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Autore: GIXAFS    11/04/2017    1 recensioni
Dieci anni dopo la fine della guerra contro Ade, le vite dei nostri dodici Cavalieri d'Oro hanno preso direzioni completamente diverse. Finché una notizia inaspettata non li riunirà per un'ultima volta, mettendoli di nuovo faccia a faccia col oro passato e conti in sospeso...
Un blues sul perdersi e il ritrovarsi, sulla maturità e la difficoltà di trovarsi un posto nel mondo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Gold Saints
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Approfitto di questo spazio per ringraziarvi per le recensioni e dire che ho fatto qualche modifica di poco conto al primo capitolo...spero di continuare a produrre con questa rapidità!
 
Capitolo 2- Passito
 
Campagna, poco fuori da Atene
 
Nonostante il terreno fosse ancora impregnato della pioggia dal giorno prima, fortunatamente nelle ultime ventiquattr’ore non era caduta nemmeno una goccia d’acqua. Era appena iniziato il periodo delle grandi raccolte, perdere i giorni a causa del maltempo avrebbe potuto creare qualche problema a livello di tempistiche e comunque la pioggia che batte incessantemente su schiene, gambe e teste, impregna i vestiti e fa scivolare piedi e attrezzi, non rende più piacevoli i lavori pesanti. Il sole si era quasi del tutto nascosto dietro le colline e le ombre si erano allungate fino ad inghiottire i pochi angoli luminosi rimasti. Il contadino decise che era arrivato il momento di caricare gli ultimi secchi colmi di olive e le reti da raccolta sul furgoncino; quell’annata sembrava piuttosto soddisfacente: gli ulivi erano più carichi rispetto agli anni prima, il che era buon segno, perché voleva dire che la mosca, l’insetto che danneggiava quelle piante e ne limitava la produzione, quell’anno aveva fatto meno danni. Forse avrebbe potuto permettersi un trattore nuovo, chissà.
Salì sul furgoncino insieme agli altri due braccianti e si diressero verso l’azienda. Il veicolo procedeva sballottando sullo sterrato e attraverso il parabrezza vedeva il cielo a strisce che gli ballava davanti, facendogli venire quasi il mal di mare. Arrivarono nello spiazzo del parcheggio e notò, con sua somma gioia, che i faretti del cortile fortunatamente erano stati accesi: sua moglie, santa donna! Avrebbe evitato di trasportare le casse di olive brancolando nel buio.
Fece uscire a fatica la mastodontica corporatura dalla vettura e, prima di aprire il bagagliaio, volse lo sguardo giù dal vialetto che, proseguendo, tagliava a metà i vigneti e scendeva ripidamente in direzione del paese. La vista da quel punto era mozzafiato: nelle giornate più terse era possibile persino scorgere il mare e il Porto del Pireo che si affacciava su di esso. Seguendo la striscia arancione nel cielo che via via si faceva più viola, si accorse di una sagoma che risaliva lentamente il vialetto.
Nonostante la distanza che li separava e l’ombra serale che uniformava il colore della figura in un collettivo grigio-bluastro, non ci mise molto a riconoscere l’andatura lenta e flemmatica dell’individuo che gli si stava avvicinando. Anche l’informe sacca che soleva portarsi dietro ogni qualvolta veniva da quelle parti.
Il corpulento contadino poggiò a terra le casse le olive e aprì un sorriso da un orecchio all’altro, in direzione del viandante:
- Te la sei fatta a piedi dal Jamir? E’ lunga eh, ecco perché mi sembri così sconvolto. Vedendoti da lontano, almeno - si rivolse a lui in tono canzonatorio. – Sei fortunato, che abbiamo cominciato a raccogliere da un paio di giorni, a questo giro l’annata è in anticipo.
L’altro non rispose finché non arrivò, stremato, proprio di fronte all’amico.
- Sono talmente fuori allenamento che mi sono teletrasportato nel posto sbagliato. Ho dovuto camminare dalla periferia di Atene fino a qui, pur di non cedere ai mezzi pubblici….
Detto questo, il viandante scaraventò per terra la sacca e fissò l’amico negli occhi, in silenzio, le mani sui fianchi. Dopo un po’ scoppiarono a ridere in simultanea e venne strizzato in un abbraccio che lo sollevò da terra e lo fece dondolare a mezz’aria.
- Mu dell’Ariete, vecchia canaglia! Aspetto questo periodo dell’anno solo per vederti rispuntare!
- Aldebaran del Toro! Quanto mi mancava farti stritolare da te…- Bofonchiò il tibetano stretto nella morsa di affetto.
Aldebaran ripose l’amico sulla terraferma e lo lasciò respirare un po’. Aveva il fiatone da soffocamento, risate e stanchezza.
- Che si dice sulle montagne tibetane? - gli chiese, mentre risollevava le casse di olive - Guarda caso che stasera a mia moglie è presa la fase creativa e sta cucinando per un esercito. Stamattina è passato il cacciatore a portarci della selvaggina ed è probabile che per cena ci sia del cinghiale - gli fece, strizzando l’occhiolino.
A sentir nominare la parola cinghiale, Mu si ricordò che erano diverse ore che non metteva qualcosa sullo stomaco.
- Sulle montagne tibetane? Nulla di particolare, come al solito. Yak, poca gente, qualche passatempo per tenermi occupato. – gli rispose raccogliendo la sacca.- Vuoi una mano a trasportare le olive, Aldo?
- Ma stai fermo! - e gli diede una pacca sulla schiena che lo spinse in avanti un paio di metri in un colpo solo.
S’incamminarono in silenzio verso la casa colonica in cui Aldebaran abitava con la famiglia e teneva l’azienda agricola. Era un grande edificio in pietra del dodicesimo secolo, passata di mano in mano nelle varie generazioni contadine, che Aldebaran aveva ereditato dal proprietario precedente, un anziano agricoltore per il quale aveva cominciato a lavorare come mezzadro subito dopo aver lasciato il Tempio. Era dotata di un grande porticato, dove spesso organizzava grigliate quando aveva degli invitati o semplicemente cenava con tutta la famiglia in primavera e in estate, ovviamente dopo aver acceso zampironi ovunque e tenendo l’Autan a portata di mano. C’era anche una dépendence, dove teneva gli attrezzi e dove i ragazzi amavano talvolta giocare.
Mu inspirò a fondo l’aria umida e sempre stranamente familiare che caratterizzava quel posto, così diversa da quella del Jamir. Forse il momento che preferiva in tutto l’anno era proprio quello: il dolce passaggio dall’estate all’autunno, in cui i paesaggi si tingevano di svariati colori. Dove il rosso delle foglie cadute contrastava con il verde dei prati e degli alberi che ancora non ingiallivano. Proprio durante quest’esplosione di bellezza, che precedeva il torpore invernale, a Mu piaceva tornare in Grecia e restare da Aldebaran per un periodo di uno-due mesi e si offriva di dargli una mano durante la raccolta delle olive e la vendemmia. Ormai erano anni che rispettavano questa tradizione e verso metà ottobre piombava puntualmente a casa del vecchio commilitone senza nemmeno un preavviso, cosa che in ogni caso non era abituato a fare. Appena si avvicinarono all’uscio, una donna alta e snella aprì la porta e Mu fu travolto da una valanga di pelo e due ragazzini sdentati al seguito.
- Mu!!!!!!! - gridarono in coro quest’ultimi precipitandosi ad abbracciarlo.
- Piano, fiano figlioli! Sono già in difficoltà con la bestia in questo momento- si rivolse loro Mu, che in quel momento tentava di domare un quintale di San Bernardo che gli si era buttato addosso alzandosi sulle zampe posteriori.
- Orione, ‘sta buono! E anche voi due mostriciattoli lasciate prima fargli mettere un piede in casa - urlò la donna che gli aveva aperto la porta per richiamare all’ordine cane e figli, che altro non era che la moglie di Aldebaran. Questi, sorridendo con un misto di dolcezza e divertimento per la situazione, le si avvicinò e le stampò teneramente un bacio sulle labbra.
- Hai visto chi c’è? Scusami se abbiamo fatto tardi per la cena…
- Non ti preoccupare, le pentole sono ancora sul fuoco. - Rispose al Toro mentre si dirigeva a salutare Mu, che nel frattempo era riuscito a liberarsi del cane.
- Bentornato! - gli disse abbracciandolo.
- Grazie, Andria.  
Nel frattempo Sakis, il più piccolo dei due figli, gli si era avvinghiato alla gamba mentre Themis, il maggiore, lo abbracciava da dietro affondando la faccia nella sua schiena.
Mu aveva quasi le vertigini per tutto quel contatto umano, abituato com’era alla vita da eremita che faceva sul Jamir. Ma gli venne spontaneo accarezzare la testa del piccolo Sakis, che lo osservava con i due occhioni scuri spalancati e un pollice in bocca. Sia lui che il fratello avevano un forte debole per lui: in parte a causa di loro padre, che quando li metteva a letto, invece delle fiabe convenzionali, gli narrava le loro gesta e scorribande di gioventù, in parte perché Mu, nel tempo libero, gli insegnava a fare lavoretti di bricolage ed ogni sorta di artigianeria.
- Se per il momento mi lasciate, vi posso dare i regali che vi ho portato dal Jamir.
- Sììììì!!!! - risposero in coro i bambini esaltati, allontanandosi immediatamente.
Mu si chinò per aprire la sacca, finché non fu attraversato da un pensiero fulminante.
- Kiki è in casa? - Domandò a bruciapelo.
Andria e Aldebaran si guardarono per mezzo secondo a vicenda prima di rispondergli.
- Kiki quest’anno ha iniziato l’Università, non so se ti ricordi. Si è da poco trasferito in città. Comunque ogni domenica viene a trovarci, quindi non ti preoccupare, lo vedrai presto.- Lo rassicurò Andria.
- Ah, bene. -
Mu rimase perplesso per la notizia e indeciso se sentirsi deluso di non poterlo vedere o fiero di lui, di quel ragazzino che aveva cresciuto e con cui aveva condiviso una buona e significativa parte della vita.
- Vieni amico, ti accompagno nella tu stanza. - irruppe Aldebaran nei suoi pensieri - Mettiti comodo, se vuoi puoi farti una doccia. Fai come fossi a casa tua, non importa che te lo dica! - E si accinse ad accompagnarlo su per le scale.
Per tutto il tempo del soggiorno, Mu avrebbe dormito in mansarda, come da tradizione. Nei giorni più caldi, lassù l’aria diventava pesante e talmente densa di polvere quasi da rimanerci soffocati, ma a lui non importava: gli bastava tenere la finestra spalancata durante la giornata per poi riaccostarla la sera. La finestra era, appunto, il dettaglio che gli faceva apprezzare quella stanza: era incassata nel sottotetto proprio sopra il letto così, quando era disteso a pancia all’insù, si ritrovava faccia a faccia con il cielo. In qualche modo amava quel cantuccio, perché era piccolo e discreto e lo faceva sentire a suo agio. Posò la sua roba per terra e si distese sul duro materasso e, con un piacevole ronzio in testa e la sensazione di rilassamento che cominciava a fluire in ogni parte del corpo, chiuse gli occhi e si distaccò da tutto.
 
Come di consueto, durante la cena dominavano il caos e l’allegria. Andria, che durante il pasto sedeva capotavola per poter fare avanti e indietro in cucina più agilmente e avere la situazione sotto controllo, aveva cucinato uno squisito stufato di cinghiale alle olive, accompagnato da insalata greca e patate al forno. Sedendo accanto all’ancora spaesato Mu, un incontenibilmente allegro e molesto Aldebaran gli riempiva di continuo il bicchiere del loro vino. Se inizialmente il tibetano si sentiva un po’ a disagio in quella convivialità a cui non era più abituato, dopo il secondo bicchiere non faceva più caso alle sonore pacche sulla schiena che gli venivano rifilati da Aldebaran o agli schiamazzi dei piccoli per richiamare la sua attenzione. Anzi, alla fine si aggiunse persino lui alla battaglia all’ultimo sangue tra i due, che consisteva nel lanciarsi addosso molliche e briciole di pane, che inevitabilmente degenerò quando il piccolo Sakis ebbe la brillante idea di usare le olive come proiettili. Il tutto avvenne tra le grasse risate di Aldebaran e sotto lo sguardo di finto rimprovero della madre, che in quel momento stava portando in tavola un tiramisù. Richiamato dalla confusione e dalle briciole di pane cascate ovunque nei pressi del tavolo, Orione ne approfittò per infilarsi sotto di esso e fare l’aspirapolvere, per poi accucciarsi con tutta la sua massa sui piedi dei commensali.
Con le pance piene e l’aria soddisfatta, i tre adulti rimasero a chiacchierare, finché Andria non decise di portare a letto i piccoli.
-Voi due non fate troppo tardi che domani vi butto giù dal letto presto. - Si raccomandò con i due amici. Prima di congedarsi, diede un bacio sulla fronte ad Aldebaran.
- E se uscite fuori, ricordati poi di spegnere le luci del vialetto.
Rimasti soli, Aldebaran cacciò fuori due bicchierini dalla credenza e prese una bottiglia da una mensola.
- Andiamo in veranda, ti va?
- Perché no…- rispose l’altro.
Usciti fuori, l’ex cavaliere del Toro aveva appena poggiato liquore e bicchieri sul tavolo che cambiò subito idea.
- Aspetta - disse riprendendo le cose dal tavolo - ti porto in un posto in cui non sei mai stato.
Mu, incuriosito dalla proposta e già un po’ alticcio, seguì l’amico che si stava inerpicando con gradi falcate per una piccola salita che partiva da dietro all’edificio. Arrivati in cima, Aldebaran si sedette su un muretto in cemento che dava su un pendio. Da quanto la luna era grande e luminosa, quella sera riusciva a vedere i campi che si stendevano verso il basso e il recinto delle mucche. Dai bagliori poco più lontani era possibile tracciare la posizione dei paesi che si stendevano a valle. Volgendo lo sguardo ancora più lontano, le luci si addensavano sempre di più fino a generare una chiazza luminosa: era Atene, che faceva sentire la propria presenza anche di notte.
- L’anno scorso questo non c’era- Osservò Mu indicando il muretto e sedendosi a sua volta accanto all’amico.
- Infatti l’ho costruito sei mesi fa. Stava venendo giù il terrapieno e così l’ho messo come contrafforte.
- Geniale. Tutto sommato è anche un bel punto panoramico.
- Esatto! - Assentì Aldebaran mentre versava dell’Ouzo nei bicchierini. – Nelle serate come queste è l’ideale. E Andria ci viene a fumare di nascosto, l’ho vista più volte ma non le ho mai detto nulla.
Mu ridacchiò e diede un sorso al distillato all’anice. Dopo tanti anni non aveva ancora capito se il gusto gli piaceva o no. Fatto sta che dopo i primi sorsi qualche smorfia gli veniva naturale farla, ma poi ci si abituava.
- Ti vedo in gran forma, Aldebaran. E anche Andria, e i piccoli sono cresciuti tantissimo. Siete davvero una bella famiglia.
Il grosso amico sorrise soddisfatto mentre infilava del tabacco nella pipa che aveva tirato fuori dal taschino della camicia a quadri.
- In effetti, per te che vieni qui una volta all’anno, i cambiamenti sono più evidenti. - Ammise -E comunque è una gran fatica, anche se sembra che le cose vadano meglio.
- In che senso?
- Beh, tanto per cominciare - esordì Aldo mettendosi la pipa in bocca e accendendola - abbiamo problemi economici non indifferenti: da quando abbiamo introdotto l’allevamento delle vacche siamo andati solo in perdita. E’ stata un’idea mia, perché ci vedevo un investimento a lungo termine, mentre Andria si era sempre opposta all’idea e non ho voluto darle retta.
- Ma non è lei che in realtà dirige l’azienda?
- Sì, infatti- spiegò - ma lei mi ha lasciato fare perché sapeva di aver ragione e non vedeva l’ora di dirmi: “Te l’avevo detto”. Scherzi a parte, è una donna veramente capace e con un gran cervello, ma nonostante questo, non ama comandare a bacchetta e alcune decisioni le lascia a me, anche se spesso si rivelano sbagliate. Ora vediamo un po’ come evolve la situazione, se lasciar perdere le vacche o vedere se ne esce fuori un qualche profitto. Mi rincuora comunque il fatto che le olive promettono bene. Così magari possiamo pensare a comprare qualche attrezzo nuovo...
Indicò poi uno spiazzo poco sotto di loro - E sai che pensavo di fare? Pensavo di costruire una serra, così lei potrà dedicarsi alle piante anche d’inverno. Vedessi che bel cespuglio di ortensie è riuscita a crescere la scorsa primavera!
Un gatto comparve da dietro un albero e saltò sul muretto. Si mosse sinuosamente e, stiracchiandosi di tanto in tanto, si avvicinò a Mu e si accovacciò accanto a lui, che cominciò a grattarlo dietro alle orecchie.
- In effetti le vostre piante sono molto curate. - Osservò distrattamente, concentrato più sulle fusa del micio.
- A proposito, questa te la devo raccontare - scattò all’improvviso Aldebaran, battendo una manona sulla coscia dell’amico e facendo scappare il gatto - L’altro giorno stavo sfogliando una rivista di giardinaggio che mia moglie aveva lasciato in bagno. Guarda caso, mi cade l’occhio su un articolo in cui veniva intervistato un floral designer ovvero, da quel che ho capito, un tipo che fa composizioni artistiche con i fiori o piante, di fama internazionale…indovina un po’ di chi parlavano?
- Visto che la nostra cerchia di conoscenze comuni è piuttosto esigua e si parla di fiori, per associazione direi Aphrodite dei Pesci.
- Bingo! Leggendo un po’ qua e là, mi è parso di capire che adesso vive in Olanda e che si occupi prevalentemente di allestimenti per matrimoni... Ma chi l’avrebbe mai detto! A volteci penso, e mi chiedo che fine abbiano fatto i nostri compagni...- disse Aldebaran ed accompagnò quest’ultima considerazione con delle boccate di fumo.
- Appunto, io invece ti devo raccontare questa - fece Mu picchiettandolo con l’indice sul braccio. – E, fidati, si tratta di una cosa davvero strana.
Il Toro inclinò la testa da una parte in segno di ascolto.
- Una sera, circa un paio di mesi fa, mi trovavo al Jamir in attesa di farmi un tè, dopo aver passato una giornata sfiancante al pascolo con gli yak. Ad un certo punto, sento bussare alla porta. - Fece una breve pausa e guardò l’altro negli occhi: - Ora, converrai con me che sentir bussare alla mia porta non è proprio un fenomeno usuale.
Aldebaran annuì. In effetti, su uno sperone di roccia a 5000 metri di altezza nel cuore dell’Himalaya, anche i testimoni di Geova si guarderebbero bene dal fare visite.
- Apro la porta e mi trovo davanti un tale di età indefinita, con il volto scavato, capelli lunghi e sporchi, barba fino all’ombelico, in camicia e pantaloni di lino e senza scarpe. Senza scarpe! Non so se mi spiego…
- Sì, sì ho capito. Ma insomma, e chi era?
- Mi ci è voluto un po’ per riconoscerlo. Era Shaka, il nostro Shaka!
Aldebaran strabuzzò gli occhi per la sorpresa:- Ma che dici! Che era venuto a fare?
- Questo non lo saprei dire nemmeno ora. Visita di cortesia, mi dice. Sono rimasto sulla soglia della porta a fissarlo imbambolato per un lasso di tempo interminabile. Non puoi capire, è diventato una persona completamente diversa!
- Vabbè, in dieci anni le persone cambiano, un po’ invecchiano anche. A parte te, Mu, che sei sempre uguale. E anch’io. Anzi, porto meglio i trent’anni di come portavo i venti - Aggiunse poi con una risata.
- Insomma - Proseguì Mu - senza attendere alcun invito, entra in casa con molta nonchalance e si siede al mio tavolo, con una bella aria beata stampata in faccia.
- Minchia. Ma insomma, che avete fatto?
- Abbiamo preso un tè, ovviamente. Lui mi ha un po’ raccontato della sua vita, io della mia. E’ tornato nel suo paese e si dà da fare per varie ONLUS per migliorare le condizioni di vita e cercare di garantire un futuro ai giovani delle caste più basse. Mi ha parlato un po’ della realtà con cui convive e deve essere spaventoso sperimentarlo in prima persona. Credo il suo precoce invecchiamento sia una conseguenza della miseria e della disperazione con deve confrontarsi ogni maledetto giorno…
- L’India è un paese con un tasso di povertà e delinquenza elevatissimi, deve essere tosta, sì!. - Commentò Aldebaran scuotendo la testa - Che grand’uomo però, come d’altronde lo è sempre stato. Magari potrebbe diventare un nuovo Gandhi.
- Chi, scusa? - Chiese Mu perplesso
- Lascia stare...
- Era e forse è ancora l’uomo più vicino agli dei, ma i dico in tutta franchezza che mi è sembrato un po’ partito di testa. Partito forse è esagerato, ma diciamo meno lucido di quanto ricordavo. Alla fine non è rimasto che mezz’ora: finito il tè, nonostante gli avessi chiesto di rimanere per cena, si alza per andare via. Ma nel momento di salutarci, prima di chiudere la porta dietro le spalle, si gira e mi fa: “Ci vediamo ad Atene”. Non faccio in tempo a rincorrerlo, che è già sparito!
A sentire quest’ultima parte del racconto, Aldebaran aggrottò la fronte e rimase a riflettere:
- Aspetta un attimo…- mormorò – Eppure, questo mi fa venire in mente che dovevo dirti una cosa…
Entrambi restarono in silenzio per qualche minuto. Una brezza leggera scompigliava la lunga chioma di Mu e increspava le spirali di fumo della pipa di Aldebaran, diffondendo un forte odore di tabacco da pipa, terra bagnata e bestiame. Mu alzò gli occhi al cielo in cerca di qualche stella, ma c’era un velo rosaceo che, a parte Venere, copriva tutto il resto come un enorme tappeto di ovatta. Abbandonò dunque la ricerca e finì di bere l’ultimo goccio di Ouzo rimasto nel bicchierino.
- Tu sei felice, Aldebaran?
- Io? Beh - rispose il Toro un po’ preso alla sprovvista dalla domanda – Ti posso dire intanto questo: la vita agreste è difficile, davvero. Ma per quanto spaccarsi la schiena sette giorni su sette dall’alba al tramonto, non potersi permettere nemmeno un giorno di riposo e vivere con le risorse al limite del sostentamento familiare sia una vera e propria sfida …No, tutto questo non mi fa rimpiangere gli anni al Tempio. Non che li stia rinnegando, intendiamoci, probabilmente se dovessi tornare in vita ancora una volta - ma spero di no- lo rifarei. E’ che qui ho come trovato la mia dimensione, sia reale che affettiva. Tutto qui, ma credo sia la cosa fondamentale.
Mentre Aldebaran esprimeva il suo punto di vista, delle lucciole in quel momento erano passate davanti a Mu, che ne aveva catturata una e la teneva delicatamente nel pugno semi aperto per non farle del male, ma nemmeno farla fuggire. L’altro lo guardò e subito intuì i pensieri del tibetano:
- Conosco questo sguardo. So cosa ti passa per la testa. - gli sussurrò amorevolmente, catturando la sua attenzione - Mettiti l’animo in pace: portarlo qui sette anni fa è stata la cosa migliore che tu potessi fare per lui.
- In realtà, sono tutt’ora angosciato dall’idea che possa pensare che l’abbia abbandonato… che non potendolo più addestrare come Cavaliere d’Oro non avessi più interesse a tenerlo con me...-
- Porca miseria, Mu! - esclamò l’altro, interrompendolo - Non è possibile che ancora continui a crogiolarti per questa cosa! Eppure, in tutti questi anni ha dimostrato di sapersela cavare bene, ha scoperto la passione per lo studio ed ora si è iscritto a Medicina. Ha un futuro brillante davanti a lui, stanne certo. Il problema sei tu, caro mio. - Gli fece in tono di rimprovero, puntandogli il grosso indice contro - Hai passato troppo tempo isolato da tutti e dal mondo. Ti avevo chiesto di rimanere con me, ricordi? Potevamo avviare un’attività insieme e non separarti da Kiki. Invece no, hai voluto fare il solito bastian contrario e ti sei ritirato nelle tue amate montagne insieme ad un bagaglio di paranoie, che col passare del tempo si sono ingigantite. Non puoi rimanere là per sempre tra gli yak e i cadaveri degli alpinisti!
- Ma lo sai qual è il mio problema! – Sbottò Mu, infastidito dalla predica, ma allo stesso tempo sentendo che la ragione si stava sbilanciando pericolosamente dalla parte dell’amico – Non riesco ad integrarmi con la civiltà, mi sentirei fuori luogo e inadatto, qui. E cosa potrei fare, poi? Non c’è posto per me.
- Amico mio, sei una persona dai mille talenti, qualcosa da fare te la troviamo in qualche modo. Ma se questo passo ancora non ti decidi a farlo, come puoi essere sicuro che andrà male? Devi cercare di essere più intraprendente, che diamine! E più lasci passare il tempo, più questo cambiamento ti sarà difficile.
Quest’ultimo, infine, poggiò le manone possenti sulle spalle dello sconsolato commilitone e lo guardò dritto negli occhi: - Pensaci. Hai tutto il tempo in cui starai qui per prendere una decisione.
Mu annuì con poca convinzione arricciando il labbro inferiore, ma la presenza del vecchio compagno, in qualche modo, gli alleviava la pesantezza nello stomaco che si era formata in quel momento. Rimaneva sempre sorpreso nel pensare come loro due, nonostante i caratteri diametralmente opposti, ovvero lui introverso e riflessivo e bonario e gioviale Aldebaran, dopo tanti anni il loro legame fosse ancora così tanto profondo. Si erano conosciuti da piccoli, si erano frequentati inizialmente come vicini di casa al Tempio, divennero inseparabili nella vita e nelle battaglie. E quanto aveva sofferto Mu quando aveva rinvenuto il corpo senza vita dell’amico nella casa del Toro, dopo lo scontro con uno specter, mai più gli era capitato nella vita. Eccetto quando aveva dovuto lasciare in Grecia il piccolo Kiki, forse.
Il tibetano, con la testa lievemente pulsante per il turbamento emozionale, scese dal muretto per sgranchirsi le gambe che, dopo essere stato seduto nella stessa posizione per un tempo indefinito, gli si era addormentato un piede.
Aldebaran lo seguì a ruota, sparecchiando il muretto da bicchierini e bottiglia di liquore ormai vuota, e una volta raggiunto gli passò un braccio intorno alle spalle.
- Sta’ tranquillo - lo rassicurò scompigliandogli capelli - Che una soluzione la trovi. E comunque, mi è tornato in mente quello che dovevo dirti. C’è da vergognarsi a scordarsi una cosa del genere…-
- Ovvero?
- E’ una cosa che riguarda un nostro vecchio compagno. E’ una storia un po’ lunga, forse è meglio fare prima un salto in cantina, ti racconto tutto davanti ad un altro bicchierino. - Disse Aldebaran avviandosi verso l’edificio.
- Ma…è tardi…
Ma l’altro ormai era in fondo alla discesa e non colse minimamente l’obiezione che partiva dall’alto. Aldebaran lo attendeva davanti ad una porticina di legno, che sospinse appena Mu lo raggiunse. Scesero qualche gradino fino ad arrivare ad uno stanzone -la cantina, per l’appunto - con soffitto a volta in mattoni e delle enormi botti di rovere in fila al centro della stanza. L’ex cavaliere del toro si diresse verso un armadio di legno massiccio in cui erano accumulate bottiglie di ogni genere con sopra variabili spessori di polvere e ne scelse una, che mostrò a Mu.
- Non si dovrebbe scendere di gradazione, ma questo devi assolutamente assaggiarlo!
Mu squadrò sospettoso la bottiglia: - Che diavolo è?
- Passito di Pantelleria, regalo di un amico- rispose, stappando la bottiglia con aria soddisfatta. - Prego, annusa…
- Aldebaran, domattina dobbiamo svegliarci presto e io sono stanco morto. Raccontami quello che mi devi raccontare, ma beviamolo domani, dai…
- Per noi magari può suonare un po’ strano, ma sai come si dice? Si vive una volta sola!
E si versò il passito nel bicchiere.
 
 
 
 
 
 
 


 
 
   
 
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