Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Minga Donquixote    29/04/2017    3 recensioni
«Sei incredibile!» Si lamentò lei, tornando a sedersi sul pavimento e afferrandogli una mano. «Vuoi pure che ti racconti una fiaba per bambini?»
Cutler la guardò minaccioso e strinse forte la mano, facendola gemere di dolore. «Sei insopportabile.» le sibilò.
«Faccio del mio meglio.» ribattè lei, testarda.
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Era sicuramente un incubo il posto in cui era capitata la giovane Eris Gallese. Parrucche incipriate, lotte di pirati, dannati corsetti e no docce saponate.
Quando non si studia la storia, ci si trova impreparati.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Norrington, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7. Un qualcuno

Il sole splendeva meravigliosamente su tutta la distesa di acqua, dandogli leggeri bagliori cristallini. Nel porto vi era un forte vociare di eccitazione e di ordini impartiti.
Genitori e amanti che salutavano i propri cari, marinai che correvano a destra e manca, portando a termine gli ultimi preparativi, mozzi che sistemavano come meglio potevano il ponte dell’enorme nave ormeggiata prima dell’arrivo di tutti gli ammiragli e del capitano.
La banchina era stracolma di bagagli e valigie di tutti i tipi e di altri membri dell’equipaggio ansimanti che faticavano a caricarle.
Eris si lasciò scappare un sorriso mentre affiancava un gruppetto di famigliari intenti a salutare calorosamente il tenente.
Quindi Beckett aveva richiesto la presenza anche di qualche marinaio di Port Royal. Tutti ben sistemati in bellissime divise.
Pensando alle divise, Eris realizzò che anche quel giorno era riuscita a sfuggire dalle grinfie della gentildonna che tentava di farle indossare quel vestito giallo orrendo nascondendosi nelle stanze private del Lord.
Giravano parecchi servitori eppure non dettero cenno di averla intravista tant’è che mentre nessuno la guardava frugò da sotto un ammasso di completi e trovò un lungo cappotto nero.
Lo agguantò e filò via.
Senza che lo stesso Beckett se ne accorgesse aveva fatto fare da Josephine, la sarta, un paio di pantaloni scuri e una casacca maschile di lana. Le erano stati consegnati quella mattina stessa che senza aspettare aveva indossato velocemente entrambi, aggiungendo lo splendido mantello.
Con passo veloce si avvicinò alle scalette mentre vari membri le si inchinarono rispettosi, salutandola.
«Buongiorno» rispose lei, cortesemente proseguendo il proprio cammino.
La passerella ballava un pochino poiché poggiata alla nave e, inavvertitamente, deglutì immaginando tutto quell’agitarsi in mare.
Prima che potesse salire un grido la fece arrestare.
«Dove credete di andare, signorina?»
Un uomo brusco poggiato malamente ad un manico di qualche scopa o simile la stava squadrando con fare irritato.
Eris alzò lo sguardo verso la nave, accertandosi che si stesse imbarcando su quella giusta.
Sfondo giallo, vela e simboli dell’EITC ovunque, la scritta Endeavour sulla fiancata…si, era decisamente quella.
«Sto salendo sulla nave…perchè?» chiese stordita.
L’omone lasciò scivolare la scopa dalle mani e si avvicinò minaccioso.
«Nessuna donna più salire sulla nave. Porta male.»
La mora storse le labbra in un’espressione irritata e ricambiò lo stesso  atteggiamento che aveva mostrato l’uomo, sistemandosi le mani lungo i fianchi.
«Sono solo stupide superstizioni.»
«Non lo sono.»
«Lo sono.»
«Non lo sono!»
«Lo sono!»
Si erano avvicinati tanto l’uno all’altro che avevano le fronti che si sfioravano, le espressioni contratte per la rabbia trattenuta. Di lì a poco sarebbe finita a botte.
«Miss Gallese!»
Un altro marinaio con la parrucca si avvicinò correndo alla ragazza che alzò un sopracciglio nella sua direzione. Sembrava stranamente famigliare con il suo sguardo perso, la giacca blu ricamata in oro e il panciotto giallo come la nave.
Quando si fu avvicinato abbastanza l’uomo aprì la bocca confuso dall’abbigliamento della giovane.
«Ci conosciamo?» gli domandò lei, scongelandolo.
«Oh…no, in effetti, no. Sono il Tenente Theodore Groves» si chinò appena togliendosi il cappello a tricorno in modo rispettoso, per poi riposarselo nuovamente sulla testa bianca.
Eris si coprì la bocca con una mano e sgranò gli occhi.
«Ma certo! Come potrei dimenticare! Sei Groves!»
«Si, è quello che ha appena detto» osservò il bruto accanto a lei, facendola accigliare furiosa.
Theodore, che aveva notato il disturbo della giovane si rivolse all’uomo in modo rigido e rigoroso.
«Può tornare alle sue mansioni, mastro»
Con un borbottio a mezza voce l’uomo tornò ai suoi ambigui affari, lasciando i due da soli.
Una volta che si fu allontanato abbastanza Eris si lasciò sfuggire un lungo sospiro.
«Scusate, Mastro Jeff è molto superstizioso. Ha lavorato come mastro sarto all’interno di un’altra nave molti anni fa, a bordo c’era una donna e poche settimane dopo la loro partenza un ciclone ha mandato tutta la ciurma in mare. Lui e pochi altri sono sopravvissuti. Della donna nessuna traccia.»
La mora rabbrividì stringendosi un braccio coperto dalla stoffa nera della casacca e del mantello.
«Inquietante»
Groves abbandonò il discorso per posare nuovamente lo sguardo sul completo della ragazza.
«Posso chiederle…come mai indossate vestiti da uomo?» aveva un accenno di timore mentre poneva quella domanda. Che fosse paura della risposta?
Eris aggrottò la fronte e posò anch’essa lo sguardo sulla maglia nera.
«Mi piace stare in pantaloni. Odio i vestiti» rivelò senza problemi. «Non ti ho mai visto in giro ma ci prenderai l’abitudine. Il resto dell’equipaggio già si è fatto un’idea» ridacchiò.
Il tenente annuì titubante, non del tutto convinto.
«Comunque, Eris Gallese, anche se te lo hanno già detto» la giovane gli prese la mano senza attendere sua risposta, la strinse e lasciò subito dopo, timorosa che potesse imbarazzarla con un baciamano. «Ma puoi chiamarmi semplicemente Eris…anche se so che non lo farai»
Theodore accennò un sorriso caldo e rassicurante e la giovane arrossì un pochino.
«Ne sarei onorato, Miss Eris. Ho il compito di scortarla sulla nave, farle fare un giro…chiamiamolo, di perlustrazione» le porse il braccio in un gesto galante che la ragazza proprio non si aspettava, ancora intontita dal suo nome che rotolava fuori dalle labbra di un altro sexy tenente in uniforme.
Lo prese in un gesto quasi automatico e si strinse forte quando salirono sulla passerella barcollante.
Già si sentiva male.
Una volta con i piedi sul ponte il suo mondo parve stabilizzarsi un pochino, nonostante il lieve dondolio della nave.
«E’ stato Cutler a dirti di scortarmi?»
«Lord Beckett» la corresse. «Si, in un certo senso si. Ha detto che ero adatto…»
“Piccolo bastardo…pensava di accaparrarsi informazioni con uomini bellocci messi a mia disposizione?!”
«Si, gentile da parte sua» disse, sarcastica, lasciando andare il braccio del tenente.
Il ponte della nave era stipato di marinai che eseguivano ordini in gran fretta, che controllavano le parti della nave e che trasportavano carichi nelle celle che gli venivano indicate.
«Da questa parte, Miss»
L’uomo si avviò con la ragazza alle calcagna, che continuava a guardarsi intorno con fare interessato.
Le descrisse tutto.
Per prima cosa le fece visitare la cabina del comandante che si trovava alla fine della poppa. Dopo un’attenta analisi Eris aveva già cominciato a programmare qualche scherzo da tirare al nano malefico.
Poi scesero di un piano, dove stavano gli alloggi degli ufficiali (tra cui, anche quella di Beckett che Eris aveva annotato con una piccola X) e l’uomo le disse che lei avrebbe alloggiato nella numero 4.
Era un piccolo corridoio dove vi erano poche stanze, 6 o 7 e la giovane si chiese chi altri potesse alloggiare su quel piano.
Poi passarono a setaccio anche le tre successive sale piano dopo piano. Gli alloggi dei sottufficiali, anche loro non tantissimi, la timoneria, e la camera delle polveri e delle munizioni.
Quando raggiunsero l’ultimo dei tre, Eris si avvicinò ad un barile pieno di polvere da sparo e un ghigno sadico si aprì sulle sue labbra.
«Miss, sapete quanto sia pericolosa vero?» domandò impaurito il tenente.
«Ma certo, Groves. Non preoccuparti.»
E l’uomo non fece caso al piccolo sacchettino che si era abilmente intascata alla base della cintura, coperta dal mantello.
Theodore le mostrò la stiva, ancora mezza vuota ma ordinatissima (a differenza delle stive pirati, dove ammucchiavano ogni genere di cose) trovatasi all’ultimo livello del vascello. Poi il ponte corridoio che conduceva agli alloggi e i due ponti di batteria dove risiedeva l’artiglieria.
Anche da lì Eris fu difficile da allontanare.
Infine risalirono tramite il Ponte di Coperta di nuovo all’aria aperta e l’uomo si prestò a nominarle anche i vari pilastri insoliti e confusionari.
Quando Groves passò alla descrizione storica e materiale della nave, la giovane stava già fantasticando per conto suo, non prestando la minima attenzione e annuendo solamente.
Avvicinandosi nuovamente a prua Eris notò la figura familiare di James Norrington che scrutava un taccuino in legno proprio vicino alla passerella.
Sgusciando via dalla soporifera spiegazione del tenente, voltato verso l’albero maestro, la mora si avvicinò silenziosa all’ammiraglio.
Saltò sul parapetto e si alzò in piedi, mantenendo l’equilibrio e sporgendosi un poco per leggere quel che l’uomo stava analizzando.
«Oh, è una lista»
A quelle parole sussurrate appena vicino al suo orecchio, James saltò sul posto e si girò verso la giovane, che ora si era piegata sulle ginocchia e lo guardava con un sorrisetto.
«Ti ho spaventato?»
«N-No…solo-»
«Ti sei spaventato.» lo bloccò, sedendosi e facendo attenzione a non rischiare di cadere all’indietro. Sarebbe stata l’ennesima delle sue solite figure.
James, senza lasciarsi intimorire, tornò alla posizione di prima ed Eris tornò a scorgere la lista.
«Una così gran quantità di polvere da sparo?» chiese, allungando il collo. «Se i pirati dovessero colpire quel punto, la nave farebbe un bel botto»
L’uomo arcuò le labbra in un sorriso ferino.
«Per questo sono posizionate in zone ben difficili da colpire, Miss Gallese»
«Si,si. Come ti pare. Becky ha fatto portare le mie scorte personali a bordo?» domandò ancora, spostando gli occhi furbi sul viso del giovane ammiraglio, che ricambiò lo sguardo.
Norrington annuì frettolosamente, interrompendo la connessione tra di loro, e si mise a cercare. Quando girò il quarto foglio finalmente trovò la categoria che la giovane gli aveva richiesto. Vi era una breve lista di cose.
«Maschera?» domandò più a se stesso che a colei che lo stava ancora sondando con gli occhi.
«Si, idea idiota del Re» sbuffò Eris. «In più le ha scelte Becky, per cui devo ancora dare il mio importantissimo parere» continuò lasciando agitare le gambe nel vuoto.
James accennò un sorrisetto al soprannome del Lord. Beckett doveva davvero considerarla importante se le permetteva di fare quel che gli pareva.
Cercò altre informazioni che gli facessero venire qualche idea su che tipo di persona fosse quell’ambigua e tetra ragazza ma la carta non dava tanti suggerimenti.
Intanto la moretta mormorava qualcosa tra se e se come «Giuro che se è qualcosa di giallo o colori strani gliela faccio ingoiare».
Arrivato quasi alla fine notò qualcosa di curioso.
«Top Secret?»
La Gallese sorrise maliziosamente e annuì soltanto. L’altro non osò indagare oltre, si limitò a controllare cosa era stato sistemato e cosa non.
«Sembra manchino solamente il vostro alto consumo di biscotti, che verranno trasportati insieme alle provviste complessive, e il suo baule. Il resto è già stato imbarcato.»
Eris, soddisfatta del risultato, fece spallucce e scese nuovamente sul legno del ponte, tirandosi bene il mantello sulle spalle.
«Grazie, Commodoro» e fece per allontanarsi.
«E’ Ammiraglio, veramente» la richiamò, accigliato.
La ragazza si girò a metà verso di lui, seria come non lo era mai stata quei giorni, e si portò un dito alle labbra fine.
«Ah, già. Dimenticavo. Le mie scuse, Ammiraglio»
Non seppe se fosse stato lo sguardo, il tono o la presenza stessa ma tutta la frase gli sembrava vagamente ironica.
Un senso di colpa gli stinse in una morsa lo stomaco al ricordo del taglio inflittole due giorni prima. Un senso di colpa puro e semplice.
«Miss Gallese…»
Gli bastò fare due passi per riuscire a bloccarla, posandole una mano sulla spalla coperta dalla stoffa nera.
«Io…sono tremendamente dispiaciuto per l’accaduto nell’ufficio di Lord Beckett»
Ci teneva a scusarsi del suo comportamento decisamente non consono ad un Signore qual’era. Aveva reagito con troppo impulso e l’aveva ferita.
In più, non si vergognava di pensare che potesse incutergli anche un certo timore. Conosceva bene Lord Beckett e questo non era mai una cosa buona. Un buon esempio ne era Mercer, l’inquietante assassino sempre attaccato al padrone.
«Comprensibile.» aveva uno sguardo severo ma rassicurante. «Non preoccuparti, l’importante è che ho ancora la testa attaccata al collo» e si passò un dito sul taglio che stava già guarendo lasciando dietro di se una piccola cicatrice.
«Cosa ti ho detto, Mercer?»
Eris e James distolsero lo sguardo nello stesso istante e guardarono Cutler avanzare tranquillamente con il bastone in una mano e l’altra poggiata su un fianco. Il solito ghigno beckettiano sulle labbra.
«Eccola, solita a disturbare gli ufficiali» concluse, guardandola da sotto in su.
«Non vi smentite mai, Miss» aggiunse Mercer scuotendo il capo.
La ragazza li fulminò entrambi con gli occhi e incrociò le braccia al petto. «Non sto disturbando nessuno, per tua informazione, chiedevo soltanto se le mie cose erano state portate a bordo. Ancora devo controllare le tue maschere» e spostò lo sguardo sul più basso, curvando di poco il capo in giù.
L’ometto alzò un sopracciglio e fece una finta espressione pensierosa.
«Oh, ma certo. Non vi preoccupate, Miss Gallese, quelle sono una sorpresa» disse mefistofelico, alla fine.
«Si, sorpresa un corno. Mi farai venire un attacco di cuore tu, altro che!»
James guardò i due completamente sconvolto. Chi diavolo era quella ragazzina? E perché Lord Beckett ne sembrava tanto divertito?
«Cosa sta facendo il Tenente Groves?» domandò d’un tratto Mercer, con aria confusa.
Tutti si girarono verso l’uomo, che continuava a borbottare e indicare il lungo palo davanti a se ed Eris non poté trattenersi dal scoppiare a ridere.
«Ops»

Eris si precipitò velocemente sulla punta della nave, scavalcando barili e schivando marinai. Poggiò le mani sul parapetto e guardò le onde in basso che si infrangevano contro di essa e si scostavano al suo passaggio.
La distesa d’acqua era una tavola quel giorno e alla luce del tramonto sembrava tutto più magico.
Il canto dei gabbiani, lo scrosciare dell’acqua, i conati di vomito.
«Ci siamo allontanati dalla riva da soli dieci minuti, Miss Gallese»
La tempestiva voce di Beckett che non mancava mai.
Maledetto
«Non importa. Te lo avevo detto che non era per me» si lasciò lentamente scivolare sul ponte, un braccio ancora saldamente attaccato al parapetto, nel caso gli fosse preso un altro attacco.
Cutler sbuffò sonoramente e si avvicinò alla mora. Pose una fiaschetta in equilibrio sulla punta del bastone da passeggio e la allontanò da se, passandola a lei.
«Non sono malata, sai» ringhiò stizzita prendendo la fiaschetta bruscamente rischiando di sfilare dalle mani del Lord anche il bastone.
«Non lo prendete sul personale, Miss. Preferisco essere a debita distanza. Non ho proprio voglia di rovinare anche quest’abito» la vide prendere un lungo sorso e poi deglutire con fatica. Ghignò.
«Che cos’è ‘sta roba?» tossì pulendosi la bocca con la manica del suo completo.
«Rum, l’ammiraglio mi ha suggerito questo per la vostra nausea»
Eris storse le labbra ed emise un gemito sconsolato. «Non sembra migliorare molto» si lamentò lasciandosi scivolare completamente a terra.
«Il trucco è uscirne ubriachi, in effetti» e gli rivolse uno sguardo serafico.
La ragazza si agitò e lo guardò male. Certo che quell’uomo era davvero insopportabile quando voleva.
“Cioè sempre.”
«Non hai qualcosa da fare? Che ne so, torturare tenenti?»
Un fruscio di vesti ed era sparito.
Ed era anche tremendamente permaloso. Si offendeva per un niente e pretendeva di tutto.
“Dannazione, quanto siamo simili”
«BECKY!»
L’uomo, che aveva raggiunto le scale che lo portavano al piano superiore verso il timone, si girò verso di lei.
«Quando mi sento un po’ meglio giochiamo a scacchi, vero?»
Beckett addolcì di poco lo sguardo e se ne andò, senza donarle una risposta palese. Eppure la ragazza sentiva che fosse un si.
Dei passi pesanti la distolsero dai propri pensieri e si ritrovò coperta da un’ombra imponente.
L’omone bruto che l’aveva attaccata quella mattina ora la fissava dall’alto in basso con il sorriso di chi la sapeva lunga e le mani poggiate sui fianchi.
«Che fai qui a terra?»
«Faccio da straccio» gli rispose, sarcastica, alzandosi a sedere. «Secondo te? Soffro di mal di mare» e prese un altro sorso dalla boccetta.
«Tieni»
Senza alcun preavviso un grosso pezzo di pane gli cadde sullo stomaco e prima che potesse cadere sulle assi di legno lo afferrò. Era incredibilmente caldo. Come se fosse stato appena sfornato o tenuto sul fuoco fino a quel momento.
Lo tastò, sentendo l’inconfondibile rumore del pane croccante.
«Pane?»
«Ti aiuterà. Se senti ancora venir su qualcosa prendine un pezzo e mangialo.»
Con quelle parole girò sui tacchi e scese sottocoperta, non degnandola nemmeno di un ultimo sguardo.
«Beh…grazie…»
Groves, che era poggiato vicino l’albero di trinchetto, si accostò di poco alla Gallese, continuando a fissare il punto in cui era scomparso il mastro.
«E’ un brav’uomo quando lo si impara a conoscere.»
Eris annuì e tentò di alzarsi. Nonostante avesse buttato in mare tutta la potenziale colazione di biscotti, thè e dolcetti (Cutler le aveva caldamente detto di mangiare solo cose salate ma non si era scomodato a dirglielo più di una volta, preferiva che soffrisse per la sua testardaggine) si sentiva stranamente meglio.
Il peso del cibo era scomparso, la bile era tornata al suo posto e il rum che aveva tra le mani non era affatto-
«Questo è mio, se non le dispiace»
Una mano andò ad afferrare la boccetta che aveva tra le mani e la allontanò da lei.
«EHI!»
James Norrington era tornato in possesso di ciò che era suo e tornava alla propria postazione con un sorrisetto sulle labbra.
Ok, le era rimasto pur sempre il pa-
Un ringhio.
Abbassò lo sguardo.
Il cagnolino “top secret” era ai suoi piedi e guardava la fetta di pane con uno sguardo languido in quegli occhietti da cucciolo.
«Va bene» sbuffò, curvandosi sulle ginocchia. «Un pezzetto però, piccolo ingrato. Come diavolo hai fatto a uscire dalla camera, mi chiedo»
E gli accostò al muso il cibo che divorò in un boccone. Dopo essersi sforzato a mandarlo giù prese a tossire ed Eris gli picchiò piano sulla schiena pelosa.
La nave era enorme quindi, ora che si sentiva più stabile, poteva far un giretto per conto suo. Beckett non avrebbe potuto romperle per aver fatto un giro, no? No.
Si alzò in piedi, ancora traballante, e si poggiò al legno. Espirò ed espirò per un paio di secondi e poi partì alla volta del ponte di coperta.
La nave era stipata di gente e aveva la sensazione che non li avrebbe nemmeno visti tutti in quel viaggio.
Dall’altro lato del vascello, Beckett ordinava compostamente le carte sopra l’immensa scrivania di legno scuro. Non poteva dirsi un lavoro faticoso eppure era completamente esausto. Le mani cominciavano ad agire di propria iniziativa tant’è vero che si ritrovò un bicchiere di brandy tra le mani senza sapere ne come ne quando lo aveva preso.
Le carte mostravano pallidi volti disegnati di uomini, pirati e mozzi. Tutti da portare alla forca una volta tornati a Port Royal. Tra le dita gli era capitato anche qualche giovane fanciullo che contemplò per un po’ prima di accatastare insieme agli altri.
Nonostante il buon senso gli dicesse di lasciar perdere, si trovò a pensare a Eris e al suo sguardo rammaricato. Condannare bambini di pirateria non era sbagliato. Lui lo sapeva. Perché mai doveva esserlo?
Lavoravano a bordo di navi coscienti che associarsi a pirati equivaleva a reato. Come mozzi, certo, ma un giorno sarebbero cresciuti. E chi li avrebbe fermati poi? Dal distruggere famiglie? Dal rovinare il commercio delle Indie? Dal conquistare tutti i mari?
Non stava sbagliando. No. Ne era convinto.
Assottigliò lo sguardo di ghiaccio su una candela che era quasi al suo limite e vi passò un dito sopra. Lo lasciò chiudersi su di essa finché non sentì l’inconfondibile dolore pungente che seguiva una bruciatura e lo ritirò di nuovo al sicuro dal calore.
Senza poterne fare a meno tornò alla miserabile vita che aveva condotto sulla nave pirata, da solo, come un giocattolo.
Lo ricordava benissimo l’inconfondibile dolore provocato da una fiamma.
Perso nei ricordi prese la candela e la piegò quel poco che bastava per far scivolare una goccia di cera sul dorso della mano sinistra. Storse le labbra al lieve bruciore ma continuò a lasciar cadere il liquido, lo sguardo momentaneamente perso nel vuoto.
Lo avevano umiliato in molti modi. Si erano dilettati nel bruciarlo, frustarlo, tagliarlo…toccarlo. Ormai ogni ferita sembrava nulla a confronto.
Nessuno lo aveva soccorso. Nessuno l’aveva aiutato anche solo a sfuggire per un secondo a quelle torture. Persino i suoi pensieri erano stati distorti a tal punto da sembrare manomessi e usati.
Nemmeno la sua famiglia.
Nessuno…
Il flusso di pensieri disordinati fu interrotto da un forte boato, troppo familiare ad un’esplosione, che tirò giù una dozzina di libri dagli scaffali e un bicchiere di porcellana.
Cutler fece scivolare a terra la candela, che si spense in un filino di fumo,e si aggrappò saldamente alla scrivania in ebano orientale.
Pirati?”
Aprì il cassetto con la mano libera e agguantò la pistola (che grazie al cielo, Eris si era ricordata di riporre). Con un dito accarezzò il caratteristico simbolo delle Indie al lato dell’impugnatura, in grado di stimolarlo alla calma, e lentamente si alzò dalla sedia, spada ancorata al fianco.
Con passi ponderati si avvicinò silenziosamente alla porta e tirò la pistola appena davanti al viso, così da aver un riflesso pronto una volta uscito.
L’esplosione veniva da molto vicino e sicuramente lo stavano aspettando fuori se ancora non avevano tentato di sfondare la porta.
Fece un respiro profondo e con la mano ancora coperta di cera andò ad aprire di scatto la porta, la pistola subito tesa verso il nemico.
Prima che potesse solo azzardare a premere il grilletto un gridolino di panico lo bloccò del tutto.
Eris, schiacciata contro il muro in legno, guardava il grosso buco ai suoi piedi, terrorizzata. Il tappeto che lo ricopriva era stato irrimediabilmente rovinato e ancora bruciava.
«Eris?» gli sfuggì dalle labbra, vedendola puntare lo sguardo prima su di lui e poi più precisamente sulla pistola che mirava verso di lei.
«Ehi, amico! Metti giù quella cosa!» e alzò le braccia in un gesto auto difensivo. «Ti giuro che non l’ho fatto apposta…»
Ora che il Lord vi faceva caso, a fianco al grosso buco vi era una lampada rotta e vetri sparsi a destra e manca.
Il cagnolino gemeva tra le gambe della ragazza e la tirava con i denti verso un punto che non bruciasse.
Era esterrefatto.
«A FUOCO!»
Un ometto vestito di blu comparve dal nulla e buttò un secchio d’acqua sul punto completamente danneggiato, finendo per bagnare anche la Gallese e la bestiola ai suoi piedi.
Si portò una mano al viso e tolse quei capelli bagnati che le si erano appiccicati al viso e guardò male il mozzo.
«Se per caso non l’avessi notato, io non ero coperta di fiamme»
«Le mie scuse, Miss» e fece per correre via quando la voce imperiosa di Beckett lo fermò proprio all’angolo del corridoio.  
«Dato che ci siete, fate chiamare anche qualcuno per le riparazioni, buon’uomo» mormorò, le dita che stropicciavano stancamente gli occhi. Era esausto.
«Si, Lord Beckett» e filò via.
Eris che stava scivolando silenziosamente lungo il corridoio buio si congelò quando lo sguardo di Cutler si posò su di lei.
L’uomo portò la mano sana avanti e mosse due dita, ordinandole di avvicinarsi. Lei avanzò piano, rimanendo a distanza di spada, e quello le fece un altro cenno che le intimava di entrare nell’ufficio senza fare un fiato.
Capo basso e coda tra le gambe sia Eris che il cagnolino si addentrarono nella stanzetta.

«Vi prego, spiegatemi ancora una volta»
Eris sospirò. «Allora, stavo tenendo la lampada con i denti mentre mi avvicinavo e ho preso il sacchetto di polvere da sparo tra le mani-»
«Perché avevate un sacchetto di polvere da sparo, Miss?!» le ringhiò contro.
«Ehm…si…storia interessante.» rise posandosi un dito sul mento. «L’ho preso.» fece spallucce.
«Lo avete rubato dalle scorte.» precisò lui.
«Preso in prestito.» lo corresse lei.
«E come l’avreste restituito, dato che era in prestito?» le chiese, tentando di mantenere la calma.
«…Ci stavo ancora pensando»
L’uomo scosse il capo, poggiando la fronte contro le braccia incrociate sulla scrivania. Era completamente esausto. Ed erano soltanto le sei del pomeriggio.
Eris era comodamente sprofondata nella poltrona mentre accarezzava la testa del cane, che sonnecchiava tranquillamente e girava la testa da un lato all’altro.
«Quando Theodore mi ha portato qui non ho visto bene come era arredata…devo dire che hai buon gusto.»
Cutler alzò di poco la testa, così che spuntassero gli occhi grigi. «Il tenente Groves?»
«Proprio lui.» confermò quella.
«Perché lo chiamate per nome?» domandò scettico, tirandosi nuovamente su e dandosi quell’aria regale e pomposa.
La ragazza smise di agitare la testa e puntò finalmente gli occhi sul più basso, alzando un sopracciglio. «Perché mi piace chiamare le persone coi loro nomi.»
«Certo.» il sarcasmo fatto persona.
Lei fece nuovamente spallucce e tornò a godersi la comodità della poltrona.
Durante il loro colloquio erano entrati nella stanza diversi marine e ufficiali incuriositi dalla situazione e la voce, nel giro di pochi minuti, si era sparsa per la nave.
Eris Gallese aveva lasciato cadere per sbaglio l’intero sacchetto di polvere a terra e aveva fatto scivolare la lampada dalla bocca quando aveva tentato di bestemmiare qualcosa. Beh, uno più uno…
Ed era soltanto il primo giorno.
C’erano soldati che si erano già messi a fare scommesse. Chi puntava su un Beckett che lanciava la ragazza fuori dal vascello, chi credeva che l’uomo ci avrebbe lasciato le penne in uno degli scherzi della giovane, chi persino puntava su un amore possibile tra i due.
«Senti, mi sono spaventata anche io, quindi non toccherò più niente di pericoloso.»
«Siete pericolosa con qualsiasi cosa, voi.» sbuffò nascondendo un sorrisetto divertito che non sfuggì allo sguardo furbo della giovane.
Lo faceva impazzire, è vero, ma in ogni caso lo divertiva. Riusciva a vederlo.
Lo sguardo le cadde inevitabilmente sulla mano sinistra e aggrottò la fronte. Scostando il cagnolino si piegò sulla scrivania e l’afferrò, non lasciandogli via di fuga.
«Come diavolo ti è finita tutta questa cera sulla mano?»
Nonostante alcuni pezzi fossero caduti, molta cera era ancora rimasta attaccata alla pelle, che ora mostrava una brutta scottatura rossa che svettava terribilmente sulla sua pelle pallida.
Tentò di ritirarla accennando un “non lo so” sbiascicato ma la stretta della ragazza era ferrea e lo sguardo altrettanto duro.
Sondò la scrivania con gli occhi e poi, stesa ai piedi della scrivania, trovò la candela corta.
«Sei un masochista?»
Cutler assottigliò lo sguardo e provò di nuovo a sottrarsi alla stretta, con scarsi risultati e un ghigno di scherno.
«Nulla di simile»
«Stai attento la prossima volta. I bambini devono stare lontani dal fuoco.» lo prese in giro.
Beckett deglutì quando il pollice freddo della ragazza passò sul punto scottato, spostando così anche la cera rimasta. Gli dava una sensazione benefica, quel tocco. Ed era leggero. Delicato.
Non se lo sarebbe mai aspettato da un elefante qual’era.
«Un ricordo.» mormorò soltanto ma se ne pentì quando quegli occhi profondi lo fissarono. Come per provare a leggerlo.
Distolsero lo sguardo all’unisono.
Restarono qualche secondo nel più completo silenzio. Entrambi a concentrarsi solo su quel tocco. O almeno quella era l’impressione.
L’ometto si stava ancora dannando per essersi aperto così facilmente. Certo, la donna poteva sapere qualcosa del suo passato ma di certo non poteva leggergli nel pensiero. Di che cosa si preoccupava?
«Un penny per i tuoi pensieri»
Cutler la guardò senza capire e lei solamente scosse la testa, comprensiva.
«Lascia stare, non ne vale la pena parlarne con me.» e con un’ultima carezza lasciò andare la mano del Lord.
«Volete farmi sentire in colpa, Miss?»
Eris sbarrò gli occhi. «Perché, sai provare senso di colpa?» ma si morse la lingua subito dopo.
Maledetto sarcasmo.
«Mi dispiace» sussurrò, lasciando scivolare lo sguardo sulle sue fidate scarpe Nike.
Ne stavano passando troppi di attimi di silenzio. Qualcosa cominciava ad incrinarsi in quella conversazione e la Gallese stava pensando ad una buona scusa per uscirsene velocemente da quell’ufficio.
«Avete ragione»
La giovane sollevò il capo, guardandolo scettica.
«Non ne vale la pena parlarne con voi.» continuò.
Eris si alzò dal divano, il cagnolino scivolò a terra, stizzito, e si girò per andarsene.
E lei che aveva cercato di aiutarlo...si, ok, era stata lei a dirgli di non aprirsi necessariamente ma poteva anche essere meno rude!
«Perché sapete già tutto, non è così?»
Posò la mano sulla maniglia ma quelle parole la fecero tentennare.
«Voi sapete già tutto e ve ne dilettate. Sono come un puzzle per voi. Vi serve solo ricomporre i pezzi.»
E questo lo mandava in bestia. Perché nessuno poteva giocare con lui. Non più. Non avrebbe più chiesto aiuto a nessuno perché nessuno poteva aiutarlo.
Nessuno VOLEVA aiutarlo.
Nessuno…
Un risatina risuonò nella stanza. Seppur triste trasudava ancora una vena di divertimento.
«Davvero pensi che io stia cercando di manipolarti? Io, poi? Tra tutti?» chiese, ancora ridendo. «Ce ne vuole di immaginazione.»
Girò di nuovo su se stessa e si piegò sulla scrivania, una volta raggiunta, prendendo di nuovo stretta la mano dell’altro.
«Ti sto solo offrendo…qualcuno. Qualcuno a cui credere, per una volta.»
 Con quelle parole lo lasciò. Per la prima volta però, con tutti i pensieri che gli invadevano la testa, non si sentì solo.

Come era solito fare all’interno dell’Endeavour, gli ufficiali mangiavano tutti insieme all’interno della sala che si trovava in coperta subito dopo il turno dei sottoufficiali.
La giovane ragazza, invitata alla tavolata dei pezzi grossi, si era comodamente acquattata tra Groves, situato alla sua sinistra, e Gillette, alla sua destra. Schiamazzava allegramente e dopo essersi riempita la pancia con dell’ottimo pollo era tremendamente più calma.
Groves manteneva ancora un certo educato distacco, ogni tanto si sistemava il cappello e le rivolgeva un sorriso. Dall’altra parte invece Gillette flirtava in modo assai imbarazzante.
James Norrington aveva preferito sedersi vicino a Beckett piuttosto che alla ragazza (ancora per sensi di colpa?) e ne ignorava abilmente il fracasso.
Cutler invece era livido. Richiamare l’attenzione di Eris era stato impossibile perché o si concentrava sul cibo o aveva occhi solo per il Tenente. Per un attimo quasi invidiò la spensieratezza e la spontanea giocosità dell’uomo nel parlare con la ventiduenne. Poi, resosi conto dell’esagerata attenzione riservatale, aveva cominciato a sentirsi disturbato.
Quelle occhiate, quelle frecciatine erano disgustose persino per i gusti arrendevoli di lei.
C’era anche la possibilità che lo stesse facendo apposta per avere una reazione da lui. Oh, ma se voleva giocare quella partita l’avrebbero giocata in due.
Si alzò dal tavolino, poggiando silenziosamente il fazzoletto di stoffa e l’intera sala cadde nel silenzio più totale. Persino Gillette, così preso dalla conversazione, si fece improvvisamente rigido sulla sedia di legno.
«Mia signora» fece un cenno nella direzione della Gallese che lo guardò confusa. «E’ ora della vostra passeggiata serale.»
Mentre Beckett circuiva il tavolo e si avvicinava, Eris sbuffò divertita. Passeggiata serale? E dove, a bordo dell’Endeavour? Che aveva in mente quell’uomo?
«Ma cosa stai dicendo?» gli sputò contro quando quello gli scostò delicatamente la sedia indietro, in un gesto galante e le porse il braccio come aveva fatto Groves quella mattina stessa.
«Scusatemi, signori.» proclamò quando lei si decise ad afferrargli il braccio. «Ma sapete come sono fatte le nostre signore.»
«Nostre?» domandò ancora, sinceramente sopraffatta da tutta quella improvvisazione.
Quando uscirono dalla saletta e salirono sul ponte della nave, un vento rinfrescante penetrò nei vestiti calorosi di entrambi, che sospirarono di piacere insieme.
Soffiava tra i capelli stretti in una coda alta facendola agitare un poco e quasi fece volare via il cappello del Lord.
Quando furono a debita distanza dal resto della ciurma, Cutler allontanò il proprio braccio e chiuse le mani dietro di se, in una postura austera e intimidatoria.
Eris, dal canto suo, si era stretta nella casacca nera e si fermò a prendere una bella boccata d’aria, fissando l’immenso mare scuro mentre l’altro si avvicinava alla punta della nave.
Non vedeva una fine e, guardandosi alle spalle, nemmeno il punto da cui erano partiti. Era come se si fossero persi nel vuoto.
Un movimento alla sua sinistra la spaventò, facendola saltare sul posto, ma quando notò che era uno dei sottoufficiali che scendevano sottocoperta si tranquillizzò.
Il ponte del vascello sapeva essere tetro quando vigeva soltanto il rumore del vento, delle onde che si infrangevano e le vele che sventolavano minacciose.
Si accostò velocemente anch’essa al parapetto, affiancando il più basso, e poggiò una mano sul legno, piegandosi un po’.
Dio, le onde sembravano davvero minacciose di notte.
«Ho pensato a quello che avete detto»
La voce di Beckett gli arrivò stranamente ovattata. Si sentiva quasi stordita. Il caldo pesante quel pomeriggio sembrava averla scombussolata più del previsto e il vento fresco le stava dando un momento di riposo mentale.
«A cosa?» domandò lei, non prestando particolare attenzione alla conversazione. Forse le stava risalendo la cena.
«A…quel qualcuno.» L’uomo girò il viso dalla parte opposta, sistemandosi il cappello sulla testa parruccata, e tirò un sospiro. «Forse sarei disposto ad accettare quel qualcuno se solo mi desse l'occasione di conoscerlo un po’ meglio…»
Quando girò nuovamente lo sguardo sulla ragazza la trovò con il busto piegato a 90 gradi e la testa poggiata sulle braccia incrociate sul parapetto.
Fece per rimproverarla quando, nell’oscurità, le vide dipingersi sulle labbra un sorrisetto malizioso. Ne seguì il contorno e quasi si stupì di tanta sfrontatezza.
«Conoscermi meglio? Che audace proposta.»aprì gli occhi, rimasti beatamente chiusi dal momento in cui si era poggiata sul legno e gli sorrise ampiamente, stavolta senza tracce di malizia.
«Usate le mie stesse parole contro di me, ora?» mormorò imbarazzato, distogliendo lo sguardo.
Eris si tirò di nuovo su e la testa le vorticò un casino tanto che dovette reggersi ancora al parapetto. Le serviva proprio una bella dormita. Si sentiva strana ma dopo un paio di secondi tornò di nuovo coi piedi per terra.
«Giocavo un po’» fece spallucce «Beh, per iniziare che ne dici di togliere questo “voi” e cominciare a darmi del “tu”?» e lasciò cadere una mano sul cappello dell’uomo che, per la forza impressagli, andò a incastrarsi profondamente nella testa dell’altro, coprendogli gli occhi e spostando la parrucca.
«ERIS!»
«Ecco, già cominciamo bene!»



Note dell'Autrice
Ok, si. E' sabato. Lo so. Ma la noia mi stava uccidendo e devo aspettare fino alle 21 per uscire di casa. Per cui se qualcuno si sta annoiando come me in questi pomeriggi vuoti, si può dedicare alla lettura del settimo capitolo.
Si, come avete visto sto tentando di far apparire Cutler un po' una vittima (che fondamentalmente è quello che è) senza farlo cadere troppo nell'OCC. Sto cercando di riprodurre più o meno le stesse linee di pensiero che faceva nel libro che come vi ho già detto tempo fa si chiama: "The Price of Freedom". Scorgerete lentamente molte parti di questo libro all'interno della mia fanfiction soprattutto una volta giunti al ballo dove si incontreranno vecchi nemici (non dico altro :3).
Va beh, credo posa bastare. Questo capitolo è logorroico poichè su una nave non è tanto quello che puoi fare.
Ci vediamo al prossimo capitolo :D
  
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