Cap.17 Adozione mancata
“Il presidente degli Stati
Uniti, Nagato Pain, ha messo a
punto un nuovo deterrente nucleare. Ha dichiarato: “Questi
sono tempi di odio e…”.
Tsunade spense la televisione e il
discorso del giornalista
s’interruppe.
“Finiranno per spacciarci
tutti via. Maledetti, se potessi
fare qualcosa, vedrebbero” sibilò. Si
portò un bicchiere di birra alle labbra e
ne sorseggiò il contenuto. Socchiuse gli occhi e
gettò indietro la testa,
facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi.
Affondava nel divanetto coperto da un
copridivano di stoffa
giallo spenta. Attraverso le tapparelle storte filtrava della pallida
luce
biancastra, facendo rilucere la polvere.
Da fuori proveniva rumori di
campanelle e versi di animali,
tra cui erano riconoscibili quelli di grosse vacche. In lontananza si
riusciva
a riconoscere il suono di un tosaerba.
“Sempre a preoccuparti per
il mondo. Ti ricordo, mia
adorata, che noi non abbiamo nemmeno la potenza per riavere il nostro
ristorante, figuriamoci per pensare così in
grande” le ricordò Orochimaru,
sibilando.
Tsunade appoggiò la mano
sul fianco, lasciato leggermente
scoperto dalla maglia che indossava, e schioccò la lingua
sul palato.
Nella stanza si percepiva odore di
fumo e di tabacco.
“Potrei tornare a lavorare
come infermiera. Così da mettere
da parte dei soldi” ribatté Tsunade.
Allungò la gamba e spostò con il piede il
tavolinetto davanti a sé, dando vita a uno stridio
prolungato.
“A me basterebbe non
vederti scommettere” ribatté Orochimaru.
I segni neri intorno ai suoi occhi erano spessi e i suoi candidi denti
aguzzi
brillavano nell’oscurità della stanza. Il suo viso
pallido rassomigliava a una
maschera di cera, su cui spiccavano i sottili occhi scuri.
Orochimaru si versò un
liquore dentro un bicchiere, il
liquido ambrato si rifletteva nelle sue iridi color dell’oro.
“Ti sento più
preoccupato del solito. Cosa c’è, mia vipera,
inizia a scarseggiarti il veleno?” domandò
Tsunade. Lo raggiunse ancheggiando,
il suo seno prosperoso ondeggiava ad ogni suo movimento. Raggiunse il
marito e
gli accarezzò la spalla, sfiorandogli la veste con le aguzze
unghie laccate di
gel dorato.
“Quel moccioso di Itachi ha
fatto di tutto per avere suo
fratello. Perciò, chi è messo come noi,
può dimenticarsi di riuscirci” sibilò
Orochimaru.
Tsunade chinò il capo e
strinse le labbra fino a farle
sbiancare, giocherellando con il ciondolo che portava al collo.
Sfiorando con i
polpastrelli la pietra azzurra.
“Tu neanche lo vuoi un
bambino” disse con voce rauca.
< Ho perso un fratello, ho
perso il mio primo amore, ho
perso la mia famiglia e non sono nemmeno riuscita a dare un figlio al
mio uomo.
La maledetta malasorte mi perseguita > pensò.
Orochimaru si volse con un gesto
fulmineo e le afferrò il
mento, guardandola in viso.
“Tu sì,
però” disse, con tono gelido.
Tsunade sgranò gli occhi e
lo guardò in viso.
“Riuscirò a
fartelo avere, dovessi fare un patto con i
demoni in persona” giurò Orochimaru.
Tsunade gli appoggiò la
guancia sulla spalla, la sua pelle
rosea faceva contrasto con quella di lui. Si mordicchiò il
labbro e sospirò
pesantemente.
< Forse dovrei chiedere
consiglio a Jiraiya > pensò.