Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    20/05/2017    0 recensioni
Prosegue la saga de "Le cronache dei draghi e dei re", cominciata con "L'apprendista di fuoco". Il sistema è ormai sovvertito: la pace che per secoli era perdurata, adesso è stata interrotta da una serie di trame, guerre e rivolgimenti che hanno persino portato al ritorno di un'antichissima dinastia. Ma i fratelli del re appena deposto sono ancora tutti in circolazione, per quanto sparsi su tre continenti. Spetta dunque al nuovo sovrano Targaryen gestire questa complessa situazione, che diviene ancora più ingarbugliata pensando alle misteriose e oscure energie che all'est e all'ovest risorgono sotto forma di vita e fiamme. Esiste forse qualcosa che i Sette maghi del passato più ancestrale, col tempo decaduti e divenuti schiavi, nascondono a tutti i partecipanti - nessuno escluso - di questo ennesimo e disastroso gioco del trono?
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: Non-con, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 6
DA BALIA A BANFRED
 
 
 
                Garhel Sawela ufficialmente non era più un Lord. Era una di quel genere di cose che accadeva puntualmente al cambio di una dinastia: la modifica anche radicale di tutta una serie di organi costituzionali del Reame, e di conseguenza il suo intero assetto istituzionale. Questo re non era più un diretto erede di quelli che lo avevano preceduto, o almeno non degli ultimi dieci, o forse cento. Dunque erano cambiati gli interessi, e con essi le politiche. A questo re chiaramente, e così differentemente da Lionel Lannister (da qualche parte noto come “Lionel l’orientale”), dell’Essos non interessava granché. Non aveva interessi a fare nuove amicizie, né ad aprirsi in qualsiasi modo. Da quel momento in poi si sarebbe tornato alla più gelida delle relazioni: quella di tipo meramente economico. L’Oriente non era più parte del regno, tornava ad essere una semplice colonia da spremere come un limone, anche con l’uso della violenza se necessario. Questo re sottovalutava però un dato storico invece assai rilevante: grazie proprio a Lionel, l’Oriente non era più quello di una volta. Le elite avevano cominciato ad annusare nuovi odori, quelli non più relativi al solo scambio con la terra al di là del Mare Stretto, ma a tutti i vantaggi che derivavano dalla possibilità di poter amministrare direttamente i territori dei quali si ritenevano signore e padrone. E inoltre anche la gente comune non è che si fosse esattamente arricchita… ma certo da quando l’est aveva iniziato a far parte del Regno Unificato, qualcosa del comune benessere occidentale pure tra i morti di fame dell’Essos era cominciato ad arrivare. C’era più ricchezza nell’aria: sempre poca, troppo poca. Eppure l’Oriente ormai aveva iniziato a percepire concretamente come si stava al di là del mare: e quel cane non avrebbe mai più mollato la presa su quell’osso, questo Garhel lo sapeva bene. Sarebbe stato così anche a prescindere dalla sua azione: il popolo se ne sarebbe trovato un altro di capo della rivoluzione. E allora perché non cavalcare l’onda, visto che la sua vita era in quel luogo ed in quel momento?
                Lo smantellamento della comunità religiosa del predicatore Yashua aveva tuttavia causato non poche incognite. Un numero non facilmente calcolabile – eppure decisamente spaventoso – di sbandati era tornato a vivacchiare per le bancarelle di Marrah Cankhubhia, adesso perfino convinti di essere guidati dalla volontà di un qualche dio che presto o tardi avrebbe rivoltato la situazione. Tutto ciò andava chiaramente verso la direzione contraria che le trame di Justus Panecha avevano fin lì organizzato.
                Contrariamente a quanto si sarebbe potuto pensare, alla fine Sawela non aveva incontrato poi molte volte Lord Justus. Anche all’interno del Concilio Ristretto del Re, ai tempi di Lionel, in realtà si erano beccati ben poche volte. Sawela non adorava Roccia del Re: era splendida, e aveva una storia secolare, e tutto quanto, ma… sentiva semplicemente di non appartenervi. Era un luogo di lavoro e, quando per un intera giornata aveva dovuto passarci il suo tempo, poi alla sera avrebbe sempre voluto prendere il primo battello per tornarsene a casa, anziché doverci pure dormire in quella specie di grosso porto che puzzava di pesce, letame, e vecchie ossa di drago. Panecha, uomo decisamente di tutt’altra pasta, anche se in fondo provava il medesimo disagio, l’ho soddisfaceva in maniera diversa rispetto al semplice scappare via appena possibile. Lui spostava Marrah in occidente, soggiornando per mesi interi, e riempiendo Roccia del Re di animali che per quella gente erano esotici, di ballerine e prostitute, di sete pregiate e frutti rari: la corte di Lord Justus si era così via via trasformata in una specie di circo itinerante. Ma a conti fatti Sawela era stato a Roccia del Re molto spesso, molto più di quanto avesse mai desiderato fare. Panecha no: aveva visitato la capitale del Regno forse tre o quattro volte in tutto.
                Adesso tutto quello non contava più niente: con una semplice notifica a firma regia, era stato reso noto che non esistevano più all’interno del Concilio Ristretto né i Lord Ambasciatori delle Case più eminenti del Regno né i Lord Tribuni Popolari, a gran voce richiesti dalle plebi, e in particolar modo da quelle orientali, qualche decade prima. Era bastato un colpo di penna e l’est e l’ovest erano tornati ad avere i loro tradizionali pessimi rapporti. Evidentemente il nuovo re non godeva della stessa luce che aveva irradiato i suoi più immediati predecessori, oppure ancora più semplicemente erano i suoi consiglieri a non goderne. E Garhel Sawela non era più abilitato a dargliene, di consigli. Certo, l’est avrebbe prima dovuto risolvere tutte le sue questioni interne, se davvero voleva proclamare un’indipendenza che fosse poi difendibile dall’automatico contrattacco del fin troppo cieco sovrano del Westeros. E forse era proprio di questo che quel giorno Panecha gli avrebbe parlato, o almeno questo era ciò che Garhel aveva ipotizzato.
                La città-mercato era sempre più splendente a quell’ora del pieno meriggio. In realtà Garhel era originario di un piccolo villaggio un po’ più lontano, ma aveva visto Marrah Cankhubhia fin da adolescente, e ne era subito rimasto folgorato: si trattava di una massa di gente che viveva la gran parte della loro giornata stretta come in un caloroso abbraccio, che magari puzzava anche un po’ di scarso liquore e di sudore, ma che faceva sentire tutti a loro agio, tutti come degli stretti cugini, quando non proprio dei fratelli. A partire da un certo orario, in giro per qualsiasi strada della gigantesca città, si vedevano più bancarelle che abitazioni. Le abitazioni stesse si abbassavano e divenivano bancarelle e si moltiplicavano e si gettavano in quel gorgo affettuoso, quel caldo abbraccio, che le vie e le strade di Marrah altro non erano.
                Era da una vita che Garhel si domandava se Panecha conoscesse davvero la città di cui era divenuto, al termine di delle sanguinose guerre servili, l’indiscusso signore. Si vantava di esser stato un mercante di frutta secca, o di spezie, o di chissà quale altro prodotto (ma Garhel ricordava che si trattasse di alimenti), eppure – se davvero così era stato – dovevano esser passate decadi da allora: notoriamente il palazzo del sovrano degli elefanti era uno dei più splendidi mai costruiti, con la sua immensa pianta sviluppata in orizzontale, e le sue dozzine di giardini interni e le sue migliaia di palme e cactus. Pensare che chi lo abitava un tempo fosse stato povero, era davvero complicato.
                All’incirca quando il sole ebbe raggiunto il suo massimo punto di altezza nel cielo di Marrah, a Garhel Sawela fu concesso di entrare nelle stanze del re mercante, con il suo splendido abito color della sabbia acquisito con i danari dovuti allo stipendio di Tribuno Popolare, e la sua spilla a forma di serpente che ogni volta veniva conferita a qualsiasi ospite del palazzo. Panecha accoglieva i suoi ospiti sempre in una camera differente: il suo palazzo era costruito come un labirinto di giardini, scale e corridoi, cosa che chiaramente faceva parte di una strategia: un eventuale aggressore avrebbe trovato difficile riuscire ad orientarsi all’interno di quel nodo gordiano, cosa che naturalmente non risultava complessa né a Panecha né ai membri della sua famiglia e del suo staff, che in quel luogo ci vivevano.
                «Caro, caro Garhel» lo salutò affabile il grasso nobiluomo, sollevandosi dal suo sofà di morbidi cuscini e andandogli in contro; una lucida striscia di sudore che gli imperlava l’ampia fronte. Sawela ricambiò: «Lord Panecha». Quello lo osservò con uno sguardo complice e gli disse: «Lo sai bene… non siamo più dei Lord, quel titolo è decaduto ormai»
                «Sì lo so, ma non saprei come rivolgermi altrimenti»
                «Cosa ne dici di Justus? È vero, sono molto più anziano: ma i rispettivi ruoli che abbiamo assunto in questa città fanno di noi come dei… colleghi, non trovi?»
                «Non so di che “ruoli” stai parlando»
                «Suvvia, amico mio, io so benissimo qual è la situazione. So che sei diventato una specie di numero due all’interno di quella congrega di fanatici che era guidata da Yashua. E so anche che, per quanto tu probabilmente non detenga più il controllo di tutta quella massa che a lui si sottometteva, molti di loro continueranno a guardare a te»
                «A questo non avevo pensato»
                «Sì, come no. È incredibile come, sebbene all’apparenza certe cose cambino così radicalmente, in realtà talvolta le dinamiche che sottendono alle grandi forze di questo mondo continuino a rimanere sempre uguali. Non importa se i draghi vivano o ci abbandonino, la pioggia continuerà a cadere dall’alto verso il basso e il sole a scorrere da est verso ovest. Non importa che i continenti che galleggiano sul mare siano due o tre: al nord continuerà a far freddo, e al sud caldo. E non importa se sul trono di spade sieda un Lannister o un Targaryen, tu e io dovremo continuare a collaborare, che ci piaccia o meno. Ho bisogno di te per governare serenamente questa città, Garhel. E ho bisogno di governarla serenamente, se davvero siamo intenzionati a muovere guerra verso Pentos o verso Braavos»
                «Dunque ci sono i piani per una guerra, ma non ci sono gli avversari, mio signo… ehm… Justus»
                «Oh, certo che c’è l’avversario. Un nemico molto potente che da anni ci attanaglia e ci soffoca, depredandoci di tutte le nostre ricchezze e privandoci di tutti i nostri diritti, primariamente di quello che riguarda la nostra libertà»
                «L’autogoverno…»
                «E cos’altro, se no?». A quella domanda, Garhel Sawela non riuscì a trovare una risposta: quello che Justus Panecha stava dicendo era tutto vero. Ragion per cui, dopo un silenzio un po’ troppo lungo, fu lo stesso signore degli elefanti a continuare: «Il nostro nemico è il re del continente occidentale chiaramente, ma non sappiamo come le altre famiglie che stanno da questa parte del Mare Stretto possano mai reagire a una nostra eventuale proposta di amicizia. Entrambi i Lord Loackland e Goldsmith hanno soltanto da guadagnare con la loro vicinanza al re. I primi, insediati lì da Lionel stesso dopo un sanguinoso e fin troppo lungo periodo di lotte intestine atte a comprendere quale delle numerose famiglie di quella regione fosse la più conveniente. I secondi, il cui nome è così inscindibilmente legato alla più potente banca mai esistita e, tramite essa, alla famiglia il cui cognome probabilmente corrisponde a quello dei più arguti doppiogiochisti della nostra storia antica e recente: i Baelish della Valle. La partita è complessa, caro Garhel, ragion per cui ho la necessità di comprendere se la gente di questa città e di quelle vicine sia effettivamente dalla mia parte e… qualora non lo sia… se tu ce la puoi portare»
                «Ma tu… presumo che abbia già delle simpatie, non è così? Delle trattative intavolate con l’uno piuttosto che con l’altro degli altri due ambasciatore dell’est…»
                «Questo è probabile»
                «Non vuoi andare oltre con le tue informazioni? Vedi, Justus, mi chiedo che amici siamo se con me decidi di condividere solo quello che interessa a te? Sai com’è… la gente fuori da queste mura potrebbe insospettirsi»
                «Suona come una minaccia»
                «Non mi permetterei mai»
                «Facciamo così: prometto che sarai il mio più vicino consigliere, il più informato dei miei collaboratori, se tu prima… mi dimostrerai di essere degno della mia fiducia, facendo qualcosa per me e per l’intera città»
                «E questa… dovrebbe suonare a me come una minaccia?»
                «Dipende da come la interpreterai. Bada: è una storia molto curiosa…»
                «Procedi»
                «Qualche giorno fa, un mio referente si trovava presso le coste del nostro continente che si trovano davanti l’arcipelago valyriano»
                «Oh, no… ancora la dannata città perduta…»
                «Sì, ancora lei… non le sarebbe stata assegnata quell’accezione se non fosse continuamente caratterizzata da eventi inspiegabili, misteriosi»
                «E che cosa è capitato adesso?»
                «Quelle medesime acque che così innaturalmente avevano cominciato a perturbarsi mesi orsono, senza mai arrestare la loro rabbia, e questo indipendentemente dal fatto che il cielo sopra di loro fosse sereno o in tempesta, ora si sono calmate»
                «Curioso, ma di certo non interessante: mandaci qualcun altro»
                «Calma, figliolo: non ho concluso. Conscio del mio altamente probabile interesse in merito alla situazione, visto che qualsiasi cosa concerna Valyria prima o poi va a inferire con il nostro suolo, i nostri porti e i nostri mercanti, il mio avveduto referente ha pensato bene di proseguire: ha preso un traghetto e ha raggiunto l’arcipelago. E allora quello che ha veduto, lo ha decisamente tramortito…»
                «Ovvero?»
                «D’improvviso su quelle terre, è come se dall’oggi al domani fosse venuta fuori una foresta. Una flora incredibilmente rigogliosa ha arricchito una terra che forse da millenni era… diciamo brulla. Il luogo che forse più d’ogni altro su questa terra era legato al concetto di marcio e morte si presenta oggi come… pimpante e ricco di vita»
                «E questa non dovrebbe essere una buona notizia per te? Si tratta di luoghi che teoricamente sono stati ascritti alla tua diretta giurisdizione: puoi farne territorio coltivabile»
                «Sono ascritti alla mia giurisdizione perché nessuno li voleva, Garhel»
                «Insomma: vieni al dunque!»
                «Non è l’esuberanza della natura in sé che mi spaventa, è l’inaudita rapidità con cui essa si sia manifestata. Questo, unitamente alla condizione in cui il mio referente è tornato: ferito nello spirito e nel corpo, grondante sangue e in preda a un delirio che lo faceva parlare di alberi semoventi e liane assassine. Se a questo ci aggiungi che a partire in realtà sono stati in tre, e che solo uno sia ritornato… comprenderai tutti i miei crucci. Tu sei un guerriero, Sawela, io un mercante. La mia arma è sempre stata la lingua, la tua la sciabola, dunque per quanto mi riguarda sei tu l’esperto. Chiedi quello che vuoi: dieci uomini? Venti? Io non ne ho idea se per una spedizione simile sia meglio essere in pochi o molti… ma mi necessita qualcuno di fiducia, e qualcuno… che sia in grado di ritornare»
                «Ma perché io, Justus? Se, come dici tu, sono la tua controparte nel governo della città, insomma… potrei essere tuo nemico. Potrei rivoltarti contro la gente in qualsiasi momento, eppure…»
                «Una massima politica che tutti i governatori saggi del mondo conoscono, o dovrebbero conoscere, è che se i tuoi avversari non puoi batterli, allora devi unirti a loro. E tu, Garhel? Tu pensi di potermi battere?»
                «Questo non lo so, ma posso dirti che la gente nella tua città muore di fame e osserva tutti i giorni te e altri pochi vivere nel lusso e nell’oro e questo, caro mylord, è un tappo che sta per saltare. E non ci sarà strategia politica, o alleato, che tu potrai chiamare quando ciò accadrà»
                «Allora… dobbiamo prendere tutta questa energia e convogliarla verso nuovi orizzonti. Insieme. Che la gente povera di questa città comprenda che non sono i pochi ricchi che la governano a detenere il vero potere, e con esso le chiavi delle loro catene. Esse sono molto lunghe e i loro ceppi si trovano nel Westeros»
                «Tra la povera gente non molti sono in grado di comprendere questo»
                «Tuttavia molti saranno in grado di comprendere quello che tu gli dirai. Ma prima viene Valyria». Nel corso della conversazione, il vecchio ex Lord mercante si era spostato con disinvoltura dall’area dell’ingresso in cui aveva accolto Sawela a nuovamente i comodi divani da cui era partito, dopodiché si era alzato di nuovo e adesso con nonchalance osservava delle carte che si trovavano su un ampio tavolo in legno pitturato di rosso. «Allora?» proseguì «Quanti uomini?»
                «Se abili, anche pochi» rispose Garhel Sawela «Due o tre»
                «Abili in cosa?»
                «Ricognizione»
                «Adesso sei troppo specifico… ne ho di piccoli e silenziosi»
                «Se è quello che puoi darmi»
                «Sì, è quello che posso. Porterai mio figlio con te»
                «Che cosa?!»
                Era stato con lo sguardo completamente rivolto ai suoi documenti che Justus Panecha aveva affermato quelle parole. Piano, come se si fosse trattato di una cosa da poco, e comunque già decisa. Il tono fu esattamente il medesimo quando ripeté: «Ho detto che porterai mio figlio con te»
                «E tanti saluti a tutto quel grazioso discorso sulla fiducia, la reciproca collaborazione e via dicendo, giusto?»
                «Non capisco di che parli»
                «Tu non mandi me quale tuo referente a Valyria, tu mandi Banfred»
                «No, mio signore, ti assicuro che stai travisando»
                «Il mio compito è di fargli da balia, non è così? Un cane da guardia, niente di più. Beh, vecchio mio, se pensi di cercare di darmi dei comandi, anche se velati da melliflue parole, come se io fossi uno qualsiasi dei tuoi servitori…»
                «Garhel, Garhel… un attimo solo…»
                «No, mio signore: in questa faccenda ci sono troppe condizioni dettate da una parte sola, e io tutto nella mia vita sono stato, tranne uno che prende ordini». Detto ciò, Garhel Sawela diede le spalle al gran signore e fece per andare, piuttosto rapido, fuori dalla sua porta.
                Fu costretto a fermarsi quando Lord Panecha gli disse: «Ti porterò con me, a Braavos. Quando il tavolo delle trattative sarà ufficialmente aperto, così come una buona corrispondenza coi Goldsmith ha fino ad ora lasciato intendere, la parte popolare di questa città parteciperà al negoziato. La sua presenza sarà assicurata da me, mediante la rappresentanza dell’ex Tribuno Popolare Garhel Sawela»
                «Hai già pianificato tutto, vedo»
                «Solo il necessario» concluse il re mercante, aggiustando la spilla a forma di serpente sul petto del suo ospite, «Ma va da sé che mio figlio dovrà tornare dalla vostra avventura valyriana sano e in salute»
                «Va da sé» confermò Garhel, grattandosi la gola, sotto la folta barba nera, mentre parte del suo pensiero andava alla strana opinione che via via si andava facendo di quell’uomo. Non capiva se più lo invidiava per il suo essere così intelligente e navigato nelle cose del mondo e della politica, o più lo odiava per il suo essere così smaccatamente manipolatore, e perché da sempre soprattutto cercava di manipolare lui e, suo malgrado, spesso ci era anche riuscito: Sawela non poteva negarlo questo. La verità era che nel bene o nel male gli interessi suoi e quelli del re degli elefanti troppo spesso avevano combaciato; e Panecha sapeva meglio come difenderli. Se le cose fossero andate per come Garhel avrebbe fatto, troppo spesso sarebbero finite nella polvere, quando non proprio nel sangue. Meno male che Marrah Cankhubhia aveva Justus Panecha! «Di’ ai tuoi uomini piccoli e silenziosi di raggiungermi al tramonto. Immagino che le tue spie sapranno dove…»
                «Le sopravvaluti, temo»
                «Allora correremo questo rischio» finì l’ex Tribuno Popolare, giusto per il gusto di provocare: sapeva benissimo che le spie di Justus Panecha sarebbero state in grado di contare anche le volte che in una giornata lui visitava il gabinetto.
                Ma al di là di qualsiasi ironia, Garhel era invece piuttosto contrariato. Con quel ricatto camuffato da offerta che lui non aveva potuto rifiutare, e che avrebbe riguardato la sua eventuale presenza a un futuro tavolo delle trattative con i Goldsmith di Braavos, Panecha lo aveva raggirato come al suo solito. Ma il vero punto della questione era che la riunione coi Goldsmith sarebbe avvenuta in futuro, mentre la sua discesa nella oscura Valyria, a far da balia al principe Banfred, sarebbe avvenuta subito. E in tutto ciò, Garhel doveva anche sopravvivere ai pericoli che avrebbe trovato nell’arcipelago del sud, qualsiasi essi fossero stati. E sopravvivere solo dopo Banfred, perché se Banfred moriva, allora tanti saluti non solo alla trattativa coi Goldsmith, ma anche probabilmente a tutti e quattro i suoi arti, o magari alla sua testa. Garhel era un guerriero abile ed esperto, e non aveva ragioni per non provare fiducia nelle sue stesse capacità… ma quello che poteva trovare a Valyria non poteva saperlo, ed era questa incognita che lo spaventava più di tutto. Da sempre la vecchia città morta esercitava su di lui, come a suo parere anche sulla gran parte degli uomini che abitavano il sud del continente orientale, uno strano potere: ne provava orrore, eppure ne era attratto. Sentiva che in quei luoghi avrebbe trovato la morte – una sensazione talmente vivida da apparire quasi come una certezza – eppure desiderava, anelava, agognava di andarci. Poche volte c’era stato, ma ogni singola volta era stato come se avesse visto solo una parte di quello che avrebbe potuto o dovuto vedere, e quello che c’era lì andava invece visto e capito per forza interamente, o almeno Garhel sentiva che lui doveva vederlo, respirarlo, toccarlo, averci a che fare in tutti i modi umanamente possibili. Era strano il rapporto che un uomo del sud dell’Essos aveva con la città perduta, ma decisamente non raro: Sawela si era confrontato spesso con uomini e donne di tutte le estrazioni sociali e – ciascuno a modo proprio – tutti avevano confermato questa ambigua circostanza.
                Uscendo dal palazzo orizzontale dei Panecha, Garhel non poté fare a meno di osservare il lungo arazzo appeso sulla parete del corridoio di uscita. Lo conosceva bene, lo aveva visto diverse volte, e sempre la sua lunghezza spropositata lo aveva impressionato. Ma questa volta l’attenzione dell’ex Tribuno Popolare non ricadde su essa; si concentrò sull’ultima parte dell’arazzo, quella maggiormente in prossimità alla porta. Lì da sempre se ne stava ricamato Lord Justus, con i suoi elefanti e gli schiavi che teoricamente aveva reso liberi grazie a quelle celeberrime guerre servili che avevano insanguinato il continente qualche lustro prima. Accanto a lui, piccolino, nell’ultimo posto disponibile prima di un rimaneggiamento tessile, se ne stava la figura del giovane Banfred, il figlio primogenito ed erede di Panecha. Quest’ultimo avrebbe potuto piazzare suo figlio dovunque nel suo arazzo, il cui protagonista assoluto era lui soltanto, in mille delle sue imprese – molte delle quali inventate ad hoc – eppure aveva scelto di metterlo all’angolino: perché Banfred era brutto, grasso come lui ma molto meno imponente, ed era viziato e non molto intelligente, e la gente non lo amava. Ci stava lavorando Lord Justus e da un pezzo anche (una ventina d’anni il giovanotto ormai avrebbe dovuto averli), e probabilmente il mandarlo a Valyria era un altro dei tentativi che il ricco re mercante stava provando per fare di suoi figlio un politico valido anche solo la metà di suo padre, ma proprio non ci riusciva: questo era palese. Che poi Banfred non era neanche così malvagio, a parer di Garhel che l’aveva conosciuto; viziato sì, ma niente di irrecuperabile… solo che era molto stupido, e profondamente, quasi visceralmente, impopolare. Banfred era il tipo di re che, asceso al trono dopo un padre carismatico, non riesce a reggere il confronto e finisce per combinare qualche danno, come minimo a se stesso, quando non pure agli altri. E con quello Garhel doveva andare a Valyria: quel giovanotto grassoccio, inceppato, lento di andatura e comprendonio, slavato e sudaticcio che Banfred Panecha altro non era. La vera impresa non sarebbe stata scoprire cosa stava succedendo a Valyria, bensì tenere Banfred al sicuro…
                Riconsegnò la maledetta spilla a forma di serpente e se ne tornò al covo dove aveva in programma di condividere una cena con i suoi più vicini amici e alleati.
                A loro Garhel Sawela riferì il tutto, così come sempre faceva: non sapeva bene chi avrebbe preso il suo posto in caso di una sua non poi così improbabile, anche se malaugurata, dipartita, ma certo qualcuno avrebbe dovuto farlo e dunque era necessario che quel qualcuno fosse a conoscenza di tutte le informazioni, e in particolare della promessa di Panecha di far partecipare la “fazione popolare” di Marrah alle trattative con i Goldsmith di Braavos. Dopodiché il pomeriggio passò rapidamente, come sempre accade quando si è in buona compagnia: quegli uomini, ancor prima che i discepoli e in qualche modo i “commilitoni” di Garhel, erano i suoi amici. Alfine giunse il tramonto, con i piccoli e silenziosi emissari di Panecha al suo seguito e il giovane grassoccio Banfred a rendere tutto il quadretto tanto ufficiale quanto preoccupante. Alla sera la compagnia si mise in viaggio, alla tarda notte si misero a riposo e nel primo pomeriggio dell’indomani erano già giunti presso la costa. Si misero in mare che il sole picchiava forte e l’’acqua era piatta come una tavola: quella era una delle ragioni per cui Garhel ringraziava sempre l’unico dio per averlo fatto nascere laddove era nato; quel mare meraviglioso e brillante al bagliore del sole come l’acciaio di una lama ben arrotata.
                Fu ancora sopra la zattera mezza scassata che avevano preso per raggiungere l’arcipelago, che videro la prima delle tante cose assurde che si aspettavano. Fu impossibile non notarla, visto il fragoroso urlo rombante che la precedette. Il primo pensiero naturalmente, date l’assoluta rarità del ruggito e la sua provenienza apparentemente dalla volta celeste, andò ai draghi, e al loro glorioso passato, così inscindibilmente legato alla città morta che stavano per visitare. Poi lo videro: una cosa che non solo sicuramente nessuno aveva mai veduto, ma che neanche le cronache antiche contenevano… un uccello gigante, fatto solo di ossa e cartilagini. Terribile alla vista, così come terrificante era stato il suo urlo demoniaco. E il suo volo era orientato esattamente nella medesima direzione cui anche la compagnia di Sawela era diretta. Perfino Banfred si accorse quest’ultima cosa, e infatti incominciò a piagnucolare, dicendo che bastava quello che avevano visto e “comandando” di andarlo subito a raccontare a suo padre: Garhel si morse le mani pur di trattenersi dall’assestargli i due sonori ceffoni che si meritava. In realtà la sua era una tensione se possibile perfino peggiore rispetto a quella del principino, e delle sue piccole e silenziose guardie del corpo. Lui aveva visto chi teneva le redini di quel mostro fatto di ossa. E subito la sua memoria andò alle ultime settimane in cui era stato con il maestro Yashua, quelle in cui un Cavaliere della Chimera dal titolo principesco – e il cui cognome era Lannister – era stato inviato da Panecha per aiutarlo a far luce sulla congrega di fratelli che il prete figlio del Dio Rosso era riuscito in un tempo relativamente breve a riunire. In quel tempo, grazie alle superbe doti del predicatore, quel mostro dai capelli di neve e il teschio nero era stato perfino loro prigioniero. E adesso invece era libero e volava verso Valyria. Sawela stava perfino per rivelare ai suoi momentanei compagni di tutto quel discorso del diavolo dai poteri di ghiaccio, quando si rese conto che non c’era motivo… e dopo aver risposto alla domanda: «Ma che diavolo di uccello è quello?», con un: «In realtà non è neanche questo che mi preoccupa», riuscì subito a riparare la situazione. Il suo interlocutore, uno dei due piccoli e silenziosi, tornò a domandargli: «E cosa allora?». E lui rispose: «Se quel coso non ha penne e piume… cos’è che lo tiene in aria?».
                Decise che, qualsiasi cosa stesse per accadere, sarebbe stato molto meglio coglierla in flagrante. Urlò ai due piccoli e silenziosi – e a partire da un certo momento pure a Banfred stesso – di remare con quanta più forza possibile e fu così che riuscirono a tenere il passo dell’uccello gigante: a un certo punto lo persero ovviamente di vista, ma quando raggiunsero la terra non dovevano essere passati molti minuti dall’atterraggio del mostro volante e del suo glaciale cavaliere.
                La compagnia si sarebbe naturalmente soffermata per un tempo maggiore sulla rigogliosa foresta che dal nulla era spuntata su quell’isola, e Banfred in effetti una breve constatazione la fece, ma quasi da subito i quattro avventurieri non poterono non dirigersi verso la zona in cui si udiva chiaramente uno strano trambusto. Quel luogo era come un paradiso incontaminato, eppure c’erano cose che stavano combattendo da qualche parte…
                Costantemente protetti da cespugli e frasche che sbocciavano rigogliosi sostanzialmente su ogni punto della spiaggia, alla fine Garhel Sawela, Banfred Panecha e quegli altri due riuscirono a raggiungere un punto da cui bene osservare cosa stava accadendo sotto di loro, senza altrettanto bene essere visti. Il diavolo di ghiaccio stava cercando di prevalere con tutte le sue forze su… un nemico che Sawela non avrebbe saputo definire diversamente da “l’isola stessa”. Più quel mostro dal teschio nero e lame di indistruttibile ghiaccio alle mani provava a rendere tutto attorno a sé sterile e ghiacciato, più la natura reagiva coprendo lui e quello che lui creava di nuova rigogliosa erba fresca. Era uno spettacolo chiaramente assurdo, eppure era questo che stava accadendo, e il demone di ghiaccio pareva peraltro che si stesse affaticando parecchio. S’affaticò talmente tanto, che a un certo punto la natura rigogliosa lo dominò definitivamente, ricoprendolo di radici e rami e liane e conducendolo rapidamente via da quel seno sul mare; tanto rapidamente che sparì quasi subito alla vista di Sawela, il quale non poté che rinunciare a un inseguimento.
                L’ex Tribuno Popolare stava giusto chiedendosi che fine avesse fatto l’enorme uccello di ossi, ormai senza padrone, quando cominciò a sentirsi come osservato… solo in quel momento si rese conto che i fiori dai vividissimi colori che sbocciavano dal suolo e dal cespuglio a lui di fronte appartenevano a una categoria che lui non aveva mai visto. I petali non parevano sottili e delicati come quelli di una comune margherita, ma grassi come la polpa di un frutto succoso. E poi erano sette… quale dannato fiore al mondo aveva sette petali? Per un attimo, si sentì un pazzo, eppure ebbe come la sensazione che quei grossi inquietanti fiori a sette petali… lo stessero osservando…
   
 
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