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Autore: Heihei    14/05/2017    1 recensioni
Bethyl-AU
Quegli stupidi degli amici di Beth sono determinati a rendere il suo diciottesimo compleanno memorabile, peccato che le loro buffonate la faranno restare bloccata in un brutto quartiere di una città sconosciuta, attualmente pattugliato dall'Agente Shane Walsh. Minacciata sia dagli agenti che dai criminali, dovrà rassegnarsi alla compagnia di un gruppo di zotici, tra cui un certo redneck particolarmente scontroso.
**Questa storia NON mi appartiene, mi sono limitata a tradurla col consenso dell'autrice**
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Maggie Greeneunn, Merle Dixon
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XIII. Persa nei boschi / XIV. Mangiata dai leopardi

 

 

“Non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere!”
Dopo queste parole, la voce di Beth si dissolse nel silenzio. Scosse la testa ed evitò lo sguardo di Maggie.
Erano entrambe sedute sul portico. Nel frattempo, uno degli accompagnatori dei Little Learner stava prendendo dallo scuolabus delle merendine che poi avrebbe distribuito ai bambini, ma non era abbastanza vicino da sentirle.
“Qualcuno doveva andare a parlargli. Capisco che vuoi tenere tutto nascosto a mamma e papà, ma mi metti in difficoltà. Non posso starmene qui seduta ad aspettare che...”
“Ma aspettare cosa?! Cosa credi che succederà?!”, disse Beth con una risatina isterica. “Lui mi piace e credo che anche io potrei piacergli, quindi nulla di tutto ciò ti deve riguardare, così come non deve riguardare nessun altro. Non sono più una bambina, quindi smettila di trattarmi come tale!”
“Hai conosciuto questo ragazzo una settimana fa a casa del suo spacciatore”, le ricordò Maggie, “non puoi negarmi di essere un po’ preoccupata. Non importa quanti anni hai, se fossi stata al posto mio avresti fatto lo stesso.”
“No, perché io mi fido di te.”
Non aveva neanche avuto bisogno di pensarci, aveva risposto automaticamente, guardandola negli occhi.
Per un istante, sua sorella mantenne la mascella serrata e la fulminò con lo sguardo.
“Sono solo preoccupata, Beth.”
“E io sono mortificata, Maggie! Non riesco a credere a tutto quello che gli hai detto!”
Scosse di nuovo la testa, ripensando alla crescente sensazione di nausea che aveva provato mentre le raccontava tutto. Si sentiva incandescente e non poteva dare la colpa solo al caldo. Era già stato abbastanza difficile riuscire a farlo parlare, per quanto era chiuso. Adesso, dopo quella doccia fredda da parte di sua sorella, quanto avrebbe dovuto aspettare affinché le parlasse di nuovo?
“L’hai giudicato prima ancora di avergli mai parlato.”
“Io ho parlato con...”
“No, hai parlato a lui. Anzi, da quanto ho capito, gli hai urlato contro. E’ così, non lo conosci.”
“E tu sì?”, Maggie inarcò un sopracciglio, dubbiosa.
“Sì!”
Incapace di trasmetterle la sua frustrazione attraverso altre parole, cominciò a concentrarsi sui campi circostanti. Aveva perso di vista i bambini, ma dovevano essere con Shawn. Aveva lui il compito di mostrargli il resto del bestiame prima della merenda, dopodiché avrebbero giocato un po’ e se ne sarebbero andati. Era inusuale che un gruppo come quello venisse prima del tempo del raccolto, ma suo padre le aveva detto che era un’organizzazione più recente, ancora in cerca di idee.
Dal lato della recinzione che andava rifatto, riuscì a vedere Daryl e Otis in procinto di avvicinarsi. Erano ancora abbastanza lontani da permetterle di parlare un altro po’ con Maggie di quella faccenda senza che venissero ascoltate, ma non riuscì a pensare a nient’altro da dire, continuando a fremere di rabbia.
Eppure, sua sorella non si curò della sua ira, mostrandosi sempre più preoccupata.
“Sono stata carina.”
In tutta risposta, Beth la fulminò con lo sguardo.
“Carina come solo tu sai essere”, continuò, abbassando e rialzando le spalle con aria colpevole. “Sei una ragazza del liceo, perché non può piacerti un ragazzo della tua scuola?”
Otis e Daryl erano più vicini, forse non ancora da riuscire ad ascoltare, ma abbastanza da far sputare a Beth le sue ultime parole sull’argomento con una certa urgenza.
“Non dirmi che sei venuta qui per questo.”
Non volle neanche sfiorare l’argomento dei ragazzi della sua età, Maggie sapeva meglio di lei che non erano tutti dei santi. Sua sorella maggiore si era semplicemente aggrappata alla prima cosa che le era venuta in mente.
“Voglio dire, sei qui per parlare con Shawn, vero?”
“Ovvio. Lo farò appena i bambini se ne andranno. Che poi che ci fa una scolaresca qui di sabato?”, aggrottò la fronte mentre osservava lo scuolabus.
“Non sono una scuola. E’ più una sorta di club che nei weekend, al posto di farli giocare a calcio, li porta in vari posti per imparare delle cose...”
“Somiglia più a una scuola.”
“Le scuole non sono così male”, mentì.
I due uomini erano ormai vicinissimi, così continuarono a portare avanti quella discussione innocua. Daryl evitava di guardarla, ma non se ne preoccupò. Sperò solo che il discorso di Maggie non l’avesse scosso più di tanto.
Si era sentita come se finalmente stessero riuscendo ad arrivare a un qualcosa. Al solo pensiero di quando le aveva preso la mano il giorno prima, veniva investita da quella stessa scossa di emozioni.
“Stai facendo progressi, non c’è bisogno di consumare altra fatica per oggi”, sentì Otis dire a Daryl. “Dave e Tony sono andati ad aiutare Hershel con i cavalli, spero che tu non sia rimasto troppo a lungo a lavorare da solo.”
“Nah”, mormorò lui, continuando a ignorarla.
Quando poi si voltò per dare completamente le spalle alla casa, Beth capì che quello che gli aveva detto Maggie doveva averlo influenzato davvero. Teneva la schiena leggermente più ricurva, forse perché esausto a causa del lavoro. La sua camicia senza maniche era umida di sudore e, guardandolo di lato, riuscì a notare dell’altro inchiostro sulla sua pelle che doveva appartenere a un tatuaggio più grande sulla schiena. I muscoli delle braccia e delle spalle erano particolarmente evidenti dopo lo sforzo fisico.
Beth cominciò a fissare il suo corpo, dimenticandosi di respirare. Fu un’occhiataccia colma di disappunto lanciatole da Maggie a risvegliarla da quel piccolo sogno.
“Perché non vai a vedere se a Shawn serve...”, Otis smise di parlare all’improvviso, concentrandosi su un lato della casa.
Shawn li raggiunse di corsa, pallido in volto e sudato, probabilmente non solo per il caldo.
“Hey! Avete visto una bambina vagare intorno alla casa? Per favore, ditemi che l’avete vista...”, li pregò.
Nessuno dei presenti gli diede una risposta immediata, ma il cuore di Beth saltò un battito.
“Hai perso una bambina?!”
“Tecnicamente, l’hanno persa i suoi accompagnatori...”, Shawn trasalì di fronte a quell’accusa. “Erano troppo occupati a badare a due casinisti e non si sono accorti che lei si stava allontanando.”
“Qui non c’è.” Maggie si alzò in piedi, seguita a ruota da Beth. “Hai controllato nel fienile?”
Sua sorella stava per incamminarsi, ma Shawn la fermò, annuendo freneticamente.
“Ho già cercato ovunque, anche in casa.”
“Le avete detto di non andare nei boschi?”, Daryl inclinò la testa verso la prima fila di alberi.
L’unica risposta che Shawn riuscì a dare fu una sorta di giuramento, soffocato dal suo stesso respiro affannoso.
“Vado a chiamare il fattore”, mormorò Daryl, allontanandosi rapidamente.
“Forza, continuiamo a cercarla.” Maggie afferrò il bracciò di Beth e cominciò a condurla giù dalle scale. “Otis, puoi avvisare tu Annette e Patricia?”
“Certo.”
Otis annuì e le due ragazze cominciarono a correre. A piedi ci avrebbero messo solo qualche minuto in più, ma Maggie si diresse comunque verso la sua auto. Non volevano perdere tempo.
Proseguirono in silenzio fuori dal campo, accanto al recinto del bestiame. Appena cominciarono ad avvicinarsi, Beth vide uno degli accompagnatori impegnato a far giocare i bambini, tenendoli tutti vicini tra di loro. Gli altri erano spariti, probabilmente erano in cerca della bambina.
“Avete formato le coppie?”, chiese l’accompagnatore, agitando la mano per attirare la loro attenzione. “E va bene, Jace, tu farai coppia con me...”
Si fermò quando si accorse di loro.
“Chi manca? E da quanto?”, gridò Beth.
“Penny, ma non so dirvi precisamente da quanto. Alex ha detto che un quarto d’ora fa gli stava raccontando di una cosa che aveva visto nei boschi. Pare che sia stata l’ultima volta che qualcuno l’ha vista.”
“Pensi sia andata nei boschi?” Si ricordò del branco di lupi, ma cercò di non far trasparire alcun segno di panico dal suo viso, anche se già riusciva a sentirsi il sangue gelarsi nelle vene.
“Sapeva bene di non poter andare”, disse lui scuotendo una mano, senza smettere di sembrare preoccupato. “Le piacciono i cani, forse è andata nella stalla dove stava dormendo quello più vecchio.”
“Sì, forse”, rispose Beth, sentendosi ancora più in ansia di prima. “Dove la stanno cercando gli altri?”
“Sono andati nel fienile e nel pollaio quando non hanno più visto tornare vostro fratello.”
Sospirando pesantemente, Maggie passò le chiavi a Beth e cominciò a scendere dalla macchina.
“Resterò qui ad aiutarlo con gli altri bambini, tu va’ a casa e cercala insieme agli altri. Ho il telefono con me, chiamatemi se la trovate”, sussurrò.
Quando Beth cominciò ad allontanarsi, Maggie stava chiedendo all’accompagnatore se aveva i numeri per contattare la famiglia della bambina.
Quando tornò davanti al portico, suo padre stava dividendo tutti in dei gruppi di ricerca.
“Dobbiamo controllare almeno due volte ogni centimetro della proprietà, ma qualcuno deve andare nei boschi, adesso, nel caso ci fosse andata e si fosse persa.”
Daryl si offrì volontario senza dire una parola, facendo un cenno col capo a Hershel. Quando la superò, era così vicina che gli avrebbe potuto tranquillamente stringere il braccio se avesse voluto, ma, con la sua intera famiglia riunita lì, non le sembrò il caso.
“Aspetta, vengo con te!”, si voltò per cominciare a seguirlo.
Daryl si fermò e la guardò oltre la sua spalla, stringendo i pugni.
“No Bethy, ci servi qui”, le disse sua madre.
Incerta su quanto fosse vero, pensò comunque che non era il momento di discuterne.
“Beh, allora lasciate che gli dia almeno un passaggio.” Alzò una mano, mostrando a tutti le chiavi dell’auto di Maggie che ancora le penzolavano dal pollice. “Forza, stiamo solo perdendo tempo.”
“Otis, va’ con loro”, disse suo padre, che sembrò essere d’accordo con lei.
Hershel continuò a dividere il resto della famiglia e gli aiutanti in piccoli gruppi, assegnando a ciascuno una determinata area della proprietà.
Prima di raggiungere l’auto di Maggie, Daryl corse verso il suo vecchio furgone e tornò con quella che sembrava una balestra e qualche freccia.
“Per cosa pensi che ti servirà?”, gli chiese Otis, anche se già conosceva la risposta. Lo capì dal modo nervoso in cui si grattava la barba.
“Spero per niente”, rispose lui burbero, mettendosi l’arma in spalla.
Otis salì col fucile dal lato del passeggero, mentre Daryl si sedette sui sedili posteriori e si sporse in avanti tra quelli anteriori per vedere la strada. Beth li portò rapidamente al campo più lontano.
“...Hai anche un coltello? E un telefono?”, chiese Otis, mentre controllava anche cos’aveva lui stesso.
“Ho il coltello, ma non il telefono.” Daryl aprì la portiera e scese dall’auto senza aspettare che si fermasse completamente. Otis e Beth lo seguirono.
A poche centinaia di metri di distanza, i bambini erano stranamente tranquilli mentre il loro accompagnatore era a telefono con qualcuno, probabilmente i genitori della bambina. Maggie era nelle loro vicinanze a fare la sentinella.
Beth percorse insieme ai due uomini tutto il confine col bosco. A un certo punto, Daryl sembrava sul punto di addentrarsi nella boscaglia per cominciare la ricerca, ma Otis lo fermò per un braccio.
“So che dovremmo dividerci, coprire aree diverse, ma se non hai un telefono...”
“Tieni, prendi il mio.” Beth estrasse il suo cellulare dalla tasca e lo porse a Daryl. “I numeri di Otis e di tutti gli altri sono già registrati.”
Lui, per un istante, esitò. Non l’aveva guardata in faccia neanche una volta da quando aveva parlato con Maggie, ma ora che era lì di fronte a lei, doveva. Afferrò il telefono e le sue dita le sfiorarono leggermente la pelle, causandole ancora quei piccoli brividi.
“Grazie.”
Finalmente i suoi occhi incontrarono quelli di lei, ma con cautela, molta di più di quanta ne avessero all’inizio. Quell’istante così effimero non le bastava, ma deglutì e smise di insistere. Avrebbe avuto tutto il tempo per preoccuparsene dopo che si fossero accertati che Penny fosse sana e salva.
“Devo andare, mio padre sicuramente vorrà che io controlli in tutti i miei nascondigli. Voi due fate attenzione, e chiamate spesso.”
Appena entrambi la salutarono con un cenno, se ne andò. I due si addentrarono nel bosco uno dietro l’altro e poi, dopo pochi metri, seguirono direzioni diverse.
Quando Beth risalì in macchina, non poté fare a meno di notare quanto si fosse alzata l’umidità. Dovevano trovarla il prima possibile. Se si fosse persa nei boschi, era molto probabile che sarebbe rimasta bloccata lì, sotto un’alluvione.

 

● ● ●

 

Pochi minuti dopo aver dato inizio alla ricerca, Daryl fu attratto da delle tracce fresche che non sembravano descrivere la forma delle scarpe firmate della bambina, ma due paia di zoccoli piuttosto fini. I primi erano decisamente più piccoli dei secondi e dovevano aver camminato insieme. Erano di una madre e del suo cerbiatto.
Quella ragazzina, anche se sapeva di non dover entrare nel bosco, doveva essere stata tentata dal guardarli un po’ più da vicino.
Gli scappò un sorriso. Era stato anche lui quel tipo di bambino.
Seguì per un po’ le tracce a ritroso, per vedere se i cervi erano stati abbastanza vicini da poter essere visti dal campo. Avevano fatto un percorso un po’ strano, quindi ci mise più tempo del previsto, ma avvicinandosi al campo trovò quelle che erano inequivocabilmente le orme di delle scarpe, forse da tennis, abbastanza piccole da appartenere a una bambina.
Sfogliò la rubrica di Beth finché non trovò il numero di Otis.
“Hey Otis.”
“Daryl, l’hai trovata?”, disse l’uomo.
“Ho trovato le sue tracce, sembra che sia andata a est.”
“Sei sicuro?”, aveva già il fiato corto,“Va bene, non aspettarmi”, aggiunse, senza neanche aspettare la sua risposta.
“Non può essere andata lontano, le sue gambe non sono così lunghe.”
Sapeva che quello che aveva appena detto non era propriamente vero, ma qualcuno doveva pur infondere un po’ di tranquillità. Dall’aria che si respirava alla fattoria, Shawn e il resto sembravano sul punto di chiamare la polizia, e non ce n’era bisogno.
Le sue tracce seguivano quelle dei cervi, doveva aver provato a tenere le distanze per non spaventarli.
Mentre seguiva le sue orme, Daryl si guardava anche intorno alla ricerca di altri animali. Era più preoccupato di non riuscire a trovare qualcosa per cena che di imbattersi in qualche lupo, il che sarebbe stato più che legittimo. Se ne sarebbe occupato più tardi. Non l’avevano ancora pagato e non aveva alcuna intenzione di spendere i pochi soldi che aveva.
La prima cosa che Otis gli aveva chiesto, dopo aver firmato il contratto, era se avesse un posto dove stare. Avevano degli spazi molto ampi e qualche roulotte dall’altro lato del campo in cui spesso permettevano agli aiutanti di fermarsi, ma lui aveva subito detto di no, senza neanche considerare l’idea. Gli aveva rifilato qualche piccola bugia, tipo che aveva un posto in cui stare in città. Un po’ di distanza dalla fattoria gli avrebbe giovato se le cose con la figlia minore di Hershel gli fossero sfuggite di mano. Anche se, dopo aver ascoltato Maggie, aveva cominciato a pensare che tutta quella cautela non era così necessaria. Beth aveva già un piccolo esercito pronto a proteggerla, guidato dal generale Sorella Maggiore.
Si sarebbe stabilito nel bosco dopo aver trovato un posto decente in cui lasciare il furgone. Aveva già vissuto così, prima. A Merle non piaceva molto, ma a lui non importava dell’isolamento o della mancanza di comfort. Così si sentiva più tranquillo, più a suo agio. O almeno, così diceva a se stesso.
E poi, volendo essere completamente sincero, doveva ammettere che gli atteggiamenti della famiglia Greene lo infastidivano un po’. Erano sempre così felici, anche quando si rompevano le palle a vicenda. Tuttavia, sapeva che non aveva alcun senso avercela con qualcuno solo perché è solidale e gentile col prossimo, quindi tentò di scacciare via quella sensazione. Erano semplicemente dinamiche con cui non poteva relazionarsi, non era mai riuscito a immaginarle e tuttora faticava a capirle, anche dopo averle osservate dall’esterno.
E, al centro di tutto, c’era Beth Greene con i suoi grandi occhi blu che avevano capito di più di quanto lui stesso volesse che facessero, la sua voce così dolce e le sue labbra così morbide.
Non aveva mai avuto a che fare con una così.
Inconsciamente, si era mosso più velocemente del solito nel seguire il percorso. A un certo punto, i cervi avevano preso una direzione e Penny un’altra. Probabilmente li aveva persi di vista e aveva provato a tornare alla fattoria, ma tutti quegli alberi dovevano aver confuso il suo senso dell’orientamento. All’inizio non stava neanche andando male, ma poi aveva seguito la direzione sbagliata e aveva imboccato un sentiero che l’aveva portata abbastanza lontano dal campo in cui i suoi amici l’avevano vista l’ultima volta.
Aveva già notato l’umidità, ma aveva cercato di non pensare troppo a quello che stava anticipando. Il cielo crepitava sopra la sua testa e imprecò in silenzio quando la forza del vento cominciò ad aumentare. Il tempo era cambiato nel giro di soli dieci minuti o giù di lì, minacciando costantemente le tracce. Appena le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere, sapeva che erano definitivamente in pericolo.
Una settimana prima, un temporale era stato la sua salvezza, perché aveva cancellato la sua folle corsa nei boschi. Adesso, però, stava solo dannatamente peggiorando la situazione.
In pochi minuti, sul terreno non c’era più niente da vedere. La pioggia aveva lavato via il percorso che avrebbe dovuto seguire, qualsiasi esso fosse stato.
Senza avere più nulla di funzionale a farlo proseguire, decise di continuare la sua marcia.

 

● ● ●

 

“Fa’ parlare me.”
Beth cercò di afferrare il telefono di sua sorella, ma Maggie indietreggiò di scatto, avvicinandosi pericolosamente al bordo del tavolino da caffè.
“Maggie… finiscila”, sibilò tra i denti.
Lei scosse la testa e fece un altro lungo passo indietro nel soggiorno, portandola nell’ala più pericolosa della stanza. Da lì erano tutte e due visibili sia da Hershel che da Annette, che sedevano entrambi in cucina con il signor Blake.
“Sii gentile!”, bisbigliò Beth.
Maggie, col telefono sull’orecchio, si limitò a roteare gli occhi mentre attendeva una risposta. Beth sbuffò e incrociò le braccia al petto, scuotendo la testa verso sua sorella, incredula.
“Daryl?”, Maggie assunse un’espressione sofferente. “Riesci a sentirmi?”
La tempesta era peggiorata e forse aveva disturbato la linea. Beth non riuscì a sentire la risposta di Daryl dall’altro lato della cornetta.
“Sì… in realtà, abbiamo chiamato la polizia”, continuò sua sorella, scandendo bene le parole.
Odiava che continuasse a comportarsi in quel modo nei loro confronti. Non voleva parlare a telefono con lui per i suoi interessi, più che altro credeva che non fosse il caso che parlasse con Maggie, dati i loro ultimi trascorsi. E poi, se avesse parlato lei, c’erano molte più possibilità che non riagganciasse.
“E’ arrivata circa un quarto d’ora fa e sembra che voglia farti tornare. Volevo solo avvisarti...”, si fermò un attimo. “Che diavolo significa?!”, cambiò bruscamente tono, “Perché non è sicuro… è la stagione delle alluvioni!”
La sua espressione mutò radicalmente. Non seppe dire se fosse stato lo shock combinato alla rabbia o alla confusione a distorcerle il volto.
“Guarda, sto solo cercando di dirti quello che la polizia ha intenzione di...”, Maggie tagliò corto non appena uno dei poliziotti entrò in salotto, fermandosi accanto a loro.
“E’ il segugio?”, chiese in un sussurro, indicando il telefono.
“Sì… Daryl, adesso lo sentirai direttamente da loro.”
Maggie passò il telefono all’agente. Era un bel ragazzo, alto e forse un po’ troppo giovane per la carica che indicava il suo distintivo.
“Salve, lei è il signor Dixon? Sono lo sceriffo Pete Dolgen. Abbiamo apprezzato davvero molto lo sforzo che sta facendo per ritrovare Penny, ma adesso dobbiamo occuparcene noi. Tra l’altro, con questa tempesta...”
Di colpo, l’Agente Pete smise di parlare. Con un cipiglio e le guance arrossate, allontanò il telefono dall’orecchio e lo osservò incredulo.
Beth si morse il labbro, impaurita da quello che Daryl avesse potuto dire per scatenare una reazione del genere, ma un secondo dopo l’Agente Pete restituì il telefono a Maggie e disse: “Mi ha attaccato il telefono in faccia?”
“Forse è caduta la linea”, Beth provò a difenderlo debolmente, sforzandosi di non ridere.
Sapeva benissimo che non era così. Daryl non sarebbe tornato senza Penny.
Maggie le lanciò un’occhiata che le fece capire che era fin troppo chiaro che stava mentendo. L’Agente Pete, però, le diede il beneficio del dubbio, annuendo.
“Richiamiamolo allora.”
Con un sospiro, Maggie ricompose il numero e attese per circa dieci secondi, fin quando il telefono non cinguettò. Avevano la stessa suoneria per i messaggi.
Sua sorella guardò il telefono con le sopracciglia sempre più alzate e con le guance sempre più rosee. Si schiarì la gola e lesse il messaggio anche a loro.
“Daryl ha scritto: ‘Non si sente niente. Piove. La batteria è quasi morta, credo che lo spegnerò.’
L’Agente Pete sospirò. Anche se non gli aveva creduto, non lo diede a vedere mentre usciva dalla stanza. Beth lo guardò andare via, senza smettere di pensare a quanto fosse sicura che il suo telefono fosse completamente carico quando l’aveva dato a Daryl.
“Mmh.” Maggie continuava ad osservare il telefono con un’espressione strana.
Beth non riuscì a interpretarla, il che era raro. “Che c’è?”
“Niente”, si strinse nelle spalle, ammorbidendo improvvisamente il tono. “E’ solo… che sono abbastanza colpita da come Daryl stia gestendo la cosa.”
Lei, invece, non era per niente sorpresa dal fatto che lui fosse rimasto nei boschi a cercare Penny. Si aspettava molto, ma allo stesso tempo più la pioggia batteva contro le finestre, più non riusciva a non essere preoccupata per entrambi.
“Spero che la trovi”, mormorò, allontanandosi da Maggie.

 

● ● ●

 

Nel vano tentativo di renderlo meno inzuppato di quanto fosse già, Daryl avvolse il telefono di Beth nel suo fazzoletto e se lo rimise in tasca. Il cielo fu scosso da un tuono e un insieme di torrenti d’acqua refrigerata si riversò irregolarmente sulle foglie sopra la sua testa. Il terreno era diventato fangoso e scivoloso nei punti più alti, mentre in quelli più bassi si erano formati dei piccoli fiumiciattoli d’acqua.
La pioggia gli aveva completamente invaso le scarpe, gli annebbiava gli occhi e, a partire dai capelli, gli scorreva su tutto il viso. Mancavano ancora poche ore al tramonto, ma il cielo si era già oscurato gradualmente. Avrebbe continuato a cercarla anche di notte, nel bel mezzo di un uragano. Una parte di lui sapeva che avrebbe fatto bene ad ascoltare la polizia e tornare indietro. Le possibilità che aveva di ritrovarla quella stessa notte non erano poi così alte… ma, se fosse tornato, si sarebbero completamente azzerate.
Incise dei segni su un albero, in modo tale da poter guidare gli sbirri dal punto in cui i percorsi diventavano più confusi; avrebbe potuto mostrare quello giusto e lasciare che gestissero loro la faccenda, ma non sapeva quanto tempo sarebbe passato prima che mettessero le cose in ordine e cominciassero a muoversi.
“Maledetta stupida ragazzina”, mormorò, asciugandosi gli occhi dai rivoli d’acqua.
Non c’era nessuna traccia da seguire, nessun segno. Solo acqua, fango e alberi.
Anche se non aveva niente su cui lavorare, provò comunque ad esaminare il terreno. Era uno dei sentieri che provenivano dalla fattoria. Arrivata a quel punto, avrebbe potuto cambiare direzione, ma non avrebbe avuto senso perché era in salita. Era abbastanza ripida da poterla stancare subito, quindi pensò che avesse proseguito in discesa.
Quando cominciò a seguire quella pista, Daryl notò che il livello dell’acqua era in costante risalita: tra gli alberi, correva un torrente stretto ma impetuoso, che trascinava via con sé tutte le piante più basse. Era in piena, e presto avrebbe sommerso tutto lo spazio circostante. Pensò che probabilmente lei non aveva voluto avvicinarsi a una cosa del genere, quindi prese le distanze.
Tra il rumore ripetitivo e tagliente della pioggia che cadeva sul terreno, si lamentò ad alta voce.
“PENNY!”
Il boato di un altro tuono sfumò il suo richiamo, ma, appena quest’ultimo svanì, riuscì a riconoscere le sue grida. Le seguì finché qualcosa di strano non attirò la sua attenzione: a cinquanta passi in discesa da lui, Penny era aggrappata a un ramo più o meno all’altezza del suo occhio.
Le tremavano i denti e, appena riuscì a ritrovare l’equilibrio, si voltò a guardarlo, impaurita. Tirò su con il naso e, dal suo respiro irregolare, Daryl capì che buona parte dell’acqua che le scorreva sul volto era costituita da lacrime.
“Andiamo piccola, ti aiuto a scendere”, le disse raggiungendola.
La bambina scosse la testa, aggrappandosi ancora più saldamente al suo ramo.
“Le scarpe… mi entra nelle scarpe”, rabbrividì.
“Ti porto io, così i piedi non si bagneranno. Forza, dobbiamo andare.”
Si convinse ancor prima di lasciargli finire la frase. Allungò la manina verso la sua spalla e lui l’aiutò a scendere tra le sue braccia. Quando affondò il viso nella sua spalla, cominciò a singhiozzare sul serio.

 

● ● ●


In cucina, Hershel e Annette stavano facendo del loro meglio per confortare il signor Blake, che era visibilmente sconvolto.
Era strano, per Beth, vedere il suo insegnante di storia al di fuori della classe, soprattutto se così preoccupato e divorato dal senso di colpa. Era arrivato pochi secondi dopo la polizia e probabilmente, se non l’avessero fermato, sarebbe corso nei boschi a cercare sua figlia.
Era un uomo alto, ben piazzato, con qualche tono di grigio a spezzare la tonalità scura dei suoi capelli perfettamente sistemati. Il suo viso sembrava piegato in un cipiglio naturale quando non era troppo impegnato a costruire un sorriso cordiale. Obiettivamente, riusciva a capire perché Karen lo trovasse così attraente, ma personalmente l’aveva sempre reputato un tipo abbastanza minaccioso, ma in un modo molto non-sessuale. Le venne spontaneo pensare a quando tenne quella lezione sulla Spedizione Doner: ne parlò con così tanto entusiasmo che le fece accapponare la pelle per una settimana intera.
L’uomo alzò lo sguardo su di lei quando la vide entrare in cucina, senza preoccuparsi di fingere il suo solito sorriso gentile. Si limitò a ricambiare il suo con un cenno.
“Beth.”
“Starà bene, signor Blake.”
Non l’aveva mai visto così prima. Le sembrò do scorgere un lieve tremolio nei suoi occhi, ma non come se stesse per piangere; era più come se stesse tentando di trattenere uno scatto di rabbia.
“Qualcuno è andato là fuori a cercarla? Ci sono così tanti uomini in divisa e nessuno di loro ha ancora fatto qualcosa.”
“La polizia sta organizzando una squadra di ricerca, ci ho parlato io”, intervenne Hershel, guardando il corridoio dove l’Agente Pete stava parlando a bassa voce con pochi altri agenti. Fuori, la pioggia tagliava in diagonale le luci dei fanali delle loro volanti.
“La troveranno”, disse Annette con dolcezza.
“E perché non sono già la fuori?”, l’uomo si asciugò la fronte sudata. La mano gli tremava.
“Se vuole, andrò a chiederglielo”, propose suo padre.
Hershel aveva uno sguardo duro che Beth aveva avuto modo di conoscere solo in rare occasioni. Il suo carattere era una forza da non sottovalutare, soprattutto se la sua rabbia rientrava, come spesso accadeva, nella categoria dell’ira legittima.
“Vengo con lei...”, il signor Blake cominciò ad alzarsi, ma Annette lo fermò per un braccio, agitando l’altra mano.
“Io non lo farei”, gli disse, con quel genere di dolcezza che in genere si usa solo con i bambini, o con i gatti e i cani randagi. “Potrebbe mettersi nei guai.”
La mano candida di sua madre posata sul pugno chiuso del suo professore fece a Beth uno strano effetto, tanto da farle sentire l’improvviso bisogno di allontanarli. Sua madre doveva averlo intuito, perché si alzò dalla sedia insieme ad Hershel, lanciandole uno sguardo che diceva chiaramente: “Prenditi cura di lui.
Così, prese posto di fronte a lui.
“In realtà, fuori c’è qualcuno che la sta cercando.”
“Un solo uomo”, il signor Blake scosse la testa, per nulla impressionato.
“E’ un segugio. Ha trovato le sue tracce prima che cominciasse a piovere; almeno è sul sentiero giusto.”
“Questo...”
“...è già qualcosa”, lo interruppe lei, costringendolo a finire la frase in modo più positivo di quanto si aspettasse. “Non si è allontanata molto tempo fa.”
“Possono accadere molte cose anche in un singolo istante”, ribatté lui.
“E spesso non succede proprio niente”, puntualizzò Beth. “Penny conta su di lei, deve avere fede. La riporterà a casa e la metterà a letto, dovrà essere esausta dopo la giornata di oggi.”
Questo lo zittì solo per pochi minuti. Del resto, lei non poteva capire la sofferenza che stava provando, con la sua unica figlia dispersa nei boschi con un branco di lupi nei paraggi e la minaccia di un’alluvione.
“Mi ricordo che il mio insegnante di psicologia al College...”, mormorò, “una volta mi parlò della timidezza.”
“Della timidezza?”, ripeté Beth, non troppo sicura di aver sentito bene.
Il signor Blake annuì lentamente, spostando lo sguardo su di lei.
“Mi disse che in alcune culture la maggioranza della popolazione tende a essere timida perché tutti i bambini espansivi che si erano addentrati nella giungla erano stati mangiati dai leopardi. In questo caso, la timidezza è stata tutto ciò che li ha salvati.”
Non sapeva cosa rispondergli, quindi cominciò a fissarlo, sforzandosi di capire che cosa stesse accadendo nella sua mente. Il fatto che il signor Blake fosse intelligente, e anche colto, non era mai sfuggito alla sua attenzione, ma spesso, per lei, il suo era un punto di vista davvero difficile in cui immedesimarsi.
“Penny è timida.”
L’uomo, all’improvviso, cominciò a ridere, ma senza alcuna forma di sonorità o umorismo. Poi, il tempo di guardarsi i piedi con un ultimo sorriso da Stregatto e di un sospiro, e tornò serio, guardandola come se fosse in attesa di spiegazioni da parte sua.
“Beh, con tutto il rispetto per il suo professore di psicologia… ma non ha molto senso come teoria. Ha mai pensato che una bambina timida possa addentrarsi nel bosco non perché è alla ricerca dell’avventura, ma perché sente solo il bisogno di starsene un po’ da sola?”
Non era sicura che fosse il modo migliore per farlo sentire meglio, ma allontanare la sua mente dal pensiero della figlia sbranata da un branco di leopardi- o di lupi, all’occorrenza- era il suo obiettivo primario.
“Non è da lei andarsene via così”, il signor Blake scosse la testa. Non la stava ascoltando e sembrava che avesse lo sguardo perso nel vuoto, ma, quando Beth lo seguì, la condusse a suo fratello, seduto sul divano del soggiorno.
Shawn non si era mai sentito così in colpa. Continuava a pensare al fatto che non era stato abbastanza attento nel controllare i bambini mentre attraversava i campi con loro, ma non era l’unico a dover fare i conti con quei pensieri: anche gli accompagnatori dei Little Learner erano sicuramente da qualche parte a tormentarsi per l’accaduto e il signor Blake, d’altra parte, forse non avrebbe mai più lasciato sua figlia fuori dalla sua vista.
“Lei è così timida... non mi sorprenderei se dovessi sapere che si è nascosta anche dal segugio di tuo padre, sempre se è riuscito a raggiungerla.
“La raggiungerà”, disse Beth.
Il suo insegnante riprese a osservarla, sorpreso da tutta quella decisione. La guardò dalla punta degli stivali fino a risalire agli occhi. “Sembri così diversa quando noi sei accompagnata dalle tue due galoppine.”
“Galoppine?!”, ripeté lei con una risata. “Io non do mica gli ordini, è che Minnie e Karen...”
Alla fine scrollò le spalle e non continuò la frase, rinunciando all’arduo compito di descriverle.
“Uh.” Il signor Blake sembrò capire, nonostante la sua mente fosse altrove, quello che stava pensando. “Non sembra così.”
“L’apparenza inganna.”
“Giusto.”
Annette tornò nella stanza e Beth colse la palla al balzo per scappare via dalla cucina e raggiungere suo fratello in soggiorno, ormai rimasto completamente solo. Si mordicchiava l’unghia del pollice mentre osservava le gocce di pioggia illuminate dalle luci blu e rosse lampeggianti fuori dalla finestra.
“Cazzo”, disse Shawn in un sospiro. “Cazzo!”
“Non farti sentire da mamma e papà”, gli consigliò.
“Sarò il padre peggiore del mondo.”
Suo fratello gemette con la testa tra le mani; lei gli diede una pacca sulla spalla più forte del solito.
“Oppure, questa cosa ti ha migliorato”, rispose, “perché d’ora in poi non perderai mai più d’occhio nessun bambino.”
“Era una mia responsabilità”, ammise. “Gli stavo insegnando delle cose, quindi si presuppone che loro avrebbero dovuto tenere tutti i loro sguardi su di me e io avrei dovuto controllarli. Non mi sono neanche accorto che si era allontanata, non so nemmeno dirti quando è successo. Zero attenzione.” Scosse la testa, pallido come un cadavere.
“Non eri il solo adulto presente ed eri l’unico che non li conosceva già. Comunque, non importa. Non serve a nulla addossare la colpa a qualcuno, dobbiamo solo trovarla.”
Shawn era irrimediabilmente concentrato sulla pioggia battente, come se lui stesso si trovasse fuori dalla finestra. Rimase seduta accanto a lui in silenzio per un po’, ma non ne volle sapere di ritoccare l’argomento. Beth sapeva che non era ancora riuscita a fargli cambiare idea. La sua pelle era ancora di un colorito giallastro, malaticcio, e sbatteva di rado le palpebre. Aveva gli occhi iniettati di sangue per lo stress.
Una parte di lei si chiese se un po’ di senso di colpa avesse potuto fargli bene. Amava suo fratello, ma ogni lezione da cui poteva imparare qualcosa sulla responsabilità era necessaria per il suo futuro e per i suoi eventuali futuri figli.
La tempesta sembrava aver permesso alla notte di anticiparsi. Quell’illusione investì tutta la fattoria, anche se i fanali lampeggianti rendevano il tutto più luminoso. La polizia aveva appena finito di organizzare la squadra di ricerca e proprio mentre l’Agente Pete stava chiedendo ad Hershel di far loro strada nei campi, un grido proveniente dall’esterno li fece scattare tutti in piedi. Tutti tranne Beth, che aveva già un buon presentimento.
Nel grigiore di quel falso tramonto che la pioggia aveva abbattuto sul podere, a stento riuscì a distinguere una figura muoversi nella loro direzione dai campi più lontani. Nessuno provò a fermare il signor Blake che, superando tutti gli agenti, uscì di corsa per andarle incontro.
Daryl aveva un corpicino minuto ed esausto stretto in petto, che gli teneva le braccia appese al collo. Erano entrambi pallidi e zuppi d’acqua. Beth era a poche decine di metri dal signor Blake ed ebbe modo di assistere al momento in cui Daryl lasciò che Penny tornasse sui suoi piedi per correre tra le braccia di suo padre che, inginocchiato sul prato, era già bagnato fino alle ossa dopo quei pochi secondi di corsa.

 

● ● ●

 

Penny rivolse a Daryl un saluto timido, a cui lui rispose con un cenno. Suo padre la guidò verso la loro auto, dicendo che doveva portarla a letto il prima possibile.
Beth era sotto la pioggia, già abbastanza fradicia. La osservò mentre li accompagnava, portando con sé un paio di coperte che aveva preso da una delle volanti che qualche agente distratto doveva aver lasciato aperta. Daryl dedusse che non doveva aver neanche chiesto e non riuscì a trattenere un ghigno.
Nel frattempo, gli sbirri parlavano con Hershel in cucina. Non sapeva perché, ma quella visione lo rendeva nervoso.
Beth corse verso la porta d’ingresso. I capelli biondi attaccati sul suo viso formavano dei vortici irregolari e i suoi vestiti erano completamente bagnati. Quando lo superò, si aggrappò al suo braccio abbastanza a lungo per rivolgergli un sorriso a trentadue denti, poi corse su per le scale, probabilmente per cambiarsi.
La guardò allontanarsi con il cuore ancora bloccato in gola.
Sul tappeto fuori la loro porta, zuppo e tremante come un cane randagio, si prese qualche altro minuto per stare a riparo prima di rimettersi sotto la tempesta. Ma inaspettatamente qualcosa si precipitò verso di lui, stringendogli dolorosamente la cassa toracica.
Era Shawn Greene.
“Mi hai letteralmente salvato il culo!”, disse con una risata. “Sul serio, grazie amico.”
Un attimo dopo fece marcia indietro, apparentemente incurante di tutte le chiazze d’acqua che il corpo di Daryl gli aveva lasciato sulla felpa.
“Se ti fa sentire meglio, Penny mi ha detto che ha aspettato che tu la perdessi di vesta. Credeva che l’avresti fermata.”
“Voleva scappare?”, Shawn aggrottò le sopracciglia.
“No, era solo curiosa”, Daryl provò a fare le spallucce, ma sentiva fin troppo freddo.
Hershel chiamò Shawn dalla cucina e il ragazzo impallidì di nuovo, per poi andare a verificare che cosa volessero da lui.
Fu Maggie a fermarlo di nuovo, con le braccia incrociate al petto. “Hey, io… beh… non mi piace ammettere quando ho torto, quindi non lo farò.”
Per un momento aveva pensato che era tutto quello che aveva intenzione di dirgli, ma continuò a guardarlo ostinatamente, per poi aggiungere: “Però, posso dirti che Beth aveva ragione su di te.”
“...Ok.”
Da un lato, era tentato di chiederle che cosa le avesse detto esattamente su di lui, ma la paura di saperlo fu più forte. Così, Maggie gli sorrise e raggiunse suo padre, suo fratello e la polizia in cucina.
Era pronto a filarsela in silenzio prima che Beth potesse riscendere, ma Annette non glielo permise.
“Sei un disastro! Forza, lascia che metta i tuoi vestiti nell’asciugatrice.”
Non ne colse il senso, visto che poi si sarebbero bagnati di nuovo quando sarebbe uscito, ma, mentre lo trascinava nel corridoio, la presa della donna sembrava ferma e decisa. Prese una coperta di lana da una delle camere da letto e gliela porse, poi indicò un’altra stanza.
“Lascia i vestiti sul pavimento, tornerò a prenderli tra un minuto.”
Detto ciò, sparì come un fantasma, lasciandolo lì a chiedersi se obbedirle fosse davvero necessario.
Stava tremando e aveva le mani e i piedi intorpiditi dal freddo. Magari, mentre i vestiti si asciugavano, la tempesta sarebbe finita.
Sentendosi ancora più vulnerabile di quanto lui stesso accettasse, seguì gli ordini della donna e si chiuse in quella che sembrava una camera degli ospiti inutilizzata. Una volta al sicuro dietro la porta, si spogliò dei suoi vestiti e si coprì con la coperta di lana, facendo del suo meglio per tenerla alta e ben chiusa intorno a sé mentre metteva la testa fuori la porta. Il corridoio era libero, quindi lasciò cadere i suoi vestiti sul pavimento e la richiuse lentamente, dirigendosi verso il letto.
Proprio quando si era ormai seduto e stava cominciando a rilassarsi un po’, si ricordò del cellulare di Beth.
Riaprì la porta con l’intenzione di strappare via il telefono dalla tasca del suo pantalone prima che Annette tornasse a prendere le sue cose, ma una seconda porta si aprì e si ritrovò davanti ai piedi nudi di Beth Greene.
Anche le sue gambe erano nude.
Doveva essersi tolta i vestiti bagnati di dosso in tempo record, perché indossava solo una maglietta lunga con il collo sbottonato. I suoi capelli erano ancora umidi, il trucco leggermente sbavato. Era semplicemente troppo bella per essere descritta.
Daryl cercò di ignorarla, continuando a cercare il telefono tra le pieghe dei suoi vestiti stropicciati sul pavimento. Si alzò in piedi, avendo cura di tenere la coperta stretta intorno a sé, e glielo porse.
“Tieni. Grazie.”
Pensava che magari l’avrebbe preso e se ne sarebbe andata.
Ma niente da fare. Chiuse la mano sul cellulare e lo guidò all’interno della stanza con la minima quantità di pressione.
Una volta varcata la soglia, chiuse la porta dietro di loro.

   
 
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