Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: badheadache    16/05/2017    4 recensioni
Dal primo capitolo.
"Non ricordava cosa aveva sognato, ma ormai era consapevole del fatto che la differenza tra realtà e incubo era davvero sottile, quasi inesistente. Perso completamente il sonno, decise di alzarsi per dirigersi nel refettorio. Quasi ogni notte andava lì, solitamente senza grandi motivi. Semplicemente adorava, quando non riusciva ad addormentarsi, osservare dalle grandi vetrate la luna, che quasi gli sorrideva come una madre. [...]
“Quindi è per questo che la mattina fai così schifo durante gli allenamenti, moccioso?” Eren sobbalzò e si congelò sul posto.
Il capitano Levi era l’ultima persona che voleva incontrare, e per giunta in un’occasione del genere. Non aveva pensato a cosa dirgli, sapeva solo che doveva, prima o poi, dirgli qualcosa."
(Long sulla coppia Eren e Levi, che seguirà il corso degli eventi dell'anime, cercando di approfondire le interazioni umane, che nella storia, giustamente, non sono troppo presenti).
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 3
 
Eren si svegliò in modo lento e pacifico dopo anni di risvegli soffocanti. Per la prima volta si sentì veramente riposato, fresco e attivo: peccato fosse ancora notte. Lo capì dal fatto che si era svegliato da solo e che non sentiva schiamazzi provenire dalla superficie. Lentamente prese coscienza di sé, per poi alzarsi adagio. Aveva una grande fame, e si ricordò di aver saltato la cena della sera prima. Di colpo, gli venne in mente il perché: aveva dormito un sonno senza sogni in quanto svenuto dalla fatica. Se per riposarmi degnamente devo prima svenire siamo messi bene, pensò ironico.
Si diresse verso la cucina, mentre il suo stomaco invocava pietà. Pensava poi di andare nel refettorio a mangiare, come suo solito. Non vedeva l’ora di salutare l’amata luna, e soprattutto di farlo mentre mangiava un bel piatto di qualcosa che si sarebbe riscaldato. Suo malgrado, si dovette arrangiare con verdura varia, ma aveva imparato a non lamentarsi. Pensò a Sasha, la ragazza-patata, che al posto suo avrebbe letteralmente svuotato le cucine.
Si diresse lentamente al refettorio. Per strada si trovò a sperare che ci fosse già lì qualcuno, e il suo pensiero andò direttamente al capitano Levi. Non desiderava veramente di incontrarlo perché trovava i momenti in cui era solo col capitano ansiosi e vagamente imbarazzanti, ma aveva uno strano desiderio di rivederlo, lì nel refettorio, a bere la sua tazza fumante di the.
Quando si era trasformato in gigante lo provò come impulso naturale: fu così che passò tutto l’esperimento a guardarlo senza ritegno e vergogna. Da titano l’aveva ritenuto un gesto normale, perché probabilmente Eren, in stretto contatto col corpo da gigante, realizzava e formulava i pensieri in maniera più primitiva. Inoltre, doveva ammettere che guardare con gli occhi di un gigante il capitano Levi incuteva molto meno timore che guardarlo da umano, seppur in entrambi i casi visibilmente più basso.
Perché voleva così tanto osservarlo? In forma da titano, Eren l’aveva quasi considerata un’azione di sopravvivenza, come se senza il capitano non riuscisse a mantenere il controllo. In effetti era stato proprio lui a riuscire a svegliarlo dalla sua rabbia: si era trasformato dopo essersi maciullato le mani, e alla fine ci era riuscito perché aveva pensato al ricordo più doloroso che aveva, quello di sua madre morta, mangiata da quel fottuto titano sorridente. Aveva quindi focalizzato l’obiettivo di uccidere il gigante, ma se ne era talmente convinto che quando si trasformò non riuscì più a ritrovare la ragione.
In pochi secondi, però, sentì una formica sulla sua faccia che aveva riconosciuto in un battito di cuore. Levi si era posizionato sopra il suo naso, davanti e vicino a lui, e, seppur l’avesse minacciato, a Eren quell’immagine era entrata violentemente nella testa. Ecco perché, dopo aver riacquistato lucidità, gli sembrò di vitale importanza continuare a guardare l’uomo che, ne era sicuro, sarebbe sempre riuscito a riportarlo alla ragione.  
Entrò nel refettorio quasi col cuore in gola, ma non ci trovò nessuno. Intristito per una ragione che non riuscì o che non volle capire, si accinse a finire la cena, cercando conforto nella luna.
 
*
 
La mattina arrivò lentamente. Eren tornò nella sua camera a cambiarsi e sgusciò dai sotterranei per andare a fare colazione. Per la prima volta godette dei benefici di essere mattinieri: primo tra tutti, la doppia porzione di pane e gallette. Si posizionò nel suo solito tavolo, in attesa degli altri, che, a parte Mikasa, non si svegliavano facilmente. La stessa Mikasa vedendolo già lì si stupì piacevolmente, ed iniziò a chiaccherare con lui per verificare che stesse bene dall’esperimento del giorno precedente. “Buongiorno Eren, come mai già sveglio?” Eren si accorse dal suo tono di voce che in quella giornata si sentiva decisamente bene: “Buongiorno Mikasa! Questa notte ho riposato come non mai, e mi sono svegliato molto presto. Ho già fatto una piccola colazione prima, da solo, ma sapessi che fame ho ancora!” Le sorrise smagliante. Mikasa arrossì leggermente: ormai erano anni che non vedeva più il più largo sorriso di Eren. “Meno male, pensavo non ti sentissi ancora bene: ieri non sei venuto a cena e mi sono preoccupata, ma non ho avuto il tempo di venire a trovarti.”
“Cfome mai? Che è suffesso?” Eren si era letteralmente ingozzato con il secondo pezzo di pane. “Io e Armin siamo andati alla riunione che avete richiesto”. Mikasa non era una ragazza di tante parole, ma la frase bastò a far andare di traverso il pane ad Eren. Dopo cinque minuti di pacche pesanti sulla schiena, finalmente riuscì a parlare: “Cazzo, la riunione! Che è successo? Di cosa avete parlato? Ci dovevo essere anche io Mikasa, cazzo!” Solo il pensiero del titano dalle fattezze femminili gli metteva una grande ira addosso. La sua amica, però, tacque, abbassando lo sguardo. Eren cercò di essere paziente, anche se la rabbia gli faceva vedere rosso: si fidava delle ipotesi di Armin, che solitamente si rivelavano essere l’esatta realtà, ed era ansioso di carpire l’informazione.
Proprio in quel momento, però, arrivarono Jean, Connie e Sasha. Jean si sedette – ovviamente – di fianco a Mikasa, cercando pateticamente di sedurla in qualche modo, mentre Sasha si avventò sul cibo, producendo versi strani. Nessuno la guardò male perché ormai erano abituati. Connie salutò senza molto entusiasmo, cercando di intavolare un discorso sull’allenamento mattutino, ma l’attenzione di Eren era totalmente rivolta a Mikasa, la quale non aveva ancora alzato gli occhi dal tavolo. “Non posso dirtelo Eren… Credo lo farà uno dei capitan-“ sbatté il pugno sul tavolo, forte. La sua giornata era stata parzialmente rovinata, e in più aveva attirato l’attenzione. Fregandosene, si avvicinò a Mikasa per sussurrarle la sua domanda più impellente: “E quando dovrebbero dirmelo?”
Lo sguardo di Mikasa si abbassò, ed Eren capì la risposta. Tentò di calmarsi in tutti i modi, ma stava per esplodere. Si girò per alzarsi dalla panca ed andarsene, ma qualcosa  lo bloccò. Il capitano Levi era proprio dietro di lui, e lo guardava dall’alto al basso con occhi severi. “Jaeger, dopo l’allenamento nel mio ufficio e saprai tutto. Vuoi placarti o morire nel tuo amato refettorio?”
Girò i tacchi, ed Eren rimase a fissare la sua schiena con la mente vuota. Sì, si era decisamente calmato.
 
*
 
Eren sfogò la sua rabbia repressa durante l’allenamento, ma non ebbe grandiosi effetti, se non quello di aumentarla: infatti si scagliava contro ogni cosa che doveva abbattere, con il risultato di farsi male da solo. Sembrava un ariete inferocito, ed a un certo punto si accorse che tutti a parte Mikasa si rifiutavano categoricamente anche solo di provare a lottare con lui. Mikasa era di gran lunga superiore nelle arti marziali degli altri, e in poche mosse lo metteva sempre a terra. Questo non faceva altro che esasperare Eren, il quale neanche si accorse di aver iniziato ad urlare ad ogni suo attacco.
Dopo il millesimo atterraggio di Mikasa decise di prendersi una pausa. Dopo ore, aveva finalmente capito da solo che la sua rabbia lo motivava, sì, ma in più lo accecava. Come al solito.
Si congedò a Mikasa senza dirle una parola, ed andò a bere dell’acqua. Osservò gli altri allenarsi: notò che in qualche modo la sua determinazione rabbiosa, seppur li spaventasse, mosse anche loro. Si stavano allenando concentrati, e molti combattimenti a corpo a corpo stavano durando più del previsto. Forse, pensò Eren, era quello il modo migliore di sfogare la tensione. Un po’ come bagnarsi con l’acqua fredda dopo aver sudato.


Vide i capitani apprezzare quel comportamento, in quanto se ne stavano in disparte, senza intervenire a correggere i suoi compagni. Osservò il caposquadra Hanji farneticare qualcosa ad un impassibile e distante Levi. Probabilmente gli stava spiegando qualche importante scoperta dall’esperimento del giorno scorso, senza riscontrare lo stesso entusiasmo. Come ieri pomeriggio, il capitano sembrava alla ricerca di qualcosa nel nulla davanti a lui. Eren aveva avuto il tempo di osservare ed assimilare il comportamento di Levi per tutto l’esperimento, fino a svenire con lui come suo ultimo ricordo. Levi aveva smesso di cercare di intavolare conversazione, e molto spesso Eren aveva notato che si perdeva a guardare il nulla, sempre con lo stesso sguardo corrucciato.
Era impaziente di sentire ciò che aveva da dirgli in ufficio. Eren sperava di rimettersi in azione il più presto possibile, anche da solo: aveva un bisogno fisico di vendicare le persone che, pur non conoscendolo dall’infanzia come Armin e Mikasa, gli avevano affidato la loro massima fiducia. Era sicuro che anche il capitano provasse questo tipo di sentimento.
La testa di Levi si girò verso di lui. Il suo sguardo ancora più scuro dall’ombra dell’albero incontrò quello di Eren, cocente di rabbia ed inondato dal sole del campo di allenamento. Non vide nessuna scintilla, ma occhi spenti, addirittura meno inquietanti del solito. Eren gli rivolse uno sguardo interrogativo, e lui gli fece segno di tornare ad allenarsi.
 
*
 
Eren entrò nell’ufficio di Levi direttamente dopo gli allenamenti, senza aver fatto la doccia. Non era un suo problema, non ora. Si dimenticò perfino di bussare, e vide il capitano seduto, rivolto verso la finestra, con qualcosa in mano: Eren lo spaventò, facendolo sobbalzare e girare con occhi inferociti.
Eren pensò che era quello sguardo di Levi che conosceva davvero; stranamente non provò paura, ma qualcosa di simile al sollievo. “Moccioso, cazzo se sei invadente. E puzzi un sacco. Dovresti rivedere le tue priorità, che merda”. L’aveva fatto arrabbiare: sapeva che il tono del capitano, seppur sommesso, nascondeva un’ira crescente, ma nella sua foga se ne fregò anche di quello. “Capitano, sono qui per sentire ciò che Armin vi ha detto durante la riunione. Voglio sentirlo ora.”
Levi la prese come una grande provocazione, poiché Eren non era stato per nulla educato. Si alzò ponderando le sue mosse lentamente, sia per incutere terrore che per non esplodere, e in due passi felini fu davanti alla sedia di Eren. Lo prese per la maglia e lo tenne alzato saldamente col pugno, mantenendolo comunque più in basso rispetto alla sua faccia.
“Come, prego?” Sibilò. Era la rabbia fredda di Levi, quella silenziosa e letale, simile all’attacco di un serpente. Eren aveva paura di quell’espressione, ma ne era allo stesso tempo terribilmente affascinato. Lo osservò per un secondo che durò tutta la loro vita: non lo aveva mai visto così da vicino. In quel momento si calmò: davanti a lui la sua rabbia svaniva completamente, in qualsiasi situazione si trovassero. Non capiva il perché, sapeva solo che succedeva sempre. Sospirò, scandendo lentamente le parole senza abbassare lo sguardo, ma anzi sostenendolo: gli piaceva comunque esporsi al pericolo, e Levi lo sapeva fin troppo bene. “Vorrei avere un rapporto sulla riunione svoltasi ieri sera, signore. Per favore.”
 
Il capitano lo lasciò andare, scaraventandolo indietro. “A volte davvero ti ammazzerei, Jaeger. Te la farò pagare, moccioso”.
L’elettricità che si era creata restò nell’aria, ma fu sostituita dalla tensione che Eren provava. Non proferì parola, in attesa del capitano. “Ieri sera, durante quella riunione a cui ti sei fissato fottutamente tanto, Alert ci ha riferito l’ipotesi che il titano dalle fattezze femminili sia una cadetta della tua ex-squadra di addestramento, una certa Annie Leonhart.” In seguito gli elencò tutte le prove che Armin aveva notato, a partire dai capelli del gigante fino al suo comportamento.   
Eren, però, si era fermato alla prima frase. Il suo sguardo si annebbiò, lasciando spazio alle lacrime, che uscirono senza ritegno. Erano lacrime silenziose e prepotenti, derivate da quello che lui considerò immediatamente un tradimento. Perché…?
Indietreggiò, e andò a sbattere sulla porta che poco fa aveva chiuso. Solo in quel momento il capitano smise di parlare, accorgendosi dello stato d’animo di Eren: capì immediatamente che la conosceva abbastanza per considerarla sua amica. Ebbe un momento di esitazione: quando qualcuno si metteva a piangere – il che accadeva abbastanza raramente, in quanto da lui arrivavano i soldati già formati da cinque anni di addestramento – o continuava a sgridare, o se ne fregava completamente. Ma questa era una situazione diversa: non stava sgridando, non stava allenando, stava solo parlando.
“Eren.”


Non lo sentiva. Si stava chiudendo a riccio, sia fisicamente, accasciandosi sul pavimento, che mentalmente. Non riusciva ad avere la facoltà di rispondere, nemmeno di formulare un pensiero. Vedeva davanti a sé tutti i pochi momenti passati con Annie, a cercare di diventare assieme a lei e gli altri suoi compagni una vera squadra. Perché avrebbe dovuto fare una cosa così crudele? Non voleva combattere contro di lei un’altra volta sapendo la sua identità, non voleva vendetta. Voleva solo sapere perché. Perché uccidere così tanta gente buona ed innocente? Perché? Perché?
“Eren, cazzo!” Si sentì la guancia cuocere: Levi gli aveva tirato uno schiaffone, e, alzato lo sguardo, vide che si era abbassato al suo livello. Gli porse la mano: “Alzati, Eren. Dimostra che puoi combattere per una causa, lasciando da parte i sentimenti”.
Eren gli prese la mano calda, e si alzò.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Ho scritto il capitolo tutto di un fiato, e direi che parla da solo. Fatemi sapere che ne pensate, perché anche solo concepirlo mi ha davvero estasiata.
Al prossimo capitolo!
  
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