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Autore: effe_95    07/05/2017    2 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
55.La persona migliore del mondo, Accidenti! e Cancrena.


Maggio

Sonia avrebbe voluto approfittare di quella pausa per sempre.
Non le era mai piaciuto fare educazione fisica, né alle elementari né alle medie, ma da quando era capitata con il professor De Luca al liceo aveva finito per odiare quella materia definitivamente. Trovava piuttosto irritante il ridicolo fanatismo di quel piccolo uomo peloso che si ritrovava per professore.
Le sue lezioni erano sempre troppo competitive, e se malauguratamente capitava che beccasse qualcuno con le mani in mano, aveva la capacità di urlare per ore intere blaterando cose su perdite di tempo, fisici spompati e idiozie varie a cui Sonia prestava generalmente poco ascolto.
Era stata una manna del cielo per lei la richiesta del professore di andare a posare la rete con i palloni da basket nel ripostiglio degli attrezzi sportivi.
Le aveva dato un momento per staccare la spina e allontanarsi dall’inferno di quella palestra, e da Cristiano, che le era capitato come compagno di esercizi anche quel giorno.
Sonia cominciava a sospettare che non fosse solo un caso.
Generalmente Cristiano non parlava mai quando capitavano quelle cose, si limitava ad aprire bocca solamente per correggerle qualcosa nel movimento, e per avvertirla di impegnarsi di più quando il professore si avvicinava per il solito giro di controllo.
Era un tipo di atteggiamento che Sonia trovava particolarmente esasperante, le veniva spesso il desiderio di gridargli dietro, di spingerlo a fare qualcosa, qualsiasi cosa se voleva conquistarla, se voleva davvero che tornassero insieme, ma si rendeva conto che farlo avrebbe significato dargliela vinta, così cercava di trattenersi.
Accumulava talmente tanta tensione che a volte le scoppiavano dei tremendi mal di testa.
Quando raggiunse la piccola stanza che fungeva da ripostiglio per le attrezzature sportive, lasciò cadere la rete con le palle da basket malamente in un angolo, e si mise seduta con un piccolo saltello su uno di quei materassi imbottiti che utilizzavano per fare il salto in alto.
Sapeva che se avesse perso troppo tempo il professore le avrebbe gridato contro, ma non le importava molto, aveva davvero bisogno di stare un po’ con se stessa.
Lei e Cristiano non avevano più parlato di quello che era successo al Luna Park, non avevano parlato dei loro sentimenti, del fatto che lei fosse scappata o della possibilità di tornare insieme. Cristiano si era semplicemente limitato a starle più vicino di quanto avesse mai fatto prima, senza parlare o senza pretendere nulla.
Era diverso dal ragazzo che conosceva, dal ragazzo impetuoso che aveva amato i primi anni di liceo, e forse era proprio quello a spaventarla di più.
La consapevolezza che sarebbe stato tutto diverso se fosse tornata con lui.
Si lasciò andare ad un sospiro rumoroso e fece penzolare i piedi nel vuoto.
<< La solita perdi tempo eh? >>.
Non si era accorta di Gabriele finché non aveva sentito la sua voce; se ne stava sulla soglia semiaperta della piccola stanza con aria scocciata e trascinava anche lui una rete piena di palloni. Li gettò malamente a sua volta in un angolo e, infilate le mani nelle tasche della tuta, appoggiò la spalla sullo stipite della porta osservando la compagna di classe.
<< Che cosa vuoi da me, eh? >> Sbottò Sonia rivolgendogli l’occhiataccia degna di un assassino. Gabriele si limitò a fare spallucce e continuare a fissarla atono.
<< Niente, aspetto che muovi le chiappe. Il professore mi ha caldamente invitato a farti “muovere il culo”, testuali parole >>.
Sonia sbuffò sonoramente, ma invece di scendere dal materasso e seguire le direttive del professore, si lasciò cadere con la schiena sul morbido tappeto e sospirò teatralmente.
Sperava che in quel modo Gabriele si arrabbiasse con lei, ma non fu accontentata.
Lo sentì sospirare pesantemente, nello stesso modo in cui un adulto avrebbe potuto sospirare di fronte le marachelle di un bambino, e sedersi accanto a lei sul materasso.
In fondo era sempre stato così tra di loro, se ne dicevano di tutti i colori fingendo di odiarsi fino allo stremo, probabilmente perché nessuno dei due poteva sopportare l’idea che in fondo si assomigliassero.
<< È qui che abbiamo fatto sesso quella volta? >> Esordì Gabriele con voce tranquilla, accarezzandosi il mento come se stesse riflettendo su un problema di geometria.
Sonia si tirò nuovamente a sedere, incrociò le gambe in posizione indiana e fece spallucce.
<< Non me lo ricordo >> Confessò giocherellando con il lacci delle scarpe.
<< Eravamo in classi diverse allora. Tu terza e io quarta giusto? >> Sonia fece spallucce.
<< Si, può darsi. Ma come ti ho già detto non lo ricordo, sei stato solo uno dei tanti >>.
Gabriele si girò a guardarla e sollevò un sopracciglio.
Quando aveva fatto sesso con Sonia non la conosceva nemmeno, era capitato perché gli avevano detto che ci stava, perché lei aveva fatto la stupida civettuola con lui provocandolo.
L’aveva fatto perché ancora non amava Katerina.
<< Cosa c’è, ho ferito il tuo piccolo cuoricino? >> Lo prese in giro lei, inarcando le sopracciglia a sua volta, Gabriele mise su un sorriso ironico e la spinse sulla spalla.
<< No, è stata una pessima scopata. Da dimenticare direi >>.
<< Ah – ah! Non l’hai ancora dimenticata? Sei tardo! >>.
Gabriele ridacchiò quando sentì quelle parole, poi la risata si spense lentamente lasciandogli stampato sulle labbra un sorriso tirato.
<< Ero il primo dopo Cristiano, vero? Non l’avevi mai fatto con nessun altro. Le voci di corridoio erano solo una stronzata, giusto? >>.
Sonia trasalì quando sentì quelle parole, non se le aspettava.
In realtà aveva sperato che Gabriele non se ne fosse mai accorto, era anche quello il motivo per cui con lui stava sempre sulla difensiva. Si sentiva troppo vulnerabile.
E adesso, il fatto che lui l’avesse buttato fuori all’improvviso, le sembrava un colpo basso.
<< Stai dicendo solo cazzate! >> Sbottò di colpo, inviperita.
<< E allora perché dopo hai pianto? >>.
Per la prima volta in vita sua Sonia rimase senza parole.
Le mani con cui stava giocando con i lacci delle scarpe si fermarono di colpo e le caddero inermi sulle gambe; aveva sempre pensato di essere sola quel giorno.
Aveva sempre pensato che Gabriele se ne fosse già andato quando lei aveva pianto disperatamente da sola in quello stesso sgabuzzino.
<< Mi hai fatto sentire una merda per parecchio tempo, sai? >>.
Continuò Gabriele rivolgendole un’occhiata di rimprovero, Sonia tentò di ritrovare un po’ del contegno che aveva perduto, sbuffò e gli pizzicò la spalla con violenza.
<< Guarda idiota che se avessi voluto dirti di no l’avrei fatto! >>.
<< Ahia! >> Si lamentò Gabriele schiaffeggiando la mano con cui l’aveva pizzicato << Tu dovresti fare sesso solamente con Cristiano per essere felice! >>.
<< Oh, ma che hai oggi?! Stai cercando di convincermi a venire a letto con te? >>.
<< Sono fidanzato io! F-i-d-a-n-z-a-t-o, capisci questa parola? >>.
Dopo aver gridato come due ossessi, si fecero la linguaccia contemporaneamente.
E poi scoppiarono a ridere senza ritegno, continuando a spintonarsi come bambini a cui piaceva farsi i dispetti. Gabriele continuò a sorridere anche quando la risata di Sonia si trasformò in un pianto sommesso. La vide nascondere la faccia tra le ginocchia, e i ricci scuri le scivolarono sulla spalla.
<< Dovresti tornare con lui se stai così male, sai? Si vede che in fondo ti ama >>.
Gabriele trovava un po’ assurda quella situazione, ma in cuor suo sentiva anche che non ci sarebbe stato mai più un momento come quello. La scuola stava per finire, loro avrebbero preso strade diverse, forse non avrebbe rivisto Sonia mai più.
<< Ho paura >> Mormorò lei << E se lo dici a qualcuno ti spacco la faccia! >>.
Gabriele ridacchiò, poi saltò giù dal materasso e si stiracchiò come un gatto.
<< Anche io avevo paura. E quindi come uno scemo sono scappato. Ma ti assicuro che ho sofferto molto di più in questo modo. Katerina è quella parte di me di cui non posso fare a meno. E non posso farne a meno perché è la mia parte migliore. Io non sono una brava persona Sonia, generalmente faccio abbastanza schifo, ma lei mi fa credere che non sia così. È per questo che la amo >>.
Sonia asciugò frettolosamente gli occhi verdi arrossati e li puntò sulla schiena di Gabriele, che nel frattempo aveva infilato nuovamente le mani nelle tasche della tuta e si era diretto verso la porta, come intenzionato a troncare quella conversazione.
Sonia trovò assurdo che si fossero ritrovati entrambi in quella situazione.
Se ne erano sempre dette di tutti i colori, si erano fatti del male a vicenda quando ce n’era stata l’opportunità e non avevano mai perso l’occasione per litigare, eppure Sonia era sicura che Gabriele sarebbe stato l’unica anima affine in quella classe di matti che si ritrovava.
E la cosa la faceva imbestialire più che mai.
<< Stai dicendo che Cristiano sarebbe la parte migliore di me?! Tu stai fuori come un balcone Gabriele! >> Sbottò Sonia mostrandogli il dito medio.
Gabriele non colse la provocazione, le rivolse un’occhiata annoiata e fece spallucce, sembrava aver perso tutta la voglia di scherzare o apostrofarla.
<< No, tu è Cristiano siete delle merde! E questo lo sanno tutti Sonia. Siete le persone più menefreghiste e infide della terra. Vi piace fare del male agli altri e non avete cura di voi stessi nemmeno un po’. Distruggete tutto quello che toccate >>.
Sonia provò un pizzico di fastidio quando Gabriele si mise ad elencare tutti quei difetti con sicurezza e consapevolezza di se, nonostante fosse tutto vero.
<< Beh, grazie mille eh! >> Brontolò raccogliendo svogliatamente i ricci in un codino.
<< Ma siete delle merde solo con gli altri >> Gabriele fece spallucce e raggiunse la porta appoggiando una mano sullo stipite << Quello che sto cercando di dirti è che non devi avere paura. Perché quando sei con Cristiano diventi la persona migliore del mondo, e del resto dovresti davvero sbattertene >>.
Ancora una volta Sonia non trovò le parole per replicare nulla.
Si limitò ad osservare per un po’ le spalle larghe di quel ragazzo che aveva sempre detestato dal profondo del cuore e sorrise mestamente.
<< Ehi, Gabriele! >> Lo richiamò quando ormai si era quasi allontanato.
<< Che c’è? >> Domandò lui con svogliatezza, senza nemmeno voltarsi.
<< Ti sono ricresciuti i peli sulle gambe? >> Chiese la mora con aria divertita.
Per tutta risposta Gabriele si limitò a sollevare il dito medio dandole le spalle.
Sonia ridacchiò, forse era arrivato il momento di tornare in palestra dopotutto.
 
Aleksej non riusciva ancora a credere che quella scena fosse vera.
Eppure era proprio lì davanti ai suoi occhi: Cristiano Serra era seduto sul suo letto, in camera sua, e contorceva le mani guardandolo accigliato.
Aleksej cominciò a domandarsi se non avesse mangiato qualcosa di allucinogeno a pranzo, perché per tutto il tempo, da quando aveva aperto la porta di casa fino a quel momento, gli era sembrato tutto molto irreale.
Cristiano era già stato a casa sua una volta, durante un progetto di scienze, ma all’epoca era stato diverso. Non erano soli, c’erano altre persone, e non erano entrati nella sua camera.
Aleksej trovava la presenza di Cristiano una vera e propria invasione nei suoi territori.
Essendo il figlio maggiore si era sempre vantato di avere una stanza propria, detestava che qualcuno ci entrasse senza il suo consenso, permetteva di farlo solamente a Gabriele perché sapeva che tanto il cugino avrebbe ignorato le sue proteste in ogni caso.
Aleksej trasse un respiro profondo, tentando di controllarsi, chiuse la porta della camera e andò a sedersi sulla sedia mobile, posizionandosi proprio di fronte al compagno di classe.
Si scrutarono per un po’, come due lottatori prima di una battaglia.
Cristiano gli era sembrato estremamente imbarazzato quando se l’era ritrovato fuori la porta di casa, aveva farfugliato qualcosa a proposito di una richiesta e poi era diventato viola.
Aleksej l’aveva fatto entrare perché aveva avuto paura che potesse avere un collasso sulla soglia di casa a causa dell’orgoglio smisurato che si ritrovava, e che aveva appena oltraggiato.
La sua espressione non era cambiata molto, anche in quel momento sembrava imbarazzato.
Mentre lo guardava Aleksej avrebbe voluto chiedergli se per caso avesse mangiato un limone prima di venire da lui, perché sembrava estremamente disgustato.
<< Ok, spara. Cosa vuoi da me? >>.
Aleksej si rese conto che probabilmente quello non era il modo più adatto per cominciare una conversazione, ma sapeva anche che con Cristiano mai nessun inizio sarebbe stato adatto. Non l’aveva mai sopportato.
Cristiano si agitò imbarazzato sul posto, poi lo guardò finalmente negli occhi.
<< Lo so che non mi sopporti. E non sarei qui se non fosse che - >>.
<< Ok, frena! Se vuoi parlare del rapporto inesistente che c’è tra di noi allora ti avviso che non sono dell’umore adatto. Anzi, non è che me ne freghi granché sai, senza offesa >>.
In realtà, Aleksej sperò proprio che Cristiano si offendesse, ma non fu accontentato.
Il moro continuò a fissarlo senza indignarsi, senza prendere le sue cose e andarsene sbattendo la porta, anzi, sembrava straordinariamente indifferente e la cosa lo colpì.
Aleksej cominciò a domandarsi quanto avesse dovuto sopportare Cristiano per diventare così indifferente alle calunnie e alle cattiverie degli altri.
<< Ok, si tratta di Sonia >>.
Cristiano andò dritto al punto, come se nulla fosse, ed Aleksej cambiò immediatamente idea.
Avrebbe preferito mille volte parlare del fatto che si odiassero piuttosto che di quello.
<< Ok, va bene. Si, ho capito che ti piace, l’abbiamo capito tutti in classe in questi giorni a dire il vero, ma … insomma, se sei qui per fare a botte perché ho fatto sesso con lei non- >>.
<< Hai fatto sesso con lei?! >>.
Aleksej e Cristiano si guardarono negli occhi per dei secondi che sembrarono interminabili, restando in un silenzio talmente assoluto da sembrare che si fossero pietrificati sul posto.
<< T-tu non … non lo sapevi? >> Balbettò Aleksej grattandosi la nuca.
Cristiano tossicchiò nel pugno della mano e distolse lo sguardo.
<< No, non sapevo che avesse fatto sesso anche con te. Comunque! >> Sbottò all’improvviso scombinandosi i capelli sulla testa così violentemente da dare l’impressione ad Aleksej che stesse disperatamente tentando di cancellare dalla testa un’immagine orribile << Non era di questo che volevo parlare con te! >>.
<< A no? >> Aleksej rimase così sorpreso da quella dichiarazione che era piuttosto sicuro di aver messo su un’espressione esilarante in quel momento.
<< No. Ho bisogno che mi insegni a suonare la chitarra >>.
Cadde nuovamente il silenzio a seguito di quell’affermazione, Aleksej rimase così basito che non sapeva se scoppiare a ridere o dare di matto, oppure fare tutte e due le cose contemporaneamente. Eppure quando guardò Cristiano lo trovò estremamente serio.
<< Perché?! >> Domandò con eccessiva enfasi, se qualcuno gli avesse detto che un giorno si sarebbe ritrovato in quella situazione non ci avrebbe mai creduto.
Cristiano trasse un respiro profondo e cominciò a parlare, spiegandogli quali erano le sue intenzioni e perché c’entrasse Sonia in tutta quella faccenda, Aleksej ascoltò tutto il racconto senza battere ciglio, per la prima volta con serietà, valutando i pro e i contro.
<< Allora, mi aiuterai? >> Domandò Cristiano alla fine del racconto.
Aleksej incrociò le braccia al petto e lo fissò negli occhi, non gli era mai importato nulla di Cristiano, l’aveva sempre trovato irritante, egoista e menefreghista, nella sua vita privata gli importava ben poco e aveva sempre evitato di avere a che fare con lui.
A dir la verità Aleksej lo detestava profondamente.
Eppure si rese conto per la prima volta di una cosa che lo fece desistere dal mandarlo a quel paese immediatamente, senza via di scampo.
Si rese conto che Cristiano era orgoglioso, era orgoglioso esattamente come lui, e che doveva essergli costata una fatica immensa quella decisione, la decisione di andare da una persona che provava solo disprezzo nei suoi confronti e chiedere il suo aiuto.
Aleksej si ritrovò a sorridere amaramente con se stesso, dopotutto Cristiano aveva avuto un coraggio che lui probabilmente non sapeva nemmeno dov’era di casa.
<< Guarda che io non sono Zosimo >> Si affrettò tuttavia a replicare, incrociando le braccia al petto. Con sua grande sorpresa Cristiano sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
<< Me l’ha detto anche Telemaco l’ultima volta che abbiamo parlato! Ma cosa credete, che Zosimo sia il buon Samaritano?! Lui è solo il mio migliore amico! Non si è avvicinato a me né per pietà, né perché io sia stato gentile o- Ok, non importa >>.
Aleksej rimase in silenzio per un po’ dopo la sfuriata del moro, aveva sempre trovato quella strana amicizia tra Zosimo e Cristiano come qualcosa di estremamente anomalo.
Lui non ne sapeva nulla, né pretendeva di volerne sapere qualcosa, ma cominciava a pensare che dopotutto quel rapporto non fosse poi così tanto anomalo.
<< Beh, perché non hai chiesto ad Oscar allora? Oppure ad Ivan, o Giasone? >>.
Cristiano esitò prima di rispondere, intrecciò le mani e prese a far roteare i pollici l’uno sull’altro con insistenza, Aleksej lo lesse come un chiaro segno di disagio.
<< Perché mi hanno detto di no. Tu sei la mia ultima possibilità >>.
<< Oh >>.
Per la prima volta quella sera Aleksej vide la situazione da una prospettiva diversa, non si sentiva offeso per essere stato l’ultima scelta, dopotutto se fosse stato nei panni di Cristiano anche lui avrebbe chiesto prima ad Ivan o a Giasone, ma si rese conto di quanto fosse stato difficile per Cristiano tutta quella storia.
Dover chiedere a delle persone che lo odiavano, sentirsi dir di no, e poi non dare l’impressione di star chiedendo aiuto supplicando.
Anche in quel momento, probabilmente Cristiano non voleva dare l’impressione di dover dipendere da lui, non voleva che Aleksej si sentisse in dovere di doverlo aiutare.
Non voleva suscitare la sua pietà, sapendo che in realtà era proprio quello che stava facendo.
Tutto quello era troppo anche per uno come Cristiano.
<< Va bene, ti aiuterò >> Replicò Aleksej sospirando pesantemente.
E quando Cristiano sollevò la testa sorpreso, apprezzò il fatto che il ragazzo non si fosse propinato in adulazioni ridicole o in ringraziamenti e avesse semplicemente detto: “Quando cominciamo?”. Era decisamente più da lui.
Aleksej si alzò e fece per andare a prendere la chitarra acustica, quando la porta della camera si aprì lentamente e la testa di sua madre sbucò nella stanza.
<< Chiedo scusa per il disturbo >> Commentò la donna sorridendo calorosamente << Volevo sapere se a Cristiano andava di restare a cena da noi >>.
Cristiano sussultò quando sentì quelle parole, guardò Claudia con occhi sgranati e Aleksej lo osservò di sottecchi con curiosità, chiedendosi cosa avrebbe risposto alla proposta.
<< Io la ringrazio ma … a casa ho una persona che mi aspetta e non vorrei- >>.
<< Va bene, lo capisco. Sarà per la prossima volta >> Cristiano fu grato a Claudia per averlo interrotto prima che l’imbarazzo e la vergogna cominciassero a farsi troppo evidenti.
La donna sorride nuovamente e poi se ne andò salutandoli.
Quando Aleksej gli si sedette nuovamente davanti con la chitarra tra le mani, Cristiano aveva lo sguardo perso nel vuoto.
<< Tua madre non ti assomiglia per nulla, sai? >> Commentò distrattamente, aveva gli occhi così carichi di nostalgia e così distanti che Aleksej non si sforzò nemmeno di fulminarlo con lo sguardo, tanto l’altro non se ne sarebbe accorto.
<< Beh, perché in effetti non è mia madre >> Confessò mentre cominciava ad accordare la chitarra, non sapeva perché gliel’avesse detto, non erano molte le persone che lo sapevano, eppure gli era venuto quasi naturale farlo << La mia madre biologica è morta mettendomi al mondo, quindi non l’ho mai conosciuta. È quella donna lì, la vedi? >> Disse indicando una piccola fotografia attaccata con una puntina su una bacheca vuota. Cristiano osservò la donna con aria attenta, le lentiggini, gli occhi, la bocca, erano proprio quelli di Aleksej.
<< Era la prima moglie di mio padre, lui l’ha sposata per me ma … amava Claudia. E alla fine è stata lei a crescermi quando Svetlana è morta. Quella per me è solo una sconosciuta. >>
Aleksej smise di accordare la chitarra e la porse a Cristiano, che la prese con titubanza.
<< Mia madre è Claudia, punto >> Cristiano lesse negli occhi di Aleksej una luce strana, come se volesse sfidarlo ad affermare il contrario.
<< Forse è qualcosa che non puoi capire, vero? >> Continuò Aleksej sollevando un sopracciglio con aria ironica, ecco un’altra persona che non provava pietà per lui, pensò Cristiano. E lo trovò piuttosto irritante, i suoi compagni di classe erano davvero irritanti.
Mai una volta che deludessero le sue aspettative.
<< Si invece, è qualcosa che posso capire. >>
E pensò a Marta.
Sorrise sommessamente e prese la chitarra tra le mani posizionandola attorno al collo.
<< Non si mette così! >> Lo rimproverò immediatamente Aleksej, ma contemporaneamente i suoi pensieri correvano come il vento più impetuoso.
Ecco un’altra cosa che ho in comune con Cristiano Serra, accidenti!
 
Lisandro avrebbe voluto distogliere lo sguardo ma non ci riusciva.
Era più forte di lui, non poteva proprio smettere di guardarli.
Aveva sempre sospettato nel profondo del suo cuore di avere una vena leggermente masochista dentro di se, ma mai avrebbe pensato che si sarebbe fatto volontariamente male come stava facendo in quel momento.
Il fatto era che Beatrice ed Enea sembravano diversi.
Lisandro non riusciva a trovare davvero nessun’altro aggettivo adatto per descrivere quello che i suoi occhi stavano vedendo in quel momento.
E quella diversità non aveva nulla a che fare con il fatto che i due avessero fatto pace.
In un certo senso Lisandro era sollevato che fosse successo, non aveva mai sperato che Beatrice potesse guardarlo diversamente, o smettere di amare Enea.
E se anche avesse scelto un altro ragazzo di certo non avrebbe mai guardato lui, “il migliore amico di Enea”. Sarebbe stato decisamente di cattivo gusto.
Se ne stavano entrambi fermi a pochi metri di distanza dal cancello della scuola, Enea aveva appoggiato un braccio attorno alla vita di Beatrice stringendola a se con affetto, la maglietta della ragazza era leggermente sollevata sul fianco e metteva in mostra un lembo di pelle che Enea stava sfiorando con disinvoltura assoluta.
Ridevano entrambi per qualcosa di stupido che avevano detto e i loro visi erano talmente vicini che avrebbero potuto scambiarsi un bacio da un momento all’altro.
Sembravano così intimi l’uno con l’altro.
Erano così felici, si amavano così tanto …
Lisandro scosse furiosamente la testa e si schiaffeggiò le orecchie.
Non aveva dovuto riflettere molto per capire cosa fosse successo tra quei due, per capire perché finalmente Enea stesse sorridendo con spensieratezza o Beatrice avesse smesso di tremare ogni volta che il fidanzato la sfiorava più del dovuto.
Ma il solo pensarlo faceva così male che Lisandro avrebbe voluto strapparsi il cuore dal petto in quello stesso istante.
Aveva come paura che molto presto avrebbe finito con l’atrofizzarsi a causa del dolore.
Aveva paura di cadere in un circolo vizioso da cui non sarebbe mai più uscito.
Era stupido, ma aveva paura di avere amato Beatrice un po’ troppo.
Aveva paura che poi non avrebbe saputo più come amare qualcun altro.
Strinse maggiormente il casco tra le mani, ricordando a se stesso che doveva tornare a casa e smetterla di farsi del male, che starsene tutta la giornata a rimuginare su cosa fosse successo tra quei due non avrebbe fatto altro che aggravare l’infezione che aveva nel petto.
Più o meno all’altezza del cuore.
Era stato stupido da parte sua non pensare ad altro per tutta la giornata.
Sospirò pesantemente e si infilò il casco in testa, proprio quando smise di allacciarlo vide Enea venire distrattamente nella sua direzione, giocherellava con le chiavi della moto e aveva ancora un sorriso idiota stampato sulle labbra.
Lisandro aspettò che si avvicinasse, quando Enea si accorse di lui rallentò automaticamente il passo ma non smise di avanzare, dopotutto aveva la moto parcheggiata proprio accanto a quella dell’amico.
Non avevano perso quell’abitudine, nonostante non si parlassero praticamente più ormai.
<< Avete fatto pace? >> Esordì Lisandro sorprendendo anche se stesso per quell’impeto di coraggio improvviso, cercò di fare l’indifferente dopo aver posto quella domanda, ma riuscì lo stesso a percepire lo stupore di Enea.
Non sapeva spiegarsi cosa gli fosse preso, così all’improvviso.
Ma in cuor suo sapeva perché avesse attaccato bottone.
Era arrivato il tempo di smuoversi e spezzare quelle catene.
<< Già … >> Commentò distrattamente Enea, mentre si apprestava molto lentamente a prendere anche lui il casco << Ho spedito il modulo. A settembre parto >>.
Annunciò Enea con una cerca difficoltà, gettando fuori la notizia come se non stesse aspettando altro che comunicarlo al suo migliore amico, nonostante tutto quello che si erano detti, nonostante non si fossero né perdonati né capiti.
Lisandro cercò di non restarci troppo male, anche se avevano litigato, Enea restava pur sempre il suo migliore amico, e l’idea di non vederlo per un anno gli faceva male.
<< Mi fa piacere >> Si pentì immediatamente di aver utilizzato quell’espressione, era troppo formale, perfino per loro. E soprattutto, non era vera per nulla.
<< Senti Lis, volevo chiederti una cosa … >> Riprese Enea indugiando un po’, ancora non aveva infilato il casco e guardava davanti a se con aria accigliata, sembrava imbarazzato eppure terribilmente fermo nelle sue decisioni << Lo so che la mia richiesta ti sembrerà egoista ed inappropriata in un momento come questo ma - >>.
<< Non preoccuparti, quando non ci sarai, la terrò d’occhio io >>.
Enea non sussultò quando sentì la replica immediata dell’amico, ma trattenne il respiro e Lisandro se ne accorse.
Era assurdo che Lisandro fosse ancora capace di capire perfettamente Enea, ed era assurdo che Enea gli facesse una tale richiesta dopo quello che si erano detti a vicenda.
Probabilmente era tardi per tornare indietro senza cicatrici.
Ma proprio perché assurdo era esattamente da loro.
Enea e Lisandro erano sempre stati così: un’assurda contraddizione.
<< Però Enea, ascoltami io- >>.
<< Ok, puoi farlo. Puoi dirglielo se vuoi, anzi, fallo! Io farò finta di non saperlo >>.
A quel punto fu il turno di Lisandro di trattenere il respiro.
<< Solo … non dirmi niente, va bene? >>.
E prima che Lisandro potesse anche solo realizzare quello che era successo, Enea era già sfrecciato via con la moto, lasciandolo lì da solo con la bocca semi spalancata.
<< Ma che idiota! >> Sbottò con indignazione, poi scoppiò a ridere per il sollievo.
Non avevano risolto i loro problemi, non avevano parlato molto, in realtà si erano detti pochissimo, ma quelle parole per Lisandro erano state più liberatorie di una boccata d’aria.
Aveva paura di cosa ne sarebbe venuto, aveva paura di cosa avrebbe provato.
Ma la sua decisione ormai l’aveva presa.
Se voleva essere felice almeno un po’, se voleva curare quell’infezione che gli stava mandando il cuore in cancrena, allora non doveva fare altro che dire la verità.
Lo sapeva, l’aveva sempre saputo in cuor suo.
Doveva solo trovare il coraggio per farlo, da qualche parte tra i pezzi della sua anima, che aveva lasciato sparsi un po’ ovunque.
 
 
___________________________________ 
Effe_95
 
Buonasera a tutti :)
Lo so che ci ho messo davvero tantissimo tempo per scrivere questo capitolo ma ho avuto una serie infinita di problemi, senza contare che si avvicina la sessione estiva …
Ad ogni modo, credo che questo capitolo sia un po’ particolare.
Abbiamo confronti tra personaggi che in effetti sembrerebbero non avere nulla in comune tra di loro, ma che secondo me invece avevano molto da insegnarsi a vicenda.
Era questo il mio intento principale e spero di esserci riuscita almeno un po’.
Per quanto riguarda la parte di Gabriele e Sonia, chiedo scusa per il linguaggio un po’ scurrile dei due, ma non sarebbero stati loro se non avessero parlato così.
Spero vi abbia incuriosito questo strano rapporto che hanno, io l’avevo solamente accennato nei capitoli precedenti, lasciando qualche indizio, e spero che non sia stato troppo sorprendente.
Comunque, i nodi stanno arrivando tutti al pettine come potete notare, lentamente ma tutto andrà verso una sua conclusione ;)
Per quanto riguarda la richiesta di Cristiano ad Aleksej, si capirà preso il perché ;)
Detto questo grazie mille come sempre alle persone che leggono con devozione nonostante siano passati tre anni da quando ho postato il primo capitolo, e grazie mille in particolar modo alle tre fantastiche ragazze che hanno recensito l’ultimo capitolo.
Mi avete dato la carica di continuare con sempre più passione :)
Alla prossima spero. 
  
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