza. Ma se si fossero messi a lottare, lo avrebbe constatato, e sarebbe stata anche capace di approfittarsene. Ma tanto era inutile fare congetture: se non l’avesse attaccata lui per primo, lo avrebbe fatto lei. Quindi evocò il suo jitte e si mise in posizione da battaglia, sicuro che si sarebbe scagliata da un momento all’altro contro di lui.
Invece, con sua grande sorpresa, Angel non lo attaccò. Anzi, si stiracchiò pigramente, mantenendo poi il corpo rilassato.
“Ma cosa vuol dire?” chiese interdetto Waffle. “Non mi attacchi?”
“No, non ti attacco”, rispose Mew Angel, senza aggressività nella voce. “E sai perché? Non ne ho voglia.”
Questa era bella. Angel lo odiava almeno quanto lui odiava lei, lo sapeva benissimo. Come poteva non aver voglia di attaccarlo?
“Insomma”, esclamò burbero. “Allora perché sei venuta fin qua?”
“Per tenerti compagnia. Mi ci vuoi?” chiese affabile lei.
Waffle non sapeva cosa pensare. “Cosa fai, la commedia?! Attaccami, senza fare tante storie!”
Lo sguardo di Mew Angel si indurì appena, assumendo un cipiglio sdegnato. “Io sono una guerriera onorevole. Prendo ordini solo dalla mia leader e dal mio boss, non dal primo alieno che passa. Ho deciso di non attaccarti, e non ti attaccherò.”
E, lasciandolo perdere per un momento, si diresse verso il bordo del palazzo e si sedette nella stessa posizione in cui stava Waffle prima, lasciando le gambe spenzolare nel vuoto.
Waffle si sentiva furioso. Aveva l’impressione che lo prendesse in giro. Ma non gliel’avrebbe data vinta così facilmente. Si trovava bloccato in quella situazione. Lui non poteva attaccarla, lei sembrava voler fare altrettanto, quindi non c’era molta scelta: non poteva far altro che stare al suo gioco.
Quindi si sedette anche lui, avendo ben cura di sistemarsi il più lontano possibile da quella terrestre.
“Cerca di starmi distante, almeno. Mi fa schifo anche solo pensare di respirare la tua stessa aria”, le gridò dal punto in  cui era.
“Eh, addirittura” rispose Angel. “Ma se sei cinque metri più in là.”
Waffle, indispettito, aggrottò le sopracciglia. “Questi sono quattro metri.”
“Cinque”, insisté Mew Angel girando il busto verso di lui.
“Quattro!”
“Va bene, quattro”, annuì infine Mew Angel . “…e mezzo”, aggiunse però subito dopo.
Il ragazzo digrignò i denti sotto le labbra serrate, ma non rispose. Non sarebbe caduto così in basso da mettersi a discutere con lei di simili stupidaggini. Perciò rimase in silenzio, fissando il panorama notturno davanti a sé, chiedendosi come sarebbe andata a finire quella situazione. Non sapeva neppure cosa stesse facendo Mew Angel in quel momento. Non si sarebbe girato a guardarla, questo era certo.
All’improvviso, udì un suono scrocchiante perforargli il timpano. Sentì le gambe ammollarsi e la colonna vertebrale paralizzarsi. Nonostante avesse giurato di non voltarsi, girò all’istante la testa per vedere cosa stesse combinando quella ragazza.
Mew Angel, con aria noncurante, si era afferrata un dito della mano sinistra con la destra, e lo aveva tirato producendo quel rumore che lo aveva fatto sobbalzare. Waffle, col sudore alla fronte, si morse il labbro inferiore e girò di nuovo la testa avanti, fingendo indifferenza. Secondo scrocchio. Waffle strinse le mani a pugno e iniziò a digrignare i denti. Terzo scrocchio. Waffle appoggiò con forza le mani sulle cosce e strinse la stoffa dei pantaloni, riuscendo anche a graffiarsi la pelle sotto. Quarto scrocchio.
“Smettila!” gridò infine, non potendone più, voltandosi verso di lei. E quello che vide lo fece raggelare. Mew Angel aveva chiuso la mano sinistra a pugno e ci aveva avvolto attorno la mano destra. Al grido del ragazzo aveva interrotto la sua operazione e ora lo fissava con aria perplessa.
“No... non farlo, non ci provare nemmeno…” cercò di fermarla Waffle, col terrore nella voce.
Senza smettere di guardarlo e senza mutare espressione, Mew Angel premette la mano destra sul pugno sinistro, provocando uno scrocchio ben più forte dei precedenti.
Waffle sentì i brividi percorrergli ogni centimetro del corpo, si afferrò le orecchie e le tirò verso il basso, lasciandosi sfuggire imprecazioni fra i denti.
“Ti alteri per così poco, Waffle?” sentì la voce di Mew Angel, che si stava trattenendo dal ridere.
“Lo hai fatto apposta! Lo sai benissimo che è un rumore che mi da fastidio! Anche da piccola me lo facevi sempre!” ribatté lui, accusatorio.
“Sì, può darsi”, rispose Mew Angel, che stava iniziando a ridacchiare. “Pensavo però che con gli anni fossi migliorato. Ti ho voluto testare.”
“Ah sì? Beh, io non sopporterò lo scrocchio, ma tu non sopporti il solletico, me lo ricordo benissimo!” disse ancora Waffle, trionfante.
“E come fai a sapere che non ho imparato a sopportarlo?” rispose lei, con aria saputa.
“Non lo posso sapere…” dovette ammettere lui. “Non posso mica venire lì a fartelo.”
“Invece, un’altra cosa che te non hai imparato a sopportare, sono gli spaventi alle spalle. Ti ricordi di quando quella volta nel bosco, da piccoli, non mi avevi visto arrivare e ti ho sorpreso da dietro? Hai fatto un salto che ancora mi viene da ridere, se ci penso”, ricominciò a ridacchiare lei.
E Waffle, a sentire quel vecchio ricordo, ebbe una reazione che non avrebbe mai potuto pensare di poter avere, parlando con quella donna: iniziò a ridere anche lui, di gusto, non una di quelle risate sadiche che spesso faceva durante i combattimenti.
“Ehi, da quanto non ti sentivo ridere così?” chiese amabilmente Mew Angel.
A quelle parole, Waffle soffocò il sorriso, e si finse indifferente. “Beh, ogni tanto ci vuole. La vita è una noia tremenda, sennò. Come quella volta che da piccolo mio padre mi ha obbligato a fare i due mesi di lutto dopo la morte di mia madre. Quando uno della nostra famiglia muore, per due mesi non possiamo né combattere né fare altre attività che ci distraggano dalla preghiera. Però ha aspettato che avessi dieci anni per farmelo fare, quando lei è morta ero troppo piccolo per capire.”
“Accidenti, che noia”, commentò lei. “Mi sa che ti divertivi di più a stare con me che con tuo padre.”
“Ah, questo è sicuro”, annuì Waffle, senza pensarci troppo. Subito dopo si pentì ed abbassò lo sguardo. Ma che era, impazzito?
“Sta’ sereno, Waffle. Anche per me è stato il periodo migliore della mia infanzia”, sentì che diceva la ragazza.
Riuscì ad alzare di nuovo lo sguardo. E vide un’espressione sul viso di quella donna che non aveva più visto da quando erano cresciuti: Angel gli stava sorridendo. E non era un sorriso fatto tanto per; per tanti anni non si erano più visti, ma Waffle si ricordava perfettamente le espressioni che aveva lei da bambina. E quel sorriso che gli stava rivolgendo era uno di quelli sinceri che allora gli aveva fatto tante volte. Un sorriso che, per forza di cose, non gli aveva più rivolto da quando erano diventati grandi. Allora anche Waffle, in modo naturale, sciolse la sua espressione e le fece un sorriso di rimando. Non sapeva nemmeno quanto fossero disgustose quelle creature terrestri, con quelle orecchie così piccole e rotonde, con la pelle di quella tonalità di rosa così strano e gli occhi di quei colori inquietanti. Ma lei era diversa. Lei non gli faceva schifo come gli altri uomini. Per lo meno, non ora che gli stava sorridendo così.
“Già…” si sentì di rispondere. “E siamo stati felici insieme, prima che… prima che…”
Distolse lo sguardo dal suo e si leccò le labbra secche. Non sapeva nemmeno in che situazione si stava ritrovando. In quel momento erano due specie diverse nemiche, una superiore e l’altra inferiore, una prescelta da Profondo Blu e l’altra la parte reietta della creazione, o due vecchi amici sullo stesso piano che chiacchieravano, ridevano, scherzavano e si facevano i dispetti insieme?
Per la prima volta da quando era diventato grande, Waffle iniziò a riflettere seriamente su quell’eventualità. Ma poté rifletterci poco.
“Mew Angel!” si sentì chiamare in lontananza. “Mew Angel, dove sei?”
A quella voce, Waffle, come uno schiocco di dita, sentì infrangersi quella idilliaca tregua che sembrava essersi stabilita tra loro due. Si alzò in piedi, allarmato, e guardò la sua vecchia amica. La quale pareva scioccata anche lei, come se si fosse appena risvegliata.
Dopo pochi attimi, gli altri sei guerrieri che componevano la squadra delle Mew Mew balzarono sul tetto di fronte a loro.
“Mew Mint, ce l’hai fatta…” sentì Mew Angel buttare fuori in un soffio.
Allora, sentendosi ferito, umiliato e dilaniato nell’orgoglio, puntò furioso il dito accusatore verso di lei.
“Tu! L’hai fatto apposta! Sei venuta qua per permettere a loro di fuggire!”
A quelle parole ruggite con rabbia, Mew Angel rispose rivolgendogli un sorriso dolcissimo, ma che, al contrario di quello sincero e amichevole che gli aveva rivolto prima, era fatto evidentemente per provocare.
“Beh… può anche darsi, sai?” gli disse amabilmente.
Waffle allora sentì il sangue andargli in fiamme e, evocato il suo jitte, si scagliò contro di lei deciso a non lasciarla andar via da lì viva.
Ma venne prontamente fermato dal Cavaliere Blu che, frapponendosi fra i due, bloccò l’alieno con la spada.
“Mew Angel”, fece in tempo a dirle. “Raggiungi le altre e uccidete il chimero, presto!”
“Corro!” esclamò lei, e si allontanò dai due uomini per riunirsi alle sue compagne.

“Ragazze, quel mostro ci ha viste!” gridò Mew Ichigo, indicando il cigno nero. Il quale infatti, avendo notato quel trambusto, stava scendendo in picchiata verso di loro, emettendo versi striduli dal becco rosso.
“Dobbiamo impedire che possa distruggere i palazzi!” disse ancora Mew Ichigo.
“Allora dobbiamo attaccarlo mentre vola e non lasciare che si avvicini troppo”, ipotizzò Mew Angel.
“Ci penso io!” si fece avanti Mew Mint, e spiccò il volo verso di lui. Sperava di poter fermare quel mostro scoccandogli contro una freccia, ma il cigno, quando la vide, fermò la sua discesa e, sbattendo le ali, provocò una folata di vento che la allontanò da lui. Mew Mint venne rispedita sul tetto del grattacielo dove stavano i suoi compagni, e intanto il mostro risalì per guadagnare quota e tentare una nuova picchiata.
“Dobbiamo mettergli fuori uso le ali per evitare che possa fermare l’attacco di Mew Mint”, avanzò Mew Zakuro.
“Ma se gli tarpiamo le ali, cadrà proprio sopra i palazzi. Distruggerà mezza Tokyo”, fece notare Mew Lettuce.
“Allora dobbiamo tentare un attacco combinato. Pronte?” incitò Mew Ichigo.
Il mostro, tornato a un’altezza sufficiente, si slanciò di nuovo verso le guerriere. Vide ancora una volta quella Mew Mew blu spiccare il volo e dirigersi verso di lui. Si preparò allora ad allontanarla come aveva fatto prima. Ma, nel momento in cui fermò la sua picchiata ed allargò le ali per generare una folata di vento…
“Ribbon ZaCross Pure Up! Ribbon Lettuce Rush Up!” gridarono due delle guerriere rimaste in basso, facendo partire una frusta di luce e un potente getto d’acqua verso l’ala sinistra.
“Ribbon Strawberry Surprise! Ribbon Angel Bless!” gridarono le altre due, liberando due fasci di luce, uno rosa e uno azzurro, verso l’ala destra.
Il chimero, che non si aspettava un simile piano strategico, venne colpito in pieno ad entrambe le ali ed iniziò a precipitare. Ma poco più sotto lo aspettava Mew Mint, sospesa in volo.
“Ribbon Mint Echo!” urlo, scoccando una freccia verso il mostro.
La freccia di luce trapassò il corpo del cigno da parte a parte, e il chimero, sconfitto, si dissolse, lasciando nel frattempo uscire dal becco uno straziante canto di morte.
Dal corpo del mostro si liberò una sfera azzurra, che Mew Mint assorbì con la sua MinTone Arrow.
Waffle, che stava affrontando il Cavaliere Blu poco distante dalle Mew Mew, riuscì ad assistere all’intero atto finale. Per la prima volta dopo tutti quei combattimenti, vide una sfera di luce liberarsi dal chimero; e vide una delle Mew Mew assorbirla, e il suo corpo illuminarsi per un attimo.
I sette guerrieri si riunirono sul tetto, di fronte al ragazzo alieno. Mew Angel fece un passo verso di lui, con le orecchie orientate in avanti.
“Speravi di poterci uccidere, vero, Waffle? Pensavi di aver elaborato un piano efficace. Ma noi siamo una squadra, e non potrai mai batterci finché rimarremo tutti insieme. Vattene via!” gli gridò autoritaria.
Waffle digrignò i denti, e con l'umiliazione e la frustrazione stampate negli occhi gialli, si teletrasportò.

Tornati normali e atterrati davanti al teatro, i ragazzi assistettero alle luci del quartiere di Shinjuku che una dopo l’altra si riaccendevano. Ancora una volta un’importante battaglia era stata vinta.
Ichigo era contenta. Ora avevano quattro potenziamenti, rimaneva da trovare solo il suo.
“Minto-san… mi dispiace che non tu non sia riuscita a terminare il balletto… i tuoi genitori e tuo fratello stanno bene?” chiese Masaya.
“Sì”, rispose Minto, con la voce serena. “Mi hanno avvisata per messaggio che sono riusciti a scappare. Per il mio balletto è stato un peccato, è vero… ma ho ottenuto il mio potenziamento, quindi almeno c’è stato un equilibrio.”
“E comunque Minto-neechan è stata la più bella di tutte!” esclamò Bu-ling.
“Bu-ling ha ragione, spiccavi su quel palco”, incalzò Zakuro.
“Oh, Zakuro-neesama!” esclamò Minto, arrossendo. “Il tuo apprezzamento per me vale molto di più del potenziamento che ho appena preso e di tutti gli applausi che avrei potuto ricevere.”
“E Ryou-kun e Keiichiro-san?” chiese Retasu, guardandosi in giro.
“Mi hanno avvisato tramite il ciondolo. Non sono tanto lontani da qui, presto ci raggiungeranno”, rispose Ichigo, e Retasu sospiro.
“Ehm…” si fece avanti Angel. “Mi dispiace per prima, Minto. Non avrei dovuto reagire così. Però almeno una cosa l’ho capita: potremmo anche essere diverse, io e te, ma cosa importa, se abbiamo lo stesso obiettivo e combattiamo per gli stessi ideali?”
E tese la mano verso di lei, in segno di pace. Minto la guardò incerta, poi tese anche lei la mano verso quella di Angel.
‘Ora le tira uno schiaffo’, pensò tesa Ichigo, ricordando bene il primo incontro che lei stessa aveva avuto con il secondo membro della sua squadra.
Invece, con suo grande stupore e sollievo, Minto strinse con sicurezza la mano di Angel.
“Suppongo che tu abbia ragione”, le disse. “Hai avuto un gran coraggio e prontezza di spirito andando da sola incontro a quell’alieno, Angel-dono.”
A quell’appellativo, Angel si mise a ridere di gusto, e anche gli altri si unirono a lei, divertiti da quel misto di rispetto e umorismo che Minto era stata capace di dimostrare.
“Tieni, Angel, la tua sciarpa”, le disse calorosa Ichigo, tendendole quel pezzo di stoffa tutto rovinato che nel frattempo aveva tenuto al sicuro.
“la mia sciarpa!” ripeté emozionata l’altra, afferrandola e passandoci sopra le dita come se si fosse trattato di seta. “Grazie, Ichigo. Non potrei combattere senza questa al collo.”
Dopodiché si misero ad aspettare che Ryou e Keiichiro si riunissero a loro per poter fare la strada di ritorno insieme.
“Uffa”, disse Angel, impaziente, dopo un po’ che attendevano e non arrivava nessuno. “Spero non ci mettano ancora molto. Non vedo l’ora di arrivare a casa e buttarmi sul letto, chissà quanto è tardi.”
“Ma Angel-neechan”, obiettò Bu-ling. “Dovrai battere Flan prima di poter tornare a casa.”
“Ma no”, disse Angel. “Intendevo al Caffè.”
Ichigo lì per lì non ci fece molto caso, ma poi ripensandoci ci mise un po’ per realizzare la cosa: veramente Angel aveva detto casa riferendosi ad un luogo che non era la sua Tokyo originaria?

“Padre! Padre” gridò Waffle, appena giunto, sfinito, nella sua dimensione.
Flan era seduto a terra con le gambe incrociate. Aveva appena concluso il suo tempo di preghiera, e si stava dedicando alla pulizia e alla lucidatura dei suoi kunai. A quel grido, alzò lo sguardo. Quando vide che si trattava di suo figlio, stremato e stravolto, evidentemente dopo l’ennesimo combattimento non andato a buon fine, lo riabbassò sul suo lavoro, scuotendo la testa.
“Padre”, disse però il ragazzo, ansimante. “Quei chimeri… quei chimeri speciali che quando siamo arrivati qui hai sparpagliato per la zona… se sconfitti da quelle Mew Mew rilasciano un potenziamento che le rende più forti.”
A quelle parole, Flan interruppe il lavoro, alzò la testa e fissò, col suo occhio giallo, gelido e scioccato, suo figlio. “Cosa?...

 

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Nota linguistica: verso la fine, Minto appella Angel chiamandola "Angel-dono". "-dono" è un suffisso arcaico, che attualmente non si usa (se non per iscritto in alcuni documenti estremamente formali). Si usava abitualmente nel giapponese antico, tra i guerrieri samurai, e conferiva una sfumatura di profondo rispetto. Qui Minto, chiamando Angel con questo suffisso, intende sia mostrarle rispetto per il grande coraggio che ha dimostrato (poi per Angel essere appellata con un suffisso come questo, tipicamente "samuraiesco", è il non plus ultra), sia prenderla amichevolmente in giro, perché usare "-dono" ai tempi nostri è anacronistico. Quindi dimostra di averla accettata in modo definitivo e di essersi riappacificata con lei, ma nel modo ironico che contraddistingue il suo personaggio.

Ci vediamo alla prossima cover!

   
 
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