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Autore: Sarija    07/05/2017    3 recensioni
Lei Angelica.
Lui Angelo della Morte.
Legati da un filo rosso, rosso come il sangue.
[Altair x Nuovo Personaggio. OOC --> Malik]
STORIA COMPLETA. PUBBLICAZIONE SETTIMANALE.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Al Mualim, Altaïr Ibn-La Ahad, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Roberto di Sable
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amore e sangue'
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CAPITOLO 2
 
Il mio cuore perse un battito. Forse due.
Avvicinai il quaderno ai miei occhi, assicurandomi di aver letto correttamente, ma quelle parole non cambiarono neanche dopo svariati minuti.
Ero attonito. Sorpreso. Felice…?
Chiusi di scatto il libro, incurante che potessi attirare l’attenzione di qualcuno e mi volsi lentamente.
Il suo petto si alzava ritmicamente, con una lentezza che quasi mi ipnotizzò , ma mentre mi stavo avvicinando per avere la prova, un rumore nel corridoio mi fece ben ricordare dove mi trovassi e la mia situazione precaria.
In uno scatto repentino mi ritrovai sul balconcino e dopo un ultimo sguardo veloce alla sua figura, mi dileguai nella notte.
 
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Quando il cielo iniziò a tingersi di un rosa pallido per l'alba imminente avevo da tempo terminato di contare le travi del soffitto e di memorizzare tutte le ammaccature e i dettagli che formavano strane forme geometriche nel loro insieme. Non avevo chiuso occhio, neanche per un momento.
Strinsi l'attaccatura del naso alla fronte fra pollice e indice e la brezza del mattino mi fece ricordare di essere a petto nudo. Avevo tolto la parte superiore della tunica in un momento di nervosismo e rabbia appena varcata la finestra della camera, qualche ora prima.
Perché doveva essere tutto così complicato, dannazione!
Mi sciacquai il volto con dell’acqua fresca contenuta nella tinozza in legno scuro ai piedi del letto e mentre mi stavo svogliatamente rivestendo, Amani bussò piano alla porta, quasi con timore.
Forse aveva udito il mio ritorno irruento.
Con un mugolio d'assenso le feci intendere che poteva entrare ed ella iniziò subito a dare aria alla bocca con una sequenza infinita di domande.
Ero confuso. Stanco. Non capivo mezza parola, come se la mia testa fosse circondata da una bolla d'acqua da me solo percepibile. Dopo qualche secondo Amani parve accorgersene e mi guardò stranita.
“Tutto bene, giovanotto?” il suo sguardo si fece preoccupato e mi accorsi solo in quel momento che teneva fra le mani il mattarello che era solita usare per stendere la pasta del pane.
Non sapevo cosa risponderle.
Mi sedetti sul giaciglio, bisognoso di un appoggio fisico, e in un momento di debolezza mi lasciai sfuggire il mio tormento.
“Diventerò padre, Amani”.
Per un momento pensai che non mi avesse sentito e nel constatare se pensassi il vero alzai lo sguardo su di lei, vedendola prendere la rincorsa per poi lanciarsi contro di me, brandendo l'utensile da cucina come se fosse una spada.
Mi alzai di scatto e veloce le bloccai istintivamente le braccia.
“E TU SEI QUI A PARLARNE CON ME!?”.
Era furibonda.
Lei tentò di divincolarsi dalla stretta e nella confusione del momento riuscì nel suo intento, colpendomi sul costato.
Mi piegai leggermente per il dolore e con un ringhio indietreggiai fino alla finestra.
“Va’ da lei o non sarai degno di rimanere sotto questo tetto, codardo!” e detto questo scese le scale come un fulmine.
Con un mugolio mi massaggiai la parte lesa fino a sentire solamente un leggero fastidio.
Per un momento mi pentii di essermi lasciato sfuggire dalle labbra quella frase, ma Amani aveva ragione: mi stavo comportando come un codardo.
Dovevo parlare con Angelica.
Decisi quindi di percorrere la stessa strada che feci il giorno precedente e con sorpresa la vidi camminare nervosa su e giù per la piazzetta del mercato, incurante delle persone che scontrava.
Si mise le mani nei capelli e con quel gesto mi permise di vedere il pezzo di stoffa verde legato con cura alla vita, proprio sopra la cintura dove teneva alcuni utensili utili per le medicazioni veloci. Dopo un ennesimo scontro con una signora sospirò pesantemente e con passo arrabbiato e lesto si incamminò verso la Dimora.
Chissà per quanto tempo mi aveva aspettato.
La rincorsi e giunto sul tetto della casa che dava sulla viuzza che stava percorrendo, mi lasciai cadere atterrando con un tonfo sordo di fronte a lei, bloccandole la strada con il mio corpo.
Spalancò la bocca, pronta ad urlare per la sorpresa, che prontamente coprii con la destra per evitare che qualcuno la sentisse. Velocemente la trascinai in un vicolo laterale, abbastanza stretto da obbligarci in un contatto intimo, ma abbastanza largo da non essere opprimente.
Il suo respiro si infrangeva con forza contro la mia mano, così allentai la presa gradualmente fino a che non la lasciai completamente libera. Asciugai lesto una lacrima sulla sua guancia e mi persi in quelle pozze blu che aveva al posto degli occhi, mentre sentivo le sue mani tremanti che mi toglievano il cappuccio per poter vedere completamente il mio volto.
“Sei veramente tu…?” chiese con sguardo allucinato.
Un sorriso spontaneo distese le mie labbra e facendomi coraggio allungai una mano verso il suo ventre. Lei sussultò al contatto, non aspettandoselo.
“Tu… sai?” sussurrò ancora più incredula.
Le baciai la fronte e inspirai con forza il profumo dei suoi capelli color del grano.
Si strinse a me, tremando per i singhiozzi che a stento tratteneva e affondò il naso nel mio petto, soffocandosi pur di tenermi il più vicino possibile.
Dopo qualche minuto si allontanò un poco per potermi guardare in volto “Perdonami se non te l'ho fatto sapere in qualche modo…“ disse ancora scossa dai singulti.
Le accarezzai piano una guancia e lei inclinò il capo approfondendo il contatto “Non hai fatto nulla per cui io ti debba perdonare… Semmai il contrario” risposi con voce contrita.
Mi prese la mano sinistra fra le sue e dolcemente mi baciò l'anulare mutilato, facendomi fremere il cuore “Lo hai fatto per il Credo…” sospirando continuò “…lo capisco, anche se fa male averti lontano da me”.
Il clangore del metallo mi mise sull'attenti e anche lei, accortasi del giungere di uno o più soldati, si allarmò sgranando lo sguardo.
Dopo la sommossa popolare di poco tempo prima, l'allerta delle guardie cittadine era massima e chiunque fosse stato colto in azioni considerabili ambigue e losche per i Crociati sarebbe stato arrestato.
Feci così la prima cosa che mi venne in mente per non venire scoperto.
La baciai.
Non ricordavo la morbidezza delle sue labbra, il sapore della sua bocca e l'inconfondibile e piacevole sensazione che mi dava la sua presenza tra le mie braccia.
Il clangore del ferro, dovuto all'oscillazione della spada contro l'armatura in maglia metallica, si fermò a qualche passo da noi.
“Ehi, quelli se la spassano alla grande!” e ridendo sguaiatamente, entrambi i soldati proseguirono per la via allontanandosi da noi.
Mi staccai controvoglia dalle sue labbra rosee e guardai le sue guance in fiamme mentre respirava a fatica, in mancanza di aria.
“Oggi sta’ lontana da Al Mualim” dissi serio guadandola negli occhi ancora liquidi dalla passione di quel bacio.
Lei corrugò la fronte confusa, ma annuì decisa senza chiedere spiegazioni.
“Oh… ehm, grazie per…” disse lasciando in sospeso la frase indicando il foulard che le cingeva la vita.
Le sorrisi intenerito e lei, alzandosi in punta di piedi, mi baciò l'angolo della bocca esattamente sopra la cicatrice ormai biancastra.
“Quando ti rivedrò?” mi chiese sussurrando mentre mi calavo nuovamente il cappuccio sul capo.
“Presto, mi auguro” e me ne andai con il cuore più leggero.
 
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Avevo atteso in silenzio, all'ombra di un porticato, l'arrivo del crepuscolo.
Avevo ben impresso nella mente ciò che era accaduto a Masyaf: gli Assassini erano come in trans, corrotti dallo stesso potere che aveva guastato l’animo del mio Maestro sin nel profondo.
Dovevo fare qualcosa.
Avevo soppesato con cura le mie azioni, i miei pensieri e le mie parole, ma quando mi ritrovai alle sue spalle sembrò tutto vano e inutile.
Altaïr… Sapevo saresti arrivato, prima o poi”.
La sua voce profonda era esattamente come me la ricordavo: imponente e seria.
Sapevo bene di non essere riuscito a fargli credere che fossi morto, probabilmente anche per il fatto di Angelica: era più facile leggere i suoi pensieri che un libro aperto sulla pagina corretta.
“So anche il perché, non disturbarti nel dirmelo”.
Una strana luce arancione mi avvolse e una sensazione singolare si impossessò del mio corpo: non potevo muovere un muscolo.
“Non vedi quanto ti abbia corrotto?” dissi a denti stretti nel vano tentativo di divincolarmi da quella morsa.
Lui si volse lentamente e tra le sue mani rugose per la vecchiaia, potei finalmente vedere l'oggetto che emanava la stessa luminescenza che mi avvolgeva: la Mela.
“Non puoi capire, ragazzo. Il suo poter-“.
“Non mi lasci altra scelta! Ucciderò te e distruggerò la Mela!” lo interruppi mentre la rabbia iniziava a fluire nelle vene insieme al sangue.
Dovevo fermarlo. Possibile che non vedesse quanto fosse cambiato?
Lui scosse la testa, sconsolato “Le tue sono solo parole”.
“Allora, Maestro, lasciami libero e le mie parole diventeranno azioni” risposi quasi digrignando i denti.
Lui rise per quanto avessi detto e sospirando mi guardò dritto negli occhi “Sei stato il mio allievo migliore, ma non mi dispiacerà ucciderti”.
Detto questo la luce che mi avvolgeva sparì e la stanza ritornò nelle tenebre di quella notte senza Luna.
Una lieve luminescenza avvolse Al Mualim e quanto seguì mi fece sgranare lo sguardo, attonito.
Estrassi veloce la spada mentre copie del vecchio iniziarono a riempire lo spazio fra me e la parete opposta.
Ma cosa stava succedendo?
Parai di piatto il primo fendente e spostandomi sulla destra evitai di venir ferito dalla lama di un'altra copia. Era necessario che agissi in modo veloce e agile, ma allo stesso tempo dovevo utilizzare il minor numero di parate e attacchi per stancarmi il meno possibile.
Un copia di Al Mualim precedette una mia mossa e per pura fortuna riuscii a deviare il colpo fatale. Con un passo indietreggiai velocemente, riprendendo fiato.
Dopotutto era stato il mio Maestro: conosceva il mio modo di combattere avendo avuto modo di osservarmi negli anni.
Dopo molte parate, schivate e contrattacchi riuscii ad eliminare tutte le copie di Al Mualim, le quali sparirono nel giro di pochi secondi con un piccolo sbuffo aranciato.
“Devo ammettere che sei migliorato, Altaïr” disse estraendo la sua spada “Sei ora degno di incrociare la mia lama, in uno scontro all'ultimo sangue”.
I suoi fendenti erano potenti e pesanti, che compensavano il fatto che il suo corpo non era più agile quanto il mio.
Una mia parata non fu pienamente efficiente e la sua lama aprì un lieve taglio sul mio fianco, facendo sgorgare un piccolo rivolo rosso. Fortunatamente era solo una ferita superficiale.
Ero stanco. La spada iniziava a pesare fra le mie mani e il tremolio della lama rifletteva la fioca luce delle stelle.
Al Mualim non aspettò molto ad attaccare nuovamente e con un fendente micidiale puntò alla mia testa, deciso a recidermela di netto dal collo.
Mi abbassai all'ultimo secondo, sentendo la sua spada tagliare l'aria e lo trafissi al ventre dal basso verso l'alto.
Sentii il suo ferro cadere a terra, in un tonfo agghiacciante che riverberò per le pareti della stanza. Accompagnai dolcemente la sua caduta mentre mormorava qualcosa di incomprensibile. La Mela cadde a terra, rotolando silenziosamente verso l'angolo buio vicino alla libreria ricolma di volumi polverosi e seguii con lo sguardo la sua mano, tesa verso la sfera.
“Ora… cosa farai?” mi chiese rantolante mentre la pozza di sangue si allargava sempre più sotto il suo corpo.
“La distruggerò” dissi con fermezza.
“Non… puoi” disse quelle parole con le ultime forze che gli rimanevano e guardandomi in volto spirò.
Mi alzai da terra e mi avvicinai cauto alla Mela, con un certo timore reverenziale. La presi in mano e la studiai attentamente notando decorazioni minuziose su tutta la superficie.
Aveva ragione: non… potevo. Lo percepivo. Avevo comandato al mio braccio di scagliare il manufatto contro il muro, ma i miei muscoli erano rimasti immobili.
Sentendo i passi di qualcuno nel corridoio, uscii lesto dalla finestra e senza essere visto mi arrampicai sulla parete di una casa nei pressi della Dimora. Raggiunto il tetto mi fermai osservando quanto stava accadendo fra le mura di quella che una volta chiamavo casa.
Vidi giungere il Rafiq nello studio di Al Mualim e, senza poter udire quanto dicesse, intuii che avesse mandato qualcuno a chiamare Angelica, la quale giunse qualche minuto dopo con ancora i capelli disordinati. Si inginocchiò a fianco del morto e, portando delicatamente due dita sul collo del vecchio, scosse la testa, facendo intendere a Malik che non poteva fare nulla.
Malik Al-Sayf.
Passando una mano sul volto, cancellai veloce le immagini tormentanti del Tempio di Salomone e con un sospiro mi diressi verso la casa di Amani, con l'ombra della Morte al mio seguito.
   
 
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