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Autore: Soraya Ghilen    17/05/2017    2 recensioni
“Sei tornato” disse una voce che Derek conosceva fin troppo bene. Si girò piano, quasi con la paura che una una sua mossa azzardata avrebbe spinto l’altro a fuggire come una gazzella spaurita. E lo vide, dopo cinque anni posò di nuovo i suoi occhi su di lui.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non aveva nessuna voglia di alzarsi dal letto, quella mattina, Stiles. Continuava a pensare a Derek, a quello che si erano detti, a quante cose dovevano ancora raccontarsi. Ripensò al suo odore, che non lo abbandonava mai. Nessuno, ormai, gli faceva più notare che era totalmente diverso da quello che aveva sempre avuto. Tutti si erano abituati al cambiamento, ma, per Derek, era una cosa nuova. Doveva farci il naso, letteralmente.
Si passò una mano tra i capelli, sbuffando. Gli occhi verdi del licantropo, quelli che il tempo e la lontananza avevano sbiadito, erano tornati, prepotenti, al centro dei suoi pensieri.
Quando aveva visto la sua auto nel parcheggio, la sera precedente, gli era sembrato un sogno. Non poteva essere davvero lui, si disse. Derek era corso via da Beacon Hills come avesse avuto il diavolo alle calcagna e da ciò Stiles aveva dedotto che non sarebbe più tornato. Si era sbagliato.
Per cinque anni, due volte all’anno, era andato al loft per dare una pulita, tenerlo in ordine, proprio per occasioni come quella. Stupidamente voleva che la prima cosa che il licantropo avrebbe percepito, rimesso piede in città, era che nessuno lo aveva dimenticato, che il suo branco gli voleva ancora bene, che lui gliene voleva. Ma poi il suo odore, lentamente, aveva iniziato a cambiare e Stiles, in un primo momento, era stato più preoccupato dal fatto che Derek non avrebbe riconosciuto subito chi era stato lì, prima del suo arrivo. Non avrebbe capito che Stiles si era preso cura di quello che era suo e che aveva abbandonato talmente di fretta da lasciare tazze sporche di caffè nell’acquaio della cucina, il letto sfatto, il plaid buttato alla rinfusa sul divano.
Voleva dirgli tutta la verità. Forse, se gliel’avesse detta, lui avrebbe capito davvero e non avrebbe solo finto come avevano fatto tutti i suoi amici o non sarebbe stato talmente spaventato da lasciarlo solo, come aveva fatto Lydia. Forse. Troppe poche cose certe e Stiles era uno troppo legato alla realtà da lasciarsi andare al caso.
Scostò il lenzuolo azzurro che lo aveva coperto per tutta la notte e si diresse verso il bagno. Aveva un aspetto orribile. Quasi non aveva chiuso occhio e non a causa di Derek, ma lui ci aveva messo il così detto ‘carico da cento’. I suoi occhi erano incorniciati da profondi segni violacei e la pelle, già pallida per natura, era più bianca e insana del solito. Prima di andare in centrale da suo padre doveva passare da Deaton e anche con una certa urgenza, si disse.
Non perse molto tempo in bagno. Fece una doccia veloce, si lavò i denti per scacciare il pesante alito regalato dalla notte e non dedicò tempo né ad aggiustarsi i capelli né a radersi. Ancora non ne aveva bisogno. Si vestì in fretta, con gli stessi abiti del giorno prima, e corse giù per le scale, afferrando telefono e chiavi della Jeep dal vuota tasche. Notò con la coda dell’occhio che suo padre gli aveva lasciato un biglietto, con ogni probabilità un post-it, sul tavolo della cucina. Non si disturbò a prenderlo. Avrebbero parlato più tardi, in ufficio. Aveva troppa fretta per fare una qualsiasi deviazione.
La giornata era fresca ma soleggiata e la felpa gli sarebbe servita poco e niente.
Salì in macchina e mise in moto, non senza qualche difficoltà. La strada da percorrere non era molta e nemmeno troppo trafficata. Ci mise poco a giungere a destinazione. Non più di una decina di minuti, forse anche meno.
La clinica era aperta e si presentava a Stiles nel suo solito aspetto bianco e asettico, non molto invitante ma nemmeno eccessivamente brutta. Era carina, insomma.
Deaton lo stava aspettando, come ogni sabato mattina, pronto, ago alla mano. Sapeva che non poteva continuare in quel modo. Non gli importava. Era la sola realtà che conosceva e non voleva rinunciare a nulla di quello che aveva, nemmeno alle mancanze che quella sua scelta comportava.
“Ciao Stiles” lo salutò il medico, mostrando i suoi perfetti denti bianchi. Voleva essere rassicurante, ma non doveva. Erano cinque anni che procedevano in quel modo: Stiles arrivava alla clinica, Deaton si perdeva in inutili tentativi di dirgli che andava tutto bene che presto le cose si sarebbero risolte, l’umano faceva finta di crederci, riceveva l’iniezione e andava via.
“Obi-one” rispose lui, muovendo pochi passi all’interno dello studio, portandosi davanti al tavolo di metallo che si trovava al centro della stanza.
“Dormito male? Hai una pessima cera” disse il dottore, non dando peso al nomignolo che gli aveva regalato anni addietro.
“Tu si che sai trattare le persone, complimenti” rispose, sarcastico “Sarà per questo che curi i gatti e non i loro padroni?” fece finta di starci pensando “Si, direi che è per questo”
“Cos’hai, Stiles?”
“Vuoi dire oltre al motivo per cui ci vediamo tutte le settimane?”
“Si”
“Assolutamente nulla” disse, con fare evasivo. Che Derek fosse tornato non erano affari suoi. Se il licantropo avesse voluto far sapere a tutti che aveva rimesso piede in città sarebbe stato lui stesso a farsi vedere in giro.
“Non servono sensi amplificati dal sovrannaturale per capire che stai mentendo, lo sai?” Stiles sbuffò, stizzito, per poi sfilarsi velocemente la felpa viola che indossava, lasciando scoperte le braccia grazie alla maglia a maniche corte.
“Ci leviamo questo pensiero oppure oggi abbiamo anche una seduta di psicoterapia e nessuno mi ha informato?” il dottore, facendo finta di non aver sentito la battuta caustica del ragazzo, si limitò a prendere la piccola siringa già piena di liquido verdastro e con pochi e metodici movimenti si limitò a fargli una parzialmente indolore iniezione “Gentile come sempre” disse Stiles, indossando nuovamente la maglia “A sabato, salvo complicazioni?”
“Conosci la risposta, Stiles”
“Già, immagino di si”
“Stiles, sai che c’è un modo per porre fine a questa sofferenza inutile” disse Deaton, osservando le spalle magre del ragazzo.
“Così come tu sai che non voglio prendere in considerazione l’ipotesi” rispose, girando appena il viso verso il veterinario “E poi Derek è chissà dove a fare il lupo musone pronto ad azzannare il primo malcapitato che osa contraddirlo alla carotide, quindi nulla da fare”
“Non ti sembra di star dicendo un po’ troppe bugie oggi, Stiles?”
“Ancora una volta ti dico che non so a cosa tu ti stia riferendo” rispose sulla difensiva. Non capiva come facesse quell’uomo a sapere sempre tutto e la cosa lo infastidiva e inquietava “Ora, se vuoi scusarmi, devo proprio andare”
“Stiles, solo un’ultima cosa” disse, mentre il ragazzo si fermava nuovamente sull’uscio della porta “Di a Derek cosa sta succedendo” trasalì a quelle parole “Non è Lydia, non fuggirà da te”
“Lo farei, credimi” rispose l’umano “Ma Derek non tornerà mai più nella mia vita e anche se lo facesse ha perso ogni diritto quando ci ha voltato le spalle per andarsene chissà dove con quella cacciatrice da strapazzo” e, con un colpo secco del polso, lasciò la clinica veterinaria sbattendo la porta e facendo tremare il sottile vetro. Il cartello che vi era poggiato sopra mostrava la scritta “Chiuso”. 

 

Note dell’autrice: Salve! Allora, credo che qualcosa si inizi a intuire e vorrei sapere un po’ cosa ne pensate. Vi ringrazio ancora una volta per il tempo che dedicate alla lettura della mia storia e mi auguro che vi stia piacendo.
Spero di aggiornare al più presto.

  
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