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Autore: Heihei    06/05/2017    1 recensioni
Bethyl-AU
Quegli stupidi degli amici di Beth sono determinati a rendere il suo diciottesimo compleanno memorabile, peccato che le loro buffonate la faranno restare bloccata in un brutto quartiere di una città sconosciuta, attualmente pattugliato dall'Agente Shane Walsh. Minacciata sia dagli agenti che dai criminali, dovrà rassegnarsi alla compagnia di un gruppo di zotici, tra cui un certo redneck particolarmente scontroso.
**Questa storia NON mi appartiene, mi sono limitata a tradurla col consenso dell'autrice**
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Maggie Greeneunn, Merle Dixon
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XI. Lupi e vagabondi / XII. Sangue irlandese

 

 

Era mezzanotte passata quando Beth apportò le ultime modifiche al suo compito di storia. Non aveva alcuna intenzione di farlo la mattina seguente, aveva sempre pensato che la storia fosse una delle materie più difficili su cui fare un compito. Tra l’altro, la mattina era il momento più luminoso e felice della giornata, il suo preferito. Era quello che precedeva tutti gli errori quotidiani da cui non imparava mai niente, come del resto tutti gli esseri umani.
Rimase per ore da sola in cucina a leggere e a correggere il suo lavoro e, quando finalmente, facendo attenzione a non disturbare il silenzio che regnava in casa, era pronta a risalire nella sua stanza, la porta d’ingresso si aprì e Otis fece capolino in cucina. Aveva il respiro affannoso e il passo pesante.
“Stai ancora studiando?”, le chiese, aggrottando le sopracciglia. “Tuo padre ne sarà felice. E’ preoccupato per i tuoi voti, all’ultimo anno non hai un granché di tempo libero.”
“Già, lo sono anch’io”, rispose. Aveva sperato fino a quel momento che l’ultimo anno fosse proprio quello giusto per prendersi una pausa, ma forse Otis aveva ragione. “Tu che ci fai ancora in piedi?”
Indicò con un cenno del capo la finestra e poi, con uno sbadiglio, si fiondò nel frigo.
“Ci sono dei lupi nei paraggi. Io e tuo padre saremo di guardia fino a che non se ne andranno.”
Sembrava davvero esausto. Si strofinò gli occhi con entrambe le mani.
“Perché non vai a letto? Posso controllare che papà non si addormenti mentre continuo a rileggere il mio compito.”
In effetti non aveva fretta di finirlo, era lì solo perché avrebbe avuto una cosa da fare in meno. E poi, non aveva sonno.
Era il periodo del parto dei bovini e Otis era stato in piedi già tutta la notte precedente, ma, nonostante avesse gli occhi iniettati di sangue, scosse la testa.
“Non lo so.”
“E’ tutto ok. Dovrò pur ricominciare a fare qualcosa, prima o poi.”
Beth gli rivolse un sorriso colpevole. Era l’unica in quella fattoria a non avere particolari mansioni da svolgere. Tra la scuola e le ore trascorse a studiare per alzare tutti i suoi voti, non aveva neanche più il tempo di dare da mangiare alle galline. Eppure, quando aveva tempo, aveva sempre fatto quel che poteva.
“E va bene”, Otis annuì e le diede una pacca sulla spalla prima di andarsene, lasciando trasparire per la prima volta tutta la sua stanchezza. “E’ da quel lato del recinzione. Portagli qualcosa da bere e da mangiare.”
Raccolse quello che Otis aveva già preso dal frigo e si guardò intorno alla ricerca di qualcosa anche per lei. Un paio di mele e un po’ di granola fatta in casa da sua madre sarebbero andate più che bene.
Raggiunse suo padre alla fine della recinzione e cominciò ad osservarlo. Vederlo lì, imperturbabile, con quello che le sembrava il suo fucile da caccia in mano, le fece provare una malinconia che ormai le stava diventando familiare. Quando era stanco sembrava ancora più anziano e quella consapevolezza diventava giorno dopo giorno sempre più destabilizzante. Era ancora abbastanza forte da vivere per altri due secoli, ma le rughe sul suo volto le facevano sempre più paura.
Era in piedi tra due sedie a sdraio. Beth inizialmente non notò cosa ci fosse che non andava nella recinzione, del resto era da un po’ che non partecipava al lavoro della fattoria. Ma, con un po’ di attenzione, riuscì a calarsi di nuovo in quei panni.
Quando la sentì vicina, suo padre si voltò, inarcando un sopracciglio. Doveva essere sorpreso di vedere lei al posto del suo responsabile.
“Hai mandato Otis a letto?”
“Non gli ho dato scelta”, poggiò il suo zaino a terra e tirò fuori il cibo e l’acqua che aveva preso dalla cucina.
“Beh, forse è meglio così”, disse Hershel con un sospiro. “Era esausto… ma tu devi andare a scuola domani. Posso farlo anche da solo.”
In tutta risposta, Beth si sedette su una delle sedie a sdraio e gli sorrise. Suo padre aveva raggiunto la settantina e, col passare delle stagioni, aveva bisogno sempre di più ore di sonno, anche quando non poteva concedersele. Quella volta, per esempio, era sicura che l’aveva trovato in piedi perché non voleva addormentarsi e lasciare la sua postazione scoperta.
“Andrò a letto quando mi verrà sonno, promesso, ma per il momento non sono stanca. E poi, ho portato i libri.”
Si chinò di nuovo sullo zaino e afferrò il suo libro di storia. Era solo una recita, ma suo padre sembrò non farci caso. Fece finta di studiare il più a lungo possibile, ma finì presto per osservare suo padre combattere contro il sonno, anche quando quest’ultimo era sul punto di prendere il sopravvento. Non le aveva mai permesso di restare di guardia da sola, soprattutto perché non sapeva un bel niente di armi.
Hershel chiuse lentamente le palpebre, inclinando lievemente la testa, e lei fu costretta a svegliarlo.
“Lupi?”, chiese, nella speranza di tenerlo sveglio.
Beth non voleva far loro del male, si chiese addirittura come sarebbe stato vederne uno da vicino.
Suo padre aprì gli occhi di scatto, mettendosi subito sull’attenti.
“Un branco. Credo che vogliano vagare qui intorno per un po’, ma non lo faranno. Non posso permetterlo. Li abbiamo sentiti già qualche giorno fa, io e Otis. Stavano ululando non molto lontano da qui.”
Manco a farlo apposta, qualcosa si mosse dall’altro lato della recinzione, in lontananza. Un lieve fruscio attirò entrambi i loro sguardi nella stessa direzione.
“E’ sicuramente qualcosa di più piccolo e meno interessante”, la rassicurò suo padre, tenendo la presa salda sul fucile per ogni evenienza.
“Non sparerai ai lupi, vero?”
“No, a meno che non provino ad attaccare uno di noi o uno degli animali”, Hershel indicò l’arma con lo sguardo. “E’ solo il fucile antisommossa di Otis. Anche se colpissi una di quelle povere bestie, non farebbe molti danni. Serve solo a spaventarli, a fargli capire che i nostri animali non sono delle potenziali prede. Se faranno lo stesso anche nelle altre fattorie, il branco si sposterà altrove.”
Beth continuò a ispezionare l’oscurità circostante per qualche altro minuto prima di arrendersi all’idea che non avrebbe visto nessun lupo quella notte. Qualsiasi cosa si fosse mossa, ormai era lontana.
“La recinzione è completamente da rifare e, con questi nuovi turni di guardia notturni, credo che avremo bisogno di una mano.”
“Già”, rispose così a bassa voce che fece fatica a sentirsi lei stessa.
“Non è proprio il periodo giusto per cercare qualcuno che lavori per noi, ma io e Otis abbiamo intenzione di cominciare il prima possibile”, continuò suo padre, addentando una delle mele.
Aveva pensato più volte che Daryl avrebbe potuto presentarsi sul serio, ma, col passare dei giorni, si convinceva sempre di più che era molto più probabile che se ne fosse completamente dimenticato. Con un tuffo al cuore, pensò che a Maggie avrebbe fatto piacere. Le aveva scritto sia lunedì che martedì per chiederle di lui, e lei le aveva detto che, nel caso, si sarebbe premurata di farglielo sapere, a patto che giurasse di non dire nulla ai suoi genitori. Ma, a quanto pareva, quel messaggio non le sarebbe mai arrivato. Era passata quasi una settimana, doveva aver trovato qualcos’altro… sperò solo che non fosse il traffico d’armi in cui Jeremiah voleva coinvolgerlo.
“Va tutto bene, Bethy?”
“Sì, certo”, ripose, senza alzare lo sguardo dal suo libro di testo.
“E’ solo che… ho notato che non vedi i tuoi amici da una settimana. Non ti sento parlare di loro dal tuo compleanno, torni direttamente a casa tutti i giorni. Non ti fermi neanche più a chiacchierare con loro dopo la scuola, come hai sempre fatto. Parli poco, stai sempre chiusa nella tua stanza a leggere e a studiare.”
Beth sospirò profondamente. “Voglio solo far salire la mia media prima di diplomarmi.”
“Non ci hai litigato, vero?”, suo padre la guardò preoccupato, alzando le sopracciglia.
Lei ripose con una scrollata di spalle. Non avevano litigato, ma non li cercava più di tanto. Dopo tutto quello che era successo quella notte, era chiaro come il sole che lei e i suoi amici in realtà si stavano allontanando da mesi e non era necessariamente una cosa negativa. Non voleva offenderli, ma mantenere le distanze era sano e inevitabile.
“Beh, non posso di certo considerarli una grande perdita”, Hershel sorrise. “Ti sono grato per non esserti mai fatta influenzare dalla loro eccessiva indulgenza, come invece temevamo.”
Per qualche secondo, Beth restò in silenzio, bloccata, con lo sguardo fisso su suo padre.
“Tu sapevi quello che…?”
“Da chi pensi di aver ereditato la tua perspicacia, Bethy?”
Lei si voltò a guardare la casa, soffocando un sorriso.
“Hai ragione, da tua madre. Ma anche io non scherzo. E poi, con i tuoi amici è stato facile, molti dei loro vizi mi sono familiari”, si schiarì la gola, spostando il peso da una gamba all’altra. “Tutte le volte che sei tornata a casa dopo essere uscita con loro, ti puzzavano i vestiti, Bethy. Anche se so che tu non hai mai fatto nulla del genere, è sbagliato. Avere dell’alcol intorno è già abbastanza grave.”
“Papà, voglio solo che tu sappia che io non ho mai...”
“Lo so”, la interruppe annuendo. “E sono fiero di te per aver ascoltato le mie parole fino a questo punto, ma sono consapevole che non posso più decidere per i miei figli.” Dopo un secondo di silenzio, aggiunse: “Per quanto allettante possa essere l’idea.”
“Vorrei poter lasciartelo fare, ma non è così che funziona”, Beth ridacchiò, per poi ricostruire lo stesso silenzio imbarazzante di prima.
“Ascolta, so che potresti sentirti più a tuo agio nel parlare di queste cose con tua madre… ma sappi che noi ti vediamo. Ci siamo accorti che questo è stato un anno difficile per te.”
“Non è così...”, non riuscì a guardarlo negli occhi, “...non c’è nulla che non va.”
“Invece sì”, ribatté lui con gentilezza. “Stai per finire il liceo, pochi mesi e sarai fuori, eppure non mi sembri tanto entusiasta.”
Finalmente, alzò lo sguardo sul suo sorriso dolce e lo ricambiò.
“E’ stupido, lo so”, fece le spallucce. “Ero convinta di avere le idee chiare su quello che volevo… su quello che dovevo fare.”
“Mi sarebbe parso strano se non ti fossi proprio preoccupata di questo genere di cose. Sei una brava ragazza, sei brillante, con un po’ di fede e qualche preghiera, ne verrai a capo.”
Quelle parole non la fecero sentire chissà quanto meglio. Gliele aveva ripetute centinaia di volte, forse anche più spesso di quanto ricordasse, ma allo stesso tempo l’aiutarono a tirare un sospiro di sollievo almeno per quell’istante. In fondo, sapeva che aveva ragione. Ne sarebbe venuta a capo, prima o poi.
Quella conversazione giunse al termine quando qualcosa si mosse nell’oscurità. Beth s’irrigidì e si guardò intorno con gli occhi sgranati. Hershel teneva il fucile antisommossa a portata di mano, ma non si avvicinò nulla.

 

● ● ●

 

Quando vide la fattoria, Daryl fu estremamente tentato di fare un’inversione a U e andare via.
Era troppo perfetta. La fattoria della famiglia Greene era surreale. Baciata dal sole, sembrava un particolare di qualche dipinto, la rappresentazione artistica della casa dei sogni di ogni bambina di sei anni del sud. Non riusciva a credere che delle persone abitassero per davvero in quella dannatissima casa delle bambole.
E invece, Beth viveva proprio lì. Era stata gentile, era stata lei a chiedergli di andare. Alla fine era stato quello a impedirgli di scappare via lungo la strada, un barlume di speranza di poter essere ancora il benvenuto lì, almeno per lei, a meno che non ci avesse ripensato. In tal caso, non avrebbe potuto biasimarla.
Parcheggiò il furgone all’ombra lungo la strada, non troppo vicino alla casa. Sentiva il bisogno di farsi una camminata e, già che c’era, non voleva attirare troppo l’attenzione sul suo arrivo.
Troppo tardi. Non ebbe neanche il tempo di allontanarsi di un passo dal furgone che scorse una figura avanzare verso di lui. Era un uomo piuttosto grasso con un mazzo di chiavi legato alla cintura e un vistoso cipiglio a deformargli lo sguardo.
“Sei uno dei responsabili?”, gridò Daryl quando era ancora a una decina di metri da lui.
Si mise le mani in tasca e lo raggiunse a testa alta, cercando di fingere un minimo di sicurezza.
“Sì, cosa le serve?”
“Ho sentito che vi serve una mano per del lavoro extra.”
L’uomo cambiò rapidamente espressione, serrando la bocca e assumendo uno sguardo comprensivo.
“Beh, sei stato veloce. Abbiamo cominciato a dare un’occhiata in giro proprio stamattina.”
Dopo un rapido istante di confusione, Daryl scrollò le spalle. Forse era meglio non fare il nome di Beth, dubitava che la famiglia non avrebbe avuto nulla da ridire sulle circostanze in cui si erano conosciuti. Se aveva parlato di lui, doveva aver mentito, anche se era abbastanza sicuro che non avesse detto proprio nulla.
“Io sono Otis”, allungò la mano verso di lui per stringergliela. “Lavoro per Hershel Greene da circa vent’anni.”
“Daryl Dixon.”
“Dixon? Sei di qua?” Dopo aver ritratto la mano, Otis si voltò in direzione dei campi e cominciò a camminare, facendogli cenno di seguirlo. “Conosco qualche Dixon.”
“Siamo pochi”, mormorò, “e no, non sono della zona”, aggiunse un po’ più ad alta voce.
“Come hai saputo che eravamo in cerca di qualcuno?”, continuò l’uomo, voltandosi leggermente per guardarlo oltre la sua spalla.
Stavano cercando di percorrere più strada possibile all’ombra, ma non ce n’era molta a disposizione. Era prima vera giornata calda dell’anno, anche se l’umidità crescente non stava facendo altro che avvisarli dell’arrivo di una tempesta.
“In città. Le voci girano.”
Otis annuì senza fare ulteriori commenti, non fu così ingenuo da insistere. Daryl era quasi sicuro che in una fattoria come quella la maggior parte dei lavoratori che avessero assunto fossero migranti, che c’erano e non c’erano. E lui non era poi così diverso.
“Il motivo principale per cui ci serve una mano è questa recinzione”, Otis la colpì, dimostrandogli quanto poco resistesse già sotto il peso della sua grande mano. “Non possiamo aspettare che passi un altro inverno, Hershel vuole ricostruirla prima che possa cedere del tutto. E poi, dobbiamo stabilire dei turni di guardia notturni, c’è un branco di lupi in zona.”
Daryl annuì. “Bene.”
“Hai già lavorato in una fattoria?”
In genere era Merle che si occupava del “colloquio”. Pensò a cosa suo fratello avrebbe potuto dire, ma, al solo pensiero di lui, sentì una morsa in petto.
“Tutto quello che c’è da fare qui, probabilmente l’ho già fatto”, fece le spallucce. “Cavalli, bovini, qualsiasi cosa. Finché mi pagherete, ci sto.”
Si stava guardando i piedi da troppo tempo, ma Otis non sembrò curarsene.
“Bene, allora ti chiameremo ogni volta che ne avremo bisogno. Puoi iniziare anche subito?”
“Non ho altri impegni.”
“Eccoci”, Otis gli indicò la casa delle bambole. “Devo solo presentarti a Hershel e poi possiamo cominciare.”
Entrò a cercare il fattore, e lui rimase ad attenderlo sulle scale del portico. Rimasto da solo davanti a quel paesaggio luminoso e caldo, non poté fare a meno di chiedersi come fosse stato per Beth crescere in un posto del genere. Stava a sentire suo padre e si teneva il più possibile vicino casa, uscendo solo in compagnia? Oppure faceva preoccupare la sua famiglia, allontanandosi di notte nel bosco?
Rimase assorto nei suoi pensieri finché non vide Hershel uscire dalla porta. Era più vecchio di quanto avesse potuto immaginare, se solo avesse avuto un secondo per farlo. Doveva avere almeno settant’anni. I suoi capelli, ben ordinati, erano di un bianco luminoso e aveva gli stessi occhi chiari di sua figlia. La sua bocca si curvò verso il basso in una smorfia naturale, ma finse una certa cordialità nell’avvicinarsi a lui.
“Hershel Greene.”
Daryl gli strinse la mano. “Daryl Dixon.”
“Otis mi ha detto che ti unirai a noi per un po’ di lavoro extra.”
“Sì, grazie per l’opportunità”, mormorò.
“Da queste parti siamo un po’ vecchio stile. Io e la mia famiglia partecipiamo attivamente al lavoro, quindi risponderai direttamente a me e ad Otis”, si voltò verso la porta. Otis aveva lo sguardo rivolto verso i campi, anche se era evidente che stesse ascoltando tutto. “Potrebbe essere più semplice di altri lavori che hai fatto in passato, ma voglio mettere in chiaro alcune cose. Assumiamo spesso altre persone per lavorare, spesso anche migranti, che vanno e vengono. Ma loro vivono la loro vita e noi la nostra. Seguiamo delle regole molto rigide. Nessuno della mia famiglia resterà mai da solo in tua compagnia.”
Non era la prima volta che gli veniva fatto un discorso del genere, e non gli erano mai dispiaciuti in passato. Era una politica intelligente, in grado di proteggere tutti. Nessuno doveva preoccuparsi di essere ferito o derubato da un estraneo e nessuno doveva preoccuparsi di essere accusato ingiustamente. Ci sarebbero stati sempre dei testimoni. Era la prassi che ogni buon fattore doveva seguire, ma, quella volta, quel tipo di discorso lo infastidì più del dovuto. Si morse l’interno della guancia.
“Nessuno della mia famiglia sarà di guardia o lavorerà con te, se non in presenza mia o di Otis. Se si dovesse verificare una cosa del genere, sarà per una nostra disattenzione e mi aspetto che tu ti comporti in modo corretto”, aggiunse Hershel con fermezza.
Con due belle figlie, quell’uomo sarebbe stato un pazzo a non prendere le dovute precauzioni e Daryl doveva riconoscere che sarebbe stato difficile rispettarlo se non fosse stato il tipo di uomo che si prendeva cura delle sue ragazze. Aveva subito apprezzato la sua caparbia e il suo pudore, ma, d’altra parte, tutto ciò significava che non avrebbe mai potuto vedere Beth se non in presenza di qualcun altro.
Forse era meglio così.
“Non è tanto una questione di fiducia, ma di sicurezza. Spesso non so assolutamente niente degli uomini che vengono a lavorare qui, e di conseguenza loro non devono sapere niente di noi. E’ giusto che sia così.”
Daryl si ritrovò ad annuire, più per il nervosismo che per altro. “Ha senso.”
“Sono contento che la pensi così. Otis, andresti a prendere le carte per Daryl, così chiudiamo l’accordo?”
L’uomo annuì e sparì oltre la porta d’ingresso.
“E’ stato un piacere conoscerti, Daryl, e ti ringrazio per averci offerto il tuo aiuto. Ci vediamo presto.”
Hershel lo salutò con un cenno del capo e seguì Otis in casa, lasciandolo di nuovo da solo sul portico ad aspettare.
Pochi minuti dopo, il rumore di un’auto, che stava venendo proprio in direzione della proprietà, catturò la sua attenzione. La polvere smise di alzarsi quando la piccola coupé si fermò a pochi metri dalla sua moto. Non aveva bisogno di vederlo con i suoi occhi, sapeva che era lei. Sentì i battiti del cuore accelerare il loro ritmo. Fece un respiro profondo, imprecando.
Indossava una donna corta, come se per lei l’estate fosse già arrivata. Le osservò le gambe, per poi scendere sugli stivali da cowboy. Doveva amarli. Aveva provato a raccogliere i suoi biondi capelli, ricci e disordinati, in una coda di cavallo, ma molte ciocche le ricadevano sul viso.
Beth chiuse goffamente la portiera dell’auto, cercando di impedire al suo zaino di scivolarle via dalla spalla. Era venuto abbastanza presto, convinto che dovesse rimanere a scuola per qualche ora in più, ma evidentemente si era sbagliato. Il suo sguardo si concentrò sulla moto di Merle, legata al retro del furgone parcheggiato a pochi metri da lei. Poi si voltò e, quando lo vide sulle scale, si congelò sul posto.
Aveva cominciato il suo nuovo lavoro da circa trenta secondi e già stava infrangendo le regole.

 

● ● ●
 

Durante gli ultimi cento metri del suo viaggio di ritorno a casa, con un tuffo al cuore, Beth riconobbe la moto sul retro del furgone parcheggiato sulla strada. Non riuscì però a trovarlo fino a pochi attimi prima di scendere dall’auto. Aveva pensato a lui così tanto nell’ultima settimana che si ricordava ogni singolo dettaglio alla perfezione. I suoi occhi così timidi e innocenti erano in netto contrasto con quella sua solita aria aggressiva, che manifestava costantemente nel modo in cui si muoveva e nel modo in cui irrigidiva la mascella.
Lo osservò, con le mani in tasca in piedi sul portico, e per un attimo le sembrò surreale, perché sembrava che appartenesse a quel posto. Non ci avrebbe mai pensato prima di rivederlo.
“Daryl!”
Non trattenne il suo sorriso, non aveva intenzione di mascherare niente. Mordendosi il labbro inferiore, si affrettò a raggiungere le scale.
“Sei venuto! Iniziavo a preoccuparmi”, ammise, fermandosi di fronte a lui.
Doveva aver avvertito la nota di preoccupazione presente nella sua voce, perché annuì con uno sguardo comprensivo.
“Sì, siamo andati a fare quel lavoro con Jer e i suoi”, le disse a bassa voce.
Era delusa, ma cercò di capire. Del resto, era così che aveva sempre vissuto fino a quel momento. Ma sentì comunque una fitta al cuore, come se le fossero ritornate in mente le parole dure che le aveva rivolto quando avevano provato a discuterne. Si aspettava che si mettesse di nuovo sulla difensiva, ma forse la considerava davvero solo un’ingenua ragazzina viziata che non avrebbe mai potuto capire niente di tutto quello che aveva passato.
In ogni caso, non voleva arrabbiarsi perché alla fine era andato lì, almeno non in quel momento. Si era presentato e questo già la fece sentire sollevata.
“Stai bene?”
Io sì, sto bene”, Daryl si grattò nervosamente il collo, guardandosi intorno col timore che qualcuno potesse sentirli.
Beth realizzò solo in quel momento che c’era una sola moto e nessun segno di suo fratello.
“Merle non è...”, si bloccò quando lo vide scuotere la testa.
“E’ andata male, Beth. Molto male.”
“...E’ vivo?”, chiese, scossa da un brivido.
Era riuscita ad avere una sola conversazione civile con Merle, ma cominciava a piacerle, nonostante i suoi commenti volgari e il suo sguardo sfrontato.
“Credo di sì”, rispose, con una sicurezza sicuramente maggiore di quanta in realtà, secondo lei, ne aveva. “Quel bastardo è forte, ma non sono riuscito a trovarlo, l’ho cercato per giorni. O si è nascosto, o...”
Daryl non finì quel pensiero. Evidentemente, sapeva benissimo che esisteva quella possibilità, ma non riusciva a dirlo così come aveva fatto lei. Beth si pentì di essere saltata subito a quella conclusione, quel suo dubbio sembrava averlo scosso.
“Sono sicura che sta bene”, gli strinse il braccio con una mano, allacciando lo sguardo al suo. “Lui sa dove trovarti?”
Daryl annuì. “Gli ho detto che sarei venuto qui. Non gli piaceva l’idea, ma sa che vi chiamate Greene e conosce la zona. Si farà vivo appena potrà.”
Beth sentì il rumore del motore di un’altra auto, ma decise di ignorarla, anche se lui invece si stava concentrando ad osservarla oltre la sua spalla, nervoso.
“Mi dici cosa è successo? Voglio solo sapere se...”, s’interruppe appena sentì l’auto avvicinarsi alle sue spalle a una velocità impressionante. Ci mise poco a capire chi era. “...Magari non adesso.”
Girò i tacchi giusto in tempo per salutare suo fratello con un rapido “Hey, Shawn, che ci fai qui?”
Mentre si stava voltando, le era parso di sentire Daryl sussurrare un’imprecazione, ma non ne era sicura.
Shawn chiuse la portiera della sua piccola Mazda e le rivolse un sorriso radioso, in netto contrasto col cipiglio sospettoso che invece riservò all’uomo che era rimasto in piedi proprio dietro di lei.
“Hey, sorellina, vieni qui!”
Soprattutto dopo lunghi periodi di lontananza, Shawn era solito abbracciarla in un modo che metteva seriamente a rischio la sua incolumità fisica. Maggie li chiamava abbracci spezza-costole. Infatti, riuscì solamente ad abbandonare il suo zaino su uno dei gradini prima che lui l’afferrasse dal basso e la sollevasse da terra, stringendola così forte che non riusciva quasi più a ridere o respirare.
“Scusa se mi sono perso il tuo compleanno, Bethy.”
“Tranquillo”, riuscì a dire non appena ritoccò terra. “Sul serio, che succede?”
Era il suo secondo semestre alla facoltà di medicina e, da come aveva scritto nell’ultima email, era così sommerso di lavoro da fare che non aveva neanche il tempo di mettere il naso fuori di casa.
“Beh...”, le rivolse uno sguardo colpevole, completato dal rossore delle sue guance e dalla smorfia che il suo volto aveva assunto, “...sto per mollare.”
Molto probabilmente si aspettava di essere colpito, ma Beth era troppo scioccata da quella nuova notizia per dare una reazione istantanea.
“Lo dirai a mamma e a Hershel?”, chiese in evidente tensione. “Ti darò tutto ciò che ho nel portafoglio… anche se penso di non avere più di sessanta centesimi.”
Shawn...”, Beth scosse la testa con la bocca semiaperta. I suoi genitori non l’avrebbero presa per niente bene.
“Allora… lui chi è?”, le chiese, ignorando le sue occhiatacce, per cambiare discorso. “Scusami, è stato un po’ scortese da parte mia… tu sei?”, si rivolse direttamente a Daryl con un sorriso decisamente nervoso.
“Daryl.”
“Papà l’ha appena assunto”, spiegò Beth, in parte ancora concentrata su quello che le aveva appena detto, “c’è molto lavoro da fare e potremmo avere bisogno di altre persone.”
Lo guardo di Shawn s’illuminò. “Oh, davvero? Sai, credo che avrò un bel po’ di tempo libero, d’ora in poi.” Cominciò a battere nervosamente le mani, guardando la porta d’ingresso. “Ok… credo che entrerò.”
“Io resterò qui fuori ancora per un po’”, rispose cautamente.
Non aveva alcuna voglia di assistere. Suo padre non si sarebbe arrabbiato sul serio, ma temeva che quella decisione di Shawn lo potesse deludere più del dovuto. Da triste, Hershel sembrava ancora più attempato. Sarebbe rientrata dopo a confortarlo.
“Cosa dirà?”, chiese Daryl, appena Shawn sparì in casa.
Beth fece le spallucce. “Penso dipenda dalle ragioni di Shawn. Se ha avuto buoni motivi per fare questa scelta, papà capirà… ma se lo fa solo perché è difficile ed è uno che si arrende così facilmente, avranno qualcosa da ridire. Scommetto che lo convinceranno a ripensarci in ogni caso.”
“Cosa può essere una buona ragione?”
Daryl fece due passi verso la veranda per appoggiarsi al parapetto. Si accorse solo in quel momento, da quando l’aveva visto sulle scale, di quanto fosse teso, ma finalmente sembrava che stesse cercando di sentirsi un po’ più a suo agio in quell’ambiente.
Beth si strinse di nuovo nelle spalle, scacciando via la tentazione di avvicinarsi. Aveva inevitabilmente pensato a quanto potesse essere bello abbracciarlo di nuovo.
“Beh… magari si è resto conto che questa strada non è quella che fa per lui. Sennò, ha scelto di mollare solo perché è stressato, impaurito o sfaticato. E non saranno ragioni abbastanza buone per mio padre.”
Nel frattempo, cercava di ascoltare anche le voci provenienti dall’interno della casa. Era raro che suo padre gridasse, e sicuramente non era quello il caso, ma si sentì comunque meglio all’idea di restarne fuori. Alzò il suo zaino dal gradino e lo spolverò con un paio di pacche, per poi poggiarlo su una delle sedie del portico e ritornare sulle scale.
Era stata così tanto in pensiero per Daryl prima del suo arrivo, ma anche ora che era lì si sentiva preoccupata, e non riusciva a spiegarsi il perché. Che voleva dire? L’aveva fatto davvero venire alla fattoria anche per altre ragioni? In fondo, sentiva che era così, ma non riusciva ancora a fare chiarezza nella sua mente. Sapeva solo che, appena l’aveva visto sul portico, aveva sentito di nuovo il bisogno spontaneo di gettargli le braccia al collo. Si stava trattenendo dal farlo solo perché non sembrava avesse apprezzato molto l’ultima volta, senza contare la stretta vicinanza di tutta la sua famiglia.
Cominciò a passeggiare per il portico, avvicinandosi comunque a lui quanto bastava per vederlo irrigidirsi. Lo osservò cauta, cercando il suo sguardo. Ma, all’ultimo momento, decise di voltarsi e di sedersi sulla ringhiera accanto a lui.
“Allora, cos’è successo?”, gli chiese a bassa voce. “Non sei tenuto a dirmi niente, ma se vuoi...”
“E’ stato brutto e basta”, borbottò. “Non ho neanche capito bene quello che è successo, ma posso immaginare. Jer e i suoi uomini non erano gli unici a sapere della spedizione. Hanno incrociato i nostri stessi percorsi. Merle era su una strada sicura, ma è proprio lì che sono iniziati i casini e, quando sono arrivato lì, non c’era più niente da vedere.”
C’era qualcosa nella sua voce che le fece pensare che non fosse stato del tutto sincero. Magari non c’era più niente da vedere di cui volesse parlare, ma aveva visto qualcosa.
“...Poi ho levato le tende. Avevamo già attirato troppo l’attenzione, gli sbirri stavano arrivando e Merle se n’era già andato”, si grattò la barbetta sulle guance e lanciò l’ennesima occhiata alla porta d’ingresso.
Beth abbassò lo sguardo sulla sua mano appoggiata alla ringhiera. Dopo un attimo di esitazione, con rinnovata fermezza, fece scivolare le dita sulle sue nocche pallide.
“Presto sarà qui… sono contenta che tu stia bene.”
Guardandolo di lato, non riuscì a leggere la sua espressione. Ma già il fatto che non fosse scappato da lei era un buon segno. Sentì la sua mano spostarsi sotto il suo tocco. Per un momento, pensò che stesse per ritrarla, ma invece sollevò il palmo e intrecciò le dita tra le sue.
Le diede i brividi, ma, stando al suo sguardo, non doveva averne la minima idea. La sua mano grande e callosa pulsava contro la sua. Poi, quando sembrava che stesse quasi per stringergliela, la lasciò andare.
La porta d’ingresso si spalancò e Otis li raggiunse sul portico. Daryl si portò di scatto la mano sulla tasca dei pantaloni, raddrizzandosi.
“Scusami, ci ho messo un po’ a trovare le scartoffie giuste.”
Otis stringeva un plico di documenti. S’infilò una mano nella tasca anteriore dei jeans, in cerca di una penna, e gli fece cenno di seguirlo.
Dall’aria indifferente con cui li aveva superati e aveva cominciato a scendere le scale, era chiaro che non aveva visto niente.
Daryl si voltò per seguirlo, facendole un ultimo cenno del capo mentre cominciava a scendere i gradini con riluttanza. Lei gli sorrise, cercando di non pensare al fatto che non avrebbero parlato per un po’. Li osservò allontanarsi, ignara di non essere da sola sul portico finché non sentì sua madre schiarirsi la gola.
“Oh, ciao! Mi hai spaventata.” Il cuore le balzò con forza contro le costole. “...Com’è la situazione dentro?”, le chiese spostando lo sguardo sulla casa, alludendo chiaramente alla discussione tra Shawn e suo padre.
Annette stava sulla soglia con le braccia incrociate e osservava Otis e Daryl con uno sguardo apprensivo.
“Non sta andando male”, disse con un sospiro sconsolato, “è solo un po’ intensa. Ho deciso di lasciarli parlare, tanto ho già in testa cosa diranno, sia l’uno che l’altro. Hanno solo bisogno di dire la loro.”
Si avvicinò a Beth, posandole una mano sulla spalla e facendola voltare, per apprezzare insieme la visuale della loro terra.
Otis stava facendo spostare a Daryl il suo furgone dall’altro lato della strada, segno che sarebbe rimasto lì ancora per un bel po’.
“E’ il nuovo aiutante? Sembra carino...”, il suo sorriso si allargò, forse perché aveva notato il rossore delle guance di sua figlia. “Deve essere così abituato a stare fuori al freddo che ormai non ci fa neanche più caso.”
Sua madre era gli occhi attenti di cui aveva bisogno. Chiunque altro sarebbe rimasto nel suo, senza pensare che ci potesse essere qualcos’altro dietro l’arrivo di Daryl alla fattoria, ma con sua madre era un altra storia. La sua perspicacia così affilata era stata veleno e vantaggio per ogni membro della famiglia.
“Già, mi ha dato la stessa impressione”, disse Beth.
Si raddrizzò velocemente, chiedendosi se avesse fatto qualsiasi cosa che avesse potuto far trasparire il suo nervosismo, tipo giocherellare con le ciocche dei suoi capelli.
“Non eri qui fuori da sola con lui, vero?”
“Solo per un minuto.” Si accorse di aver alzato un po’ troppo la voce e tentò di rimediare con un colpo di tosse, che temeva che sua madre fosse capace d’intendere. “Non volevo entrare subito per Shawn.”
“Conosci le regole.” La strinse con fare protettivo e le rivolse un cipiglio di sbieco. “Non puoi, a meno che tuo padre o Otis non siano in giro.”
“Scusa, non ci ho pensato”, mentì. “Ma che avrei dovuto fare? Restare in macchina ad aspettare?”
Sua madre si fece scappare una sorta di risata. “Seguiamo queste regole per un motivo, tesoro, e so che a volte possono risultare scomode. Non posso lasciare che la mia piccola si avvicini troppo al nuovo bell’aiutante.”
Le schioccò un bacio sulla fronte. Beth arrossì notevolmente e cercò di nascondere la sua faccia dall’altra parte, fingendosi improvvisamente interessata a qualche componente del paesaggio.
“Si chiama Daryl”, disse tra i denti, “e sembra un bravo ragazzo.”
“Mi sa che hai ragione”, sua madre ridacchiò di nuovo. “Se è questo quello che hai percepito, bene… ma sai, non si tratta tanto di questo, è tutta una questione di confini. Questa non è solo la nostra casa, è la nostra attività.”
In genere era suo padre a fare quel genere di discorsi, ma Annette sembrava averli assorbiti.
“Si avvicinano giorno dopo giorno sempre più estranei e noi dobbiamo assicurarci che certi confini non vengano valicati. Invitarli alla fattoria non significa invitarli a casa. E’ meglio così ed è giusto per tutti.”
“Già, hai ragione.”
Non era il momento giusto per provare a convincere sua madre che Daryl Dixon poteva essere l’eccezione a quella regola. La sua famiglia non lo conosceva ancora. Doveva essere paziente e… riservata. Era stata lei a volerlo lì ed era arrivato. Avrebbe sicuramente violato le regole.
“So che hai ragione, ma l’hai detto anche tu, queste regole sono scomode”, continuò.
“Mmh.” Annette scostò una ciocca di capelli dal viso della figlia, portandogliela dietro l’orecchio.
Beth si morse il labbro nel tentativo di frenarsi dal dire ancora qualcos’altro, ma dopo una breve lotta interiore, alla fine disse: “Anche Jimmy ha lavorato qui per un po’, e io l’ho frequentato per otto mesi.”
“Era diverso”, rispose sua madre con fermezza. “E lo sai. Siete stati in classe insieme per due anni e conosciamo la sua famiglia da una vita. Per quanto riguarda i ragazzi del paese che vengono a lavorare qui per la mietitura, puoi restare da sola con loro. Alla luce del giorno. Qui fuori, e non nella tua stanza.” Si lasciò sfuggire una lieve risata davanti alla crescente indignazione di Beth. “Dai, lascia che ti prenda un po’ in giro. E’ il mio lavoro.”
“Non era quello di Shawn?”
“Lui è il mio apprendista.”
Roteando gli occhi, Beth decise di arrendersi, rafforzando la convinzione che per conoscere meglio Daryl avrebbe dovuto muoversi in segreto.
Sembrava che lui e Otis stessero per mettersi a lavoro. Si era spogliato del suo gilet e l’aveva posato sulla moto sul retro del furgone. Aveva tagliato le maniche della camicia e Beth riuscì a notare delle tracce di inchiostro sul suo braccio. Aveva avuto ragione sul fatto che doveva avere almeno un tatuaggio.
Nonostante sua madre la stesse ancora guardando, non riuscì a trattenere un sorriso.
“E poi”, il tono di Annette mutò da giocoso a severo così velocemente che ebbe lo stesso effetto di un colpo di frusta, “è troppo grande per te.”
“Giusto”, disse con una nota di sarcasmo che si faceva strada sempre più prepotentemente nella sua voce, “come potrei uscire con un ragazzo che ha qualche anno in più a me? Sarebbe vergognoso!”
Dovette combattere un sorriso quando notò il colorito roseo che aveva assunto sua madre.
Annette incontrò il suo sguardo. “Insolente!”, disse ridendo. “E va bene, quando avrai compiuto i tuoi trent’anni, hai il mio permesso per sposare un fattore vedovo di cinquant’anni.”
Era in arrivo una tempesta. La luce del sole si oscurò in pochi secondi. Beth alzò gli occhi al cielo, seguita a ruota da sua madre, e insieme entrarono in casa per limitare i danni. Non appena Annette distolse lo sguardo da lei, Beth tirò fuori il cellulare per avvisare Maggie.
“E’ qui.”

 

● ● ●

 

 

Il sole batteva sulle loro spalle. Dave si era già spogliato della sua maglietta e l’aveva appallottolata per infilarsela alla bell’e meglio nella tasca posteriore dei pantaloni. Strappò volutamente un pezzo di tessuto per asciugarsi la fronte dalle gocce di sudore.
“E’ in momenti come questo che mi manca Philadelphia”, confessò.
Daryl era più o meno abituato alle persone che parlavano troppo. Dave era solo l’ennesima voce che riempiva l’aria; raramente quello che diceva poteva sembrargli interessante, ma almeno non si aspettava di ricevere una risposta. Quindi, si sentì libero di continuare a lavorare, estraendo i pali della recinzione che poi avrebbero dovuto ricostruire.
“Beh, in realtà non è che sia poi così diversa, più che altro mi manca l’aria condizionata. Avevo cominciato a lavorare in un garage a Philadelphia, prima che il mio capo e la mia ragazza mi sbattessero fuori quella stessa settimana. Mica potevano avvisare, no?”, si fece scappare una risata amara.
Dalla strada, Daryl vide un piccolo scuolabus avvicinarsi alla fattoria. Sicuramente non era della zona. Stando al suo aspetto, dovevano aver lasciato ai bambini il compito di decorarlo, ma, sopra a quell’accozzaglia di colori e a tutte quelle impronte di mani, c’era scritto Little Learner’s Weekend Club. Otis aveva accennato al fatto che ogni tanto dei gruppi di bambini venivano a vedere la fattoria per imparare qualcosa in più sugli animali e su come funzionava.
“Lavorare nel garage”, Dave continuò a parlare e, alzando gli occhi al cielo, si fermò un momento a riprendere fiato, “era sporco, ma almeno non faceva tutto questo caldo… tu dove sei diretto?”
Fermandosi un attimo, Daryl finalmente alzò lo sguardo sul suo collega. “Per il momento, da nessuna parte.”
“Capisco.” L’uomo alzò da terra la sua bottiglia d’acqua quasi vuota per fare un sorso. “Vale anche per me. Mi frullava da un po’ nella testa l’idea di andare in Messico, ma non lo so.”
Dopo essersi versato sulla lingua un altro paio di gocce, si gettò il resto dell’acqua sul collo, probabilmente bollente, senza troppe cerimonie.
“Forza, andiamo a riempirle”, continuò, indicandogli la sua bottiglia, anch’essa ormai vuota.
Dave si rinfilò la camicia fradicia durante il loro breve percorso verso il pozzo più vicino. Nel frattempo, lo scuolabus aveva parcheggiato ed era scesa circa una dozzina di bambini. Daryl riuscì a vedere Hershel, Shawn e Beth avvicinarsi per presentarsi. Beth li salutò con particolare entusiasmo: anche da lontano, era evidente che indossasse un enorme sorriso e, vederla così, lo tirò un po’ su.
Era strano, per lui, spiegare che cosa stesse provando, o anche solo che cosa stesse facendo. Voleva capirlo, ma era come imparare una nuova lingua. Il giorno prima, quando le aveva preso la mano, era stato come se qualcun altro avesse preso possesso del suo corpo.
Aveva trascorso l’ultima settimana consumato dalla paura e dall’incertezza, si era dimenticato spesso di mangiare e a stento aveva dormito, ma aveva continuato ad andare avanti mettendo da parte le emozioni, coprendo le sue tracce e cercando contemporaneamente quelle di Merle. Alla fine, si era ritrovato ad andare in direzione della fattoria, avvilito e a pezzi. Era stato tutto molto spontaneo, un gesto quasi inconscio.
Non se la passava bene da solo. Era ancora scosso quando aveva provato a raccontare a Beth, col minor numero di parole possibili, cosa fosse successo quella notte. E soprattutto non era preparato a quella sua reazione, così compassionevole.
Quando l’aveva toccato, tutto aveva cominciato a rallentare e si era ritrovato a voler ricambiare quel suo semplice gesto. Per una frazione di secondo, aveva pensato di non riuscire a riconoscersi in certi comportamenti che aveva con lei, ma effettivamente non ne aveva avuto bisogno, perché la sua mano aveva agito per conto suo, senza paura.
Adesso, invece, era completamente terrorizzato. Pensò che forse non sarebbe mai dovuto andare.
Eppure quel dubbio non durò poi così a lungo sotto la luce di quel sole, con l’immagine di Beth che accompagnava un gruppo di bambini verso i pollai.
Dove sarebbe potuto andare, se non lì? Il lavoro era legale, suo fratello sapeva dove trovarlo ed era un posto sicuro e isolato. Tutto ciò contribuiva inevitabilmente a consolidare la sua scelta di rimanere e, se voleva essere completamente onesto con se stesso, sarebbe rimasto comunque. Lui voleva stare lì.
Voleva essere vicino a lei.
Abbiamo dei pulcini che sono grandi abbastanza per essere toccati, ma dovete fare molta attenzione!
Anche a quella distanza, riusciva a sentirla parlare con i bambini, finché la sua voce non fu soffocata da una valanga di gridolini eccitati e chiacchiere.
Una donna più attempata, che si manteneva alle spalle del gruppo, li esortò a fare silenzio: “Bambini, di cosa stavamo parlando sul bus? Siate rispettosi e state a sentire Beth, altrimenti non potrete toccare i pulcini!
Dave agitò le braccia per attirare la sua attenzione sul pozzo. Il ghigno sul suo volto gli fece chiaramente notare che la stava guardando più del dovuto, ma evitò di fare commenti a riguardo.
“Mantieni la bottiglia, la riempio io”, mormorò.
Riempirono a turno le proprie bottiglie e tornarono a lavoro. Sembrava che fosse passato un intero giorno dalla loro pausa pranzo, ma dalla posizione del sole Daryl intuì che dovevano essere passate solo due ore. Troppo poche per cominciare a lamentarsi, ma, d’altra parte, faceva caldo.
Dave cominciò a chiamare un altro aiutante che non aveva ancora mai visto, un grassone bagnato fradicio di sudore.
“Hey Tony, così stai più fresco?”
“Fottiti, Dave.”
Volendo evitare l’ennesimo gioco di presentazioni, Daryl prese la sua bottiglia d’acqua e la portò con nonchalance in direzione del pollaio, mettendola all’ombra appena fuori dal recinto. Ascoltò parte della lezione di Beth alle spalle di quella piccola folla ansiosa di marmocchi.
Dovevano aver preso sul serio il consiglio della loro accompagnatrice: se ne stavano tutti in piedi in silenzio, fatta eccezione per una coppia di bambini che, nonostante fossero stati divisi da un altro adulto che si era messo tra di loro e teneva entrambe le mani sulle loro spalle, continuavano a colpirsi a vicenda dietro la sua schiena.
Beth si chinò davanti alla prima fila di bambini con un piccolo pulcino tra le mani, in modo da farlo vedere a tutti.
“...No, le uova che mangiate a colazione non diventeranno pulcini se le mettete sotto una lampada, ma è una domanda legittima. Solo alcune uova si schiudono, e non sono quelle che potete comprare nei supermercati. Effettivamente, però, questa è una lampada molto speciale… qualcuno sa dirmi come si chiama?”
Una delle bambine che erano davanti alzò la mano, agitandola con foga.
“Incubatrice!”, disse, prima che Beth avesse il tempo di girarsi a guardarla.
“Esatto! Qual è il tuo nome?”
“Penny.”
“Bene Penny, sarai la prima a toccare il pulcino! Però stai molto attenta. Sii delicata, così...”
Penny si fece avanti e Beth alzò lo sguardo, curvando la bocca in un sottile sorriso non appena incontrò gli occhi di Daryl. Di nuovo, il tempo si fermò, ma fu un po’ più semplice godersi quel momento.
In quell’istante, si era quasi dimenticato che lei era un’adolescente e lui un vecchio sporco redneck. Aveva quasi dimenticato tutti i momenti imbarazzanti che avevano subito, tutte le discussioni e tutto quello che Merle gli aveva detto su di lei solo per farlo incazzare, aveva quasi dimenticato le sue colpe e si lasciò cullare dal pensiero che lei stava sorridendo per lui. Non doveva per forza esserci qualcosa dietro a quel sorriso, ma fu come essere di nuovo tra le sue braccia.
Quel momento così inebriante fu interrotto bruscamente dall’arrivo di un’auto. I suoi occhi guizzarono automaticamente verso la Saturn dorata che aveva appena parcheggiato all’ombra, accanto alla casa. Era Maggie Greene.
Aveva conosciuto un mucchio di gente piuttosto spaventosa nel corso della vita, ma non credeva di aver mai sentito una tale scossa di panico alla sola vista di qualcuno.
Avrebbe raccontato tutto ciò che sapeva di lui al resto della famiglia?
Sapeva che era una possibilità, ma non pensava di doverla affrontare così presto. Doveva essere lì per Shawn, forse il fatto che aveva abbandonato gli studi ed era tornato a casa l’aveva spinta a venirlo a trovare.
Invece di entrare in casa, però, si avvicinò al pollaio. Suo padre era in piedi, appoggiato a un albero all’ombra, a supervisionare tutto da lontano. Appena Maggie fu abbastanza vicina, si voltò per salutarla e, dalla sua espressione, non si aspettava di vederla. Lei lo abbracciò e gli sembrò che, mentre parlava con Hershel, tenesse lo sguardo fisso nella sua direzione.
Nel vano tentativo di nascondersi dalle sue occhiate, si allontanò, in cerca di Dave. A prescindere da quella situazione, era passato comunque troppo poco tempo dalla loro pausa pranzo per fermarsi di nuovo.
Quando raggiunse il punto in cui l’aveva lasciato, non trovò niente, se non il frusciare lieve del vento. Era scomparso insieme all’altro aiutante, quel Tony. Dopo aver esaminato la zona, si decise a tornare a lavorare alla recinzione da solo, non vedendoli da nessuna parte. Avrebbe preferito decisamente continuare ad assistere alla lezione di Beth sui polli, ma con suo padre e sua sorella entrambi di guardia, senza contare che era solo il suo secondo giorno di lavoro, non voleva portare la cosa avanti troppo a lungo.
Era quasi a metà strada quando una voce lo chiamò.
“Hey, Daryl!”
Vide Maggie venirgli incontro voltandosi leggermente. Indossava anche quella volta una gonna elegante e una camicetta, e portava le scarpe in mano, in modo tale da poter attraversare più velocemente il campo a piedi nudi. Doveva aver corso con l’intenzione di fermarlo.
Daryl si guardò intorno, ma non c’era nessuno nei paraggi, solo figure in lontananza che uscivano da uno dei pollai. Ancora una volta, si ritrovava da solo in presenza di una delle sorelle Greene, il che era severamente vietato.
Quasi vergognandosene, sapeva che avrebbe preferito senz’altro che fosse stata l’altra.
Come se gli avessero letto nella mente, quegli affilati occhi verdi incontrarono i suoi.
“Credo che abbiamo bisogno di farci una chiacchierata”, disse incrociando le braccia al petto, lasciando che le sue scarpe col tacco le penzolassero da un gomito.
“Davvero?”, brontolò lui, continuando a controllare che Hershel non potesse vedere quello che stava succedendo. Era troppo lontano, circondato da una folla di bambini.
“Beth non è più una bambina, ma non ha la mia esperienza”, rispose, alzando le sopracciglia. “Volevo solo assicurarmi che tu fossi qui esclusivamente per lavorare. Lei è una brava ragazza, e io sarò così clemente da astenermi dal dire a mio padre che sei un tossico vagabondo che le ha già messo le mani addosso una volta. Sempre se continuerai a ricordarti che lei è una brava ragazza.
Che inizio di merda.
“Continua a dirmi quello che devi dire”, disse burbero.
Il viso di Maggie si contorse dalla rabbia, riusciva quasi a vedere le fiamme divampare sul fondo dei suoi occhi chiari, ma, in qualche modo, sibilò qualcosa tra i denti e riuscì a domarle, tanto che quando ricominciò a parlare, sembrava quasi intenzionata a farlo in modo civile.
“Potrei anche fidarmi del suo giudizio, perché è molto intuitiva in questi casi e pensa che tu sia a posto.”
Daryl non poteva far altro che spostare scoordinatamente il peso da un piede all’altro, in attesa che Dave arrivasse il prima possibile a interrompere quella loro chiacchierata.
“Questo è l’unico motivo per cui non ti ho ancora investito con la mia auto. Sai, conosco molti avvocati… probabilmente la farei anche franca.”
Avendo ricevuto le minacce più disparate nel corso della vita, aveva imparato a riconoscere quando una persona faceva sul serio e quando, invece, si stava solo dando delle arie. Quelle di Maggie, però, erano strane. Non riusciva a capire se stesse cercando di avvertirlo, se volesse solo spaventarlo, o se addirittura stesse scherzando.
“Dovrei ringraziarti?”, inarcò un sopracciglio.
“Io vorrei davvero che tu mi piacessi, ma per il momento non può non essere così.” Si voltò a guardare il gruppo di bambini che si stava spostando in direzione delle stalle. “Qualcuno deve pur stare attento e mi sembra che Beth spesso non lo sia abbastanza.”
Daryl, guardandola finalmente negli occhi, scosse la testa. “Non sono quel tipo di persona.”
Un lieve cipiglio apparve sul viso di Maggie. “E allora che tipo sei?”
La sua testa si svuotò completamente. Non poteva darle una risposta così, su due piedi. Non ci aveva pensato abbastanza.
“Io sono semplicemente… qui, adesso.”
Rabbrividì, consapevole che quella risposta le sarebbe suonata troppo ignorante e nervosa, ma stranamente Maggie non la interpretò in quel modo. Cercò i suoi occhi, mentre la bocca si era ridotta a una linea sottile, e poi sospirò.
“Ok, bene”, disse, “sappi solo che se io posso vederlo, se ne accorgeranno anche gli altri, prima o poi. Il modo in cui guardi mia sorella non è lo stesso con cui guardi gli altri, e tu guardi tutti allo stesso modo.”

   
 
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