7
Forza d'Animo
Quando
tornarono alla tana, la prima cosa che Noriko fece fu andare a
informare Dariush del carico di spezie in arrivo. Nemeria non la
seguì, preferì tornare in tenda, adducendo come
scusa la spossatezza del tatuaggio e del viaggio attraverso i
quartieri, ma la verità era che sentiva un bisogno quasi
fisico di stare da sola. Così si raggomitolò
sulla sua stuoia, lo sguardo fisso sulla fanoos che pendeva sopra la
sua testa e gli occhi malinconici di Pavona impressi a fuoco nella
mente. Non sapeva cosa pensare, sinceramente: la sensazione di averla
già incontrata non l'aveva abbandonata per tutto il viaggio
di ritorno alla tana, ma più cercava di ricollegare il viso
della donna a quelli dei membri della tribù, più
si faceva strada in lei la certezza di non averla mai vista. Non era
mai stata un'attenta osservatrice, però di lei si sarebbe
ricordata, era troppo bella perché passasse inosservata
persino ai suoi occhi disattenti.
Sospirò, si girò a pancia sotto e, sbuffando,
appoggiò il mento sulle mani intrecciate, lasciando i piedi
a dondolare nell'aria, mentre la sua mente rimuginava su Noriko, sulla
sua storia e sul passato pieno di segreti. Non la conosceva, sapeva
solo le informazioni più semplici, eppure doveva farsi
violenza per non concederle piena fiducia: soprattutto dopo aver
conosciuto Asuka e Arsalan, si era resa conto di quanto Noriko per lei
fosse quasi al pari di un'estranea.
“Forse dovrei provare a parlarci più spesso. Per
quanto mi abbia fatto rabbia il suo comportamento con Hirad, con me
è stata gentile.” rifletté, rotolando
dubbiosa sul fianco, “Mi ha portato dai suoi amici, ha speso
il credito che aveva con loro per farmi fare un tatuaggio
e...”
- Cosa cavolo ti è successo ai capelli?! -
Nemeria non fece nemmeno in tempo ad alzarsi che Altea si era
già precipitata vicino al lei, gli occhi sgranati e la bocca
aperta in un'espressione a metà tra lo stupito e il deluso.
La prese per la spalla e la costrinse a sedersi per poi slegarle con
gesti incerti il nodo della bandana.
- Scoiattolo... ma... ma perché li hai tagliati? Erano
così belli, mi piaceva tanto pettinarli. -
- Noriko... Noriko mi ha detto che qualcuno aveva portato i pidocchi. -
- Se così fosse è un gran brutto problema. Ha
già parlato con Dariush? -
- S...sì, penso di sì. - balbettò e
poi aggiunse, - Ero io ad averli, in realtà, non volevo
dirlo a nessuno perché mi vergognavo e così ho
chiesto aiuto a Noriko. -
Altea aggrottò le sopracciglia: - Da quanto voi due siete
così in confidenza? -
“Perchè non riesco a dire una bugia senza darmi la
zappa sui piedi?”
- Non lo siamo, però ai gemelli non sto per niente simpatica
e ho pensato non fosse una buona idea rivolgermi a te o a Hirad dopo
quello che è successo ieri. - si giustificò e si
grattò nervosamente il collo, - A proposito lui... lui come
sta? -
La Sha'ir si spostò i capelli dietro l'orecchio e trasse un
profondo respiro, prima di prendere posto vicino a lei, spalla a
spalla, con la testa che sfiorava quasi quella di Nemeria.
- Sta che non parla. Stamattina mi sono avvicinata e lui non ha nemmeno
alzato lo sguardo dalle bozze delle nuove mappe. Ha persino lasciato la
sua porzione di zuppa, quella che Afareen fa con le lenticchie. - si
massaggiò la fronte e si stropicciò gli occhi
stanchi, sottolineati dalle profonde occhiaie, - Lo so che non possiamo
pretendere che si riprenda da un giorno con l'altro, ma vederlo
così mi fa piangere il cuore. Ho provato a parlare con
Dariush, a fargli notare che è stato crudele con lui, ma non
ha voluto sentire ragioni. L'unica cosa... buona è che
stanotte con me è stato molto gentile, quasi dolce per certi
versi. Mi è sembrato di ritrovare il ragazzo di cui mi sono
innamorata quando sono arrivata qui. -
Nemeria si morse le labbra per non rispondere e si scroccò
le dita, scuotendo appena la testa.
- So che a te non piace, ma ti assicuro che non è una
cattiva persona. Quello che facciamo... solo a volte è
doloroso, ma ti assicuro che è normale per una donna. - le
batté una pacca sulla spalla con un sorriso incerto, -
Quando diventerai una signorina e ti innamorerai di un uomo capirai
quello di cui sto parlando. Allora ti ricorderai di me, di questa
conversazione e dirai “Per tutti i karuş del sultano, Altea
aveva ragione!” -
Il tono platealmente tragico della Sha'ir fece ridere Nemeria che, dopo
aver arricciato le labbra provando a trattenersi, si
abbandonò al riso che contagiò anche la sua
compagna. L'allegria sottrasse aria alla rabbia e la soffocò
così com'era divampata, prima che diventasse un incendio.
- Piuttosto, c'era un motivo particolare per cui hai fatto irruzione
nella mia tenda? -
- Nella tua tenda... guarda come la scoiattolina rivendica il suo
territorio. - la punzecchiò, prima di farsi seria e tirare
fuori dalla tasca un foglio accartocciato, - Mentre stavamo aiutando
Hirad a mettere a posto, ho trovato questo. -
Curiosa, Nemeria lo distese sulla stuoia, lisciando gli angoli con il
pugno chiuso in modo da poterlo osservare meglio. Il disegno non era
completo, mancava un pezzo della parte superiore e una parte della
spalla, ma quella testa mezza rasata e l'orecchino con la catena era
impossibile non riconoscerli. Gli occhi di Altea la fissavano dalla
pergamena, catturati in un momento in cui erano leggermente
più aperti, come se la loro padrona avesse appena visto
qualcosa di così meraviglioso da volersene riempire e la
bocca atteggiata in un sorriso sorpreso, delineato con tratti leggeri e
delicati fino a uniformare le linee nel profilo delle labbra a cuore.
Era così bella e così realistica che Nemeria
pensò per un momento che Altea la stesse prendendo in giro e
si fosse fatta fare un ritratto da uno degli artisti sulla Via degli
Usignoli.
- Anche io stentavo a crederci. Sapevo che Hirad era bravo, le mappe
che fa sono sempre chiare e precise, ma non mi ero mai soffermata a
vedere gli altri disegni. Ne ho conservati altri e dovresti vedere
quanto è bravo. Non ho mai visto nessuno come lui, nemmeno
tra i miei clienti più facoltosi. -
- Clienti? Eri una mercante? -
Altea si rabbuiò e la luce nel suo sguardo si
smarrì in chissà che ricordi. Nemeria le strinse
il braccio e le prese la mano tra le sue, il senso di colpa che
già faceva breccia nel suo cuore.
- Ero merce, Scoiattolo, vendevo il mio corpo per sopravvivere. -
Nemeria aveva la gola secca, non riusciva nemmeno a deglutire.
- Vengo da una famiglia poverissima che viveva nelle campagne vicine
alla catena montuosa dell'Abint Değlar. Per quanto i nostri genitori
amassero me e i miei fratelli, non potevano sfamarci tutti,
così hanno venduto qualcuno di noi per permettere la
sopravvivenza degli altri. Io sono finita qui e l'uomo che mi aveva
comprata mi ha messa a lavorare nella sua casa di piacere. -
intrecciò le dita con le sue, le strinse forte e
tirò su col naso.
- Quanti... quanti anni avevi? -
- Meno di te, Scoiattolo, molti meno di te, ma l'età era
indifferente: i soldi potevano comprare tutto, soprattutto
ciò che la legge vieta. - le fece un buffetto sulla guancia
e distese le labbra nel suo sorriso più rassicurante, - Ma
non voglio parlare di me, nella mia vita non c'è niente di
cui valga la pena parlare. -
- Qualcuno ha sicuramente da ridire. -
- Forse... ma non sono venuta qui per me, ma per Hirad. Volevo proporti
di rubare delle pergamene e di consegnargliele al più presto
possibile. Voglio che torni a sorridere, a straparlare come suo solito
e... - raccolse il foglio e lo accarezzò con la punta delle
dita, quasi con deferenza, - Voglio solo che stia bene, Nemeria, non ce
la faccio a vederlo così per colpa mia e della mia
incapacità. -
“Tu non hai niente da rimproverarti, è tutta colpa
di Dariush!”avrebbe voluto gridare Nemeria, ma tenne quella
considerazione per sé, la recluse nel ripostiglio della sua
mente assieme a tutto l'odio e la rabbia che provava nei confronti del
loro capo prima che la sopraffacesse.
- Cosa... pensi di fare, quindi? -
- Pensavo di rubare delle pergamene e un paio di pastelli colorati. La
scorsa settimana ho notato una bottega nel Quartiere della Pergamena
che ne vendeva di molto belli. Non so se sono migliori rispetto a
quelli che ha ora, ma credo potrebbe fargli piacere riceverne di nuovi,
non pensi? -
- Mi sembra una buona idea, però non saprei come aiutarti.
Io non sono granché a fare la spesa, rischierei di mandare a
monte tutto. -
- Ah, di questo non ti devi crucciare, i miei piani sono sempre
infallibili. Vedrai, non correrai alcun rischio. -
- È sarcasmo quello che sento nella tua voce? -
- No, io? Sarcasmo? Non so nemmeno cosa sia!- rise e le
pizzicò il naso, - Allora, ci stai? -
- Non penso di avere scelta... -
- No, in effetti non ce l'hai, Scoiattolo. -
- Allora perché me lo hai chiesto? -
- Semplice cortesia. -
- Sono commossa da siffatta gentilezza, Altea la Sha'ir. -
La ragazza tirò una schicchera sulla guancia e poi
scrollò la testa con una plateale espressione altezzosa, da
vera nobildonna, facendo tintinnare le catene dell'orecchino e
spostandosi i capelli scompigliati in un gesto stizzito. Poi si
alzò stiracchiandosi e si approssimò all'uscita.
- Ah, non penso serva dirlo, ma vorrei non ne parlassi con nessuno,
nemmeno con Noriko. - aggiunse, - Non prenderla a male, sai che
comunque la stimo, ma è davvero strana ed è molto
vicina a Dariush. Non vorrei che gli riferisse quello che abbiamo
intenzione di fare. -
- Non avevo comunque intenzione di dirle nulla. -
Altea non rispose, rimase in silenzio a guardarla un momento, come se
stesse soppesando le sue parole.
- Va bene, mi fido di te, Scoiattolo. Ora andiamo a cena, prima che
Afareen e Chalipa comincino a berciare perché siamo in
ritardo. -
Nemeria la seguì fuori dalla tenda e si accomodò
attorno al fuoco, vicino a Hami e Kimiya che, non appena la videro, la
salutarono, il primo con un cenno del capo, la seconda con un sorriso
timido e appena abbozzato. Soltanto in un secondo momento parvero
accorgersi del suo cambio di capigliatura, ma nessuno dei due fece
commenti, sebbene a Nemeria non sfuggirono le occhiate confuse e
corrucciate che loro e gli altri membri della famiglia di tanto in
tanto le scoccavano. L'unico che non fece una grinza fu Hirad, che si
limitò ad alzare appena lo sguardo per poi spostare
nuovamente la sua attenzione su un sasso ai suoi piedi, le mani
intrecciate abbandonate nel vuoto e le spalle basse, come senza forze,
stanche con i gomiti che sembravano troppo deboli persino per sostenere
il peso delle braccia. Nemeria provò una grande pena per
lui, per il silenzio in cui si era trincerato e valutò,
scartandola subito, la possibilità di sederglisi vicino. In
qualche modo sapeva, sentiva, che così
facendo non avrebbe fatto altro che aggiungere mattoni al muro che si
era costruito, così si aggrappò al piano di
Altea, promettendosi che avrebbe fatto l'impossibile perchè
funzionasse.
La cena venne servita una ventina di minuti dopo. Come al solito,
Chalipa e Afareen chiacchieravano tra di loro, scambiandosi battute e
ricordandosi a vicenda quanto sale aggiungere, quanti pomodori
tagliare, le proporzioni di acqua necessarie. La pentola sobillava e il
fumo spandeva un profumo intenso di lenticchie mescolato a quello del
limone. Alla prima cucchiaiata Nemeria non fu l'unica a storcere le
labbra per il sapore troppo asprigno, che contrastava e soverchiava
quello vellutato dei pomodori. Persino Hami, che mangiava sempre tutto
senza fiatare, non riuscì a trattenersi dal lanciare una
battutina sagace nei confronti delle ragazze, guadagnandosi un'occhiata
truce e un mestolo puntato alla gola. Quella scena, così
buffa e comica, riuscì a strappare un sorriso persino a
Hirad che, per la prima volta in tutta la sera, smise di rimestare la
minestra per godersi quel divertente battibecco tra suo fratello, calmo
e con un sorrisetto malvagio sulle labbra, e Chalipa, battagliera e
armata di tutti gli utensili da cucina a mo' di gladiatrice. Nemeria
sospettava che lo avessero fatto apposta, che l'aver aggiunto quella
spruzzata di limone solo dopo aver servito Dariush non fosse stata una
semplice dimenticanza come aveva addotto Afareen, ma si avvide bene dal
dirlo: quando il loro capo aveva distrutto i disegni di Hirad non
avevano fatto nulla, quello, ne era certa, era il loro modo di scusarsi
e di fargli sapere che c'erano.
Mentre tutti erano occupati a vedere il duello all'ultimo sangue tra le
due ragazze e Hami, Nemeria cercò Noriko con lo sguardo.
Intercettò la sua testa rossa dietro ai gemelli; stava
finendo la sua minestra seduta per terra con le gambe intrecciate e la
schiena dritta, con gli occhi occupati a fissare il vuoto davanti a
sé, senza prestare la minima attenzione agli altri. Non
appena si accorse di essere osservata, girò la testa nella
sua direzione e puntò le sue iridi azzurre su di lei. Erano
spilli acuminati, frecce ghiacciate che la trafiggevano da parte a
parte e in Nemeria si rifece viva la percezione che quegli occhi
potessero vedere i suoi pensieri, i suoi ricordi, i suoi segreti
più intimi. Abbassò lo sguardo sulla sua ciotola
lentamente, nel gesto più fluido e naturale che i suoi
muscoli le permettevano, e portò alle labbra un paio di
cucchiaiate, nella speranza che la ragazza non interpretasse quella sua
ritirata come un'ammissione di colpevolezza.
“Non sa nulla, non essere paranoica. É un essere
umano e tu ti stai facendo troppi problemi.” tentò
di tranquillizzarsi, ma la sua voce si perdeva nel marasma di paure e
angosce che le ingombravano la testa.
Trasse un profondo respiro e buttò giù l'ultimo
pezzo di pomodoro. L'aria scivolò in gola, lungo la trachea
e le riempì i polmoni quel che bastava per alleggerire il
peso che le gravava sul petto. Non c'era niente che potesse fare, se
non aspettare, sondare il terreno, capire se sotto quelle polle d'acqua
non erano nascoste sirene pronte ad affogarla, eppure in quel tiro alla
fune tra il bisogno di fidarsi di qualcuno e la paura di farlo, Nemeria
sentiva di essere al limite, che l'incertezza che la dilaniava
dall'interno presto l'avrebbe spezzata.
“Non puoi cedere ora, hai troppo da perdere.” si
disse, ma nel profondo sapeva che l'unico motivo per cui continuava a
procrastinare il confronto con Noriko era uno solo: la paura che, se lo
avesse fatto, sarebbe morta, uccisa dalla sua nuova famiglia o gettata
nell'arena a combattere fino al suo ultimo respiro. E, sebbene sapesse
di meritarselo, continuava a fuggirle.
“Sei una codarda.” le sussurrò una voce
malevola.
- Lo so. -
- Bene, adesso che avete finito tutti di mangiare, dobbiamo parlare. -
Dariush uscì dalla tenda e a grandi falcate
arrivò vicino al fuoco. Le fiamme danzavano sul suo viso,
disegnando il profilo volitivo della mandibola e la linea dura delle
labbra sottili, che i giochi di luce e ombre accentuavano e sfumavano
al ritmo pulsante del focolare. Li scrutava a uno a uno, le
sopracciglia folte leggermente aggrottate e le braccia intrecciate sul
petto largo, in attesa che tutti gli rivolgessero la dovuta attenzione.
Non era imponente, agli occhi di Nemeria non lo era mai stato, ma le
occhiaie scure e la pelle tirata del viso lo rendevano quasi spettrale,
un mortale a un passo dal diventare un mostro.
- Noriko mi ha riferito che tra tre, quattro giorni Harmad
sarà di ritorno con un carico di spezie. Come tutti sapete,
spesso commercia nel Quartiere del Legno, ma considerando il viaggio
che ha fatto dubito che la sua merce sia per la gente comune.
É possibile che dovremmo andare a “fare la
spesa” in uno degli altri quartieri ed è possibile
che ci incontreremo con una delle altre bande. - soppesò il
suo sguardo su ognuno di loro, - Per quanto non mi piaccia invadere i
territori altrui, stavolta dobbiamo fare un'eccezione alla regola: se
è come penso io, rivendendo quelle spezie a chi di mestiere,
potremmo metterci a posto per un bel po'. Domani io, Noriko e i gemelli
andremo in perlustrazione, voglio sapere quanti sanno del ritorno di
Harmad. Sappiate che dovrete tenervi pronti, perché stavolta
dovremo organizzare un piano perfetto e tutti voi dovrete collaborare,
che vi piaccia o no. Altea? -
La Sha'ir alzò il capo.
- Domani tu, Kimiya e Nemeria andrete a rifornirvi di unguenti e
medicine nel Quartiere del Ghiaccio. Tenete occhi e orecchie bene
aperti, mi aspetto che se trapela qualche informazione su un possibile
acquirente, me lo riferiate, chiaro? -
- Sarà fatto. -
- Non mi aspettavo altro. - posò il suo sguardo da squalo su
Nemeria, - Tu, vedi di non essere quantomeno d'intralcio durante questa
missione. Ricordati che sei qui per mia gentile concessione. -
La ragazza si morse le labbra e si piantò le unghie nei
palmi, incassando in silenzio. Si impose la calma e lasciò
che le parole le scivolassero addosso, ma queste erano vino sulla sua
pelle in fiamme, la bruciavano alimentando la rabbia che ardeva nel suo
essere. La pietra luna non riuscì a contrastarle. Nemeria
scattò in piedi con le mani che formicolavano e il potere
elementale che si irradiava in ogni fibra del suo corpo, smanioso di
riversarsi all'esterno. Anche Noriko si alzò e agile come un
gatto le fu vicino, le serrò il braccio in una stretta
d'acciaio e le sussurrò qualcosa all'orecchio che
però Nemeria non udì. Esistevano solo lei e
Dariush, il suo sorrisetto borioso da vincitore che gli si allargava
sulla bocca.
- Qualcosa da ribattere, mocciosa? -
Aprì le braccia e alzò il mento, invitandola a
farsi avanti. Nemeria tentò di liberarsi dalla morsa di
Noriko, le diede uno strattone, ma la ragazza rimaneva ferma, poteva
vedere di scorcio i suoi occhi adombrati da una sincera preoccupazione,
ma non le importava: il desiderio di farlo a pezzi, di vedere il suo
corpo divorato dalle fiamme era più forte della paura di
scoprirsi. Poi, prima che potesse colpire Noriko con una gomitata, una
mano si posò sulla sua spalla. Era magrissima e le dita
lunghe, affusolate, leggermente sporche di colore; la sua mente le
collegò immediatamente all'unico membro della famiglia a cui
potevano appartenere.
- Ti sta provocando, non fare stupidaggini. -
C'era una calma piatta nella sua voce, non un tremore, un'esitazione.
Strinse la presa e si fece così vicino, così
tanto che Nemeria potè sentire il suo calore attraverso i
vestiti.
- Non devi perdere la calma, è questo che lui vuole. - le
sussurrò ancora, - Ho già perso abbastanza, non
voglio perdere anche te. -
- Ha ragione, dagli retta. Se ti scopre, è la fine. -
aggiunse Noriko un istante dopo.
Nemeria trasse un profondo respiro e socchiuse le palpebre. La rabbia
premeva contro lo sterno, raschiava le ossa lottando per uscire, ma
più si concentrava sulle mani dei suoi due compagni,
più essa si affievoliva, smorzandosi nel tepore della pietra
luna e nel calore del contatto delle loro mani. “Non sono
sola.”
Il cuore diminuì la sua folle corsa, rallentò
fino a tornare camminare, mentre la tensione abbandonava i nervi e i
muscoli. Quando riuscì a respirare normalmente,
cercò gli occhi di Dariush e quando li trovò non
riuscì a trattenere un mezzo sorriso: era deluso, deluso e
irritato dalla situazione.
“Ho vinto.”
- Bene, per oggi è tutto. Mehrdad, Malakeh, Noriko, domani
vi voglio svegli all'alba. Chalipa, Afareen, preparate la colazione in
anticipo e anche il pranzo. - grugnì, prima di girarsi e
infilarsi nella sua tenda.
Hami e gli altri membri della famiglia ripresero a parlare, anche se il
nervosismo appesantiva ancora l'atmosfera. Noriko tirò un
sospiro di sollievo e rivolse a Nemeria un'occhiataccia severa e piena
di sussiego, ma lei la percepì appena, tutta concentrata
sulla mano di Hirad ancora posata sulla sua spalla. Quando
l'allontanò, le sembrò che si portasse via una
parte di lei.
- Grazie. Grazie a entrambi, io... -
Hirad scosse la testa e le tirò una schicchera in mezzo alla
fronte.
- Fai solo più attenzione, va bene? Non... devi metterti nei
guai, soprattutto con Dariush. - la pelle gli si accapponò
quando pronunciò quel nome, - Ora torno ai miei studi e alle
mie mappe. Non ho ancora terminato di disegnare quelle che abbiamo
visitato insieme, tu pensa. -
- Sei diventato pigro da quando stai sempre chiuso in tenda. -
- Lo sono sempre stato, lo sai che preferisco studiare piuttosto che
uscire all'aria aperta. Non per altro il mio soprannome è
“Ratto”. -
- Allora lo sei più del solito! -
Il ragazzo abbozzò un sorriso e si rivolse a Noriko: -
Tienila sott'occhio tu, io... devo occuparmi delle carte. -
Diede loro le spalle, poi prima di entrare in tenda, si girò
un'ultima volta.
- Stai molto bene così, anche la bandana ti dona. -
Nemeria si sentì avvampare. Si massaggiò il collo
imbarazzata, cercando di comporre una frase di senso compiuto con le
poche parole che non erano corse a rifugiarsi chissà dove.
- Piacciono... piacciono molto anche a me. -
Avrebbe voluto aggiungere altro, un qualcosa di più
intelligente e meno scontato, quando la mano di Noriko le strinse forte
il polso, mettendo in fuga ogni suo buon proposito.
- é tardi, dobbiamo andare. Domani devi alzarti presto. - le
ricordò senza troppi preamboli con un tono monocorde, quasi
atono.
- Ah, sì... sì, è vero. Allora,
buonanotte Hirad. -
- Buonanotte a entrambe. - le salutò e prima che Noriko la
trascinasse via, le sembrò che il ragazzo le avesse sorriso
ancora una volta.
Non appena giunsero nella loro tenda, Nemeria avrebbe tanto voluto
lasciarsi cadere sulla sua stuoia e di addormentarsi con l'immagine di
Hirad che sorrideva, ma la sua compagna non le diede nemmeno il tempo
di distendersi. Prese il barattolino e le ordinò di sedersi
dandole le spalle, con una voce che non ammetteva repliche. Nemeria si
tolse la bandana e, sebbene controvoglia, obbedì. Il tessuto
era punteggiato da piccole macchioline d'inchiostro e sangue, ma
nonostante tutto era più che pulito per gli standard in cui
aveva imparato a convivere.
- Tra cinque, sei giorni non ci saranno più neanche quelle.
- Noriko le spalmava il balsamo con delicatezza, seguendo le linee del
tatuaggio con l'indice, - Domani ti sveglio prima di andare,
così te lo metto. -
Nemeria rimase in silenzio, in attesa di un “va
bene?” o di un “se sei d'accordo” che
però non arrivò. Non era una domanda, ma una
dichiarazione d'intenti, e anche se lei non avesse voluto,
capì che Noriko lo avrebbe comunque fatto.
- Cosa significa il tuo nome? -
Aveva pronunciato quella domanda senza la mediazione del cervello e,
soltanto quando la udì, si rese conto che non aveva
più la consistenza dei pensieri.
Il dito di Noriko si fermò a mezz'aria per una frazione di
secondo, prima di tornare ad applicare l'unguento sopra l'orecchio.
- Bambina esemplare. Perché ti interessa saperlo? -
- Una... mia parente diceva che non è il nome in
sé a essere importante, ma il suo significato
perché in esso è racchiusa la nostra essenza e
quella che i nostri genitori volevano infonderci. Diceva anche che
rivelare un'informazione così importante è segno
di... fiducia. - inspirò, espirò e
ispirò di nuovo, racimolando tutto il coraggio che aveva e
si posò una mano sul petto, - Nemeria, nella lingua
Školt, significa “indomabile”. Mio padre
credo venisse dalle terre del Seber, dall'estremo Nord. L'unica
eredità che ho di lui è quest'ipotesi e il nome
che ha scelto per me. -
Noriko tacque un momento, poi si pulì le mani sui pantaloni
e chiuse il barattolino. Era pensierosa, almeno questa era
l'impressione che Nemeria aveva, sebbene non avesse fatto una grinza
nonostante quello che le aveva rivelato.
- Fidarsi non è semplice, hai avuto coraggio. -
commentò e si stese sulla sua stuoia, - Non hai mai
conosciuto tuo padre, quindi. Tua madre, invece? -
Anche Nemeria fece lo stesso. La luce calda del focolare ondeggiava
sulla tenda, proiettando le ombre sul tessuto, ora trasformato in un
palcoscenico dove delle figure dai contorni sfumati si muovevano,
ballavano e sparivano in un battito di ciglia. La tranquillizzavano, in
un certo qual modo, non erano come le ombre che vedeva nascoste nel
buio, erano quello che lei voleva che fossero, assumevano la forma che
la sua mente imponeva: Rakshaan che giocava col suo pupazzo, Etheram
che correva nella foresta di bambù, le Anziane che ballavano
attorno al fuoco, Hirad che le sorrideva rientrando in tenda.
- Non lo so chi fosse, cioè... non so chi mi ha messa al
mondo, ma la persona di cui ti parlavo prima diceva sempre che
è l'amore con cui si crescono e non il sangue che
condividiamo a renderci figli di qualcuno. Io la mia mamma la
conoscevo, il suo nome era Hediye. Le volevo molto bene. -
- É morta? -
- Sì. -
Aveva la voce strozzata e il cuore le faceva male. La stanchezza le
rendeva le palpebre pesanti, ma non era abbastanza per seppellire il
dolore che premeva da sotto lo sterno. Ancora faceva male, nonostante
il tempo, le settimane, faceva ancora male.
Noriko si girò e le prese la mano, la strinse appena e
passò l'altro braccio sotto il collo in modo da cingerle le
spalle.
- Non voglio dormire, ho paura che se chiudo gli occhi loro mi verranno
a cercare. - ammise Nemeria in un bisbiglio.
Non sapeva nemmeno lei a chi si riferisse: le ombre, i predoni, i
mostri che popolavano i suoi incubi sembravano tutti darle la caccia,
incessantemente, sempre. Persino nei sogni, nelle terre dove i vivi e i
morti possono incontrarsi, non c'era via di fuga.
- Non permetterò a nessuno di farti del male. Nessuno,
Nemeria, ti potrà toccare. - il corpo di Noriko
aderì al suo, le sue gambe si intrecciarono con le sue, in
un incastro perfetto, - Ora dormi, domani sarà una lunga
giornata, sia per me che per te. -
- E se venissero a cercarmi? Se riuscissero... -
- Non accadrà, perché io glielo
impedirò. -
Nemeria avrebbe voluto chiedere come, ma il sonno la stava
già reclamando. Mentre si addormentava, cullandosi nel
sorriso di Hirad e nell'abbraccio di Noriko, la voce dell'Alta
Sacerdotessa risuonò nella sua mente. Era nitida, viva come
se la donna fosse stata lì vicino a lei, ma quando Nemeria
tentò di aprire gli occhi, le palpebre rimasero chiuse,
incollate.
Vedo lontano, oltre le nebbie. Vedo un mondo che non mi
è più caro, un eterno inverno dove il sangue
scorrerà imbrattando la virginea bellezza della primavera.
Il disonore prevarrà, la lealtà verrà
calpestata, il coraggio arderà nelle fiamme degli incendi.
Ogni uomo diverrà un traditore, ogni tradito un omicida.
Allora sarà l'Era della Falce e verrà emesso il
giudizio sul mondo.
Una mano le sfiorò la guancia, era tiepida, morbida e le
dita erano lunghe. C'era una delicatezza infinita in quella carezza.
Figlia di Chandra, considera il lato nascosto delle cose e
chiediti cosa non conosci. Scruta al di là delle ombre,
diffida dalla luce, segui il sentiero che ti trascinerà
verso l'abisso e ti innalzerà al di sopra degli altri figli
di Chandra e Heydar.
“Dove siete? Alta Sacerdotessa, siete viva? Mi state
chiamando?”
Provò a parlare, ma la bocca non si mosse e la sua speranza
rimase intrappolata nella sua mente, inespressa, mentre la mano
continuava ad accarezzarla, catturando le lacrime che sfuggivano dalle
ciglia ad una ad una. E Nemeria avrebbe voluto toccarle quelle mani,
rivedere quella donna che aveva dato la sua vita per la salvezza della
sua gente, ma per quanto lottasse, non riusciva a muovere un muscolo.
Soltanto quando la stanchezza vinse ogni sua resistenza,
riuscì a schiudere appena le palpebre e a scorgere una
chioma bianca svanire nella luce tenue del focolare.