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Autore: Makil_    08/05/2017    11 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre. 
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos.
Y’ku: titolo singolare dell’isola di Caantos, nelle Terre Spezzate, il cui significato è letteralmente “il più ricco”. Il termine “y’ku” s’interpone tra il nome e la casata nobiliare di un principe dell’isola, posto a determinare la sua ascendenza nobile.
Incantatori: ordine giurato unico del continente di Pantagos. Si tratta a tutti gli effetti di un gruppo di sapienti  in cui sono raggruppati guaritori, speziali, alchimisti e finanche stregoni – benché in molti, e nel popolino nello specifico, non credano a questo genere di arti. La sede degli incantatori è la Gilda degli Incantatori, altresì detta Tempio Bianco, sulla Collina di Burk, a Fondocupo. 
Castellano: figuro (molto spesso un esperto) incaricato di reggere, in vece del sovrano al quale è subordinato, un altro regno, un piccolo borgo o una cittadina appartenente all'uomo cui giura lealtà. 

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La mattina seguente, invece che dal canto di un gallo, ogni cavaliere fu svegliato dall’incoraggiante suono di trionfo dei numerosi araldi sparsi per il campo, ognuno dei quali intento a bandire un solo ed unico messaggio: il torneo di Roshby era ufficialmente iniziato.
Bart ed Esmerelle avevano fatto colazione insieme fuori dalla tenda, nel piccolo spazio accanto al pioppo in cui avevano allestito un tavolo di pino scuro coperto dalla tovaglia rossa a chiazze bianche che la ragazza aveva trovato in un mercato poco vicino. Bartimore, malgrado non fosse un ottimo pescatore, era riuscito ad acciuffare un paio di pesci guizzanti nel laghetto poco vicino, facendo in modo di averli prima degli altri cavalieri affamati. Esmerelle, invece, si era procurata un paio di legna e qualche pietra per accendere un fuoco mattutino. I due si erano svegliati quasi contemporaneamente all’alba, entrambi in ansia per il torneo. Con l’unica differenza che, se Esmerelle lo era per gli scontri mozzafiato cui avrebbe assistito, di Bart non si poteva dire lo stesso.
Fecero colazione con il pesce abbrustolito sul fuoco, ed entrambi mangiarono più di quanto avevano previsto. Esmerelle fremeva dalla voglia di andare al campo, ancor più eccitata per aver ricevuto la sua spada. Quando l’aveva vista ai piedi del suo letto, riconoscendo che quella non fosse affatto Lungacresta, Esmerelle si era lasciata sfuggire un gemito di stupore. Aveva ringraziato Bart tre volte prima di impugnarla saldamente.
«Ti calza a pennello» le aveva fatto notare lui sorridendo. Esmerelle era stata ad un passo dal corrergli incontro per abbracciarlo, ma il suo animo scontroso e freddo aveva domato quello più dolce impedendole di fare qualcosa del genere: Bart, oramai, sapeva riconoscere anche quello. Non si era sentito offeso , per niente: meno avrebbe continuato ad affezionarsi alla ragazza, meno avrebbe sofferto al momento della sua partenza. Infatti Bart aveva deciso che, dopo aver assistito ad almeno due giorni di torneo, la ragazzina bionda sarebbe tornata a casa, a Werny, dal devoto Baricald, malgrado tutto e tutti. Non c’era spazio per lei in quel luogo di assassini e cospiratori, e non c’era posto per lei nella tenda di un cavaliere che avrebbe combattuto per Dalton Kordrum fino alla morte. Se le Grazie lo avessero voluto, Bart sarebbe tornato a prenderla a torneo concluso… sempre che fosse nei desideri della ragazzina. E allora le avrebbe fatto vedere i regni aldilà degli Artigli innevati, i luoghi delle Terre dei Venti in cui era cresciuto e che l’avevano reso ciò che era ora: un uomo ormai fatto, pronto a dimostrare quanto valeva la sua parola e quanto forte era il taglio della sua lama. Bart le avrebbe presentato Amisa, l’elegante signora di Sette Scuri, e l’avrebbe portata in giro per le stradine che aveva percorso insieme a Dalton Kordrum, dopo averla fatta conoscere, magari, anche a quest’ultimo, nella tomba che era stata innalzata per lui nel Giardino di Roccia del regno.
Esmerelle aveva inflitto un paio di fendenti sghembi all’aria, giusto per provare a maneggiare un po’ l’arma.
«Dovrai darle un nome» le aveva suggerito Bart. «Solitamente ogni spada importante ha un nome importante.»
«La chiamerò Esmerelle, proprio come me e la Regina del Colloblu» aveva risposto lei.
Al che Bart si era lasciato sfuggire una risata: quantomeno si era ricordata della Regina. «Non puoi chiamarla come te.»
«E perché no?» aveva chiesto. «Almeno potrò dire che Esmerelle può uccidere qualcuno, se lo vuole. E che Esmerelle è affilta… e tagliente
«Potrai dirlo anche senza chiamarla col tuo nome» le aveva detto Bart. «E non dovrà uccidere nessuno, quella spada. Almeno finché sarai sotto la mia protezione. Su questo mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro.»
Finirono di fare colazione quando il sole iniziò a splendere alto nel cielo. Un araldo poco vicino stava continuando a suonare la sua tromba tenendola con entrambe le mani. Sul su cappello a punta rosso svettava una lunga bandierina bianca, immobile ed in parte afflosciata sulla spalla.
«Armi in pugno, cavalieri del Nord e del Sud! Armi in pugno, cavalieri dell’Ovest e dell’Est! Oggi come mai le armi cozzeranno come leoni affamati! Armi in pugno valorosi combattenti!»
La sua voce squillante si disperse nel campo, ma fu presto sostituita da quella di un altro ometto tarchiato vestito come il primo. Gli araldi avevano tutta l’intenzione di svegliare chi ancora dormiva, nascondendo quella loro reale intenzione con cori e urla dall’aria trionfale.
«Dovremmo entrare ora. È tempo che io indossi la mia armatura.»
Esmerelle trattenne un risolino. «Ti vedrò vestito da cavaliere, Bartimore. Non riesco ad immaginarti con un’armatura.»
«Dovrai farlo» rispose lui alzandosi da terra. Tutto quello stare piegato sulle ginocchia gli aveva iniziato a dare dolori. «E dovrai anche aiutarmi ad indossarla.»
Quel giorno Esmerelle gli fece da scudiero. La ragazzina si apprestò a rispettare fremente il compito datole da Bartimore e fece come gli veniva suggerito, aiutandolo nell’indossare ogni cosa, a partire dalla piastra pettorale. Bart aveva già indossato la gorgiera in cuoio a protezione del collo, stretta sotto il mento come la ferrea presa di un uomo. Prima di calarsi addosso l’usbergo, Bart aveva calzato una semplice camicia di seta soffice e vellutata. Dopo essersi infilato i calzari di cuoio, disse ad Esmerelle di passargli le ginocchiere e li fissò alle ginocchia, poco sopra gli schinieri già perfettamente agganciati.  Poi fu il turno dei cosciali, che incastrò attorno alla gamba e sopra le ginocchiere. La ragazzina gli passò alle spalle e gli strinse la piastra pettorale nella schiena attraverso le giunture di cuoio. Bart sistemò accuratamente quel pezzo dell’armatura, lucido come se fosse nuovo, conoscendone l’importanza. Nella sua mente risuonava l’eco delle parole austere del suo signore: «Nessun’armatura può difenderti più della tua stessa forza. Non esiste acciaio in grado di fermare il male, Bartimore. È il riconoscere le nostre debolezze l’unico scudo di cui abbiamo bisogno». Attaccò Lungacresta al fianco facendola ondeggiare un paio di volte nel legare il fodero alla cintola. Il rumore dell’acciaio inondò il padiglione; quel suono era uno spruzzo di vitalità cavalleresca in un mondo che da cavalieri aveva ormai poco.
«Mi passeresti i guanti?» chiese Bart sistemandosi gli schinieri un po’ stretti.
Esmerelle annuì e si affrettò ad andarli a prendere sul mobiletto di fronte. Bart indossò i guanti di cuoio solo dopo aver incastrato per bene i bracciali.
«Ti mancano le manopole» fece notare la ragazzina che lo stava osservando con le braccia conserte al petto. «Mia nonna diceva sempre che un cavaliere senza manopole è come una porta senza maniglia.»
«Tua nonna aveva ragione: le mani sono molto importanti, in effetti.» constatò lui. «Sono lassù, guarda, sul manichino.»
Esmerelle gliele portò immediatamente. Bart si fece passare l’infula sul capo e strinse un nodo sotto al mento. Imbottito com’era, i colpi non avrebbero di certo causato alcun dolore. Sicuramente non più di quanti già non ne avesse a causa dello scontro con Wictor Wyndwat. La mandibola era tornata a dolergli da un paio di ore e Bart era ora più irrequieto che mai.
Si fece scorrere le manopole sulle mani aperte, sopra i guanti di cuoio. Aprì e chiuse le dita un paio di volte, giusto per assicurarsi che potesse muoverle ancora sotto tutti quegli strati di protezione.
Non appena fu pronto, Bart si alzò per prendere l’elmo. Aveva deciso di non indossarlo per il momento, sicuro che sarebbe stato solo un peso maggiore da sopportare nell’attesa di gareggiare. Effettivamente non sapeva quando lo avrebbero chiamato e contro chi si sarebbe dovuto scontrare. Era una qualcosa che Wolbert Dorran, tra le tante altre, non aveva saputo garantire. Assicurò sottobraccio l’elmo e spalancò la cortina della tenda con la sinistra, tenendo l’altra mano poggiata sull’elsa di Lungacresta. Esmerelle lo precedette, la spada anonima pendente dal bacino. Il sole baciò il cavaliere e la fanciulla bionda, e riservò loro il miglior saluto della giornata.
«Quella è meglio se la lasci qui» suggerì Bartimore riferendosi alla lama di lei.
Esmerelle lo guardò torvo prima di rispondergli. «Hai paura che la utilizzi, eh, Bart?»
Bartimore la fissò per un po’ prima di aprire bocca invano. La ragazzina lo precedette anche nel rispondere.
«La lascerò, allora. Non ho intenzione di darti problemi. Ne hai già uno, vedo.»
Bart si fece guardingo. «Non capisco. Quale problema vedi?»
Esmerelle si catapultò nuovamente fuori dalla tenda, sotto ai raggi del sole. Afferrò la mano di Bart con un gesto repentino. La stretta che gli riservò fu dolce e delicata, ma quasi impercettibile oltre gli strati che l’avvolgevano. Bart continuò a non capire, ma giurò di essere diventato di colpo rosso come un pomodoro. Non si sarebbe aspettato mai un gesto del genere da quella ragazza. Fu una fortuna per lui l’essere coperto da tutti quegli strati di protezione sul volto, forse lei non avrebbe scorto il suo imbarazzo.
«La manopola non era agganciata bene. Hai già dimenticato le parole di mia nonna? Un cavaliere senza manopole…»
«Sì, lo so.» fece il giovane cavaliere mettendola a tacere.
Esmerelle piegò il capo e lo guardò torvo. «Vedi, Bart? Dovresti fare più attenzione.»

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Note d'autore
Dopo ben diciassette capitoli esatti, il gran torneo di Roshby è ufficialmente iniziato, e il campo della cittadina non può che essere immensamente esaltato a causa sua. In questo capitolo di transizione, Esmerelle riceve il dono del suo compagno di viaggio, il quale ha ormai fatto le sue decisioni, a notte conclusa. Il cavaliere è pronto a battersi nel nome di Dalton Kordrum, armato e rivestito di acciaio, e ora non può che far tutto il possibile per dedicarsi in toto alle giostre che lo attendono. Eppure, qualcosa pare stia iniziando a germogliare in lui... di cosa potrebbe trattarsi? 
Quali sono le vostre opinioni a questo punto della storia? Cosa vi aspettate da torneo (evento che prenderà vita nel prossimo capitolo)? E cosa pensate possa accadere d'ora in poi? 
Nell'attesa di proseguire verso il campo insieme ai due giovani protagonisti, vi propongo una domanda molto misteriosa e dal valore inestimabile: secondo voi, perché Ortys e Steffon sono stati costretti ad allontanarsi da Roshby con così tanta fretta? Buttate in campo le vostre teorie; premierò le migliori! 

++Volevo comunicare inoltre che, sperando nel vostro piacere, nella mia home (esattamente nella sezione della biografia) è stato rivelato il titolo del "romanzo" che seguirà a "Il cavaliere e la fanciulla bionda", alludendo alla possibilità che di Pantagos ne avremo ancora per un bel po'. Spero di avervi fatto un regalo serale con questa nuova... e così vi lascio. 
Al prossimo aggiornamento [lunedì 15]
Makil_

 
   
 
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