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Autore: lady lina 77    21/05/2017    0 recensioni
Seguito di Without you. Un anno dopo la nascita di Isabella-Rose, Ross e Demelza vivono una vita serena e felice a Nampara, insieme ai loro tre figli. Ma il destino si sa, è malefico. E un incidente scombinerà di nuovo le carte, facendoli precipitare in un tunnel di dolore, incertezza e difficoltà.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Galoppava come una pazza forsennata, costeggiando a gran velocità le costiere battute dal vento della Cornovaglia.

Appena letto quel dannato biglietto, era uscita di casa di corsa, aveva farfugliato qualche frase sconnessa a Jud e Prudie circa quella sua uscita frettolosa e poi si era diretta alla stalla per prendere il suo cavallo.

Aveva evitato Ross. Pur nel marasma delle sue emozioni per quanto accaduto a Dwight e Caroline, non se l'era sentita di renderlo partecipe di quanto successo. Nelle condizioni in cui era, lui non sarebbe stato di nessuna utilità alla tenuta dei Penvenen. Non era più il Ross di una volta, il migliore amico di Dwight, quello che pochi mesi prima, a Capodanno, le aveva rivelato quasi in lacrime la terribile malattia della bambina dei loro amici. E inoltre quanto successo con lui nella giornata faceva ancora talmente male che desiderava vederlo il meno possibile. Lo aveva voluto vicino, quel pomeriggio. E ora desiderava solo che stesse il più lontano possibile da lei.

Ma in quel momento non importava. Tutto quello che aveva in mente era il visino dolce e perfetto della piccola Sarah, i suoi capelli biondi e lisci come seta, il suo sorriso dolce, i suoi modi di fare delicati cancellati per sempre dalla morte. E poi Dwight, l'uomo più gentile e onesto che avesse mai conosciuto, buono come il pane e sempre pronto a mettersi a disposizione degli altri. E Caroline, la sua migliore amica, colei che l'aveva generosamente aiutata e salvata a Londra anni prima, aprendole le porte per un futuro brillante. Lei, così frivola, civettuola, ammiccante e allo stesso tempo dolce ed altruista, come avrebbe fatto a sopportare quella perdita? E come ci sarebbe riuscito Dwight?

Demelza, mentre galoppava verso casa loro, non riusciva a non chiedersi cosa ne sarebbe stato dei suoi due amici, come avrebbero superato quella tempesta terribile e come avrebbero fatto a non perdere se stessi. Conosceva quel dolore, sapeva quanto aveva lacerato lei e Ross e sperava di poter dare loro conforto, anche se serviva a poco, e insieme qualche utile consiglio, se loro ne avessero voluti.

Quando arrivò alla dimora dei Penvenen, dove Dwight e Caroline si erano trasferiti dopo il matrimonio, il sole stava iniziando a calare. Bussò alla porta e un servitore venne subito ad aprile.

Demelza entrò in quella casa dove spesso era stata invitata assieme a Ross e ai bambini per un pranzo o una cena fra amici e ricordava le risate, le chiacchiere, le corse forsennate di Jeremy e Clowance nel grande giardino della villa con Horace. Ora era tutto desolatamente cupo e silenzioso. La casa era sempre quella ma era come se al suo interno fosse stata spenta la luce.

Un via vai incessante di persone saliva e scendeva le scale. Gente arrivata da ogni dove e di ogni estrazione sociale erano lì, a dare il loro conforto a Caroline e Dwight. C'erano proprio tutti, dai minatori che Dwight generosamente curava, ai nobili e all'alta società della zona e di Londra. Molti li conosceva, aveva trattato affari con loro, aveva discusso e aveva trovato accordi economici vantaggiosi quando, ogni volta che tornava nella capitale, si trasformava nella scaltra donna d'affari che era stata nei tre anni di separazione da Ross.

La salutarono tutti, con un cenno rispettoso del capo o con un inchino e Demelza rispose con cortesia. Poi salì le scale, ma prima di arrivare all'ultimo gradino fu travolta da un abbraccio convulso, che quasi le fece mancare il fiato.

Caroline, informata del suo arrivo da un servitore, le era venuta incontro. Indossava un abito nero, i suoi bellissimi capelli biondi erano pettinati e perfetti come sempre, raccolti in una crocchia, e a prima vista sembrava perfetta ed eterea come sempre. Ma bastava uno sguardo più attento per capire che non era così. Grosse occhiaie ne deturpavano il viso che era ridotto a una maschera di dolore, il suo colorito era pallido e gli occhi arrossati e completamente asciutti. Demelza non disse nulla, non c'erano parole da dire o conforti da dare, c'era solo da stare in silenzio e farle sentire che era lì accanto a lei. La capiva, lei più di tutte comprendeva fin troppo bene il suo dolore, un dolore forte, lacerante e allo stesso tempo sordo che toglieva il fiato e che non ti permetteva nemmeno di piangere. Anche lei, quando aveva perso Julia, aveva pianto pochissimo e solo molti giorni dopo che la sua bimba se n'era andata. Le lacrime sono un qualcosa di liberatorio e la morte di un figlio non ha proprio nulla di liberatorio, ci vogliono giorni, mesi o anche anni per far uscire allo scoperto quel dolore che si è sedimentato dentro di te.

La abbracciò, le accarezzò la schiena e sentì che era lei che aveva voglia di piangere. Non era giusto che Sarah se ne fosse andata. Non era giusto come non lo era la morte di nessun bambino...

"Si era addormentata come le altre sere..." - singhiozzò Caroline. "Ero riuscita pure a farle mangiare tutto lo stufato di carne con le patate, a lei che di solito avanzava sempre qualcosa e non aveva mai fame. Forse non dovevo sforzarla, forse avrei dovuto farla mangiare meno, forse avrei dovuto coprirla di più... O Demelza, cosa ho sbagliato?" - disse Caroline, quasi gridando, lei che era sempre stata controllata e attenta alle buone maniere.

Demelza le accarezzò la guancia, scuotendo il capo. "Era malata Caroline, tu non hai sbagliato niente. Potevi fare mille cose diverse ma sarebbe successo...".

"Io la rivoglio! Rivoglio la mia bambina, come faccio a riaverla indietro?".

Le sorrise, tristemente. "Non si puo', puoi solo portarla sempre con te, nel tuo cuore".

Caroline si aggrappo' nuovamente a lei, come cercando un appiglio per non cadere. "Non lasciarmi sola".

"Non lo farò".

"Sai Demelza, cosa vorrei?".

"Cosa?".

"Tornare indietro nel tempo, quando noi due vivevamo felici e spensierate a Londra e io non piangevo la morte di un figlio, non ero una donna sposata e il mio unico cruccio era scegliermi l'abito per andare a un ballo".

Demelza annuì, era umano che desiderasse una fuga di quel genere. "Quello che hai avuto qui, con Dwight, vale più di tutto. E so che non ci rinunceresti mai, anche sapendo l'epilogo. A Londra eri felice, ma non conoscevi Sarah".

"Certo, ma... ma... partiamo un po', solo noi, come una volta".

Scosse la testa, non poteva farlo, aveva troppi macelli da sistemare a Nampara e Caroline doveva rimanere a casa. "Dwight ha bisogno di te, non puoi abbandonarlo. Vivete insieme questo dolore, non rintanatevi ognuno nel vostro cantuccio, non fate lo stesso errore mio e di Ross. Parlate, urlate, piangete insieme, litigate se questo puo' farvi sfogare. Ma resta qui con lui".

Caroline accennò un sorriso. "L'ho sempre detto che sei più saggia di me".

Demelza le strizzò l'occhio. "E allora dammi retta".

"Vuoi vederla?".

A quella domanda, Demelza deglutì. Voleva vedere la piccola Sarah? Com'è un bambino morto? La ferita per la morte di Julia era sempre lacerante, pur non avendola vista senza vita. Per Ross era stato diverso, lui sapeva com'era, sapeva cosa si prova a stringere fra le braccia un bambino senza vita, ma a lei quello strazio era stato risparmiato dalla malattia. Non averla potuta vedere per dirle addio era il suo più grande rammarico, ma allo stesso tempo l'aveva salvata dal dolore di ricordarla morta, quel dolore che Ross si portava dietro da allora. Avrebbe voluto averlo vicino in quel momento, affrontare quel lutto con lui, con tutti i ricordi che risvegliava in lei. Ma Ross non c'era, stavolta era lui quello risparmiato grazie a una malattia ed era il suo turno di affrontare da sola quell'inferno, per il bene di Caroline. Aveva paura, certo, perché vedere Sarah avrebbe significato un po' rivedere Julia. Strinse i pungi, abbracciò l'amica e cercò di farle e di farsi coraggio. "Certo".

Caroline annuì, la prese per mano e la condusse su per gli ultimi scalini. Percorsero in silenzio il corridoio fino alla stanza di Sarah, una cameretta dalle tinte pastello, elegante e allo stesso tempo rassicurante per un bambino, con una culla che sarebbe rimasta vuota, tanti giochi, tante bambole, tutto il mondo di quella piccola innocente.

Dwight era lì, riverso sulla culla, a fissare ciò che era stata la sua fiducia per il futuro, il suo sogno d'amore, il frutto del suo rapporto con Caroline. Era ammutolito, senza parole, con un volto quasi trasfigurato.

Demelza deglutì, si avvicinò e lo abbracciò in silenzio, senza dire nulla. Glielo aveva promesso, gli aveva giurato che ci sarebbe stata quando, con calore e affetto, l'aveva sorretta durante i giorni terribili dell'incidente di Ross. Dwight non l'aveva mai abbandonata e non le aveva mai fatto mancare la sua vicinanza, nonostante il dolore che stava vivendo. E lei non l'avrebbe lasciato solo. "Mi dispiace".

Dwight sprofondò la mano nei suoi lunghi capelli rossi, accarezzandole la nuca. "Grazie per essere qui".

"Non c'è altro posto al mondo dove dovrei essere, in questo momento". E poi lo fece. Si allontanò da lui e si mise accanto alla culla.

Sarah era lì, come se ancora dormisse e aspettasse che la sua mamma arrivasse per svegliarla. Era lì, col suo viso perfetto come quello di Caroline e Dwight, coi capelli biondi perfettamente pettinati e decorati con un nastrino rosa come l'abitino di pizzo che indossava. Sembrava un angelo addormentato, una di quelle statue d'avorio che nei musei ti fermi ad ammirare. Il suo colorito era marmoreo, pallido. Ma sembrava così in pace col mondo, così serena in quel suo sonno eterno. Era bella, la bellezza di una bambola. Si chiese se anche Julia fosse stata così... Si portò una mano al petto, realizzando che stava guardando qualcosa di molto simile a quanto le era stato celato dal fato e dalla malattia. Stessa innocenza, stessi sogni spezzati, stesso immenso dolore per qualcuno che non sarebbe mai diventato grande. Guardò Sarah e fu come aver saldato il suo debito col destino perché si sentì come se stesse guardando, con undici anni di ritardo, la sua piccola Julia.

E poi, sopraffatta dall'emozione, ricordò il capodanno di alcuni mesi prima, che sembrava lontano secoli, il modo tranquillo di giocare di Sarah, i desideri che tutti loro avevano espresso dopo la mezzanotte. Era andato tutto male, da allora. Ogni cosa...

Scosse la testa, distrutta dalla perdita di quella bambina, dal dolore di Dwight e da quanto stava accadendo a casa sua. "Scusate, devo andare!" - disse, correndo fuori dalla porta, senza dar loro il tempo di controbattere.

Percorse alcuni passi nel corridoio e poi si appoggiò alla parete, cercando di riprendere fiato. Caroline e Dwight, distrutti dal dolore, non l'avevano seguita e per alcuni minuti poté rimanere sola. Sentiva al piano di sotto il mormorìo della servitù e dei visitatori che si accomiatavano dalla visita alla bambina, il vento che faceva vibrare le finestre e il battito incessante del suo cuore che le martellava in petto.

"Vi sentite bene, signora?".

A quella domanda, sobbalzò. Non si era accorta che era arrivato qualcuno. Si voltò, trovandosi davanti un giovane che le era pressocché sconosciuto, più giovane di lei forse di una manciata d'anni, dai capelli mossi di color castano chiaro, con un viso raffinato e affascinante, vestito con abiti eleganti. "Non molto" – ammise. "Ma ora mi passa, state tranquillo".

"Volete che vi faccia portare un bicchiere d'acqua? Capisco il vostro tormento, vedere una bambina morta non è mai una bella cosa".

Nonostante tutto, Demelza sorrise. Gli faceva piacere quella gentilezza da uno sconosciuto, soprattutto in un momento del genere. "Vi ringrazio ma non è necessario" – sussurrò, rendendosi conto che, stranamente, trovava piacevole la compagnia di quello sconosciuto. Lo guardò meglio e appena lo fece, fu come colta da una strana scarica elettrica. Non sapeva perché, ma si sentì attratta da lui, dai suoi bei modi, dal suo aspetto così fine e delicato. Era la prima volta che le succedeva. Anzi, la seconda. Le era capitato anche la prima volta che aveva visto Ross, ora che ci pensava. Era una sensazione piacevole e spiacevole allo stesso tempo. Piacevole per quello che risvegliava in lei e che le faceva provare. Spiacevole perché lei non avrebbe dovuto sentire quel tipo di sensazioni...

Il giovane le sorrise. "Come vi chiamate? Siete un'amica di famiglia?".

"Il mio nome è Demelza Poldark e sì, sono amica da anni sia di Caroline che di Dwight".

A quelle parole, il giovane spalancò gli occhi. "Poldark? Moglie del capitano Ross Poldark?".

Si stupì. Come faceva a conoscere Ross? "Sì, ma come fate a...?".

Il ragazzo le si avvicinò, facendo un breve inchino per prenderle la mano e baciarla. "Piacere di conoscervi, il mio nome è Hugh Armitage e sono stato compagno d'arme di vostro marito in Francia, alcuni anni fa. E lì che ho conosciuto anche Dwight, con cui ho stretto amicizia. Soffro di alcuni problemi di salute che mi danno noia alla testa e agli occhi e dopo la guerra mi sono affidato alle sue cure, in guerra ha conquistato la mia più piena fiducia". E così dicendo, le baciò la mano.

Sentì di nuovo, ancora più potente, quella scossa. Le aveva risposto, ma non aveva sentito molto di quello che le aveva detto. Si sentì stranita da quel fatto, dal trovarlo così piacevole e attraente. Non le era mai successo con nessuno eccetto suo marito, nemmeno a Londra quando per tre anni era stata da sola ed era entrata in contatto con uomini che la adoravano. E ora, perché? Perché era vulnerabile e ferita per il comportamento di poco prima di Ross? Perché era devastata da ciò che la piccola Sarah aveva risvegliato in lei? Perché si sentiva sola e senza appigli? Perché era il primo che le dedicava attenzioni e gesti gentili, da tanto? "Francia? Oh, mio marito ci ha combattuto quasi un anno" – disse, non sapendo bene come intavolare una discussione che acquietasse il suo cuore.

"Vostro marito era un eroe per me, un mito. Indomito, forte, coraggioso, non si fermava davanti a niente. Era la parte romantica della guerra, in un certo senso".

Demelza scosse la testa, ricordando quanto fosse stata arrabbiata quando aveva scoperto che era partito per il fronte. "Mio marito sfuggiva da tante cose, in quel momento. Probabilmente anche da se stesso". Sorrise a Hugh, quasi d'istinto, a quelle parole. "E voi, che ci facevate laggiù? I giovani aristocratici dalle belle maniere, non vanno in guerra".

Hugh arrossì impercettibilmente, a quella domanda. "Sono un letterato, uno scrittore. Amo scrivere poesie ed ero attirato appunto dal lato romantico della guerra. Sapete, quelle storie patriottiche e romantiche di eroi che diventano miti, le cui gesta si raccontano nelle leggende e nei libri".

"La guerra non ha lati romantici!" - rispose subito Demelza, a tono.

Hugh sorrise di nuovo. "Mio malgrado, l'ho capito sulla mia pelle. Se non fosse stato per vostro marito, io sarei morto ora. Sono caduto in un'imboscata e lui mi ha salvato la pelle. A proposito, ho saputo che non sta bene. Mi spiace".

"Già". Abbassò lo sguardo, non sapendo cosa dire. La conversazione con lui era stata piacevole, finché il discorso non era caduto su Ross... "E così, scrivete poesie? Di che genere?" - chiese, per cambiare argomento.

"Poesie dedicate a persone speciali".

"Ammiratrici?".

"Ammiratrici... O amanti".

"Lo immaginavo" – rispose, civettuola. Demelza gli sorrise per un attimo, ma poi si irrigidì. Stava flirtando con lui... E lo trovava piacevole... Deglutendo, fece un passo indietro, spaventata più da se stessa che da Hugh. "Io... Io forse dovrei andare" – balbettò.

Hugh le si avvicinò di nuovo, sorridendole in modo amabile. "Siete qui sola?".

"A cavallo".

"Permettete che vi accompagni almeno alle stalle".

Avrebbe voluto dirgli di no, ma inspiegabilmente disse di sì. "Se vi fa piacere...".

"Ovviamente mi fa piacere. Siete davvero una splendida creatura, Demelza Poldark, trovo strano che vostro marito non abbia mai decantato le vostre lodi al fronte".

Adorava il modo in cui parlava, in cui parlava di LEI. Sarebbe rimasta ad ascoltarlo per ore, rasserenava il suo spirito e la sua anima da tutto il dolore che si portava dietro. "Mio marito non è di molte parole".

Hugh annuì, mentre insieme si avviavano verso l'uscita. "Potrei venire a trovarlo, uno di questi giorni? Non vivo lontano da qui".

"Certamente, ma non ricorda nulla del suo passato".

Hugh sorrise, scuotendo la testa. "Beh, se non altro sarà una scusa per fare un saluto a voi. Potrei portarvi una mia poesia?".

"Cosa?".

"Una poesia che scriverò appositamente per voi. Un dono! I visitatori devono sempre portare doni".

"Non credo sia il caso" – rispose Demelza con poca convinzione.

"Permettetemi di insistere, non c'è niente di male in ogni forma d'arte".

Demelza sospirò. Era strano essere oggetto di tante attenzioni da parte di un uomo così raffinato, affascinante e colto, un uomo così diverso da Ross... Si sentiva sola e forse avere un nuovo amico le avrebbe fatto bene. Forse... Mentiva a se stessa, un po' lo sapeva. Gli piaceva quell'uomo, il suo modo di fare e ciò che risvegliava in lei. Lo voleva rivedere e voleva sentirsi piacevole ai suoi occhi. "Avete ragione, non c'è niente di male. Aspetto voi e la vostra poesia a Nampara".

  
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