Teatro e Musical > Les Misérables
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Autore: Christine Enjolras    16/05/2017    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Grantaire

La camera da letto di Bahorel e Grantaire era in un disordine indescrivibile, anche peggio del solito: normalmente i due ragazzi non erano ordinati e si poteva sempre trovare qualche vestito sparso a terra accanto ad alcuni libri lasciati cadere come capitava e sulla scrivania vedere fogli sparpagliati e matite o penne, almeno finché Éponine o uno dei suoi genitori non passava a metterla a posto. Anche quel pomeriggio c’erano indumenti gettati a caso sul pavimento della stanza assieme a libri e quaderni, penne sotto o sulla scrivania e fogli sparsi ovunque, ma nell’aria si respirava un pesante odore di fumo e una discreta puzza d’alcool. Oramai era la terza bottiglia di birra che Grantaire lasciava cadere sul pavimento accanto al posacenere pieno di mozziconi di sigaretta: da quando era rientrato alla residenza, non aveva fatto altro che bere e fumare, entrambi vizi che aveva preso iniziando le scuole superiori. La finestra era aperta, ma questo non bastava né a far uscire l’aria viziata dalla camera, né a far passare il caldo che Grantaire iniziava a sentire per colpa dell’alcool in circolo. Le prime due bottiglie le aveva scolate seduto sul letto, ma a metà dell’ultima aveva avuto bisogno di stendersi e alla fine della bottiglia era ancora lì, sdraiato senza maglietta, la mano destra penzolante con una sigaretta ancora accesa tra le dita. La testa aveva iniziato a girargli, ma Grantaire era conscio del fatto di essere ancora lucido, quindi decise che non si sarebbe fermato: voleva assolutamente smettere di pensare alla discussione avuta a pranzo, dimenticarsene, se possibile. Mentre fissava il soffitto, con la testa sprofondata nel cuscino e i capelli riccioli sparsi su di esso, continuava a chiedersi perché ancora ci provasse con Enjolras: era quasi un anno che la maggior parte delle loro discussioni finiva in vere e proprio litigate, arrivando anche a parole pesanti e dure, senza contare che era sempre lui a prendersele da parte di Enjolras, poiché lui mai sarebbe riuscito ad insultarlo. Quel giorno, le parole di Enjolras lo avevano ferito più del solito e non riusciva a togliersele dalla testa: “L’unico a illudersi qui sei tu, che pensi di essere in una posizione tale per me da potermi davvero fermare” aveva detto; “Io andrò fino in fondo a questa storia, che a te piaccia oppure no: me ne frego” aveva aggiunto poi. ‘Che pensi di essere in una posizione tale per me da potermi fermare… me ne frego.’ Ogni volta che Grantaire ci pensava, le parole gli risuonavano nella testa e lo colpivano al cuore come delle pugnalate. ‘… che pensi di essere in una posizione tale per me… me ne frego… me ne frego.’ Basta! Ci stava già pensando troppo: gli venne da piangere, ma si costrinse a non farlo. Prese un respiro profondo, tremolante per lo sforzo di trattenere le lacrime, e recuperò l’apribottiglie con la mano sinistra, mentre cercava nervosamente una bottiglia di birra con quella destra. Non trovandola, si innervosì ulteriormente, alzò il busto dal letto in modo da riuscire a guardare a terra, recuperò una bottiglia e cercò di aprirla, arrabbiandosi perché le mani gli tremavano per la fatica di trattenere il pianto. Alla fine ci riuscì, scaraventò a terra il tappo con tutta la forza che l’ira gli aveva conferito e sprofondò nel cuscino, prendendo un lungo sorso di birra. In qualche modo aveva funzionato: non poteva dire che le lacrime non le sentisse più, ma sicuramente non più come prima. Pian piano si stava ubriacando, iniziava a sentirlo, ma sapeva che gli sarebbe mancato ancora tanto.

“R, sei ancora lì?” sentì dire da una voce fuori dalla stanza: era quella di Bahorel, Grantaire la riconobbe subito. Strano che tornasse in stanza dopo aver litigato: non sembrava una reazione da Bahorel.

“E dove, se no?” rispose Grantaire senza scomporsi, pensando che forse Bahorel si era calmato rispetto a prima. Si erano rinfacciati a vicenda vizi ed errori passati, alcuni dei quali solo loro sapevano l’uno dell’altro, e questo gli aveva fatto piuttosto male: aveva appena scoperto che Bahorel era l’unico vero amico che aveva lì dentro ed ecco che anche con lui si era preso a parole e quasi anche a pugni. Grantaire lo sentì girare la chiave nella serratura e aprire la porta lentamente, ma ancora una volta non si mosse. Quando non lo sentì avanzare, gli disse: “Dopo metto in ordine, ma ti prego basta discutere: direi che ho avuto abbastanza litigate per oggi. Anzi…” Grantaire dovette fare una pausa per riprendere fiato: sospirò, si passò una mano sopra gli occhi e, tirando su con il naso, aggiunse: “Scusami se ti ho rinfacciato di tutte le volte che ti sei fatto bocciare: non avrei dovuto sapendo quello che stai passando.”

“Non preoccuparti: non sono qui per questo…” disse Bahorel con un tono di voce che Grantaire gli aveva sentito raramente: sembrava triste, forse dispiaciuto, ma allo stesso tempo confuso e un po’ allarmato. Dopo una breve pausa, mentre Grantaire stava prendendo un altro sorso di birra, Bahorel aggiunse: “Ricomponiti… hai visite…”

Il ragazzo dal fisico asciutto non si mosse nemmeno questa volta: si limitò semplicemente a chiedere: “Ah, davvero? Chi?” In quel momento era talmente sconvolto che non gliene importò nulla di chi stesse per entrare: per lui poteva anche essere quella rompiscatole salutista di sua madre che tanto non si sarebbe sistemato lo stesso. Continuava a bere quando sentì Bahorel parlare a voce bassa con qualcuno e dirgli qualcosa di simile a ‘Vieni, ma vacci piano’. Poi sentì dei passi leggeri avanzare nella stanza: erano dei passi che lui conosceva bene e udirli lo fece fermare di colpo. Staccò la bocca dalla bottiglia, si sollevò sui gomiti, torse il busto, portando così tutto il peso sul gomito destro per potersi girare, e, nel vederlo, sgranò gli occhi: Enjolras stava entrando nella stanza, disordinato, visibilmente stanco, come si fosse precipitato subito da Grantaire non appena tornato alla residenza. Il biondo ragazzo si fermò vicino alla porta e diede una lenta occhiata alla stanza in disordine: quando notò tre bottiglie vuote ebbe un leggero sussulto e, quando vide la quarta in mano a Grantaire, sospirò con i grandi occhi azzurri pieni di severo dispiacere.

“Vi lascio soli” disse Bahorel guardando fisso Enjolras e tirando leggermente la porta verso di sé: Grantaire notò che aveva già la mano sulla maniglia: forse era lì da quando aveva aperto la porta.

“Sì…” gli rispose Enjolras voltandosi appena verso di lui di scatto, quasi si fosse appena risvegliato da uno stato di trance. Poi portò una mano alla fronte, chiudendo gli occhi, e concluse: “Sì, grazie Bahorel.” Il robusto ragazzo restò a fissare ancora il leader con occhi preoccupati, poi lanciò un’ultima occhiata a Grantaire e, abbassando lo sguardo, chiuse la porta dietro di sé, lasciando soli i suoi amici.

Ci fu un attimo di silenzio tra i due, durante il quale Grantaire fissò Enjolras guardarsi attorno con quella delusione nello sguardo che da tempo era abituato a vedere. Amava da impazzire i profondi occhi di Enjolras e vederli pieni di delusione lo feriva nel profondo: avrebbe tanto voluto alzarsi e scusarsi, magari cercare di rassicurarlo con una carezza sulla nuca… ma perché si stava dispiacendo, poi? Aveva deciso di farla finita con questa storia, quindi perché preoccuparsi delle sue opinioni? Del resto, il parere del biondino lo aveva già ferito a sufficienza, per quanto lo riguardava, quindi si decise di fregarsene: si sdraiò nuovamente e fece un tiro con la sigaretta. “Che ci fai qui?” chiese Grantaire prima di soffiare il fumo verso il soffitto: a quel gesto, con la coda dell’occhio vide Enjolras voltarsi di colpo.

“Pensavo avessi smesso di fumare” gli disse subito il ragazzo biondo con un tono e uno sguardo tipico di chi sembra sorpreso: a quella considerazione, Grantaire rispose con un altro tiro di sigaretta ed Enjolras restò a fissarlo, portando poi lo sguardo sulla bottiglia. “E speravo che stessi anche riuscendo a smettere di bere… sei ubriaco in questo momento?”

Grantaire si lasciò sfuggire un leggero risolino ironico e soffiò fuori il fumo. “Speravi, eh?” disse il ragazzo dai riccioli scuri lasciando cadere la cenere della sigaretta nel posacenere e portando la bottiglia vicino alla bocca. “E da quando te ne importa qualcosa?” chiese in seguito, prima di prendere un lungo sorso di birra. In tutto questo tempo, aveva parlato senza guardare Enjolras se non con la coda dell’occhio: fissava senza alcuna attenzione il paesaggio fuori dalla finestra, quelle fredde e grigie nuvole che minacciavano pioggia da un momento all’altro oltre gli edifici bianchi del quartiere moderno, facendo sì che gli abitanti del comune parigino fossero costretti a tenere accese le luci all’interno delle loro abitazioni.

“Sai che mi importa!” rispose impetuosamente Enjolras voltandosi verso di lui. Grantaire si girò a guardarlo: poteva vedere quella sincera convinzione che tanto adorava nei suoi occhi e questo lo fece tentennare.

Tuttavia non cedette: tornò a fissare il vuoto per qualche secondo, emettendo un altro risolino ironico e scuotendo la testa. Guardava ancora oltre la finestra quando disse: “Oggi a pranzo non sembrava importarti un granché di me.” Lo disse schiettamente prima di voltarsi a guardarlo nuovamente, quasi stesse cercando di sfidare Enjolras, o forse di allontanarlo da sé, Grantaire stesso non ne era sicuro: nella sua testa voleva sapere cosa Enjolras pensasse di lui, ma anche allontanarlo, se gli era possibile, in modo da far sì che la distanza affettiva dal ragazzo facesse passare la cotta che aveva per lui, cotta che si avvicinava sempre di più all’innamoramento, se ancora non c’era arrivata. Enjolras sembrò messo in difficoltà da quella considerazione: sussultò e abbassò lentamente lo sguardo, gli occhi azzurrissimi pieni di dispiacere e di senso di colpa, rendendoli dolcemente tristi. Quell’immagine fece quasi intenerire Grantaire: Enjolras aveva un tale carattere deciso e maturo da far scordare quanto il suo viso fosse dolce, delicato e quanto lo facesse sembrare più piccolo di quanto non fosse in realtà. Grantaire lo aveva davanti agli occhi tutti i giorni, ma appunto per questa sua abitudine di osservarlo con una certa frequenza in certe occasioni dava per scontato quanto delicato e bello fosse il viso di quel ragazzo. Tuttavia non volle abbandonare la sua posizione, nossignore: doveva finire lì, oramai era deciso.

“Mi dispiace” disse Enjolras arrossendo leggermente.

Grantaire alzò leggermente la testa e sgranò gli occhi celesti: non poteva credere alle sue orecchie, non ci voleva credere! “C-come?”

Enjolras alzò lo sguardo con fierezza, nonostante il rossore del viso, e ripeté con decisione: “Ho detto che mi dispiace.” Il ragazzo dai lunghi capelli biondi si avvicinò a Grantaire, facendo in modo, inconsciamente, che egli si sentisse costretto a gettare la sigaretta, appoggiare la bottiglia e sedersi a bordo del letto davanti a lui, gli occhi spalancati per la sorpresa. “Ero arrabbiato e ho detto cose che non pensavo per davvero… sono stato ingiusto con te, quindi mi scuso.” Seguì un lungo silenzio, durante il quale Enjolras spostò lo sguardo sempre più imbarazzato verso il pavimento e Grantaire restò a fissarlo con stupore per vedere dove volesse andare a finire con quel discorso: sapeva che Enjolras era molto orgoglioso, quindi non si aspettava certo delle scuse tanto umili. Dovette attendere ancora un po’ prima che il biondino parlasse: “Non è vero che per me non conti nulla…”

Grantaire non riusciva a credere a ciò che era appena successo e queste parole gli scaldarono il cuore, facendogli cambiare idea: non sarebbe mai riuscito a rinunciare ad Enjolras, nonostante le infinite discussioni che sicuramente avrebbero dovuto affrontare in futuro. Sorrise addolcendosi, abbassò lo sguardo sulle mani di Enjolras, ne prese una tra le sue e tornò a guardarlo in viso. Come si sentì prendere la mano, Enjolras sgranò gli occhi sussultando e si voltò verso Grantaire, il quale intenerì lo sguardo e lo fece sedere alla sua sinistra. “Anch’io ti devo le mie scuse” disse guardandolo negli occhi. “Suppongo di aver esagerato dandoti dell’ingenuo. Non posso dire di credere nella tua rivoluzione, ma mi spiace di averti dato dell’illuso, specialmente perché credo in te.”

“Perché lo fai?” chiese Enjolras con sguardo serio. “Se credi in me allora perché mi dai sempre contro?”

Grantaire abbassò lo sguardo ed esitò per qualche istante, non perché non sapesse la risposta, ma perché non se la sentiva di dire la verità. “Non lo so” rispose alla fine tornando a guardare il biondo ragazzo. “Forse perché credere nella tua causa o credere in te è una cosa diversa. Io ho fiducia nella tua intelligenza: vorrei solo che stessi lontano da guai che puoi evitare…”

“Come puoi essere tanto cinico da essere già certo che andrà male?!” Enjolras aveva un tono molto arrabbiato e Grantaire si tirò leggermente indietro con la schiena, dispiaciuto che stessero di nuovo per discutere. Da quella sua reazione, Enjolras restò immobile a guardarlo, poi sospirò brevemente strizzando gli occhi. In quel piccolo gesto, Grantaire riuscì a vedere tutto il suo dispiacere per essere caduto nuovamente in fallo. “L’ho fatto di nuovo, eh?” disse rilassando le palpebre, mentre le sue sopracciglia assunsero una piega rassegnata, quasi dispiaciuta. “Vengo qui a chiederti scusa per averti urlato addosso e lo faccio sgridandoti un’altra volta…” Girò il viso verso l’interno della stanza, aprì gli occhi e si lasciò scappare un risolino amaro, molto severo nei propri confronti. "Davvero una mossa intelligente e matura…”

“Ehi, ehi!” lo fermò subito Grantaire facendogli voltare il viso verso di sé prendendogli il mento. “Ehi…” Quando Enjolras spalancò gli occhi guardandolo, Grantaire passò l’indice sulla sua guancia, seguendo il suo dito con lo sguardo. “Non essere così severo con te stesso: hai solo sedici anni, piccolo. Non puoi certo pretendere di essere un uomo fatto e finito in piena adolescenza, non credi?”

Enjolras restò a guardarlo in silenzio per un po’, quasi non avesse fiato né parole per rispondergli, finché i suoi occhi non si fecero di nuovo tristi e si abbassarono sul copriletto color crema con fiori in tinta e Grantaire non si sentì come costretto ad abbassare la mano: forse quei suoi gesti lo stavano mettendo a disagio. “Perché continuiamo a litigare, io e te?” chiese alla fine il biondino senza alzare lo sguardo.

Grantaire rimase a guardarlo dispiaciuto; poi sospirò, si fece serio e gli rispose: “Non lo so.” A quella risposta Enjolras alzò lo sguardo verso di lui e i suoi occhi si riempirono di sorpresa nel vederlo tanto serio. “So solo che prima non era così tra me e te: te lo ricordi?” proseguì Grantaire mettendogli una mano sul polpaccio della gamba destra, che Enjolras teneva piegata sul letto sotto alla sinistra. “Quando ci siamo conosciuti andavamo d’accordo: ti ho insegnato a cucinare, ti aiutavo con i compiti di storia dell’arte, ti portavo in città, ti aspettavo alla fine delle lezioni… non so davvero dirti cosa sia successo poi…” La robusta mano di Grantaire passò dal polpaccio alla coscia e Enjolras sembrò guardarla senza più fiato; poi il ragazzo dai riccioli scuri avvicinò il suo viso a quello di Enjolras e il biondino tornò con lo sguardo fisso sui suoi occhi di scatto. “So solo che darei qualsiasi cosa per tornare a quei giorni…” Fu a quel punto che i suoi occhi caddero sulle labbra di Enjolras. Voleva baciarlo: stavolta ne era deciso. Non sapeva cosa sarebbe successo dopo che lo avesse fatto, ma non gli importava: non capiva nemmeno se fosse colpa dell’alcool se stava davvero per compiere una simile follia, ma a chi interessava? Voleva baciarlo e lo avrebbe fatto, soltanto questo contava. Grantaire continuava a passare lo sguardo dalle labbra agli occhi di Enjolras e iniziò ad avvicinarsi sempre di più al suo viso, notando che il ragazzo non si stava muovendo di lì.

Gli mancava poco per trovare le labbra leggermente carnose di Enjolras, quando oltre la porta si udì una voce. “ENJOLRAS! VIENI: HO BISOGNO DI TE!”

Nel sentire quella voce, il biondino parve ricominciare a respirare con un leggero sussultò e alzò lo sguardo verso la porta, facendo cadere inconsciamente la decisione di Grantaire, che tolse la mano dalla sua gamba e si allontanò. “Io… emh…” iniziò timidamente Enjolras passando gli occhi dalla porta a Grantaire continuamente, “…i-io devo andare…”

“Certo” disse Grantaire ruvidamente mentre Enjolras si alzava dal letto per dirigersi verso l’uscita. “Ovviamente devi andare: Courfeyrac ha chiamato.” Era deluso: c’era andato vicinissimo a baciarlo dopo due anni eppure non c’era riuscito! Non sapeva neanche come chiamarla questa misteriosa forza che lo teneva sempre lontano dalla riuscita delle sue imprese: sfortuna, karma, maleficio, destino… tanto più che lui non credeva in nessuno di essi!

“Grantaire?” lo chiamò Enjolras stando sull’uscio della stanza e tenendo la mano sinistra sulla maniglia e la destra sulla porta: per un attimo l’arrabbiatura sparì. “È tutto risolto ora tra noi?”

Grantaire addolcì lo sguardo, gli sorrise e gli rispose: “Certo, piccolo.” Enjolras rispose al suo sorriso ed uscì chiudendo la porta lentamente. Grantaire lo guardò andarsene con occhi pieni di affetto e, dopo alcuni istanti che la porta fu chiusa, prese in mano la bottiglia di birra che stava bevendo, la appoggiò a terra e si lasciò cadere di schiena sul letto, dicendo: “E come potrei portarti rancore?”

   
 
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