Film > La Bella e la Bestia
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Autore: SusanTheGentle    15/04/2017    6 recensioni
Aveva perso ogni speranza di mutare la propria sorte, lo sconforto si era impadronito di lui e il suo carattere era peggiorato ulteriormente. Non riusciva a sperare, tantomeno a credere, che da un giorno all’altro sarebbe potuto cambiare qualcosa. Non credeva neppure di poter cambiare sé stesso, non riusciva ad essere diverso da quello che era. Il suo destino ero ormai segnato, benché in molti cercassero di dargli coraggio.
Doveva essere onesto con sé stesso per una volta, guardarsi dentro e accettare la dura realtà.
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
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La mia personale versione di uno dei classici Disney più amati di sempre, con protagonista, ovviamente, il mio adorato Ben Barnes nei panni della Bestia
(NOTA: ispirato al film del 1992, NON al live acton 2017)
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Belle, Gaston, Lumière, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2.
La creatura della foresta
 
 
 
 
  Per tutta la settimana, Belle e Maurice furono occupati nei preparativi per la partenza. Era difficile stabilire chi dei due fosse più emozionato. La ragazza gli regalò per l’occasione una nuova giacca e una cravatta in tinta di un bel color ocra brillante, mettendoli in valigia con il resto degli abiti migliori di Maurice. La sarta le aveva fatto uno sconto contro tutte le proteste dell’uomo, il quale volle mantenere una contenuta imperturbabilità per quel dono della figlia; ma Belle giurò di aver visto una lacrima brillare all’angolo dell’occhio del genitore quando l’aveva provata. Era un gran tenerone, incline alla facile commozione.
  Nei giorni restanti, Maurice fece ancora qualche piccolo ritocco alla sua invenzione, la lucidò per bene fino a farla brillare e infine la coprì con un telo bianco in attesa di caricarla sul carretto. Faceva la posta al seminterrato ogni volta in cui lo assaliva il terrore che qualcuno potesse  portargliela via. Era abbastanza improbabile che un ladro solitario potesse interessarsi di una macchina a vapore, e ancora più improbabile era l' eventualità che il suddetto, inesistente ladro fosse in grado di accenderla o farla funzionare in alcun modo. Ma era davvero uno spettacolo guardare Maurice saltar su dall’orticello, inciampare nelle pianticelle di pomodori e galoppare verso la casa perché gli sembrava di aver sentito un rumore sospetto, per poi scoprire che era solo il bollitore dell’acqua che borbottava troppo forte. O ancora, quando saltava in piedi di notte e correva dietro alla vecchia volpe rossa che cercava di intrufolarsi nel pollaio con la speranza di farsi uno spuntino notturno.
Belle trovava effettivamente buffo questo comportamento e non lo nascondeva. Maurice non si offendeva dei sorrisi della figlia, finendo per ridere assieme a lei di quelle scene bizzarre.
  La sera prima della partenza Belle preparò una cena da leccarsi i baffi, e Maurice andò a letto sazio e un po’ meno nervoso. Si alzarono di buon mattino, fecero colazione, Maurice tirò fuori il mantello da viaggio e caricò il bagaglio sul carretto, mentre Belle legava il cavallo alle aste sul davanti. Il cavallo bruno, Philippe, scalpitava impaziente. Insieme issarono sul retro del carretto l’invenzione coperta dal telo, assicurandola con robuste corde.
  « Molto bene, dovrei aver preso tutto » disse Maurice, allacciandosi il mantello. I gesti nervosi tradivano la sua emozione. Scrutando la giornata vide con piacere che il cielo era limpido, e prometteva di restare sgombro di nubi per almeno un giorno intero. Il viaggio per giungere in città durava tre giorni. Se avesse piovuto avrebbe sostato in una locanda sulla strada.
  « Fai molta attenzione, papà » gli raccomandò Belle, posando un bacio sulla sua guancia. Sorrideva ma avvertiva la familiare apprensione che le solleticava la bocca dello stomaco ogniqualvolta suo padre si assentava per più di ventiquattrore. Dopotutto non era più così giovane, anche se ancora piuttosto in gamba.
  Maurice le diede un buffetto sul viso, intuendo che la momentanea ansietà della figlia poco aveva a che fare con la vittoria della fiera, in quel momento.
  « Appena arriverò ti scriverò immediatamente. E’ una promessa ».
Belle annuì. « Promesso ».
  Maurice, le guance accese come quelle di un bambino pronto a partire per una grande avventura, agitò le redini accompagnando il movimento con un sonoro ‘Oho!’, e Philippe partì con un nitrito gioioso.
  « Arrivederci figliola! »
  « Arrivederci, papà! »
  « Stai bene, cara, e mi raccomando alla volpe: che non acchiappi tutte le galline! ».
Belle scoppiò in una risata che echeggiò sul fianco della collina. Sventolò la mano nell’aria per salutare, fino a che suo padre, il carretto e Philippe non ebbero oltrepassato la cima del colle ed iniziato la discesa dall’altra parte, scomparendo alla vista.
  Tre giorni sarebbero passati in un baleno. Suo padre non aveva niente da temere, cosa poteva accadergli? La campagna era pacifica, di briganti ce n’erano pochi, di solito si rintanavo tutti sulle strade più piccole e poco battute, o nella foresta. Maurice avrebbe percorso la strada maestra per giungere in città.
Belle osservò gli alberi scuri: dalla sua posizione apparivano simili a piccoli, verdi spilli appuntiti macchiati di giallo e arancio. I colori dell’autunno.
  Un ricordo affiorò nella mente della ragazza, un ricordo di alcuni anni addietro… un giorno di primavera in cui suo padre le aveva permesso di accompagnarlo nella grande città, dove carrozze enormi correvano su strade asfaltate e alti palazzi sembravano toccare il cielo. All’epoca, Belle aveva circa dodici anni. Maurice aveva promesso di portarla nella grande biblioteca. Durante il tragitto erano stati costretti a deviare in mezzo al bosco, poiché la strada maestra era stata bloccata dal fango dopo la piena del fiume. Attraversare la foresta non le era piaciuto granché. Belle aveva provato molto freddo e molta paura al momento di imboccare la scorciatoia che avrebbe permesso loro di aggirare il tratto di strada sbarrato. Ad un tratto, il cielo era sparito a causa degli alberi troppo fitti, quella che sarebbe dovuta essere la piacevole frescura dell’ombra le aveva ghiacciato la pelle. Rammentava la voce di suo padre dirle che era solo soggezione, non c’era nulla di spaventoso nascosto tra gli alberi… più avanti, forse, nel cuore della foresta, ma non lì. La curiosità insita in lei l’aveva spinta a chiedere di più riguardo quell’informazione inaspettata: cosa si nascondeva nella foresta?
  « Niente, cara, assolutamente niente » aveva risposto un Maurice molto più giovane. « Circolano molte voci, una meno verosimile dell’altra. Tu non credi ai mostri e ai fantasmi, non è vero? ».
  « Sì » era stata la sincera risposta della Belle dodicenne, risposta che aveva fatto sorridere Maurice.
  « Bè, anche io » aveva sussurrato lui con un sorriso. « Però a questa storia non credo ».
  « Quale storia, papà? » aveva chiesto Belle, avida.
Maurice si era schiarito la voce, il suono aveva riecheggiato un po’ sinistro nella quasi immobilità del sentiero.
 A detta di Maurice – e di altri prima di lui – c’era un punto nella foresta in cui non  andava mai nessuno, un posto strano che nascondeva ancor più strani segreti. Belle aveva chiesto perché la gente stesse lontana da quel luogo ma Maurice aveva risposto che non lo sapeva. L’aveva rassicurata continuando a spiegarle che loro non avrebbero mai avuto a che fare con la cosa che abitava il cuore della foresta, qualunque essa fosse.
  « Perciò non dovremo percorrere per quel sentiero per raggiungere la città » aveva chiesto Belle, tanto per esserne certa.
  « No, bambina mia, non ci addentreremo nella foresta. Ecco, vedi laggiù? ». Maurice aveva indicato un punto avanti a loro dove il sentiero pareva curvare. « Al primo bivio svolteremo per tornare sulla strada maestra. Non è lontano ».
  La notizia aveva rallegrato non poco la Belle ragazzina che si era rannicchiata contro Maurice, un braccio di lui le aveva circondato le spalle. Solitamente attratta da tutto ciò che era misterioso e fuori del comune, il pensiero della cosa che abitava la foresta aveva appena solleticato la mente della ragazza. Se suo padre diceva che non era bene andarci, lei non ci sarebbe andata.  Si era voltata solo una volta a guardare il sentiero misterioso che portava nel cuore di un luogo proibito e oscuro…
  L’aria del mattino la fece rabbrividire e la Belle del presente si riscosse dai pensieri. Scacciò un ciuffo di capelli dalla fronte e tornò verso casa. Non era il caso di stare in ansia. Tutto considerato, non credeva per davvero che in quei boschi si nascondesse qualcosa. Tutte superstizioni, nient’altro. E il consueto giro al villaggio ebbe il potere di placare le sue ansie: la vita scorreva al solito, i commercianti e gli artigiani aprivano le loro botteghe, si salutavano, s’informavano sugli ultimi pettegolezzi, alcuni forestieri giunti per lo scambio di merci raccontavano le novità dei borghi vicini. Niente di eclatante, comunque. No, non sarebbe successo assolutamente nulla di spaventoso a turbare la monotonia della campagna.
  Ciononostante, il dubbio persisteva. Quando a Belle ronzava un’idea, un pensiero o una preoccupazione per la mente, buona o meno che fosse, essa vi restava affacciata, come fosse stata un esserino bizzarro a spiare da una finestra in attesa di avere il via libera per agire.
  Fu così che Isabelle, quando quel giorno incrociò Gaston che risaliva le viuzze, LeFou al fianco con una cinghiale morto in spalla, liberò la preoccupazione e gli domandò se nelle sue scorribande di caccia avesse mai udito da altri cacciatori la storia della strana creatura che abitava la foresta.
  « Sicuro che ne ho sentito parlare », rispose il giovane, rivolgendole un sorrisetto di sufficienza. «Non ti sarai messa a leggere queste sciocche storielle per superstiziosi ». Sul viso di Gaston apparve un’espressione divertita.
  « Mi chiedevo soltanto se tu, dato che vai spesso a caccia nel bosco, avessi sentito questa storia, tutto qui. Ne parlavo con mio padre, ecco, e mi sono semplicemente incuriosita ».
  Gaston rise. « Te l’ho sempre detto che voi donne siete un pericolo quando leggete, prendete tutto alla lettera e e poi… ».
  Belle alzò gli occhi al cielo. Eccolo che ricominciava con la solita solfa delle donne che non dovrebbero leggere.
  « Va bene, ci vediamo Gaston ».
  « … perché siete troppo delicate per queste cose e poi va a finire che…Un momento! ». Gaston aveva continuato a parlare senza accorgersi che lei si era allontanata. « Non così in fretta, non così in fretta » le sorrise raggiungendola. « Scusa, è stato più forte di me ».
  Belle incrociò le braccia al petto. Era tropo curiosa di sapere, per cui si fermò. « Allora? Esiste o no questa creatura? ».
  Lui non si chiese perché lei fosse tanto interessata, gli bastava che lo fosse abbastanza da stare ad ascoltarlo, una volta tanto. Cosa migliore, era venuta lei a cercarlo, questa volta, non viceversa.
  « Alcuni ci credono » proseguì Gaston. « Ovviamente nessuno ha le prove che ci sia una bestia terrificante che abita la foresta, è più probabilmente che si tratti di un orso particolarmente grande che di un vero mostro».
  « Capisco » disse Belle, riflettendo. Già, poteva benissimo trattarsi di un grosso orso, ma la cosa non la rassicurava granché: era pur sempre un animale pericoloso.
  « In ogni modo » perseguì Gaston, gonfiando il petto e mettendo in mostra i muscoli, « mi sono promesso che qualunque bestia possa mai minacciare me o il villaggio, non sfuggirà alla mia mira micidiale. L’abbatterò in un colpo solo! ». Afferrò il fucile e lo fece roteare tra le mani abilmente, puntandolo in varie direzioni. LeFou rise e batté le mani, saltellandogli attorno in una penosa dimostrazione di venerazione che Belle trovò alquanto eccessiva.
  « Ho capito, ho capito! Ora metti giù quell’aggeggio se non vuoi rischiare di ammazzare qualcuno » gli intimò la ragazza, posando una mano sulla spalla di Gaston. « Non credo ti basterà un colpo solo per uccidere un orso gigante, sai? ».
  « Davvero? » disse Gaston, posando il fucile. « Si vedrà. Parlando d’altro, ho sentito che tuo padre è partito».
  « Questa mattina » confermò la ragazza, sospettosa. Era insolito questo interesse di Gaston nei confronti di Maurice.
  « Ciò vuol dire che sei libera di venire con me alla taverna, almeno oggi » le propose il giovane con entusiasmo, mettendole un braccio attorno alle spalle con la consueta sfacciataggine. Un paio di donne gettarono loro occhiate critiche, mormorando di giovani dagli atteggiamenti indecenti.
  « No, non credo, mi dispiace ». Belle prese tra pollice e indice la mano di Gaston che molleggiava sulla sua spalla, scostandola come fosse uno straccio sporco e puzzolente. « Devo andare a casa presto ».
  « Belle, Belle, hai già abbozzato questa scusa ieri, e l’altro giorno ancora. Abbozzi sempre questa scusa per liberarti di me ».
  « E’ quella che funziona meglio » fece lei.
Gaston non recepì la sottile vena di sarcasmo e la prese per una battuta particolarmente divertente.
 « Sei anche spiritosa, oltre che bella, è una qualità che apprezzo in una donna ».
 « Sì... io… Si è fatto davvero tardi », proseguì Belle come se non avesse udito l’apprezzamento. « Anche se mio padre è assente ho ugualmente un mucchio di cose da sbrigare, capirai che non posso trattenermi. Aure voire! ».
  Si dileguò in fretta, lasciando Gaston e LeFou sulla strada a guardarla allontanarsi.
  Un po’ rinfrancata al pensiero che niente di anomalo abitasse il cuore della foresta, pur con la possibilità che un animale di proporzioni esagerate saltasse fuori dalla propria tana per aggredire i viandanti, Belle tornò verso casa.
  Il resto della giornata trascorse tranquillo. Si mise di lena per far splendere la casa: voleva che suo padre la trovasse bella come non mai al ritorno dalla fiera. Chissà se avrebbe vinto? Oh, sarebbe stato così emozionante e meraviglioso vederlo rientrare brandendo il trofeo! Le cose avrebbero iniziato a girare meglio per loro. Forse sarebbero riusciti a lasciare il paesino.
  La sera, un vento freddo iniziò a soffiare da nord. Belle chiuse tutte le imposte e si assicurò che gli animali fossero al sicuro nei loro capanni. Sedette sul divanetto del salotto, davanti al camino, con il libro prediletto in grembo. Di tanto in tanto, i suoi pensieri migravano di nuovo sulla creatura della foresta e su suo padre. Era una paura emersa dal nulla, non riusciva del tutto a togliersi di mente la possibilità che Maurice potesse fare brutti incontri sulla strada verso la città. Non era la prima volta che suo padre affrontava un viaggio in solitaria, era andato anche più lontano di così.
  Lanciò un’occhiata al pendolo sopra a mensola del camino. A quell’ora, suo padre avrebbe dovuto essere nei pressi della prima taverna. Un ritmico ticchettio la fece sussultare. Un rametto sbatteva contro il vetro della finestra. Belle si avvicinò per controllare che fosse ben chiusa. Scostando le tendine azzurre a fiori vide grosse gocce di pioggia abbattersi sul vetro, la campagna buia, mentre il temporale borbottava in lontananza.
Rimise la tendina a posto, sperando con tutto il cuore che suo padre si trovasse all’asciutto e al sicuro.
 
 
 
  A diverse miglia di distanza, Maurice procedeva lentamente sul sentiero con il capo chino, il colletto del mantello alzato per proteggersi il volto. Il vento ululava tra le foglie, la strada era deserta, non c’erano viandanti oltre Maurice e Philippe. Il tempo aveva tradito le aspettative dell’uomo: il cielo si era annuvolato poco prima del tramonto, una piccola schiarita, poi ancora nubi, più scure e più nere, minacciose. Infine, grosse gocce di pioggia avevano punteggiando di cerchiolini scuri la bella terra bruna. In meno di un minuto ecco il temporale.
  « Proprio una bella fortuna » commentò Maurice al primo rombo del tuono, rivolgendo al cielo uno sguardo seccato. « Oho! Oho! Philippe, buono! », aggiunse in fretta, tenendo le redini più strette. Il suo cavallo non era mai stato un modello di coraggio equino.
  Di lì a poco, la pioggia aumentò di intensità.
  « Accidentaccio, accidentaccio » borbottò Maurice, « ci bagneremo completamente prima di scorgere la taverna ».
  C’era una rustica pensioncina lungo la strada, aveva sperato che il temporale tardasse almeno fino a quando lui e Philippe non fossero stati al riparo e con la pancia piena. Invece erano ancora in mezzo ai boschi.
Philippe girò la testa verso il padrone e scoprì i denti in un nitrito contrariato.
  « Lo so, lo so, non fare così » sbuffò Maurice. « Poteva capitare a tutti. Ora non mi terrai il broncio, spero? ».
In risposta, il musi del cavallo si incupì.
  « Ah, è così? Philippe, da te non me lo sarei mai aspettato, sei proprio un fifone ».
Un altro tuono fece sobbalzare entrambi. La terra parve tremare, i rami degli alberi si scossero in preda a un tremito. Ad un tratto, senza alcun preavviso, una saetta scese in picchiata dal cielo colpendo un albero poco distante da loro. Il bagliore rosso del fuoco guizzò nell’oscurità, i rami incendiati caddero sul suolo bloccando il passaggio. Philippe s’impennò, terrorizzato dalle fiamme, senza dar retta al padrone, che cercava disperatamente di farlo indietreggiare. Il povero cavallo era spaventato a morte. Maurice tirò e tirò ancora le redini, ma Philippe partì al galoppo per allontanarsi dal pericolo. Quando infine si calmò, si erano così inoltrati nella boscaglia che per Maurice fu difficile capire da che parte dovessero andare. Rifiutava categoricamente di credere che si fossero persi.
  Giunsero a un biforcazione che piegava a sinistra su una lunga strada spaziosa, mentre sulla destra si apriva un sentierino serpeggiante, nero come l’inchiostro. Alla luce dei lampi, Maurice intravide un’uscita in fondo al sentierino. Nella situazione in cui erano, una strada breve sarebbe stata preferibile, così, credendo fosse una scorciatoia, preferì girare a destra. Philippe non fu dello stesso parere, il suo istinto da animale gli suggeriva di non inoltrarsi tra quegli alberi. C’era qualcosa laggiù, qualcosa che si nascondeva dentro l’oscurità. Ma Maurice era più testardo di lui e lo convinse a proseguire nella direzione scelta.
  « Di qua, Philippe, andiamo. Su, bello, di che cosa hai paura? ».
Se Philippe avesse potuto parlare… ma si limitò a scuotere la criniera e obbedire, continuando a procedere con passo furtivo.
  Giunsero in un punto della foresta dove la pioggia non riusciva a penetrare le fittissime cime degli alberi. Il temporale sembrava ridotto a una pioggerelle fine. I grandi occhi del cavallo dardeggiarono da tutte le parti ed ebbe un sussulto: qualcosa si mosse tra le ombre e anche Maurice lo vide.
  Alberi, nient’altro che alberi, si disse. Ma gli alberi non ringhiavano, non avevano occhi galli e luminosi, e neanche denti appuntiti.
  Il branco dei lupi vene allo scoperto lentamente, accerchiando il carretto. Magri, il pelo arruffato, la bava la bocca, affamati e rabbiosi.
 « Via! Via! » gridò Maurice.
Philippe partì al galoppo, inseguito dal branco di lupi famelici che tentarono di attaccarlo, azzannarlo. Se fossero stati sani e in forze per cavallo e padrone ci sarebbe stata poca speranza, ma fortunatamente i lupi apparivano deboli, probabilmente per la prolungata mancanza, cosa che li rendeva anche più aggressivi.
Corsero lungo il sentiero, fuori da esso, attraverso una radura e infine si gettarono di nuovo dentro la foresta, sempre più a fondo tra grandi tronchi e intricati cespugli di rovi. Zuppo fino al midollo, Maurice agitava freneticamente le redini, voltandosi più volte per guardare dov’erano i lupi: correvano sul ciglio del sentiero, dietro i tronchi, sparivano, riapparivano, ora rallentavano. Forse li aveva seminati o si erano stancati di inseguirli, oppure…
  Con un energico strattone alle redini, Maurice evitò per un pelo di finire dentro un precipizio. Ecco perché i lupi si erano fermati, di sicuro sapevano che la strada finiva lì, mentre lui nella folle corsa non aveva prestato attenzione a dove andava.
  « Indietro, indietro, Philippe. Piano » ordinò senza fiato, il ringhio dei lupi dietro di loro.
  Le ruote cigolarono, gli zoccoli del cavallo scivolarono sulla roccia bagnata.
  Poi, un ruggito spaventoso squarciò l’aria.
  L’uomo gridò, i lupi fuggirono, Philippe si impennò di nuovo, il carretto si rovesciò e Maurice venne disarcionato. Philippe prese a corre come una furia trascinandosi dietro il carro, lasciando il padrone solo sul ciglio del burrone, in mezzo alla tempesta.
  « Philippe, torna… Philippe… » esalò Maurice. Chiamò il cavallo più volte senza osare alzare troppo la voce per non attirare di nuovo i lupi. « Philippe, non lasciarmi qui ».
  Un altro ringhio.
  Maurice si rialzò, bagnato e tremante. Nel buio era difficile distinguerla, quando lo schianto di un nuovo fulmine seguito da un lampo accecante illuminarono la sagoma nera stagliata sull’altro versante del precipizio. Non erano un lupo. Anche da lontano, Maurice capì che doveva trattarsi di una creatura enorme. Durò un attimo, poi scomparve quasi fosse stata un miraggio, ma Maurice sapeva che non era stata un’illusione.
  Prese a correre gridando aiuto, senza badare a dove mettese piede. Il ringhio della bestia gli rimbombava ancora nelle orecchie. Inciampò e cadde sul suolo fangoso, si rialzò a tentoni, l’acqua che gli incollava i vestiti addosso. Doveva trovare l’uscita di quel luogo infernale…
  E poi lo vide: un castello medievale, maestoso, proprio nel centro della radura in cui aveva appena messo piede. Rimase un istante ad ammirare le mura e le torri, chiedendosi da dove fossero spuntati. Dolorante e infreddolito, sorpassò le siepi diretto al grande cancello di ferro, quando udì un fruscio alle proprie spalle. I lupi erano tornati. Fuggiti al ringhio della bestia sul precipizio – o qualunque cosa fosse – ora erano pronti a tornare all’attacco. Maurice si gettò verso il cancello, andando praticamente a sbattervi contro, supplicando di aprire. Le inferriate si mossero da sole, aprendosi quel tanto che permise all’uomo di entrare e  richiudendosi un istante dopo. I lupi si abbatterono sulla cancellata, uno di essi infilò il muso scarno tra le sbarre e le sue mascelle si chiusero sullo stivale di Maurice, che era appena passato. L’uomo riuscì miracolosamente a liberare l’arto dalla bocca dell’animale e in men che non si dica fu davanti al portone. Una raffica di vento gelido gli tolse il cappello ma egli non pensò di tronare indietro a recuperarlo. Il castello poteva essere lugubre e inquietante, cionondimeno era un riparo, e in quel momento specifico era tutto ciò di cui aveva bisogno.
  Una volta all’interno, tutto divenne silenzioso. Il temporale con il suo frastuono erano rimasti là fuori. In pensiero di Maurice corse a Philippe: si augurava di cuore che sfuggisse ai lupi. La sua invenzione era andata, perduta, ne era certo. Perlomeno, lui era ancora vivo.
  Tirò un respiro e disse: « Permesso ».
La sua voce risuonò nell’atrio del maniero. Nessuno rispose. Riprovò più forte, schiarendosi la gola.
  « Ehilà, del castello! ».
Ancora niente. Forse era abbandonato.
  « Io… io mi chiamo Maurice Beauffremont*, sono spiacente di dar disturbo ma non ho posto dove andare. Ho perso il cavallo e il mio bagaglio, e credo di essermi perso ».
Un mormorio sommesso si levò da qualche parte nell’atrio. O era stato il soffio del vento attraverso le finestre? Difficile stabilire se ci fosse qualcuno nascosto nell’ombra a spiare, non c’erano candele accese, ancora una volta era merito dei lampi se riusciva a scorgere qualcosa più in là del suo naso.
  Maurice allungò le orecchie. I mormorii erano cessati.
  « Non vorrei disturbare, davvero », riprovò. «Tuttavia, se i lor signori fossero così gentili… ».
  E riecco le voci.
  « Pover uomo » disse una ( e questa volta Maurice le udì distintamente ), mentre un’atra soffiava per far tacere la prima.
  « Sssshhhttt! Zitto! ».
  « Chi c’è? » domandò Maurice.
  Un lumino si accese sopra un tavolino accanato alla porta.
  « No, che cosa fai? » fece la seconda voce, in quello che fu un sussurro davvero mal riuscito.
  « Ma chi è che parla? ». Maurice afferrò il candelabro d’oro sul tavolo, muovendolo di qua e di là. Non c’era anima viva, almeno in apparenza.
  « Ecco, adesso ci farai scoprire tutti! » gracchiò di nuovo la seconda voce.
  « Insomma, se è uno scherzo… ».
  « Monsieur, se foste così gentile da girarsi… » disse la prima voce, che suonava più garbata e morbida.
  « Cosa…? Chi…? » Maurice credeva davvero di esser impazzito. Poi, non seppe perché spostò lo sguardo sul candelabro. Due piccoli occhietti si aprirono dove avrebbe dovuto esserci solo metallo. Una bocca si aprì in un sorrisetto incerto, e c’era un naso, e le braccia del candelabro si mossero come vere braccia.
  « Santi numi! » gridò Maurice, lasciandolo cadere.
  « Ouch! ».
  « Oh! », esclamò l’uomo, pieno di meraviglia, chinandosi per osservare l’oggetto palante. «Davvero sorprendente. Che invenzione straordinaria! ».
  Il candelabro si sistemò il lume fissato sopra la sua testa. « Mon dieu, che capitombolo ho fatto, mi gira la testa ».
  « Chiedo scusa ».
  « Ah! Che bravo sei, Lumiere! » disse la seconda voce, che apparteneva a una bella pendola di legno con il quadrante di vetro. Dentro il quadrante c’era un’altra faccetta bizzarra.
  « Smettila di lagnarti, Tockins, abbi un po’ di compassione per il signore » disse il candelabro.
  « Compassione? No, no, no, non ce ne facciamo niente della compassione, ormai. Qui le regole sono cambiate e non si fanno più sconti a nessuno. L’ultima volta… Aiuto! ».
  La tirata di Tockins fu interrotta da Maurice, che lo aveva afferrato e messo a testa in giù per studiarlo meglio.
  « Si muovono e parlano! Cielo! Devo assolutamente scoprire come ci riescono! » commentò eccitato, tastando ogni angolo della pendola chiacchierina.
  « Signore, per favore, mi metta giù! » protestò Tockins tra le risate di Lumiere e l’interesse maniacale di Maurice. « Mi va il sangue alla testa, voglio dire, dentro gli ingranaggi. No, il solletico no! Ahahah!».
  « Ma sono vivi! » esclamò Maurice, lasciando cadere a terra anche la pendola.
« Non è piacevole quando non si ha la ciccia ad attutire la caduta, eh? » commentò divertito Lumiere, aiutando Tockins a rialzarsi.
  « Io non avevo la ciccia! » rimbrottò quest’ultimo, spazzolandosi via la polvere dal copro. Tirò un respiro profondo e guardò in su verso l’uomo. « Ehm-ehm. Buonasera, signore », salutò con tutta la dignità che una pendola può avere.
  « Buonasera » rispose educatamente Maurice. « Sono spiacente per l’intrusione, ma come dicevo mi sono perduto e non sapevo proprio dove andare. Ho visto questo castello, così sono entrato ».
  « Avete fatto benissimo » disse Lumiere, ignorando i segni di diniego di Tockins. « Siete il benvenuto ».
Maurice sorrise, Tockins emise un rantolo.
  « E’ davvero una nottataccia » continuò il candelabro, saltellandogli accanto, « e voi siete completamente fradicio, monsieur. Venite da questa parte, potrete scaldarvi davanti al fuoco del salotto ».
  « Vi ringrazio enormemente ».
  « No! Fermi! ». Tockins trotterellò loro dietro.
  Lumiere aveva già imboccato una lunga galleria ornata di statue di dei e dee greche, sulla quale si aprivano almeno otto porte.
  « Ma insomma, la mia autorità non vale più niente in questo castello? » continuò Tockins, le lancette tutte storte per la rabbia. « Tu sei solo un valletto, Lumiere, sono io il maggiordomo! Pertanto sono io che decido chi può entrare in casa e chi no! ».
  « Ma se non fai tu gli onori di casa, dovrò farli io » rispose Lumiere senza guardarlo.
  Tockins trattenne aria nei polmoni per dare più impeto alle proprie rimostranze, quando uno stranuto di Maurice risuonò forte nella galleria.
  « I lor signori mi perdonino » si scusò, estraendo dai calzoni un fazzoletto zuppo di pioggia, il quale servì a poco per soffiarsi il naso.
  Tockins osservò l’uomo tutto infreddolito, scatenandogli una lotta interiore tra dovere e indulgenza.
Lumiere si chinò al suo orecchio (anche se non possedeva parti effettivamente riconoscibili come orecchie), sussurrando: « Bene, mon ami, immagino vorrai tu a dire al signore che dovrà passare la notte all’addiaccio ».
  « Glielo dirò, certo, ehm… sì. Devo farlo ». Tockins emise diversi colpi di tosse per schiarirsi la voce, così tanti da poter credere che avesse contratto la tosse asinina.
Lumiere aspettava con un vago sorriso sul viso di cera.
  « Oh, va bene! » si arrese Tockins, « Un’ora, al massimo due. Quando si sarà scaldato se ne andrà».
  Lumiere picchiettò sulla spalla del suo amico. « Lo sapevo che si nascondeva un cuore sotto quella ferraglia. Orbene, andiamo in salotto ».
  « Sarebbe meglio lo studio » replicò Tockins «Il padrone non vorrebbe… ».
  Ma Lumiere lo ignorò ed aveva già bussato due volte contro una porta della galleria, la quale si aprì all’istante senza che nessuno ruotasse la maniglia.
  Il salotto era un’ampia stanza arredata con arazzi fiamminghi. Il monumentale camino faceva bela mostra di sé, decorato con l’effige di un re di cui Maurice non ricordava il nome, gigli, foglie e altri ghirigori complicati. Lunghi e pesanti tendaggi ricoprivano le finestre, alti candelabri stavano immobili e muti su tavolini dalle gambe intarsiate; divanetti dal comodo aspetto, pouf e poltrone riempivano il centro della stanza. L’ambiente appariva nobile ed elegante anche se molto trascurato e cupo.  
  « Molto bene, molto bene » cantilenò Tockins, ansioso, continuando a guardarsi le spalle come se da un momento all’altro dovesse arrivare qualcuno di molto indesiderato. « Dirò a Mrs. Bric di portar su una scodella di zuppa, e poi… No, cosa stai facendo!? » gridò in preda all’indignazione: Lumiere aveva appena fatto Maurice sulla più bella poltrona della stanza.
  « Non lì! Sei impazzito, Lumiere? Quella è la poltrona di sua altezza!».
  « Suvvia, suvvia, solo per questa volta » rispose Lumiere, lasciando che un attaccapanni alto e nero portasse all’ospite una coperta per asciugarsi, mentre un altro attizzasse il fuoco.
  « Sono secoli che sua altezza non passa una serata in salotto ».
  « Questa non è una buona ragione per far irrompere un estraneo nelle sue stanze » rimbeccò Tockins.
  Uno sferragliare di ruote annunciò l’arrivo di un carrello, che trasportava un vassoio sul quale erano adagiati una tazzina con il suo piattino, la zuccheriera, il bricco del latte, e una bella teiera di ceramica bianca dipinta a fiorellini violetti.
  « Ecco a voi, signore » disse quest’ultima, facendo un sorriso gentile a Maurice, ormai quasi dimentico della brutta avventura nella foresta.
  Egli accettò la tazza dentro la quale era stata versata una buona quantità di tè bollente. Dietro al carrello delle vivande era arrivato anche un poggiapiedi, che ora scodinzolava in direzione di Maurice. L’uomo alzò i piedi e lo sgabellino vi si sistemò sotto, uggiolando soddisfatto.
  Tockins osservava la scena con una certa disapprovazione. « Non ho detto di portar su il tè! ».
  « Per una volta che il padrone non c’è, potresti chiudere un occhio » disse la teiera.
  « Potrebbe tornare a breve, Mrs. Bric, lo sapete che non sta mai fuori molto ».
  « Chi è il padrone di questo castello? » chiese Maurice, provocando un improvviso silenzio tra gli oggetti.
  La tazza nelle sue mani sussultò. « Lui è cattivo » disse con una vocetta infantile, da bambino.
  « Chicco, non sta bene parlare così! » lo rimproverò Mrs. Bric.
  « Ma è vero, mamma, lo è. Proprio terribile ».
  « Niente può essere terribile come la bestia che ho visto stanotte » disse Maurice, ricordando lo spavento subito.
  « Come avete detto, signore? » chiese Tockins visibilmente preoccupato.
  Ma la risposta non giunse mai.
  Un fragore invase l’aria circostante e tutti i presenti tremarono come foglie. I due attaccapanni si dileguarono attraverso una porta, lo stesso fece il poggiapiedi, abbaiando. Alla folata di vento gelido che si abbatté sulla stanza, i candelabri che avevano illuminato il salotto si spensero all’improvviso, lo stesso le fiamme del camino, e l’oscurità invase ogni cosa. Tockins, Lumiere, Mrs. Bric e Chicco si strinsero tra loro, Maurice si rannicchiò sulla poltrona. Passi tonanti nel corridoio, poi la porta si aprì sbattendo sui cardini e un ringhio feroce salì dalla gola della presenza appena entrata.
 « Sento puzza di estranei » disse il nuovo venuto, esalando le parole dentro un sussurro minaccioso. « C’è qualcuno che non dovrebbe esserci ».
  Maurice avvertì passi pesanti far rimbombare il pavimento, accompagnati da un ticchettio di artigli sul pavimento.
  « P-padrone, mi rincresce tanto » fece Lumiere, avanzando di un passo. « Posso spiegare ».
  « Sarà meglio per te ».
  « Vedete, il signore ha bussato al nostro portone, era completamente fradicio e affamato, si era perso e… ».
Il ringhio si fece più alto. « Sapevi quali erano gli ordini ».
  « Certamente, certamente, però, vedete, egli… ».
  « Non è il benvenuto, qui! ».
  « Altezza » intervenne Tockins, ostentando una sicurezza che non provava affatto. « Io avevo avvertito Lumiere che vi sareste infuriato, ma come al solito ha fatto di testa sua. Credetemi, ho insistito più volte, io sapevo che voi non… ».
  « Basta! ». Un altro ringhio, basso e cupo da far accapponare la pelle. « Non voglio le vostre  scuse, voglio che se ne vada ».
  Maurice era completamene immobile. Sentì la presenza girare attorno alla poltrona, un puzzo di pelo bagnato, un’ombra gigantesca che si stagliava davanti a lui. Non osò alzare la testa, non osò guardare la bestia della foresta.
  « Sei comodo su quella poltrona? » domandò questa con ostentato sarcasmo misto a rabbia.
  « Io… io… ».
  « Che cosa vuoi? Chi sei? ».
  « Mi… mi chiamo…Maurice Beauffremont ».
  « osa credevi di fare venendo qui? Rubare? O scoprire qualche segreto ».
  « N-niente di tutto ciò, s-sono un uomo onesto, volevo soltanto… soltanto… ». Maurice udì di nuovo il ringhio, percepì il fiato caldo della creatura ed ebbe l’ardire di alzare lo sguardo.
  Non l’avesse mai fatto! Il grido gli morì in fondo alla gola, lasciando spazio solo a un rantolo di puro terrore. Era veramente la creatura che aveva visto poco prima nella foresta, non c’erano dubbi. Camminava a quattro zampe ora, il pelo sulla schiena ritto, fradicio, gli occhi neri socchiusi lo fissavano maligni.
   « Che cosa guardi, vecchio? ».
  Maurice si affrettò ad bassare il capo e si gettò in ginocchio. « Perdono, chiedo perdono, non uccidetemi! Ho una figlia, voglio solo tornare a casa da lei, vi supplico! ».
  Ma le preghiere dell’uomo urtarono ancor di più la bestia, che allungò un braccio possente e spedì un pouf dall’altra parte della stanza per avere via libera. Afferrò Maurice per il bavero del mantello e lo trascinò di peso fuori dalla salotto.
  « Altezza, che cosa fate? » gridarono Lumiere, Tockins e Mrs. Bric a una voce. Chicco era troppo spaventato per parlare.
  « Gli sto dando asilo », rispose beffarda la Bestia. « Non era quello che voleva? ».
  Con un balzo fu fuori dalla porta, lasciando i tre servitori completamente attoniti, increduli, benché non avessero sperato in niente di meglio. La voce del povero Maurice sparì tra i meandri del castello, chiedendo di essere lasciato andare, che avrebbe fatto qualunque cosa, ma la bestia fu sorda ad ogni richiesta. Poi fu silenzio.
 « Non dovevi farlo entrare » sbottò Tockins rivolto a Lumiere. « Sapevo che il risultato sarebbe stato questo ».
 « Ma io… ».
 « Ma tu cosa? Pensavi sul serio che lo lasciasse andare dopo averlo visto in faccia? ».
Lumiere tacque, sommerso dai sensi di colpa.
 « Non abbiamo alcuna speranza, ormai » disse Mrs. Bric con infelice buonsenso. « Il male è troppo radicato dentro di lui. Il sortilegio lo ha reso irragionevole. Nessuno riuscirà mai a farlo cambiare. Nessuno ».
 
 
 
  Belle era comodamente seduta sul divanetto del salotto con un libro in mano quando qualcuno bussò alla porta. Balzò in piedi, sperando si trattasse del postine che le recapitava una missiva di suo padre dalla città. Oramai doveva essere arrivato e la fiera cominciata. Elettrizzata, aprì la porta con un gran sorriso, il quale si trasfigurò in una lieve smorfia che le arricciò il naso in modo alquanto buffo. Le sue aspettative erano state tradite dall’arrivo dell’individuo a lei meno gradito.
  « Buongiorno, Gaston », si sforzò di sorridere.
  Gaston stava appoggiato allo stipite della porta, una gamba davanti all’altra, le mai nelle tasche del panciotto stirato di fresco, un sorrisetto baldanzoso sul viso rasato.
  « Buongiorno, Belle, come stai? ».
  « Molto bene, ti ringrazio. Che ci fai da queste parti? ».
  « Passavo di qui ».
  La ragazza non faticò a intuire che era una menzogna bella e buona. Gaston era stranamente elegante, tirato a lucido, non ci si vestiva in quel modo per una semplice visita di cortesia.
  Stava per snocciolare l’ennesima scusa che l’avrebbe liberata di lui, ma il giovane varcò la soglia di casa senza chiedere il permesso, come se fosse stato invitato ad accomodarsi. Con indolenza, Belle richiuse la porta. Lui si era già sistemato al tavolo della cucina, poggiandovi i piedi sopra. Dava l’impressione di trovarsi perfettamente a suo agio.
  « Hai davvero una bella casa » disse Gaston guardandosi attorno.
  « Grazie » rispose Belle, adocchiando il fango rappreso sulla suola degli stivali del giovane. Aveva appena pulito quel tavolo, dannazione a lui…
   « Perdona la franchezza, Gaston, ma, ti serve qualcosa? ».
   « Ah, ah, ah » fece Gaston, scuotendo il capo come se la risposta fosse ovvia e Belle troppo sciocca per arrivarci. « Belle, oggi sarà il giorno più felice della tua vita ».
   « Ah sì? ».
  Gaston rise ancora, facendo un cenno con la mano. « Siedi un momento, fanciulla, debbo farti un discorso molto serio ».
  Belle sedette, iniziando ad insospettirsi. Lei e Gaston non avevano mai avuto molto da dirsi, men che mai si erano intrattenuti in un discorso serio.
  « Ebbene, vorrei che ti immaginassi una scenetta, tu hai molta fantasia ». Gaston fece un ampio gesto con il braccio. « Immagina una rustica casetta in mezzo alla campagna, un luogo tranquillo, io che torno al tramonto accolto a braccia aperte dai miei cari che mi attendono sulla soglia ».
  « Oh… ehm, sì, molto carino come scenario » commentò prontamente belle quando lui fece una pausa.
  « Trovi? Già, molto carino, è vero. Ora, mia cara, immagina sei o sette bambini che corrono nel prato con i cani da caccia, perché naturalmente avremo cani da caccia visto che vivremo di quello, è il mio lavoro dopotutto, e tu ti occuperai di loro splendidamente ».
  « Sei venuti qui per dirmi che mi assumerai come guardia cani? », fece lei, domandandosi da quand’è che Gaston la chiamava ‘mia cara’. Avrebbe voluto rompergli il naso per questa libertà, era già passata sul fatto che gli permettesse di chiamarla Belle e non Isabelle come fossero amici per la pelle.
In risposta, Gaston rise più forte. « Ma no, ma no. Ho deciso di sposarmi! ».
  Lui allargò le braccia e si alzò, forse aspettandosi un grido di gioia o qualcosa di simile. Ma lei rimase a fissarlo per qualche secondo, interdetta.
  « Ah. Congratulazioni. E chi sarebbe la… fortunata? ».
  Gaston fece il giro del tavolo, mettendole le mani sulle spalle. « Non indovini? ».
  Lei schizzò via dalla sedia, cercando di mettere una certa distanza tra loro. « No, non lo so proprio. Ma sarò felice di fare da damigella d’onore alla sposa ».
  « Sari tu ad aver bisogno di damigelle d’onore, mia cara ».
  « I-io? ».
  « Sarai tu la mia sposa, Belle». Gaston le si avvicinò pericolosamente.
  Lei indietreggiò fino a trovarsi con le spalle al muro, o meglio alla porta. Istintivamente cercò la maniglia. Doveva buttarlo fuori di casa e chiudercisi dentro prima che la situazione precipitasse.
  « Oh, che gran sorpresa » disse con una risata tremolante. « Non avrei mai immaginato che tu… ».
  « Sei davvero ingenua, allora ». Gaston la imprigionò posandole le mani sui fianchi, piegandosi in avanti così che i loro volti potessero esser alla stessa altezza. « Dì di sì. Dì che accetti di sposarmi ».
  Belle scostò le sue mani, cercando di distrarlo parlando, armeggiando ancora con le mani dietro la schiena senza farsi notare dal giovane. Dov’era quella benedetta maniglia?
  « Non posso avere un po’ di tempo per pensarci? E’ stato così improvviso… sono rimasta senza parole ».
  Gaston le si fece ancora più vicino.
   « Perché aspettare? So che anche tu vuoi sposarmi, cara, è inutile fare tanto la preziosa ».
  Belle voltò la testa di lato, fingendo imbarazzo per tanta audacia, quando invece provava solo disgusto al pensiero che quel bell’imbusto stesse per baciarla.
  « Gaston, controllati! ».
  « Non ne ho alcuna intenzione. Fatti dare un bacio, mia bella sposina ».
  Lui chiuse gli occhi e sporse le labbra. Lei trovò la maniglia, la girò e si scostò rapida dalla traiettoria del bacio. Gaston fece per appoggiarsi con una mano alla porta, ma trovò il vuoto e perse l’equilibrio, finendo lungo disteso sui gradini d’ingresso e poi dentro una pozzanghera, lasciata dalla pioggia di due notti prima.
  « Credo di non poter accettare la proposta. Addio » disse Belle, sbattendogli la porta in faccia.
  La fanfara partì di lì a un secondo, un gruppo di bambine lanciò petali di fiori. Un buon assortimento di cittadini aspettava fuori dalla staccionata. LeFou, che dirigeva la banda, fece un cenno a tutti quanti di smettere di suonare. Qualcosa era andato indubbiamente storto.
  LeFou fu al suo fianco, la banda e il resto della gente li seguì a qualche passo di distanza mormorando tra loro.
  « Che cosa è accaduto? Lei dov’è? » chiese LeFou.
  « Mi ha rifiutato » rispose Gaston, riemergendo dalla pozzanghera tossendo e sputando acqua fangosa. La sua voce non era più lusinghiera e suadente, ma aspra, dura, colma di rancore.
  « Avevi detto che avrebbe accettato » rimbeccò confusamente LeFou.
  « So che cosa avevo detto, idiota! Ma la pagherà, mi ha umiliato e la pagherà, parola di Gaston ». Gli abiti e il volto macchiati e bagnati, si allontanò marciando giù per la strada che portava al villaggio, più infuriato di quanto non fosse mai stato in vita sua.
 
 
  Belle percorreva a grandi passi il soggiorno, cercando di arginare l’indignazione scaturita dopo la visita di Gaston. Era convinto che lei accettasse? Sul serio? Si era persino portato la fanfara e gli amici. Roba da non credere! E adesso, se fosse stato per lui, lei si sarebbe trovata alla taverna a festeggiare il loro fidanzamento. Puah! Non avrebbe sposato quell’egoista, tronfio, maleducato, stupido essere neanche sotto tortura.
  Innanzitutto, non avrebbe dovuto permettersi di piombarle in casa sapendo che suo padre era assente, chiunque avrebbe potuto vederlo risalire il sentiero e chissà quali dicerie si sarebbero scatenate al villaggio. Gaston non doveva minimamente preoccuparsi del suo comportamento, lui era un uomo e agli uomini era concesso intrattenersi con donne non sposate, donne di dubbia moralità. Ci mancava solo che, oltre a considerarla strana, la bollassero anche come una poco di buono. Di questo, comunque, non si preoccupò a lungo: c’erano stati dei testimoni e avrebbero sostenuto la verità, ovvero che la sua reputazione era intatta e il comportamento di Gaston era stato scorretto. E quando, l’indomani, Maurice sarebbe rientrato dalla città e lei gli avrebbe raccontato quanto accaduto, si sarebbe indignato quanto lei. Era contro ogni condotta chiedere una fanciulla in sposa senza prima aver parlato con il padre e ottenutone il consenso. Questa regola non valeva solo per chi possedeva sangue blu.
  Infuriata con sé stessa uscì sul retro e corse verso la collina. Era anche colpa sua se Gaston aveva creduto di poterle proporre le nozze. Non era mai stata chiara quanto avrebbe voluto, tutto perché in quel villaggio l’ipocrisia era ben tollerata e la sincerità veniva definita insolenza. Era così allenati a simulare il loro falso perbenismo da farlo divenire la normalità. Dovevi ingoiare il rospo se qualcuno ti faceva un torto, dovevi tollerare le chiacchiere per non farle aumentare, dovei tacere se avevi un’opinione differente, dovevi stare attento a come comportarti o a cosa dicevi, perché un atteggiamento stravagante non era ammesso. E dalle fanciulle ci si aspettava che fossero sempre cortesi, composte, e ponderassero ogni parola prima di pronunciarla. Bè, lei non ci stava. Avrebbe avuto voglia di gridare, di correre, dichiarare al mondo i suoi pensieri, i suoi sogni, volare alto e cadere lontano lontano, in un’altra parte della terra dove nessuno la conosceva; un luogo in cui non esistevano regole stupide e ognuno potesse vivere la propria vita come desiderava. Chissà se esisteva un luogo così, dove poter essere accettata per ciò che era, e non per ciò che gli altri si aspettavano che fosse.
Giunta sulla cima del colle, respirò a fondo l’aria pungente del primo autunno, l’odore dei pini, del legno umido, del fumo acre che si alzava dai comignoli del villaggio alle sue spalle. Belle sedette sul prato adorno di foglie ingiallite, ne prese una e se la rigirò tra le dita. Lo sconforto prese il posto della collera.
   Sarebbe stato sempre così? Sarebbe sempre stata esclusa, senza nessuno la capisse veramente e che l’amasse? Quello che Gaston provava per lei non era amore, era solo smania di vincere su di lei, sull’unica ragazza di tutto il paese immune al suo fascino, e questo non gli andava giù.
  Era davvero dura essere una donna, non poter alzare la voce e dire a Gaston una volta e per sempre di lasciarla in pace, che non aveva nessuna speranza. Perché lei avrebbe accettato di sposarsi solo se avesse trovato l’amore, quello vero, quello che le avrebbe fatto battere il cuore a mille, che l’avrebbe tenuta sveglia la notte, che le avrebbe tolto l’appetito; quel tipo di sentimento che ribolliva nel sangue, del quale le donne più anziane si vergognavano a parlarne e le ragazze più giovani arrossivano al solo pensare. Non aveva mai accettato di contrarre un matrimonio combinato, e ringraziava il cielo di non essere figlia di nobili. Lei era libera di scegliere, e avrebbe scelto secondo i dettami del proprio cuore e della propria coscienza.
  Il filo dei suoi pensieri si spezzò quando il nitrito di un cavallo giunse alle sue orecchie. Belle alzò la testa e fissò sorpresa l’animale uscito dalla macchia di alberi al limitare del colle. Non poteva sbagliare: era Philippe. Avanzava a testa bassa, la bava alla bocca per la sete. Il povero animale aveva vagato solo nella foresta per molto tempo ed era sfinito.
  Belle gli corse incontro, spaventata.
  « Philippe! Che cosa è successo? » esclamò. Philippe si era trascinato dietro il carretto insieme all’invenzione di Maurice e al suo bagaglio. E lui dov’era?
  Quasi aspettandosi di vederlo comparire, Belle lanciò un rapido sguardo nel punto da cui era giunto Philippe.
   « Dov’è papà? Philippe, dove lo hai lasciato? ».
  Il cavallo la fissò con gli occhi neri spalancati, scosse la criniera e pestò le zampe sul terreno, sbuffando nervoso. Cercava di dirle qualcosa. Non era coraggioso ma era decisamente intelligente.
  Belle sapeva che cosa fare, prima però doveva concedere al cavallo di riprendersi. Gli diede da bere e lui gettò il muso nel secchio d’acqua, avido. Staccò le stanghe del carretto dai finimenti, lasciandolo accanto al pollaio, dove coprì il tutto con lo stesso panno che Maurice aveva usato per proteggere la sua invenzione. Poi corse in casa a prendere il mantello da viaggio, se lo gettò sulle spalle, richiuse in fretta la porta della casa e i recinti degli animali, lasciandogli una generosa quantità di acqua e cibo. Non sapeva quanto tempo avrebbe impiegato per trovare suo padre. Infine saltò in sella a Philippe, affidandosi al suo istinto. Rifocillato dall’acqua fresca e da un poco di erba brucata nel prato, il cavallo ripartì al galoppo verso la foresta.  
  Impiegarono quasi tutto il giorno per arrivare al il bivio che Philippe aveva imboccato con Maurice due notti precedenti. Belle era stata più volte sul punto di tornare indietro, solo la speranza di trovare suo padre l’aveva convinta a lasciare che fosse Philippe a decidere dove andare.
  Ormai faceva buio. La ragazza provò una stretta allo stomaco quando il cavallo si inoltrò tra gli alberi, sempre più in profondità, fermandosi in prossimità della diramazione. Ancora prima di esortarlo a procedere, lei sapeva quale delle due strade avrebbero percorso e la paura la schiacciò nel momento in cui il cavallo prese a destra, permettendo che il buio totale li inghiottisse. L’inquietante ricordo di sé stessa bambina in viaggio con suo padre fece di nuovo capolino nella sua testa. C’era qualcosa di terribilmente familiare in quella stradina. Non seppe fino a che punto fidarsi di Philippe, la stava portando dritto nel cuore della foresta, là dove si raccontava vivesse una creatura mostruosa. Doveva pensare dunque che suo padre era laggiù, ferito, forse in balia della creatura?
  Il sentierino serpeggiava tra tronchi contorti e fitti cespugli di rovi nei quali l’abito della ragazza s’impigliò più volte. Ad ogni passo, si addentravano di più nel labirinto di alberi, la luna scomparve tra i rami simili a un tetto naturale. Belle non vedeva a un palmo dal naso, poteva solo restare in sella e andare avanti, ancora avanti. La ragazza notò una cosa molto strana: non c’erano foglie su quegli alberi, erano  completamente spogli come se laggiù fosse già arrivato l’inverno. Alzò gli occhi al cielo e ringraziò la luna, unica fonte di luce in quel nero d’inchiostro che era la foresta. Quando riabbassò la testa, si rese conte che il sentiero era scomparso, soffocato dagli intricati arbusti. Emise un gemito di disperazione. Senza una via da seguire, tutto si complicava: sarebbe riuscita a trovare una via d’uscita per tornare indietro?
  Con suo sommo sollievo, sbucarono ina radura a cielo aperto. Ma la dispettosa luna si era nascosta dietro una nuvola.  la situazione non era cambiata di molto.
  « Dove siamo? ».
  Il cavallo scosse violentemente la grossa testa, scalpitando inquieto e Belle capì che più in là non poteva portarla. I secondi trascorsero lenti. Scrutando il buio, cercò di decidere rapidamente da che parte dirigersi.  Poi, la luna decise di far capolino tra le nubi. E fu allora, sopra le cime degli alberi più alti, che Belle scorse la sagoma di una e più torri. Rimase qualche istante a fissarle, la mente che lavorò velocissima: quelle torri appartenevano ad un castello, Maurice poteva essere là dentro, forse rapito, forse ospite, poco importava: lei vi si sarebbe precipitata. Si tuffò tra gli alberi di fronte a lei insieme a Philippe, più avanzavano, più la sagoma del castello si avvicinava, prendeva forma. Infine  furono difronte ad un altissimo cancello in ferro battuto che dava l’accesso all’oscuro e inquietante maniero.
  Non aveva mai saputo dell’esistenza di un posto simile. A chi apparteneva? Vi abitava qualcuno?
  Belle si sentì avvolgere da un’ondata gelida, ebbe l’impulso di fuggire via ma non lo fece. Scese da cavallo e si avvicinò all’entrata. Spinse piano il cancello e quello subito il cancello si aprì. Scivolò all’interno del cortile portandosi dietro Philippe. Il cavallo fu riluttante ma la seguì ugualmente.
  Sugli ultimi gradini in cima alle scale davanti al portone d’ingresso c’era qualcosa che da subito aveva attirato l’attenzione della fanciulla. Belle si chinò per raccogliere quello che riconobbe come il vecchio cappello di suo padre. Era davvero là dentro, non c’erano più dubbi.
  « Aspettami qui, hai capito? » disse a Philippe, il quale nitrì sommessamente guardandola con occhi intimoriti. Belle gli accarezzò il muso, poi varcò il portone ritrovandosi immersa nell’ingresso deserto e privo di luci.
  Prese un bel respirò e chiamò: « Papà? ».
  Le rispose la sua eco.
  Stringendo il cappello tra le mani, non indugiò oltre. Avanzò con cautela tra le stanze e i corridoi del castello, il puzzo di chiuso aleggiava ovunque, la pallida luce lunare penetrava dalle grandi finestre aiutandola a capire dove metteva i piedi. Trovò porte chiuse, sbirciò in quelle aperte, scrutò le stanze iniziando a chiedersi come fosse finito suo padre i un posto del genere e chi ce lo avesse portato. Sembrava disabitato da anni. Ragnatele pendevano dai lampadari, viaggiando da un quadro a un candelabro, sui corrimano, i tappeti erano impregnati di polvere. Belle registrò solo in parte tutte queste informazioni, chiamando e chiamando Maurice, non ricevendo risposta alcuna.
  Ad un tratto vide una luce. Un lumino tremolante ai piedi di una scala che non aveva ancora esplorato.
   « C’è qualcuno lì? ».
  Il lume tremolò ancora e poi sembrò allontanarsi.
  « No, aspettate, vi prego! Sto cercando mio padre! Per favore, aspettate! ».
  Belle corse su per una rampa di scale di pietra che girava attorno alla struttura di quella che si rivelò essere una torre. L’aria fredda la investì non appena si trovò sulla cima, in una stanza circolare dalle alte e strette finestre aperte sul cielo buio. Da una parte vi era solo nuda roccia, sull’altro lato spuntavano tre porticine di ferro con piccole griglie quadrate a fingere da visuale sul quella specie di carcere.
  « Non può essere » mormorò.
  La sua voce rimbalzò leggera sui muri. Decise di chiamare ancora, il cuore in petto che galoppava furioso.
  « C’è nessuno quassù? ».
  Le rispose una voce all’uguale disperata e felice. « Belle! Belle! ».
  « Papà! Oh, papà! ».
Il viso di Maurice spuntò dalla cella in mezzo, le braccia dell’uomo si sporsero attraverso le sbarre per afferrare le mani della figlia tra le proprie. Belle si precipitò da lui e gliele baciò.
  « Come sei arrivata qui? » domandò Maurice. La sua voce era affaticata.
  « Philippe è tornato a casa » rispose semplicemente la ragazza. Le spiegazioni potevano anche aspettare. Doveva tirarlo fuor di lì, anche a costo di buttare giù la porta della cella a calci. « Che cosa è accaduto? Chi ti ha fatto questo, perché? ».
  L’espressione sollevata sul viso di Maurice alla vista della figlia si trasformò in terrore.
  « No, no, non prenderà anche te. Fuggi, cara, svelta! ».
  « Che cosa dici? Non posso lasciarti ». Belle strinse di più le mani del padre. « Ti devo portare via, non permetterò che chiunque ti abbia rinchiuso qui la passi liscia ».
  « Non puoi ». Maurice scosse forte la testa, emettendo un colpo di tosse. Due giorni senza cibo combinati al freddo lo avevano fatto ammalare.
  « Tu non stai bene ».
  « Non ha importanza, adesso. Devi andartene subito. No, ascoltami! » esclamò l’uomo prima che lei potesse protestare. « Torna di corsa al villaggio, raduna gli uomini più forti. Da sola non puoi farcela ».
 « Ma chi è stato a rinchiuderti? Devi dirmelo, papà! ».
  Maurice stava per rivelarle la verità quando passi tonanti rivelarono qualcuno che saliva di corsa le scale della torre.
  « Scappa, bambina, scappa! » esclamò Maurice.
  La porta della torre sbatté con violenza. Lui gridò, Belle strillò in risposta e venne allontanata dal padre con violenza. Cozzò con la schiena contro la porta di ferro di una delle celle vuote, il dolore le mozzò il respiro per un attimo. Rialzato lo sguardo scorgendo un’ombra imponente, la luce della luna non riusciva ad illuminarla poiché essa si teneva lontano dalla essa, non voleva mostrarsi. Aveva qualcosa di umano ma la ragazza non era sicura che lo fosse del tutto. La sua voce fu qualcosa di spaventoso,  profonda come se provenisse dalla bocca dell’inferno. C’era qualcosa di animalesco in quel suono.
  « Chi sei? ».
  Belle deglutì più volte prima di riuscire a rispondere, la gola le si era seccata. « Sono la figlia di quest’uomo. E voi… voi chi…? ».
  « Io sono il padrone, qui » scandì con forza la figura nel buio.
  « Allora la prego, lasci andare mio padre ».
  « Non credo di potervi accontentare ». La voce vibro una risata, l’attimo dopo tornò cupa e accusatoria. «Vostro padre è entrato in casa mia come un ladro, è venuto spiare ».
  « Non ho fatto niente del genere, lo giuro! » esclamò Maurice in sua difesa.
  « Fa silenzio, vecchio! ».
  Belle si rialzò in piedi, sentendo montare la rabbia per il modo in cui quella figura ignota aveva trattato suo padre.
  « Lo avete rinchiuso qui solo perché è entrato in casa vostra? ».
  L’ombra avanzò di un passo, minacciosa. « Nessuno lascia questo posto una volta entrato. Chiunque mi veda non deve raccontarlo ».
  La ragazza avvertì un brivido gelido correrle lungo la schiena. « Se liberate mio padre, giuro che non racconteremo mai di questo luogo ad anima viva ».
  La voce di Belle tremò leggermente e la sua affermazione risultò più debole di quanto avrebbe voluto.
  « Sì, sì, giuro! » le venne in aiuto Maurice. « Non racconterò mai di voi, mai, a nessuno! ».
  La figura rise ancora, una risata senza allegria. « Le vostre preghiere sono inutili, fanciulla. Tornate da dove siete venuta prima che rinchiuda anche voi su questa torre ».
  « Perché non lo fate, allora? » lo sfidò Belle. Non seppe dove trovò il coraggio.
  « Voi non avete visto il mio volto » le rispose l’ombra. Il suo tono si era incupito maggiormente. « Vattene, prima che cambi idea ».
  Belle rimase immobile e in silenzio per lunghi secondi durane i quali la sua mente lavorò febbrilmente. Ci doveva essere un modo per convincere il padrone del castello a liberare suo padre, a lasciarli andare via…
  « Ascoltalo, bambina » la implorò Maurice. « Va via, te ne prego ».
  « No ». Belle si voltò verso di lui e gli accarezzò il volto attraverso le sbarre. « Non posso lasciarti qui, sono venuta per salvarti ». Diede le spalle a Maurice e fece un passo avanti. La luce della luna la investì in pieno. « Vi offro uno scambio » disse infine.
  L’ombra ebbe uno strano scatto, e se la ragazza avesse potuto scorgere il suo volto ne avrebbe visto dipinto puro stupore.
  « Pretendete di negoziare, fanciulla? Non sapete chi avete davanti ».
  « No, non lo so, ma ecco cosa vi propongo: lascerete andare mio padre e al suo posto prenderete me ».
  Le parole le costarono fatica, soprattutto quando Maurice gridò le sue vive proteste.
  L’ombra era tornata immobile.
  La Bestia non si era reso conto fino a quell’istante della possibilità che gli si presentava dinnanzi. Fu pronto a deridere la sua scelta ma la consapevolezza esplose davanti a lui come una fiammella, debole, seppur reale. La ragazza si offriva spontaneamente come prigioniera al posto del padre.
  « Voi non sapete ciò che dite ».
  Belle strinse le mani una nell’altra per darsi coraggio. « Non sto scherzando, so bene quello che faccio. Ma voi giurate di liberare mio padre ».
  Un gesto nobile pur se avventato, folle, ma quel gesto aprì uno spiraglio nella coltre oscura che avvolgeva il futuro del principe. C’erano pochissime, quasi nulle possibilità, ma non aveva nulla da perdere.
  Senza rendersene conto, la Bestia fece un passo verso la ragazza.
  « Lo fareste veramente? ».
  « Non ritiro mai ciò che dico ».
  La risolutezza negli occhi scuri di lei lo convinsero. « Dovrete promettere che rimarrete qui per sempre. Avete capito? Per sempre. Sconterete la colpa di vostro padre ».
  Belle annuì. Certo che avrebbe promesso, ne andava della vita di suo padre che ora piangeva sommessamente alle sue spalle. « Lo farò, giurerò ma… prima voglio vedere il vostro volto ».
  L’ombra indietreggiò, resasi conto di essersi avvicinata troppo al fascio di luce argenta. « Non è necessario che mi vediate in faccia ».
  Il viso di Belle si indurì, così la sua voce. « Voglio vedere il motivo per il quale mio padre è stato incarcerato. Voglio vedere per cosa sto cedendo la mia libertà ».
  « No ».
  « Per favore. Venite sotto la luce ».
  Fu il ‘per favore’ a riscuotere il principe, insieme allo sguardo triste disegnatosi sul bel volto della fanciulla. Senza una parola avanzò piano nel fascio di luce, vide gli occhi di lei spalancarsi dal terrore, un grido le morì in gola.
  Belle lo fissò ammutolita, troppo terrorizzata da due occhi stretti in uno sguardo penetrante, nero come un pozzo di oscurità. L’intero copro era ricoperto di una folta pelliccia bruna, indossava abiti laceri, unica parvenza di normalità nella figura gigantesca che di umano aveva soltanto la voce, o forse neppure. Lo sguardò di lei indugiò sulle quattro zampe, enormi, ricoperte di artigli. Si reggeva su quelle posteriori, ergendosi in tutta la sua altezza, ma era certa che se avesse camminato a quattro zampe l’effetto sarebbe stato ancor più terribile. E il volto… oh, quel volto! Ferino, semiumano, la bocca spaventosa dotata di zanne acuminate, quel volto sormontato da due orrende corna simili a quelle di un demonio, incurvate sopra la testa.
  Ed adesso, Belle seppe che le leggende erano vere.
  Era la creatura di cui le aveva raccontato suo padre quando era piccola, che tanti viaggiatori dicevano di aver solo intravisto. La creatura che viveva nel cuore della foresta, ed era lì, davanti a lei, e lei aveva accettato di essere sua prigioniera per sempre.

 

 
 
* E' il cognome della famiglia di Belle nell'adattamento cinematografico del 2014.



 - Angolo di Susan -
Questo capitolo è stato un parto, non per la difficoltà nel scriverlo quanto per il pochissimo tempo a disposizione. Purtroppo o per fortuna, credo che dalle prossime settimane avrò più possibilità di aggiornare velocemente dato che, a quanto pare, la mia capa ha deciso di lasciarmi a casa. Per la serie ‘mai una gioia’. Vedremo come andrà a finire…
Anyway, un capitolo bello lunghetto, spero non vi abbia annoiato. Belle ha incontrato la Bestia, siete contenti? So che molti aspettavano questo momento. L’altra volta avevo detto di non essere convinta di inserire dialoghi simili a quelli del film, di fatti stavolta ho dato libertà alla mia testa, cercando di distaccarmi completamente dalla storia originale pur seguendone le dinamiche.  La prossima volta inizierò a narrarvi la convivenza dei nostri protagonisti, dove darò ancor più largo spazio alla mia immaginazione.
 
Ringrazio le persone che hanno inserito la fanfiction tra le preferite/seguite e chi ha recensito gli scorsi capitoli:
Sempreverde03, marusk, Joy Barnes, JessAndrea, Aly_Effe, sole13, ChibiRoby, VelenoDolce.

Un bacio a tutti e Buona Pasqua!
Susan.
   
 
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