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Autore: sissir7    19/04/2017    1 recensioni
Fondamentalmente, John e Sherlock rappresentano tutto quello che un amore non dovrebbe essere, tutto quello che un amore non dovrebbe pretendere. Ma come si sa, alla fine è l'amore a decidere tutto: vita, morte, gioia, dolore. Sherlock non è mai stato così sensibile e John non è mai stato così se stesso.
Questa è la mia visione di due persone fittizie che non sono mai state così reali.
Questa è la visione di un amore che dopo 130 anni non è stato dimenticato.
E mai lo sarà.
P.S. Vorrei tanto che venissero ascoltate le canzoni citate perchè sono quello che le mie parole non riusciranno mai a descrivere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo una giornata dominata da un temporale estivo, il giovedì arrivò con un celo ancora nuvoloso e abbastanza cupo che di certo non aiutava la tensione che inevitabilmente li faceva sentire, di tanto in tanto, di cattivo umore.
Soprattutto Sherlock sembrava essere distratto ogni volta che John attirava la sua attenzione con ogni genere di cose, cose che potevano tenere la mente del ragazzo occupata.
John sapeva che doveva cercare di vivere quei momenti liberamente ma Sherlock quel dannato giovedì non voleva neanche sforzarsi di stare con lui tranquillamente, godendosi quella mini vacanza che si erano ripromessi di godere a pieno. Sherlock se ne stava al computer sul divano e John girava per casa cercando di non disturbarlo. Vedeva cosa stava facendo. Vedeva come scriveva di tanto in tanto sui fogli che aveva al suo fianco. Più che altro, sembravano ricerche su un certo Alan Birman e sulla sua azienda. John scosse la testa piegando le camicie di Sherlock che aveva da poco lavato.
“Dannazione.” Disse piano e irritato Sherlock.
“Ok Sherlock, puoi dirmi cosa stai facendo da due ore?” Nessuna risposta.
John si avvicinò e gli fu di fronte ma non catturò nessuno sguardo.
“Posso aiutarti?” Sherlock leggeva frenetico qualcosa.
“Sherlock?” Passò circa un minuto e finalmente ebbe una risposta che non gli piacque per niente.
“Faccio da solo.”
John si sedette al suo fianco, curiosando sullo schermo del pc che si chiuse violentemente, tanto che John sobbalzò. Sherlock si alzò altrettanto violentemente.
“Mi spieghi qual è il problema?”
“Qual è il problema? Fantastico.”Disse John seccato.
“Il problema è che hai passato la mattinata e queste due ore a non calcolarmi ed io sono abituato, davvero. È già capitato. Ma non siamo al liceo, siamo in vacanza e in una situazione che di certo non ci permette di sprecare tempo per quanto per te sia importante ciò che stai facendo; ci sono anche io qui.”
Le labbra di Sherlock si strinsero e sospirò. Pensava che quel discorso era più che lecito ma non poteva rinunciare a capire qualcosa di più di Lisa. Ci stava pensando dall’alba. John si alzò e gli poggiò le mani sul petto, con cura, gentilmente.
“Chi è quell’Alan? Cosa c’entra lui con quello che ti preoccupa?”
Sherlock chiuse gli occhi, poggiando la sua fonte a quella del fidanzato che dopotutto ancora gli parlava dopo averlo lasciato solo tutto quel tempo.
“E’ il padre di Lisa e volevo cercare di capire qualcosa su di lei e sul suo passato. L’uomo è un famoso imprenditore, qualche scandalo sulla vita personale, gossip ma niente degno di nota.”
“E la cosa ti secca perché odi non avere ragione.” Sherlock sorrise.
“Odio intuire le cose e non avere abbastanza dati per poterle accertare.”
“Con questi dati riesci a dedurre qualcosa invece?”
E John lo baciò, la sua lingua non mollava e lo stringeva, le sue dita si piegavano nella schiena di Sherlock che prese fiato.
“Beh, dati interessanti devo dire.”
Era così bello baciare John. Era come i fuochi d’artificio a Natale, quelli migliori che ci sono, i più forti e i più mozzafiato.
Sì, era proprio così.
“So che vuoi tenere la mente impegnata. Lo capisco. Ma che ne dici se parliamo un po'? Ci sono delle cose che non sai su di me.”
Sherlock corrugò la fronte non poco sorpreso.
“Tutto okay?” gli chiese e John tentennò un po' annuendo.
John aveva portato con se un peso per tutti gli anni che conosceva Sherlock ed ora era, come si sul dire, il momento giusto.

Si sedettero sul divano, uno di fronte all’altro come quando si devono fare quei discorsi importanti e si è tutti concentrati.
John fece un bel respiro sapendo che Sherlock non l’avrebbe presa proprio bene la notizia che gli stava per dare.
"E’ una cosa che non avevo mai e poi mai immaginato di doverti dire così all’improvviso ma siccome non vorrei mai lasciarti con dei segreti, se così si può chiamare quello che sto per dirti, ecco…”
Sherlock incrociò le braccia e voleva semplicemente sentir John parlare.
Se doveva morire avrebbe dato a John tutto il tempo necessario di parlargli e basta per l’intera giornata anche, fosse l’unica cosa che avrebbero fatto quel giovedì. John lo guardava dritto negli occhi. Ormai non temeva nulla. Non oggi.
“Volevo solo che tu sapessi che i miei genitori, ecco, loro sono…”
John si schiarì la voce.
Reggeva lo sguardo di Sherlock che piano disse:
“John.”
Le labbra separate, immobili, stavano per dire qualcos’altro ma non uscì niente.
“John…io so quello che vuoi dirmi. L’ho saputo il giorno del tuo compleanno il terzo anno di liceo.”
John semplicemente sbiancò.
Non poteva essere.
Non voleva pensare a come Sherlock aveva sempre saputo.
“Non venni alla tua festa di compleanno se ricordi e”
“Ricordo benissimo. Litigammo.”
“Esatto e allora…io cercai delle cose sul tuo conto. Sapevo che ti conoscevo bene ma non conoscevo bene il tuo passato e volevo solo capire. Capirti di più. Capire perché eri così, perché litigammo. Le esperienze passate di una persona la influiscono inevitabilmente e se cercando più cose possibili avessi trovato la tua di brutta esperienza magari io potevo fare qualcosa. Potevo rimediare…”
Sherlock trovava difficile esprimere quei sentimenti ormai lontani ma che si precipitarono di botto di nuovo nel suo stomaco.
“Volevo rimediare al tuo dolore. Al nostro litigio.”
John fece un mezzo sorriso. I pugni stretti e le nocche bianche contro i suoi jeans.
“E’ stato in quel momento che ho provato così tanto coinvolgimento ed interesse per qualcuno come mai prima. Mi preoccupavo. Per te.”
Si guardavano ma non sembravano molto a loro agio.
Era una cosa delicata, era la morte dei suoi genitori e John non poteva credere che Sherlock lo sapeva. John non parlava, forse non aveva neanche la forza di pensare.
“Ogni volta che mi mentivi quando dicevi che avresti passato il Natale con i tuoi…Pensavo solo a quanto in realtà fossi solo. E tutto quello che desideravo era farti sentire il meno solo possibile come tu hai fatto con me. Non penso di esserci riuscito comunque.”
Sherlock pensava velocemente e non sapeva cos’altro fare per riempire i silenzi che provenivano dal suo ragazzo.  
“Sai cos’è l’unica cosa a cui riesco a pensare ora? E’ se come ti sei comportato con me è stato mai influenzato da questa cosa che sapevi. Vorrei sapere se…”
“Ti ho sempre trattato come se me lo avessi detto, come se lo avessi sempre saputo. Sai come sono.”
“Lo so ma…a volte pensavo che mi accettavi al tuo fianco solo perché ero debole.”Sherlock era confuso.
“O perché ero sempre quello meno intelligente, che ti avrebbe dato meno problemi ed io ”
“Ti ho scelto perché tu sei stato l’unico che mi ha scelto. Tu mi hai visto. Nessuno mai mi aveva visto per davvero ma tu sì. E sei dannatamente intelligente e bellissimo. Bellissimo diciamo che se te lo dico è perché sono coinvolto sentimentalmente e forse sì, non sarei oggettivo nel dirtelo ma per me, per me sei una persona bellissima. Dio John, pensavi davvero questo?”
John non riusciva a non sorridere anche se Sherlock era comunque sconvolto quanto lui in quel momento.
“Volevo che me lo dicessi, John.” Un velo di lontana delusione coprì le iridi celesti di Sherlock che dopo un sospirò disse:
“Non sai quante volte ho pensato di chiedertelo ma volevo anche che fossi pronto tu, questa era la cosa più importante. Aspettavo che ti fidassi di me a tal punto e se lo sei ora, va bene.”
Sherlock gli prese il volto nella mano che era leggerissima.
“Io mi fidavo di te Sherlock, sul serio.”
“Lo so, lo so.”
“Ma questa era una cosa così personale e non ero mai pronto.”
Un sorriso incrociò gli occhi umidi di John.
“Avrei potuto fare qualcosa.”
“No, Sherlock. Nessuno ha mai potuto e neanche tu potresti. E’ una cosa troppo grande, non pensi?”
John si poggiò sullo schienale del divano e poggiò la testa che cadde indietro, rilassata.
“La morte è sempre troppo grande.”
Si voltò a guardare quel volto irrigidito.
“Hey.”Disse John ridendo un po' cercando di dirgli ‘Va bene. Va tutto bene’.
Poi, cambiando tono gli disse:
“Vorrei tanto passare alla seconda cosa che volevo dirti.” Sherlock annuì.

Era ancora un po' teso per le cose appena dette ma le sottili labbra di John curvate e felici lo rassicurarono.
“Andiamo in un sex shop.” Tutto quello che riuscì a fare Sherlock fu sgranare gli occhi e deglutire per un paio di volte.
“Non voglio comprare chissà cosa ma, andiamo, dobbiamo farlo. Potrebbe essere la nostra ultima occasione.”
Sfoderò un paio di occhi blu e dolci mai visti prima e Sherlock effettivamente non ci trovava niente di male; solo non se lo aspettava da un ragazzo come John.
“Vedila come un esperimento.” Ammiccò John, poggiando le sue mani sulle gambe del suo bel ragazzo che pensò a cose non proprio da poter dire ad alta voce che pesavano quasi nella sua testa e gli facevano riscaldare il corpo.
“Sicuramente fa parte del tuo piano di divertimento, John.”
“Come potrebbe non esserlo.”
“Okay, va bene. Non ho idea di cosa potrà uscirne fuori da questa cosa ma sarà interessante e ci terrà occupati per un po'.”
John si morse il labbro inferiore per poi inumidirlo e stringendolo per scaricare l’eccitazione che sentiva. Sherlock intuì tutto e John adorava che lo facesse così in fretta. Quella mente pronta in certe situazioni era la cosa migliore che c’era.
"Niente cose troppo ingombrati però John.”
“Cos’è, una battuta? Eppure sai cos’ho nei pantaloni.”
“Oh, ma smettila!” Risero e mai e poi mai avevano pensato di poter arrivare a quel punto della loro relazione ma li intrigava molto.
Non avevano mai avuto bisogno di fare gran cose per divertirsi e neanche ora, ora che la morte avrebbe probabilmente bussato alla loro porta, sentivano che non dovevano desiderare cose impossibili per stare bene e dirsi che ne è valsa la pena.
Insieme era l’unica cosa che gli serviva.

“C’è una cosa che anche io vorrei dirti ed è una cosa alquanto insignificante ma so che ti farà piacere sentirla perché sei un…romantico, possiamo dire, ed è una cosa personale che non sa nessuno se non mia madre quindi magari è un bene che io voglia dirtela perché, per quanto piccola, è qualcosa che mi ha reso molto felice.”
A John brillarono gli occhi e gli disse che voleva sentire ogni particolare.
“Bene. Allora, quando avevo otto anni, andammo come ogni estate al cottage in campagna e un giorno mio padre decise di andare a fare una sorta di escursione perché aveva da poco comprato la tenuta. Arrivammo al confine del bosco e lasciarono me e mio fratello andare un po' in esplorazione. Vicino ad un albero altissimo, che mi sembrava toccare il cielo (ero uno scricciolo da piccolo), vidi un piccolo animaletto marrone che mai avevo visto dal vivo, un porcospino.”
“Un…porcospino?” chiese John già interessatissimo dalla storia. 
“Era la cosa più adorabile che avevo mai visto, devo ammetterlo.” John si sciolse.
Gli occhi di Sherlock erano così malinconici e mai, mai, lo aveva visto così vulnerabile.
“Lo presi con cautela e mi annusava con quel minuscolo nasino sporgente…Lo ricordo come fosse ieri. Andavo tutti i giorni a quell’albero e indovina?” John scosse la testa non riuscendo ad immaginare cosa mai poteva essere accaduto.
“Lui era ogni giorno lì, John. Ogni mattina per due estati consecutive mi aspettò lì e non facevo altro che accarezzargli la pancia tutto il tempo.”

Sherlock sorrideva come un bambino che raccontava di aver ricevuto il più bel regalo di compleanno con quello sguardo acceso e la voce dolcissima, quasi commossa.
“Sul serio era sempre lì?” chiese John, non poco toccato.
“Sì. Ogni mattina per tutto il mese di agosto. Incredibile. Era la cosa più vicina ad un amico che avessi mai avuto.”
“Oddio, Sherlock…” disse a bassa voce John e si portò le mani al viso.
“Lo so, lo so è una cosa…commovente.”
“Poi cosa è successo?”
Sherlock fece spallucce.
“Una mattina andai e semplicemente lo aspettai perché, con mia sorpresa, non era lì. Lo aspettai per circa quattro ore ma non venne. E neanche i giorni a seguire.”
Sherlock sorrideva un po', ma il viso era spento e quel ricordo davvero troppo triste da non poter nascondere la tristezza agli angoli della bocca.
“Per un bambino di otto anni poteva essere la cosa più brutta di sempre e per cui piangere disperato ma io, beh io lo capivo.
Capivo che tutto finiva e che quell’animaletto in fondo non sarebbe durato per sempre.”
“C-cosa facesti?”
“Dai John, non stai piangendo sul serio.”
Un paio di lacrime bagnavano il suo volto e Sherlock gliele asciugò in fretta.
“Non piango ma non sono nemmeno fatto di pietra.”
“Sei così sensibile.” Glielo disse con ammirazione quasi.
“Già.”
“Comunque, lo dissi a mamma che ovviamente sapeva che uscivo ogni mattina per andare dal mio amico e lei mi abbracciò forte e mi chiese se mi sarebbe mancato. In quel momento non capii bene ma nel mio cuore sapevo che sarebbe stato così, mi sarebbe mancato parecchio. Infatti ci pensavo spesso. Mi chiedevo come stava, se era ancora vivo.”
“Eri un bambino dolcissimo, Sherlock. Davvero.”
“Mia mamma me lo diceva sempre, sai?”
“Non poteva essere diversamente. Sei ancora dolce.”
Scosse la testa e un po' stranito disse:
“Lo sono solo con te. Esserlo con il resto del mondo sarebbe inutile.”
Giocava con le proprie dita, un po' nervoso.
“Non dico che devi abbracciare ogni persona che incontri ma mostrare i tuoi occhi bassi e commossi, il tuo tono di voce vellutato così com’è ora, così gentile e sincero…Non ci sarebbe persona che non lo apprezzerebbe. Non averne paura.”
Sherlock alzò la testa per guardarlo. Ancora una volta si sentiva come se John riusciva a trovare ogni pezzetto bello di chi era e renderlo ancora più bello, importante ma soprattutto gli faceva capire che non era sbagliato. Nessuno dei suoi pezzetti era sbagliato.
Gli sorrise e annuendo un po' gli disse:
“Sai, John. Penso che per ora tutta la mia dolcezza la meriti davvero solo tu. Mi chiedi di fare quasi l’impossibile per uno come me.”
John capì che tentare di mettergli idee in testa di quel genere era tempo sprecato.
Sherlock Holmes non avrebbe mai parlato, guardato, sorriso così con nessun altro e a John dispiaceva per quelle persone che non avrebbero mai state testimoni di tanta bellezza. “Va bene, Mr. Holmes. Usala pure tutta con me.”


La sera fece presto a venire e dopo un boccone uscirono.
La serata era piacevole e dopo una birra che volevano gli desse un po' più di coraggio per quello che stavano per fare, seguirono la strada che gli indicava il navigatore sul cellulare che gli suggeriva di svoltare alla prima strada a destra.
Una volta imboccata, fu semi deserta e da lontano videro l’insegna spiccare nella penombra: una scritta in rosso, in stampatello accompagnata da un paio di manette che si accendevano ad intermittenza.
“Eccolo lì.” Disse John con la voce carica di aspettative e un sorrisone sulle labbra. Sherlock, dal canto suo, era curioso più che felice come John.



Entrarono annunciati dal suono di un campanellino posto sopra la porta.
C’erano un paio di ragazze che davano un’occhiata e il proprietario dietro al bancone, un uomo di mezza età impegnato al computer, con una lunga barba e occhi scuri. Il locale era abbastanza grande e l’atmosfera calda era data da luci soffuse e una musica che pareva lontana, molto suadente. “Cosa stiamo cercando per l’esattezza, John?”
Sherlock girava calmo tra gli scaffali, prendeva qualche oggetto di cui faceva fatica a capire più che l’utilità il come una persona poteva pensare di inventare certi marchingegni. John fece spallucce mentre armeggiava con una scatola.
“Cerchiamo qualcosa di…carino suppongo.” E gli sorrise velocemente per poi tornare a dare un’occhiata in un cesto al centro del negozio.

“Dai Mary, prendilo e basta.” La giovane voce attirò l’attenzione di Sherlock che dall’altra parte di uno stand cercava di sbirciare le due ragazze nella corsia di fronte. Una era alta bionda, vestita di tutto punto e annoiata. L’altra era più alla mano, si intuiva dai movimenti più spontanei, e aveva una frangia che gli donava tantissimo, pensò Sherlock.
La ragazza con la frangia rispose che non voleva fare una stupidaggine a prendere quello sbagliato. Aveva in mano un vibratore nero, molto elegante e tra i più costosi. Sherlock capì che non era per lei, troppo responsabile per spendere così tanti soldi per se stessa, non le serviva, e non era  neanche per la sua amica che non aveva per niente interesse in quelle cose dato che batteva con il piede un ritmo veloce per l’impazienza di andare via.
“Mary, gli piacerà. Credimi. È uno degli ultimi modelli no? Deve andare per forza bene.”
Oh. Era per un amico allora, molto probabilmente un regalo.
Sherlock non resisteva a volerne capire di più e ascoltava attento.
“Lo so che va bene, ma mi sembra troppo…” Mosse velocemente le mani in aria.
L’amica si portò le sue alla testa e le disse che l’avrebbe aspettata fuori. Uscì e Mary, con quell’aggeggio in mano, sembrava avere l’amica meno amica del mondo.
“Penso che sia molto bello e credo che lui apprezzerà.”
Lei si girò di scatto e vide questo ragazzo alto, dagli occhi penetranti e quasi vitrei in quella luce che se ne stava come un adone con le mani in tasca a sorriderle.
“Sono Sherlock.” Disse e le porse la mano. Lei arrossì e le mani quasi le tremavano.
“C-ciao. Lavori…qui?”
“Davvero do questa impressione?” Un po' temeva una risposta positiva.
“No, anzi. Però mi hai consigliato questo e pensavo…”
“Sono solo bravo nei consigli. Beh, almeno in questo settore. Penso.” Gli si asciugò tutta la saliva in bocca. Perché aveva parlato a quella ragazza? Non era affatto nella posizione di consigliare visto che anche per lui era la prima volta. Istinto, pensò.
Era semplicemente il suo istinto, era quello che era, erano i suoi gusti.
Era quello che avrebbe voluto anche lui.
“E’ per mio fratello. A lui piacciono queste cose e poi il fidanzato mi ha detto che ne desiderava uno nuovo da tempo quindi eccomi qui, da sola e in crisi per un vibratore. Che bello eh?”
“Okay, fammi vedere un po'.”
Sherlock con coraggio gli prese la confezione dalle mani, gentilmente, e lesse il retro. Mary guardava quei lineamenti particolari, le labbra carnose e rosse e pensò a che sfiga aveva avuto ad essere donna in quel momento.
“Hai detto che gli piacciono queste cose quindi presumo che abbia avuto già esperienze anche perché in caso contrario questo non sarebbe andato per niente bene. È molto sofisticato.” Disse tutto non staccando gli occhi dalle righe che leggeva velocemente e felice di star apprendendo cose mai sapute prima su oggetti del genere, almeno non nei particolari.
Ne aveva visti alcuni, non era un santo, ma non aveva mai approfondito la cosa. Non era di certo una priorità.
“Io me lo comprerei.” Esordì più rilassato porgendo il regalo a Mary.
Aveva qualcosa di molto rassicurante nei gesti e in quella voce profonda, il che era paradossale ma tutto lo sembrava in quel ragazzo.
La mente di Mary pensava tutto questo. Si aggiustò gli occhiali sul naso e sorridendo prese lo scatolo.
“Grazie Sherlock.”
“E di che.”
Lei fece per andarsene ma si fermò e con gli occhi sul pavimento chiese:
“Sei gay, vero?” Sherlock rise, gettando un’occhiata a John che era assorto dagli oggetti su cui curiosava, e sempre guardandolo disse:
“Fino al midollo.”
La sua voce era bassa, quasi un sussurro.
Poteva quasi sentire le sue pupille dilatarsi e strinse i pugni nelle tasche. Tutto quello lo stava effettivamente eccitando.
L’atmosfera, John sempre così sexy.
E quelle cose attorno a lui ovunque si girava non lo aiutavano. Poi si voltò ritornando dal mondo dei sogni e vide l’espressione delusa della ragazza che non cercava altro che una conferma.
“Mi dispiace. Sei davvero davvero carina però.”
Mary fece spallucce e il rossore un po' ritornò sulle sue guance a quel complimento.
“Grazie ancora.” Disse e andò a pagare con l’animo più tranquillo.
Sherlock ricambiò il saluto con la mano che lei gli fece e dopo un sorriso, Mary sparì dietro la porta. Pensò che andare in un sex shop non era poi così strano. Era ciò che le persone fanno di continuo, qualcosa che andava provato e quegli oggetti in effetti potevano aiutare a farlo.
Il sesso è una delle esperienze migliori che l’uomo può regalarsi e farlo con convinzione e responsabilità era tutto tranne che strano.
Farlo con passione, sperimentare e scoprire nuove cose come quelle che lo circondavano era qualcosa che ancora non aveva assaporato e solo ora lo capiva, capì perché John lo aveva portato lì, perché voleva provarci. Ora Sherlock voleva fargli passare una delle notti più divertenti e coinvolgenti mai esistite.
Lo raggiunse con il cuore a mille.
“John.”
“Hey penso che potremmo provare queste, che dici?”
Sherlock gli prese il viso nelle mani e lo baciò.
Solo labbra.
Solo un tocco delicato.
Ma fu così intenso.
Quando John riaprì gli occhi vide Sherlock sorridere.
“E’ stata una splendida idea John.”
“Oh. Hai visto qualcosa che ti piace allora…”  disse felice John, contento di vedere il suo ragazzo più convinto.
Sherlock posò lo sguardo su quello che John gli stava proponendo e sembrava la cosa meno spaventosa che aveva visto fin ora.
Era un inizio.
 “Queste saranno interessanti.” Prese le due buste dalle mani di John e si avviò alla cassa. John disse invano un okay che Sherlock neanche sentì.


Uscirono e John gli chiese cosa gli aveva acceso la scintilla che gli vedeva negli occhi. Sherlock cercò le parole giuste.
“Vedi, è che ho capito cosa significa questo.” 
Indicò il negozio che avevano appena lasciato.
“E’ un modo per ricordarsi quanto dobbiamo amare. Quanto dobbiamo amare forte. E senza paura di nuove sensazioni e nuove gioie. Il sesso viene visto così spesso come un qualcosa da temere e da evitare ed è anche giusto perché nella vita c’è un giusto tempo per fare le giuste cose e…ho semplicemente capito che per me è arrivato il momento giusto e il fatto che sia arrivato con te…”
Sherlock fece spallucce.
“Sei tu ad avere acceso questa consapevolezza. Voglio fare il miglior sesso della mia vita con te. Voglio fare l’amore con te e divertirmi e sentire sulla pelle cosa sei capace di regalarmi ogni secondo che lo desideriamo.”
John lo ascoltava assorto.
“Mi hai acceso un interesse che non avevo mai avuto. Mi stimoli, John. Mi fai vivere.”
Sherlock si poggiò al muro. Aprì le braccia, sorrise inclinando un po' la testa come per dire ‘Ecco tutto. Solo questo.’
John scosse la testa con un solo pensiero in essa. Lo prese per la mano e d’un tratto erano a casa. Neanche entrarono che già si stavano baciando profondamente.
Le mani ferme di John a circondare il collo di Sherlock che lo trascinò in camera.


Si buttarono sul letto ancora sfatto da quel mattino. La busta con il loro acquisto era sotto la schiena di Sherlock che velocemente la prese e la poggiò sul cuscino.
Le lingue si sfregavano ed era abbastanza da farli uscire fuori di testa.
John era su Sherlock e si staccò per un attimo per togliersi la maglia. Sherlock lo guardò nella penombra.
Quella pelle ambrata sembrava velluto, i tatuaggi scuri erano ben delineati dalle ombre e le labbra semi aperte erano umide, il petto di John sotto i suoi palmi. Le sue mani scesero e le dita seguivano gli addominali appena accennati di John che gettò la testa all’indietro, rabbrividendo a quel tocco.
“Sei la cosa più sexy del pianeta, John.”
Gli sorrise in risposta e mise le sue mani sul dorso di quelle di Sherlock che erano ferme sulla sua pancia e le spinse più giù, tra le sue gambe. Sherlock afferrandolo, guidato dai movimenti di John, sembrò non avere aria da respirare.
Lo guardava e di nuovo sentiva come poco prima in negozio le sue pupille dilatarsi per l’eccitazione.
“Ti piace.” Gli disse John.
Sherlock non staccava gli occhi dalle loro mani che si muovevano all’unisono.
John si abbassò, leccò quel collo che accolse i suoi baci. Si spogliarono, piano.
Le mani di Sherlock accarezzarono John dalle spalle ai polsi, afferravano le gambe e accarezzavano quella pelle morbida. Intanto i baci di John lo facevano rilassare e dimenticare tutto il resto.
“Cristo Sherlock.” Disse John quando posò gli occhi sul cavallo dei pantaloni del fidanzato che ancora li indossava.
Li sbottonò, li afferrò e piano li fece scivolare lungo le gambe muscolose del ballerino.
Ad ogni centimetro di pelle che si liberava John lasciava un bacio lì dove prima c’era la pregiata stoffa scura.
Una volta arrivato alle caviglie fece cadere a terra  i pantaloni e risalì con le labbra quello che aveva baciato poco prima.
Sherlock piegò le gambe come se una scossa elettrica lo avesse costretto. Le labbra di John era forti e salivano piano.
Sherlock aveva gli occhi chiusi. Le lenzuola strette nelle mani.
“John…John…” era l’unica parola che pensava il suo cervello che registrava ogni  tocco che si ripeteva ancora e ancora, ogni tocco delle mani di John che gli afferravano la vita e quel suo respiro caldo sulle cosce.
“John…”
“Shhh. Tranquillo, amore.”
Baciò l’interno della coscia destra e Sherlock respirava forte e la sua schiena si inarcò.


Quel movimento fece incontrare il suo ventre con la bocca pronta di John che lasciò lì altri baci, tenendo sempre la vita stretta di Sherlock tra le dita.
Si poggiò piano su di lui e Sherlock aprì gli occhi.
La punta del loro nasi si sfiorava.
Il respiro di Sherlock un po' si calmò. John sorrideva soddisfatto, non lasciando il suo ragazzo perdere l’eccitazione e spingeva la coscia tra le gambe di Sherlock che torturava le lenzuola.
“Dio, John.”
L’erezione di John premeva contro il lato di Sherlock che sorrise quando la sentì.
“La tua voce mi manda fuori di testa Sherlock.”
Lo baciò stringendo i ricci nella sua mano. I corpi si muovevano piano e a ritmo e presto si liberarono della biancheria intima. Era tutto come una danza, una lenta danza che la pelle ballava sicura e calda. I baci erano dolci e John gli prese le mani stringendole e portandole sopra alla testa di Sherlock che accolse i baci sul petto che le labbra generose di John gli donavano.
“Ti amo John.”
John era al centro del petto e sorrise sfiorando con il naso quella pelle sottile e profumata.
Morse le costole più visibili e Sherlock, con le braccia ancora alzate cercò di afferrare qualcosa, qualsiasi cosa e trovò il bordo del materasso.
“Ah…wow.” sospirò.
John alzò lo sguardo.
Sherlock aveva gli occhi chiusi, il labbro inferiore stretto tra i denti, i ricci sulla fronte.
Era uno spettacolo.
Ed era tutto suo.
 “Ora proviamo queste.”
John lo disse prendendo la busta e sedendosi sul letto per aprirla e prendere il contenuto. Intanto Sherlock rimase steso e il suo corpo si rilassò di colpo.
“Prima io.” Disse conciso.
“Okay Sherlock.” John con un sorriso aprì la bustina.
“Interessante.” Sherlock lo disse un po' perplesso cercando di capire come quello che il fidanzato aveva tra le mani poteva andargli.
“Hanno un buon profumo” John fece spallucce e porse quegli slip a Sherlock.
“Indossali, dai.” Sherlock li prese ed andò in bagno.
“Dove vai?”
“E’ per aumentare la suspense, John.”
Gli fece l’occhiolino e chiuse la porta. Slip commestibili.
Che cosa assurda pensava intanto John che si mise comodo al centro del letto, aspettando.

La porta si aprì e ne uscì Sherlock che avanzava lento.
“Punto uno, sono scomode. Punto due sono letteralmente incollate alla pelle quindi prepara bene quella lingua perché c’è parecchio lavoro da fare qui.”
Aveva le mani sui fianchi. Gli slip rossi chiaro non lasciavano molto all’immaginazione e John non faceva altro che ridere.
“Dio santo Sherlock, sei…”
“Nessun commento, grazie.”
Sherlock salì sul letto, in ginocchio di fronte a John che gli fece spazio fra le gambe.
“Vieni qui fragolina.” Sherlock arrossì tantissimo e nascose il volto nella mano mentre piano si avvicinava a John. 
“Ti prego John, no.” Sorridevano.
“Ti stanno benissimo.” Sherlock lo guardò serio.
“Sono ridicolo.”
Gli poggiò le mani sulle spalle.
Il volto di John era sollevato per vedere quello di Sherlock ancora un po' rosso per l’imbarazzo.
“Se proprio non ti piacciono, farò in modo di farle sparire.”

Quella voce gli accarezzò il ventre e John iniziò a leccarlo lì, per poi assaporare il gusto forte di fragola.
Sherlock poggiò le mani sulla testa di John che si muoveva a ritmo. S
herlock la spingeva e John lo lasciava fare, lasciava che gli facesse capire di andare più a fondo, di prenderlo, assaporare tutto.
“Così…sì.”
La voce di Sherlock era un sospiro profondo.
Le mani di John stringevano quelle cosce, fino a lasciare il segno.
Voleva dargli tutto, voleva prendersi tutto, voleva avere tutto.
“J-John!”
Era la sensazione più incredibile, lo sarebbe stata ogni volta.

John sentì un pò la lingua bruciare dopo aver finito.
Il sapore del frutto gli pungeva la gola ma questo non lo fermò.
“Ora girati.”
Sherlock lo prese come un ordine perché uscì dalla bocca calda di John come tale.
Il corpo di Sherlock si adagiò sul letto, a pancia in giù. Sentiva il resto degli slip ancora attaccati alla sua pelle sul fondoschiena e sapeva benissimo cosa stava per accadere; una cosa nuova per lui, una cosa che John aveva già fatto ma non a lui, una cosa dalla quale lui non sapeva cosa aspettarsi. Una sensazione nuova.
Un tocco nuovo.
Non c’era molto di cui parlare in quel momento ma Sherlock pensava a tante cose.
Sperava soprattutto di non mettersi troppo in imbarazzo perché sapeva come poteva perdere il controllo e in quella circostanza, con John che gli divaricava le gambe e che iniziò di nuovo ad assaporare la sua pelle, con quella lingua, non sapeva quanto oltre sarebbe potuto andare.
Le sue mani stringevano il cuscino sotto il suo mento.
La schiena gli si imperlò di un velo di sudore e brividi.
Ripeteva il nome di John come una preghiera e John intanto si concesse un po' di piacere mentre il suo amore gli diceva quanto stava andando bene.
Il corpo di Sherlock si muoveva contro il materasso e il volto di John ne seguiva il ritmo, senza staccarsi dalla sua fonte di dolcezza, piacere.
I respiri si sentivano pesanti e quando tutto fu fermo, in quell’attimo di pace quando ti godi solo ciò che è appena finito che eppure è così presente e lo senti scorrere nel sangue, il corpo di John giaceva sulla schiena di Sherlock che lo accoglieva alla perfezione.
Rimasero così per un po', occhi chiusi e sorrisi infiniti.

“Tutto bene?” la voce di John era incredibilmente diversa, apprensiva come mai prima.
La sua guancia destra era appoggiata alla spalla di Sherlock che non voleva per nessuna ragione al mondo muoversi.
Sentiva il petto di John caldo sulla sua schiena e sentiva il battito ancora forte di quel cuore che tanto lo amava.
“Sento il tuo cuore, John.”
Occhi chiusi, sensazioni a mille, la mente che per la prima volta sembrava non chiedergli spiegazioni, non esisteva, non lo preoccupava.
Sentiva solo il respiro di John cadere sul braccio e la curva di un sorriso che gli accarezzava la spalla.
“Io sento il profumo del tuo shampoo.” Gli rispose, mentre strofinava un po' il naso contro la sua nuca.
“Sento quanto ti amo e quanto tutto questo vorrei fosse il ricordo che ti porterai di me se fossi io ad andare via.”
“Non lo permetterei mai.”
Sherlock lo disse più serio di quanto avrebbe voluto sembrare.
Si voltò e John scivolò al suo fianco.
Erano faccia a faccia.
John prese le lenzuola e coprì i loro corpi, tenendo gli occhi bassi.
Prima di parlare, Sherlock prese dal suo comodino il libro delle poesie di Neruda e accese la piccola lampada.
Era deciso a chiarire delle cose.

Avevano già chiarito che qualsiasi cosa fosse successa, loro non ne avrebbero avuto timore. Ma di come l’uno si sarebbe poi comportato se l’altro fosse davvero morto, beh, questo è un altro paio di maniche. Il coraggio per parlarne non c’era e mai ci sarebbe stato ma ora Sherlock voleva leggergli quello che John aveva il bisogno di sentire.
Quello che quel poeta sembrava aver scritto apposta per loro.
“Lo hai letto tutto?”
“Sì. E devo dire che ce ne vorranno di secoli per scrivere altre parole del genere.”
John sorrise.
Sherlock poggiò la schiena allo schienale del letto e sfogliava il libro mentre il suo ragazzo cercava in tutti i modi di fissare nei suoi occhi quell’immagine del suo amore dopo aver fatto l’amore, l’amore migliore della sua esistenza e per poco non pensò che anche se lo avessero rifatto non sarebbe arrivato più a quei livelli perché effettivamente, pensò John, quando sai che puoi morire le cose le vivi diversamente, le vivi pienamente come se ogni cellula sapesse che quella è la sua ultima occasione per vivere.
John i lineamenti del corpo e del volto e delle belle mani di Sherlock li conosceva o almeno pensava di conoscerli a memoria fino a quel momento. Quel momento in cui i suoi occhi lo guardavano e ogni secondo sembravano scoprire qualcosa.
Una luce diversa, un colore diverso.
Sherlock era davvero la sua opera d’arte preferita, quella di cui non  ti stanchi, quella che ti parla e ti capisce; quella a cui pensi quando qualcuno ti chiede cos’è per te l’amore, la gioia, la vita, lo struggimento, l’esistenza, la bellezza, ogni cosa.
L’arte per eccellenza.

“Eccola, trovata. In realtà vorrei leggertene un paio.”
Si fece più serio facendo un respiro profondo.
“John, vorrei che ascoltassi queste parole attentamente e che le prendessi sul serio anche se so che ogni cosa che leggi la prendi sul serio. Per te è importante, lo so. Ma vorrei davvero lo facessi perché non ti dirò altro, non c’è altro per esprimermi.”
Gli occhi ora verdi ora un po' azzurri non si staccarono dalla pagina a queste parole.
Non volevano incrociare altro.
“Ti ascolto.” Disse semplicemente John, rispettando quel momento come Sherlock voleva.
“Bene.”
Rispose e si schiarì la voce.
“Sono entrambe prese da ‘Cento sonetti d’amore’. Questa è la prima.”
Strinse il libro tra le mani, e lesse:


Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che tu risvegli la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud alza i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.”


John rimase in silenzio a quella pausa che servì a Sherlock per guardarlo, finalmente. Per sorridergli appena. Per fargli intendere ‘mi sento così’.  


“Non voglio che vacillino il tuo riso né i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità di gioia,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi nella mia assenza come in una casa.
 
E’ una casa sì grande l’assenza
che entrerai in essa attraverso i muri
e appenderai i quadri nell’aria.
E’ una casa sì trasparente l’assenza
che senza vita io ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò nuovamente.”


Silenzio. Pesante.


La pagina tremò, come il respiro di John che si avvicinò un po'.
“E’ una meraviglia, Sherlock.”
“Sì ma devo essere sicuro che hai capito cosa voglio che tu faccia se”
“Ho capito ogni cosa. Ho capito che sai che probabilmente non potrei farcela senza te ma se ti vivrò comunque, se abiterai in me non ti perderò mai. E anche se sarà difficile non soffrire, ti prometto che farò durare la sofferenza il meno possibile.”
Sherlock annuì sollevato.
“Grazie.”
John si strinse al suo braccio.
Chiuse gli occhi.
“Leggimi l’altra e ancora altre, ti prego.”
John sapeva che se Sherlock aveva scelto quelle parole ci credeva sul serio e voleva sentirle, ancora e altre ancora.
Tutte cose che Sherlock non poteva dire perché non in grado.
E John ringraziò il cielo per l’esistenza della poesia che non fallisce mai nel suo scopo.
“Okay. Questa mi piace anche di più.”
E lesse.


Quando morrò voglio le tue mani sui miei occhi:
voglio che la luce e il frumento delle tue mani amate
passino una volta ancora su di me la loro freschezza:
sentire la soavità che cambiò il mio destino.”
Brividi invasero tutto John che disse, commosso: “Wow.”
Voglio che tu viva mentr’io, addormentato, t’attendo,
voglio che le tue orecchie continuino a udire il vento,
che fiuti l’aroma del mare che amammo uniti
e che continui a calpestare l’arena che calpestammo.”


Queste che sto per leggerti sono fondamentali, e spero di resistere e non piangere.”
Mezzo sorriso incorniciò quel volto serio.


Voglio che ciò che amo continui a esser vivo
e te amai e cantai sopra tutte le cose,
per questo continua a fiorire, fiorita,
perché raggiunga tutto ciò che il mio amore ti ordina,
perché la mia ombra passeggi per la tua chioma,
perché così”

Il volto di Sherlock si bagnò di una lacrima e con la voce rotta concluse.

perché così conoscano la ragione del mio canto.”

Chiuse il libro.
Asciugò il volto.
“Guarda come mi hai ridotto, John. A piangere per della poesia.”
Sorrise poggiando le mani sulla copertina.
John era senza parole.
Potevano essercene altre?
“Sherlock, sono entrambe…davvero, sono…”
“Sì”
La fronte di John toccava il braccio forte di Sherlock.
Lì le labbra lasciarono un piccolo bacio. Sherlock guardava davanti a sé, fissando un punto nel muro.
“C’è una cosa che mi fa arrabbiare ed ora capisco a pieno perché anche tu eri arrabbiato per non aver scritto tu stesso le parole di quella canzone di Adele che mi dedicasti. Capisco come ti senti, davvero. Così inutile perché ti servi di cose non tue per spiegare cose tue. Le cose intime tue, te stesso. Il tuo amore. Dio, che rabbia.”
“Esattamente.”Gli rispose John, che era felice di sapere che finalmente Sherlock potesse provare una cosa così forte per quanto non piacevole.

Era come sentirsi liberati ma allo stesso tempo ci si sente come si si è subiti un torto. Perché un’altra anima doveva sapere il mio amore in un  modo che io neanche immaginavo?
“La subisci spesso vero? Questa ingiustizia dico.”
John si tirò su accolto dal braccio di Sherlock che gli circondò le spalle.
“Ogni volta che metto piede in Accademia, ogni volta che cerco di scrivere e mi ritrovo col nulla anche se ho davanti una quindicina di pagine ma è solo roba senza valore e penso: perché lo faccio? L’arte è stata già provata tutta. Io non servo.”
“Certo che servi John.”
“Sì sì…non fraintendere. Amo quello che faccio e mai farei altro. Però a volte ci vuole una volontà che scarseggia, ecco.”
“Andrà tutto bene. Tu sei eccellente, andrà bene.”
“Lo voglio credere anche io.” Sherlock lo strinse.
“Non provi anche tu questo quando balli?”
“No. Personalmente, la trovo una cosa talmente necessaria che non metto in dubbio quanto faccio o come lo faccio. Devo farlo. Poi penso al resto… Ho più difficoltà nelle parole come ben tu sai. Per questo Neruda mi ha fatto incazzare. Ma lo ringrazierei se potessi.”
“Hai vissuto una rivelazione come io con Pessoa.”
“Possiamo metterla così, sì.”

Ora si sentivano bene.
Come se dicendo e ascoltando quelle poesie avessero eliminato una delle cose da fare prima di morire, come in quelle liste che si fanno per divertimento; lo scrivi proprio in alto al centro: cosa da fare prima di morire, senza neanche pensarci più di tanto e aggiungendo anche cose futili come passare un’intera giornata al mare. Ma futili non lo sono.  
Creano la successione degli eventi che sarà la tua vita.

“Leggimi le altre cose che ti sono piaciute.”
John prese il libro dalla pancia di Sherlock e liberandosi dalla stretta del suo ragazzo lo aprì dove trovava delle pieghe agli angoli delle pagine.
“Cristo Sherlock, c’è un girone dell’inferno per chi piega le pagine per portare il segno, sai? Poveri libri.”
Sherlock alzò gli occhi al cielo. Prese il libro e spiegò ogni angolo piegato che aveva fatto.
“Ecco qui.” Disse calmo.
“Molto meglio.” Gli rispose John.  

Poi, lesse a mente per diversi minuti le poesie che aveva scelto e decise quale leggere ad alta voce a John.
“C’è la seconda parte di questa che è molto bella.”


T’amo senza sapere come, né quando né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.”


“Questa l’ho sentita dritta allo stomaco. Che bellezza.”
Sherlock sospirò e un calore lo avvolse.
Era il corpo di John, era l’amore, chissà cosa ma se veramente domani sarebbe morto non aveva altro da provare.
“Come darti torto John. Sono tutte bellissime e sì, c’è questa, ‘Sete di te m’incalza…’ di cui vorrei leggerti il finale. Sai, ho notato che nella maggior parte delle sue poesie sono i finali che mozzano di più il fiato. Letteralmente.”
John ormai gli era di fianco, anche lui a leggere con gli occhi quelle parole.
Dette da Sherlock, con la sua voce nata per raccontare la musica della poesia, sentivi che era una benedizione del cielo avere il senso dell’udito. Quella voce calda lesse cose che Sherlock aveva sempre provato in certe situazioni al liceo e lo disse a John.
Gli disse: “Mi attraevi, ovviamente. Neruda rende perfettamente l’idea del mio desiderio e se l’avessi conosciuto prima penso che ti avrei dedicato queste parole molto tempo fa. Ascolta.”


Come poter non amarti se per questo devo amarti.
Se questo è il legame come poterlo tagliare, come.
Come, se persino le mie ossa hanno sete delle tue ossa.
Sete di te, sete di te, ghirlanda atroce e dolce.
Sete di te, che nelle notti mi morde come un cane.
Gli occhi hanno sete, perché esistono i tuoi occhi.
La bocca ha sete, perché esistono i tuoi baci.
L’anima è accesa di queste brage che ti amano.
Il corpo, incendio vivo che brucerà il tuo corpo.
Di sete. Sete infinita. Sete che cerca la tua sete.
E in essa si distrugge come l’acqua nel fuoco.”


John d’istinto dopo quelle frasi si porse per baciarlo e tra un sorriso si baciarono piano.
Quella poesia era passionale e fece rinascere un desiderio viscerale in entrambi, una passione così dolce che solo una poesia poteva creare.
John accarezzò il petto di Sherlock, Sherlock seguì la mano di John e intrecciò le dita nelle sue.
“Dovremmo proprio ritornare in quella libreria e ringraziare quell’uomo per averci fatto un regalo del genere.”
“Dovremmo.”
John si accucciò al suo fianco.

Sherlock prese il cellulare e lesse l’ora: le due del mattino. Si distese fino a poggiare la testa sul cuscino, di fianco a quella di John che sembrava dormire. Il volto rilassato e le labbra curvate in un sorriso.
“E’ già venerdì John.” Si mosse piano. Le iridi blu di Sherlock gli parsero una notte stellata.
“Mh mh.”
John aprì gli occhi mormorandolo.
Capì che Sherlock stava per dirgli qualcosa.
“Sono felice che mi hai mostrato com’è essere fragili. Esposti. Sia emotivamente sia fisicamente. Sentirti in certe parti del corpo è stato davvero…” “John rise piano, poi Sherlock riprese lasciando stare l’argomento.
“Tante volte mi hai fatto sentire così in passato e lo ignorai ma quando ci allontanammo ero debole e non capivo. E quando ci siamo rivisti ero esposto a tutto quello che cercavo inutilmente di capire, di nuovo.”
Sherlock corrugò la fronte, confuso.
“Non so cosa sto cercando di dirti John. Voglio solo che tu sappia che anche se non l’ho capito, quando si tratta di te io non mi farò mai il problema di affermare che ti amo. Vorrei dirlo a tutti in questo momento. Aprirei la finestra e lo urlerei.”
Scosse la testa e l’euforia cresceva pian piano nelle vene. John stampò ogni parola nel cuore e disse solo:
“Suonerei troppo egoista se ti chiedessi di farlo?”
Sherlock ci rimase di stucco per qualche secondo. Guardava John e fece spallucce.
“Come ultima probabile cosa da fare nella mia vita sarebbe perfetta.”
Sherlock si alzò, la notte fuori era calma e quando aprì la finestra davvero pensava di avere tutto il mondo davanti a sé.
Londra. La sua casa.
Ciò che scorreva nel suo sangue.
Glielo stava per urlare e il cielo punzecchiato di stelle non sembrava aspettare altre parole. Si voltò per un attimo e vide John seduto con le gambe incrociate e una mano davanti alla bocca.
Non ci posso credere, pensava.
Lo fa, lo sta per fare.
Sherlock Holmes sta per fare una cosa del genere.

Prese un bel po' d’aria e poi:
“Io amo John Watsooooooon!”
Teneva le mani strette alle ante delle finestre, ansimava e si sentì libero.
E felice.
Un po' idiota ma era l’idiota più felice di Londra, questo era certo.
“Amo quel ragazzo incredibile che è John Watson.” Disse piano stavolta
. Come se lo stesse dicendo a se stesso dopo averlo detto al mondo.
Se lo disse convinto e sapendo quella era la frase più bella mai pronunciata dalla sua bocca.
Si voltò e John sorrideva luminoso.
“Sei pazzo, Sherlock.”
“Di te, sicuro.”
Si buttò a letto e tra le risate si addormentarono.


In un appartamento di una delle città più belle del mondo, Sherlock Holmes non era mai stato così sensibile e John Watson mai così sé stesso.
Molte cose dovevano ancora accadere, cose che avrebbero messo alla prova ogni lato di loro stessi.
Quel tipo di cose che ti lasciano cicatrici nell’anima e che ti fanno pensare a cosa mai hai fatto per meritartele.
E loro due, distesi e stretti l’uno all’altro, così esposti erano paradossalmente intoccabili.
Immortali.
Lontani da tutti.
Ancora al sicuro.
Ancora insieme.
Ancora l’opera d’arte più preziosa mai conosciuta. 
   
 
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