Aranyhíd
Geram
(Malese)
Un
bisogno che hai
difficoltà a sopprimere.
.
Persino l’avamposto di Suzanoh
rifletteva la stessa
imponenza della Grande Muraglia.
L’atrio della piccola fortezza era
stato costruito nella
stessa pietra gialla che componeva le mura, ma nemmeno gli arazzi che
erano
stati affissi nel tentativo di ingentilire l’ambiente riuscivano a
celare la
maestosità di quel luogo.
Si era sempre sentito piccolo, Takumi,
sin dalle
primissime volte in cui Ryoma od Hinoka lo avevano portato lì per
mostrargli i
confini del loro regno, ma aveva sempre pensato che si trattasse di una
reazione voluta dai costruttori: nessun nemico avrebbe mai potuto
sentirsi
spavaldo dinanzi a Suzanoh, e l’intera Hoshido poteva dormire sonni più
tranquilli sapendo che la Muraglia sarebbe sempre rimasta lì, pronta a
proteggerli.
Al suo fianco, minuscola in confronto
a quel posto che
trasudava possanza ed enormità, Zoe camminava in silenzio, mentre Ryoma
e Kaze,
a pochi passi dietro di loro, borbottavano qualcosa che lui non riuscì
a
comprendere; lanciò un’occhiata alle sue spalle, cercando invano di
carpire
qualcosa del loro discorso e sorprendendosi quando si accorse che
persino la
figura imponente di suo fratello pareva smorzata dall’altissimo
soffitto e
dalle pareti spesse un braccio.
“Cerca di non esagerare”.
Erano state quelle le parole che Ryoma
gli aveva
sussurrato all’orecchio, prima: parole che lo avevano schiacciato come
se
l’intera Muraglia gli fosse crollata addosso, e che echeggiavano fra i
suoi
pensieri sin da quando erano state pronunciate.
Takumi poteva sentirle pulsare nella
testa, martellargli
le tempie, e avrebbe tanto voluto
non darci così tanto
peso… ma no, non poteva ignorarle, perché
quelle parole non
facevano altro che tormentare il senso di colpa che aveva seppellito
nel petto.
Non poteva ignorarle, perché aveva già
deluso suo
fratello. Era troppo tardi: aveva già esagerato.
Aveva esagerato
quando lei aveva pronunciato
quel nome, quando tutto si era disfatto tra le sue dita nel momento in
cui lei,
già troppo lontana dal crepaccio dell’Abisso Infinito per gettarcela
semplicemente dentro, aveva dimostrato di possedere il potere di fare
il suo
mondo a pezzi con una sola parola.
-Sono Ileana, quarta principessa di
Nohr e figlia del Re d’Ossidiana.-
Ileana.
No, pensa Takumi, il corpo
pietrificato dallo shock mentre quel nome sembra esplodere nell’aria
dell’Abisso, rintoccare su ogni roccia tagliente del confine.
Non le crede. Ileana è morta, ne è
sicuro. Assassinata, poco dopo essere stata strappata al corpo ancora
caldo di
suo padre. Ecco perché non l’hanno mai trovata, indipendentemente da
quante
risorse abbiano investito nelle ricerche: è morta, sepolta diversi
piedi sotto
la polvere di Nohr, e l’unico motivo per cui non hanno restituito il
suo corpo
spezzato è per condannarli ad un’esistenza di incertezza per tutta la
vita.
Non le può credere, non può – non vuole
–,
è più forte di lui.
Non è possibile che quella… quella
cosa sia la sua sorellina perduta. È nohriana, dalla testa ai piedi –
è feccia.
È un mostro senz’anima e
senza cuore che ha ordinato di attaccare le sue truppe facendosi beffe
del loro
trattato di confine, che ha persino osato appellarsi all’onore e
implorare
pietà anziché pagare per i propri peccati quando si è trovata con le
spalle al
muro – i nohriani non hanno avuto nessuna pietà per suo padre: l’hanno
ucciso a
sangue freddo, davanti agli occhi di una bambina indifesa, quindi
perché
avrebbe dovuto averne lui per loro?
Avrebbe dovuto ucciderla. Avrebbe
dovuto ucciderla e basta, avrebbe dovuto dare retta a quella quieta,
piccola
vocina che gli aveva sussurrato di assecondare la rabbia del suo yumi e
permettere che la sua freccia le strappasse dal petto quello che era
rimasto
del suo cuore freddo e marcio.
Le sue mani tremano sui legacci della
spada che le ha portato via, le dita ancora ingarbugliate tra i nodi
che stava
finendo di stringere quando ha sentito quel nome. Impallidisce, e ne è
conscio,
e gli occhi gli bruciano mentre dolore e rabbia imperversano dentro di
lui,
dando vita a una sete di sangue che non ha mai sentito prima.
Dovrebbe ucciderla, adesso, in questo
istante. Ai corvi la politica e i trattati e la promessa di
informazioni.
Dovrebbe trascinarla di nuovo al di là del ponte e squarciarle la gola
di
fronte ai suoi cani da guardia, urlargli che è questo quel che succede
quando
Nohr cerca di insinuare un’impostora tra i loro ranghi con un trucco
così vile.
Perché è solo questo, non può essere
altro. Ileana è morta e questa Maga non è altro che un diversivo per
infiltrarsi tra le sue truppe, tra la sua famiglia, sfruttando il loro
dolore a
proprio vantaggio per piantargli un pugnale nella schiena alla prima
occasione.
Ma lui non lo permetterà.
-Non è possibile.- ringhia mentre le
si avvicina a grandi passi, la mano che scatta a stringersi tra i suoi
capelli
corti. Lei non può trattenere una smorfia quando se la strattona
addosso,
torcendole il collo in modo da scacciare quello sguardo tronfio dal
viso mentre
la costringe a guardarlo. -Stai mentendo.-
Stringe più forte quando quella feccia
si dimena – ribelle e impudente – e lui si trova ad apprezzare il
mugolio di
dolore che le sfugge quando riesce solo a farsi male da sola. -Perché
dovrei?-
Soffia, soffia come la serpe che è.
C’è veleno a impregnare le sue parole e lo sa – mai, mai fidarsi di uno
stregone nohriano: sa cosa possono fare alle menti delle loro vittime.
Non le
permetterà di incantarlo e convincerlo a lasciarla andare.
Snuda la spada che le ha strappato e
gliela preme contro la gola. -Non voglio chiedertelo di nuovo, feccia.
Il tuo
nome. Subito.-
Voleva solo spaventarla, ma poi il
metallo sembra venarsi di rosso, e qualcosa di cattivo e furibondo
ulula dentro
di lui. La Maga trema e impallidisce prima di immobilizzarsi tra la sua
mano e
la lama, e lui si trova a godere di quella vista, perché se lo merita.
Sputa veleno, la feccia, ma stavolta
c’è un’inflessione nella sua voce che suona tanto come paura. -Ve l’ho
detto!
Potete minacciarmi quanto volete, vi ho detto la verità!-
-Quelli come te non dicono la verità
così facilmente.- la schernisce, facendosi beffe della bugia colossale
che ha
appena tentato di rifilargli.
La tracotanza di lei vacilla quando il
filo della spada le accarezza la gola e cerca di liberarsi, ma non può
sfuggirgli. La vede serrare gli occhi per non mostrargli quelle lacrime
rivelatrici che le velano gli occhi.
Takumi si gode lo spettacolo delle
crepe che si diramano nella sua maschera: avrà le sue risposte, e anche
prima
di quanto pensasse. Dovrà solo stare attento, perché non sembra che
possa
durare molto sotto tortura.
Pazienza. Troverà lo stesso il modo di
farle pagare tutto – perché la feccia come lei non merita altro che
soffrire.
Le spinge la spada contro la gola, minaccioso. - Ma ho intenzione di
strappartela, ‘principessa’, a qualunque costo. Credimi, crollerai. In
fretta.-
E allora una goccia di sangue bagna il
filo della lama dove le ha penetrato la pelle – è tanto, tanto più
affilata di
quanto credesse – e la spada sembra gemere come se fosse viva e dotata
di
volontà propria. Ne vuole ancora, Takumi intuisce… e per un infinito,
folle
secondo, ne vuole anche lui.
Per un infinito, folle secondo, è
pronto a gettare al vento ogni strategia, ogni progetto: non vede altro
che
sangue, non vuole altro che sangue.
Il sangue di quella dannata cagna.
-Lord Takumi!-
Col senno di poi, Takumi aveva capito
che era stato un
bene che Kaze si fosse trovato lì, pronto a fermarlo prima che potesse
fare
qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentito – a spingere via la
spada prima
che lui potesse seppellirla nella gola di quella nohriana.
Stava ancora cercando di trovare il
coraggio per
affrontare il Maestro Ninja e scusarsi, sia per la sua sfuriata
all’Abisso
Infinito sia per come l’aveva trattato durante tutto il viaggio di
ritorno
verso Suzanoh… ma Kaze era stato così pronto a difendere e proteggere
quel
piccolo demone che lui, proprio, non aveva potuto farne a meno. Poteva
solo
sperare che non avrebbe detto a Ryoma di__
-Ehi…-
Il flebile sussurro di Zoe, così
diverso dalla voce
squillante che conosceva fin da bambino, lo sottrasse a quei pensieri
frustrati
e pieni di rabbia, costringendolo a voltarsi verso di lei e a
fronteggiare
l’insicurezza che sembrava essere stata scolpita in ogni singolo tratto
del suo
viso spigoloso.
Era difficile credere che quella
giovane donna fosse la
stessa ragazzina con cui era cresciuto.
Da quando Saizo le aveva permesso di
assumere la carica
di Samurai era diventato molto complicato, per Takumi, far collimare il
ricordo
di una bambinetta nervosa e lunga come un giunco con le forme che le
sue vesti,
per quanto molto meno rivelatrici di quelle di altre Samurai, proprio
non
riuscivano a nascondere… anche se non avrebbe mai capito come facesse a
non
sentire freddo con addosso soltanto un kimono che le copriva a malapena
il seno
– quella era sicuramente opera di Orochi, poco ma
sicuro.
Tuttavia, nonostante gli sforzi di sua
madre per
spingerla verso un abbigliamento più consono ad una giovane donna, Zoe
continuava testardamente a vestirsi più come Hinata, preferendo la
comodità
dell’hakama e dell’obi scarlatto
che le fasciava i
fianchi morbidi agli abitini striminziti che riempivano il suo armadio,
mai
toccati.
Takumi aveva sempre pensato che Zoe
assomigliasse, più
che alla provocante Orochi, a Kagero: aveva nei piedi lo stesso passo
felpato,
nelle movenze la medesima scioltezza e nelle ombre la sua casa.
-Ehi.- rispose, riscuotendosi dai suoi
pensieri e
sforzandosi di sorriderle, sebbene sapesse perfettamente quanto poco
sincero
sarebbe sembrato il suo maldestro tentativo di conforto: Zoe lo
conosceva forse
anche troppo bene, ed era certo che gli avrebbe letto in faccia quanto
poco
fosse contento di quella situazione.
No, non voleva proprio portarla
da lei, non
voleva che Zoe la incontrasse e le parlasse, non voleva che quella
schifosa
fattucchiera da due soldi provasse a irretire la sua amica prima di
portargliela via.
-Sei silenzioso.-
Il giovane principe sbuffò,
scoccandole un’occhiata
obliqua.
-Anche tu, e penso sia quasi un
miracolo.- replicò,
ottenendo una lieve gomitata e una pernacchia come risposta.
-Sei sempre un antipatico.- lo
rimbrottò lei, sbuffando,
ma Takumi non se la prese. Se quel rimprovero gli fosse stato mosso da
Ryoma, o
da Hinoka, il dolore che gli avrebbe causato sarebbe stato atroce, ma
Zoe… beh,
Zoe passava la maggior parte del suo tempo a fargli notare quanto
sapesse
essere insopportabile, ma nonostante il suo brutto carattere gli era
sempre
rimasta vicino.
Il sorriso che gli sfuggì, stavolta,
fu più sincero,
perché in quella vocina era riuscito a cogliere un’ombra della sagacia
che
tanto gli era cara: eccola lì, la sua amica Zoe, quella che non mancava
mai di
sottolineare quanto quei pochi mesi che li dividevano la rendessero più
grande
di lui e che lo conosceva probabilmente molto meglio di quanto potesse
dire di
Hinoka.
-Fa parte del mio fascino!- ribatté,
balzando indietro
per evitare il pugno che, prevedibile, tentò di atterrare sulla sua
spalla.
-Ma quale fascino.- mugugnò debolmente
la Samurai,
scuotendo la testa prima di piombare nuovamente in quell’odioso,
insopportabile
mutismo che Takumi proprio non riusciva a tollerare.
Le concesse soltanto una manciata
d’attimi di silenzio
prima di sbuffare, esasperato, fermandosi bruscamente dopo una curva
del
corridoio per afferrarla per un polso, costringendola a prestargli
attenzione –
con la coda dell’occhio scorse lo sguardo interrogativo di Ryoma,
chiaramente
sorpreso da quel gesto, ma decise di ignorarlo: suo fratello sembrava
ancora
preso dalla conversazione con Kaze, e lui poteva concedersi qualche
minuto per parlare
con la sua amica.
-Senti, non sei davvero obbligata a
vederla.- sbottò,
sentendosi profondamente a disagio in quella situazione: non era mai
stato
bravo nelle questioni emotive, ma sperava che Zoe, sapendolo, gli
perdonasse la
sua evidente goffaggine. -Non è una brava persona.-
Lei sospirò.
-Invece devo, e lo sai. Anche soltanto
per darmi pace una
volta per tutte.-
Takumi digrignò i denti, esasperato:
Zoe aveva serrato la
mano destra sulla tsuka della
katana e l’altra mano era
sparita fra le pieghe dell’hakama grigio, sicuramente stretta a pugno
tanto
saldamente da aver inciso i tratti delle sue unghie rovinate nel palmo;
il suo
sguardo scarlatto era assente, vuoto come Takumi non aveva mai avuto
idea che
potesse essere, le labbra illividite dalla tensione e le orecchie
appiattite
fra i capelli.
Non era abituato ad una Zoe
silenziosa, che teneva le
spalle dritte e l’espressione impassibile: Zoe era una brace ardente,
con una
rispostaccia sempre pronta sulla punta della lingua e uno scintillio
indomabile
nelle iridi fulve… la Samurai che aveva accanto, invece, era un’entità
sconosciuta, una pallida e tesa eco della ragazza a cui era affezionato.
Zoe non se lo meritava.
Zoe era una delle persone migliori che
avesse mai
conosciuto, era sua amica, era famiglia, e
lui non poteva tollerare
che quella dannata nohriana l’avesse trascinata di nuovo in quella
pozza di
dolore da cui le era stato così difficile tirarsi fuori senza nemmeno
averla
ancora incontrata – lei così come sua madre, quella donna meravigliosa
che,
dopo i tragici eventi di Cheve, aveva passato troppe notti a piangere
chiusa
nella cameretta che era appartenuta alle sue figlie.
Quella cagna non poteva essere la
bambina perduta di sua
madre, la sua sorellina, l’amica d’infanzia di Zoe. Nessuno avrebbe mai
potuto
convincerlo del contrario.
Tuttavia…
I suoi pensieri s’ingarbugliarono
un’altra volta,
soffocandolo ancora una volta nelle spire della vergogna e della
frustrazione –
come poteva mantenere la lucidità, il filo di un qualsiasi discorso,
quando ad
ogni respiro la faccia distorta della nohriana risaliva a galla nella
sua
mente?
Quanto riusciva a capire il bisogno di
Zoe di un po’ di
pace… anche lui avrebbe tanto voluto
trovarla, lasciarsi
sprofondare nella certezza di essersi comportato in modo onorevole,
corretto e
giusto, come Ryoma si sarebbe aspettato da lui.
Ma lo aveva deluso.
Aveva esagerato. Aveva esagerato
quando l’aveva
catturata, quando l’aveva assalita, quando aveva dato l’ordine di farle
fare la
fame e la sete.
Non avevano avuto dietro alcuna droga
per sopprimere le
sue facoltà magiche: i suoi ninja avevano portato solo veleni, e per
quanto gli
sarebbe piaciuto davvero tanto mettere fine a quella vita disgustosa,
non
poteva. Reina li aveva lasciati immediatamente per raggiungere sua
madre, e
Takumi si era dovuto sforzare di tenere a mente che non avrebbe potuto
uccidere
la nohriana né farle qualcosa che avrebbe lasciato segni visibili – non
finché
non fosse stata giudicata per l’impostora che era, e condannata come
tale.
Ma aveva potuto renderla il più debole
e impotente
possibile. E l’aveva fatto. E se n’era approfittato.
Il fuoco che hanno costruito nel mezzo
dell’accampamento brucia, luminoso, e scaccia il freddo portato dalla
Luna di
Ghiaccio. I suoi uomini formano un cerchio disordinato attorno a loro
e, mentre
mangiano, si riposano, tra le risa generali: hanno passato le montagne
e sono
tornati su suolo hoshijin. Sono al sicuro. Sono a casa.
Il cuore di Takumi è più leggero, il
sollievo è palpabile nell’aria che porta il profumo conosciuto della
sua terra.
Tuttavia, lui non può rilassarsi – non
ancora. Non finché quella feccia avrà fiato in gola.
Le lancia un’occhiata da sopra la
spalla, scocciato, ma scorge l’espressione accuratamente neutra di
Kaze, poco
lontano dalla prigioniera: gli obbedisce, evitando di avvicinarsi a
quella
bestia come lui gli ha ordinato e evitando di interferire con il suo
trattamento, ma non è mai lontano, e non la perde di vista, mai. Veglia
su di
lei, nella speranza che la sua sola presenza basti a proteggerla.
E in effetti, basta: i soldati la
lasciano in pace, e hanno persino smesso di deriderla – Oboro è l’unica
a fare
eccezione.
Quella cagna è seduta a terra, la
schiena appoggiata contro il palo a cui l’hanno legata, abbastanza
lontana dal
fuoco per non godere del suo calore ma non abbastanza da renderla poco
visibile. Ha sempre le mani legate dietro la schiena: non sono mai
state
sciolte da quel giorno sull’Abisso. Ha raccolto le gambe sotto di sé in
un
tentativo di arrotolarsi su se stessa per trattenere quel poco calore
che le è
rimasto in corpo, e non può essere semplice considerando lo stato dei
suoi
abiti: sono leggeri e strappati, tanto che quel che rimane del suo
mantello
basta giusto a coprirle le spalle.
È infreddolita, irrigidita, stanca. È
riuscita a malapena a mettersi in piedi quella mattina, come se la
scarsità
d’acqua e cibo stesse già mostrando i suoi effetti. Non è nemmeno
riuscita a
camminare, e Hinata ha finito per caricarsela in spalla – perché si sia
rifiutato di trascinarla e basta Takumi proprio non lo capisce, ma
Hinata è
sempre stato debole quando si parla di donne.
Sembra davvero, davvero debole e
indifesa, ma Takumi sa che è una finta per avere la loro pietà, per
fargli
abbassare la guardia. Non è possibile che sia già denutrita e
disidratata, non
è passato abbastanza tempo – qualunque soldato reggerebbe di più, anche
uno
sottile come lei… e il sussurro tra i suoi pensieri è una pressione
continua
contro le tempie, è come se qualcuno gli mormorasse parole senza fine
all’orecchio
senza permettergli di comprenderne il senso.
È certo che sia lei, che sia un
tentativo di incantarlo, di ingarbugliargli i pensieri. E, se riesce a
lanciare
un incantesimo del genere senza avere un tomo tra le mani, allora sta
molto
meglio di quanto sembri.
Le si avvicina, piano, con attenzione.
La feccia non sembra nemmeno accorgersene, ma Takumi prova a ragionare
e si
accorge che quel sussurrare nella sua testa è andato affievolendosi man
mano
che si allontanavano dal confine. Forse non è così in forma dopo tutto.
Ha un solo modo per scoprirlo.
C’è un ghigno sottile ad arricciargli
le labbra mentre torna a prendere un piatto che riempie con alcune
delle
polpette di pesce che hanno preparato per cena, prima di tornare da
lei. È così
vicino che può sentire il suo respiro, affannato e doloroso, così tanto
da
poter scorgere gli aloni violacei sotto i suoi occhi e il pallore del
suo viso.
Per un momento, ritrova la ragazzina
spaventata, fragile e indifesa che ha visto all’Abisso la prima volta
che le ha
puntato contro una delle sue frecce, e il suo odio vacilla. Poi il
piatto
tintinna contro il suolo mentre lo appoggia e lei apre gli occhi con un
brontolio, e all’improvviso non c’è più alcuna traccia di innocenza sul
suo
viso, distorto in qualcosa di detestabile, cattivo ed arrogante.
Per i Draghi, ci è quasi cascato. Come
ha potuto? Eppure lo sa, sa che non è altro che feccia, che una
creatura
immonda pronta a piegare le leggi della natura ai propri scopi malvagi
ed
egoisti, bramosa di vite innocenti, insaziabile di sangue. Non deve
dimenticarlo, mai.
Quindi la squadra dall’alto in basso,
sulle labbra tutta la crudeltà di cui è capace. -Non hai dormito
abbastanza in
braccio alla mia guardia?-
C’è un baluginio rabbioso nei suoi
occhi, ed è la sua unica risposta – che sia perché lei si rifiuta di
parlargli,
oppure perché ha la gola troppo secca per riuscirci. Ma ci sono delle
cose che
lui vuole sapere.
-Piantala di guardarmi in cagnesco. Ti
ho portato da mangiare.- le dice, fintamente conciliante, indicando il
piatto
appoggiato vicino a lei con un cenno del mento.
La Maga inarca un sopracciglio. -Avete
intenzione di slegarmi per lasciarmi mangiare?- gli chiede. Ha la voce
bassa e
rauca, ma riesce lo stesso a suonare sprezzante.
A lui si contrae un muscolo sulla
mascella.
-No.-
La smorfia di lei dice tutto.
-Tenetevi il cibo allora. Non riuscirete a farmi mangiare come un cane.-
Takumi deve fare uno sforzo per
trattenere una rispostaccia. Ad essere onesti, l’umiliazione del
costringerla a
mangiare direttamente da terra non è qualcosa a cui aveva pensato – né
uno
spettacolo di cui avrebbe goduto, al contrario di Oboro – e parte di
lui sa che
è davvero chiedere troppo.
Ma la nohriana dovrà essere morta e
sepolta prima che lui consideri anche solo l’idea di scioglierle le
braccia.
-È il tuo giorno fortunato, allora,
perché sono disposto a darti una mano.- le dice invece, anche se non
riesce ad
evitare di suonare condiscendente. Lei gli fa una smorfia sarcastica
mentre si
abbandona di nuovo contro il palo ma non ribatte, così lui prende una
polpetta
tra le dita e gliela porta alle labbra. -Sono disposto a imboccarti io
stesso,
ma te lo dovrai guadagnare. Un boccone per ogni domanda a cui
risponderai.
D’accordo?-
E chiede, chiede, chiede. Le chiede di
Nohr, dell’esercito, di re Garon. Lei non dice una parola, nonostante
lui veda
quanto le costi: quando si stufa di aspettare una risposta si mangia
lui la
polpetta, e può sentire i suoi occhi addosso, vedere il tormento della
fame.
Eppure non fa un fiato.
Quando lui ingoia l’ultimo boccone di
cibo, c’è un sorriso suicida sulle labbra di quel mostro. -Ve l’ho
detto. Non
vi darò nulla.-
Il mormorio si fa un grido
incomprensibile tra i suoi pensieri. La rabbia esplode, rossa come lo
scintillio nei suoi occhi. Fa per stringerle il mento tra le dita, ma
lei è più
veloce – non sa se perché se lo aspettava, o se perché davvero non sta
male
come cerca di far vedere.
Prima che possa anche solo sfiorarle
il viso, sente i denti affondargli nella mano. Lo morde, forte,
inaspettatamente forte, con rabbia e disperazione. Lui è troppo
scioccato per
reagire, almeno finché non sente quelle zanne andare più a fondo, il
sangue
scendergli lungo il palmo.
L’altro pugno si chiude tra i suoi
capelli per strattonarla via, e sente i canini graffiargli la pelle
mentre la
costringe a lasciarlo andare. Fa male.
-Questa me la paghi, serpe!- ringhia,
ma lei non fa altro che sputargli addosso il sangue che le è colato in
bocca.
Le dita che la tengono saldamente
contro il palo, la mano ferita scende, rispondendo alla chiamata che
sembra
provenire dal metallo scuro e pulsante che riluce da dentro il fodero
che porta
al fianco… ma una presa solida si chiude sul suo polso prima che possa
afferrare l’elsa della spada.
-Reina è stata chiara, milord: che non
le venga fatto del male.- Kaze gli ricorda, impassibile.
Takumi risponde con una smorfia mentre
cerca di strappare il polso alla presa del ninja – ma certo, non se ne
sarebbe
stato a guardare in disparte mentre lui sfigurava la sua protetta.
Si alza in piedi e lancia uno sguardo
disgustato alla feccia costretta in ginocchio ai suoi piedi, e sente il
bisogno
di aprire uno squarcio in quel bel faccino subdolo quando capisce che
non ha
chiuso gli occhi, nemmeno quando stava per estrarre la spada.
-Bene, allora.- sputa, mentre parte
del suo cervello si chiede se avrà bisogno di un sorso d’antidoto per
quel
morso. -Quella era la tua cena, sappilo. Ma non credere che ti
permetterò di
morire di fame, non ho finito con te.-
Ed è allora, a quelle ultime parole,
che vede di nuovo le crepe di debolezza sul suo viso, e capisce: non
sta solo
facendo la difficile, vuole lasciarsi morire prima che lui possa
interrogarla a
dovere.
E a Suzanoh mancano ancora tre giorni.
Era stato Hinata ad impedirgli di
esagerare quando aveva
cercato di farle ingoiare a forza cibo e acqua, non appena aveva capito
cosa
stesse cercando di fare quella feccia. Con l’aiuto del suo amico
d’infanzia era
riuscito a fare un passo indietro, anche se ancora gli teneva il
broncio per
aver insistito nel chiedere l’aiuto di Kaze per occuparsi del loro
ostaggio.
Alla fine, infatti, Takumi aveva
ceduto alle loro
richieste di mandarla avanti assieme al ninja e alle sue guardie mentre
lui
guidava i soldati attraverso la foresta. Kaze sembrava di essere
l’unico in
grado di convincerla a cooperare almeno un po’, e Hinata sembrava
essere sulla
buona strada per fare altrettanto – e quello era qualcosa che avrebbe
potuto
usare, appena ottenuto il permesso di interrogarla. Oboro era stata
praticamente costretta ad andare con loro, per essere certa che quei
due
teneroni non permettessero a quella feccia di mettersi troppo comoda.
Se solo non fosse mai esistita…
Nervosamente, Takumi sfiorò l’elsa
della spada che
portava al fianco, ed ancora una volta gli parve di avvertire un
fremito
impaziente ed oscuro vibrare sotto i suoi polpastrelli.
Avrebbe dovuto ammazzarla, non se lo
sarebbe mai ripetuto
abbastanza. Avrebbe potuto trovare un modo, e ai corvi gli
interrogatori:
proteggere sua madre e proteggere Zoe sarebbero dovute essere la sua
priorità.
Tagliarle la gola all’Abisso,
bruciarla assieme a quel
palo a cui l’aveva legata invece di tentare la via della gentilezza e
offrirsiaddirittura di
darle da mangiare di persona… si sarebbe dovuto impegnare di più,
essere più
fermo con Kaze e con Hinata, costringerla a vuotare il sacco per poi
mettersi
comodo a guardarla uccidersi da sola.
Certo, sua madre e Zoe sarebbero state
devastate dalla
notizia che la sconosciuta nohriana che affermava di essere Ileana non
aveva
resistito al viaggio, ma… sarebbe stato meglio, per loro. Avrebbero
avuto una
chiusura, avrebbero potuto accettare una volta per tutte che Ileana era
morta,
sarebbero potute andare avanti con le loro vite e Takumi non avrebbe
mai più
dovuto vedere sua madre stringere convulsamente al petto un cavallino
di pezza,
avrebbe potuto convincere Zoe a lasciar perdere il suo desiderio di
diventare daimyo – magari
avrebbe persino trovato il modo di convincerla a sposare il
ragazzo per cui aveva una cotta da una vita, magari
si sarebbe rassegnata, magari
sarebbe stata felice…
E invece no. Invece lui aveva fallito,
fallito su tutta
la linea, e adesso quella maledetta cagna aveva già cominciato ad
avvelenare il
suo mondo, la sua famiglia, i suoi amici, e non voleva nemmeno pensare
a cosa
sarebbe successo quando avrebbe incontrato sua madre.
Non aveva idea di come Mikoto avrebbe
potuto confermare o
meno l’identità della Maga nohriana, ma una parte di lui, una grossa
parte
di lui, sperava ardentemente che Kaze si fosse sbagliato, che in
qualche modo
la principessina viziata che avevano preso prigioniera si rivelasse
essere
un’impostora – e lui avrebbe potuto porre fine a quella penosa
pagliacciata una
volta per tutte, facendo pagare a quell’eretica ogni attimo d’angoscia
provata
da sua madre e da Zoe.
-Avresti dovuto darti pace una volta
per tutte molto
tempo fa, e lo sai.- brontolò, nervoso, sfregando nervosamente un piede
sul
pavimento liscio e pulito del corridoio, provando una punta
d’irritazione
quando il fango della foresta macchiò quel lindore. -Ma insomma, è
comprensibile.- aggiunse, però, scorgendo l’espressione di lei
incupirsi al suo
commento e maledicendosi, per un istante, quando si rese conto di aver
esagerato: Zoe aveva cercato davvero di superare tutto quello, di
andare
avanti, e lui ne era stato contento – anche se avrebbe preferito
vederla in un
ruolo più al sicuro di quello di un soldato. -Però non… non sono sicuro
che
dovresti sperarci così tanto.- ammise, cercando disperatamente un modo
di
esprimere i propri dubbi senza farle del male – sarebbe bastata una
parola
sbagliata perché Zoe si preoccupasse ancora di più, e non voleva
assolutamente
essere lui quello che avrebbe ridotto in briciole quelle speranze in
cui tanto
lei quanto sua madre non avevano mai smesso davvero di credere.
La Samurai abbassò lo sguardo,
mordendosi nervosamente le
labbra.
-Pensi che non sia lei?- gli domandò,
e Takumi avvertì
chiaramente quanto quella prospettiva l’avesse già sfiorata e la
tormentasse.
Quel mostro non l’aveva nemmeno ancora
incontrata e
già le stava facendo del male.
Digrignò i denti, cercando di
mantenere la calma: quello
non era proprio il momento di perdere le staffe.
-Non può essere
lei. Zoe, non può,
fidati di me. È…- esitò, annaspando alla ricerca di una definizione non
troppo
deplorevole per quella che, invece, meritava soltanto i peggiori
insulti. -…è
cattiva, è__-
-Allora? Vogliamo riprovarci?-
Queste sono le prime parole che le
dice non appena mette piede di fronte alla sua cella, nelle segrete
sotterranee
della Grande Muraglia.
Le prigioni sono scavate nella pietra
stessa che costituisce il fianco nord di quella che è l’ultima linea di
difesa
di Shirasagi. Sono una serie di anfratti con pareti rocciose
irregolari, senza
finestre, le cui entrate sono delimitate di sbarre d’acciaio
magicamente
rinforzate, e danno tutte sullo stesso lungo, sottile corridoio. È
buio, umido,
freddo e scomodo, qui sotto: le uniche luci sono quelle delle candele
alle
porte delle celle occupate e l’occasionale torcia tra le mani delle
guardie.
Oggi come fonte di illuminazione ci
sono solo la candela che sfrigola fuori dalla cella della Maga e la
torcia che
brucia nel pugno di Takumi.
Non sembra che la cosa la disturbi –
come ogni mostro che si rispetti, è a suo agio nell’oscurità, e questa
non è
che un’altra prova della sua depravata natura.
Lui riesce solo a pensare a sua madre
e a Zoe, che a breve arriveranno per parlarle, e gli si spezza il fiato
in
gola. Non le vuole vicino a questo mostro.
Ecco perché è qui, adesso. Questa è la
sua ultima possibilità di strapparle i suoi segreti, prima di essere
costretto
a fare un passo indietro, almeno finché la sua mascherata non sarà
riconosciuta
come la farsa che è, e lui potrà finalmente fare di lei quello che
vuole. Ma
fino ad allora…
La Maga si lascia abbracciare dalla
luce, e lui capisce subito che averla mandata in anticipo a Suzanoh è
stato un
errore. Non dover marciare le ha permesso di recuperare un po’ di forza
e, per
quanto si veda che è ancora debole, c’è un ghigno insolente sulle sue
labbra
che non promette davvero niente di buono.
Lo sta guardando come se lei non fosse
la preda, ma il predatore.
-Quindi il Principe di Hoshido, oltre
ad essere uno stupido prepotente senza onore, è anche sordo.-
esordisce, la
voce che sanguina alterigia e disprezzo.
La rabbia che non l’ha tormentato per
tutto il tempo in cui non ha dovuto tollerare la sua presenza torna
all’improvviso, ed è assoluta. Stringe la presa sull’elsa della spada
scura e
vorrebbe tanto che quelle sbarre non fossero lì, così potrebbe
finalmente
ucciderla – perché quello si fa con i mostri come lei: si fanno a
pezzi, prima
che possano distruggere ogni cosa bella e pura.
-È incredibile quanto marciume possa
esserci in una bestiolina così piccola.- risponde lui, le parole
avvelenate
tanto quanto quelle di lei.
-Non potete nemmeno immaginarlo. Non
vi piaceranno le parole che ho per voi oggi, ve lo garantisco.- le sue
zanne
scintillano alla luce della torcia. Lui coglie il riflesso delle
manette che le
legano i polsi sul davanti. È in piedi, appoggiata alla porta della
cella, le
dita pallide ed esili come zampe di ragno strette attorno alle sbarre.
-Ma prego,
venite a constatare di persona, Principino. Chiedete, se ne avete il
coraggio.-
Lui si abbandona a un sospiro
teatrale, come se rimpiangesse quello che sta per dire – e invece non
lo
rimpiange affatto. -Non capisco perché tu debba rendere tutto così
difficile.
Voglio solo poche risposte oneste. Non deve essere doloroso.-
-Ah no?- c’è sarcasmo nei suoi occhi
verdi – occhi che luccicano nel buio, come quelli di una bestia in
agguato,
assetata di sangue, pronta a colpire. -Non credo che vi dispiacerebbe
se lo
fosse. O volete farmi credere che non vi siete immaginato la scena,
Principino?-
C’è qualcosa di strano nelle sue
parole, si dice Takumi mentre rabbrividisce. È diverso il modo in cui
parla, in
cui articola ogni sillaba rendendola piena e bassa, perfette per
insinuarsi
nella sua mente.
Il mormorio che sente tra i suoi
pensieri non è mai cessato del tutto, nemmeno in sua assenza.
-Non mentitemi, Principino.- sussurra,
e lui è a tanto così dall’impazzire – perché è lui che dovrebbe
intimarle di
non mentire, e lei quella che dovrebbe sentirsi inerme e in trappola.
-So che
non chiedereste altro che vedermi in pezzi. So che non vedete l’ora di
fare del
vostro peggio. Ma so anche che, per ora, non potete farmi del male. Non
ne
state morendo?-
Certo che sa che non può farle del
male – non ancora. Deve averlo capito, o dagli ordini di Reina, o dalle
parole
di Kaze quando ha interferito quella notte all’accampamento, oppure
avrà
sentito Hinata e Oboro che ne parlavano. Di certo, sta fingendo ogni
momento di
debolezza.
Gli sembra che gli stia girando
intorno in cerchio, cercando di capire quando attaccare, dove colpire
in modo
da ucciderlo con un solo morso, come se avesse lei il controllo della
situazione, nonostante sia rinchiusa dietro sbarre d’acciaio. Trasuda
pericolo,
e lo rende nervoso. Si chiede se lei possa percepirlo, come farebbe
qualsiasi
animale.
Stupido, stupido lui che le ha
permesso di riprendersi mandandola avanti.
Raddrizza la schiena. -Posso fare
tutto quello che voglio, finché non lascio segni visibili. Non
guasterebbe
renderti un po’ più… docile, sai?- precisa, avvicinandosi alle sbarre
della
cella, dimostrando più sicurezza di quanta non ne senta. È abbastanza
vicino da
toccarla, e le croste sulla ferita alla mano che gli ha lasciato
prudono. -E ci
sono modi per ammansirti che non lasceranno tanti segni.-
Gli pare di vedere un’ombra nel suo
sguardo mentre lo studia attentamente, ma è svanita al seguente battito
di
ciglia. Non si allontana dalla porta della cella, nemmeno quando una
delle sue
mani si stringe sulle sbarre. Ghigna e basta. -State minacciando di
stuprarmi,
Principino?-
La sua voce è bassa, sarcastica. Lui
serra la mascella, cercando di non sembrare sorpreso dalla sua
sfrontatezza –
non è spaventata, nemmeno un po’.
-Non mi pare proprio il vostro stile.
Credo che abbiamo già appurato che non siete in grado di prendere senza
chiedere. Ma visto che non risponderò alle vostre domande, forse
potreste
decidere di punirmi inventandovi altre cose da fare con la mia bocca…-
Lui la guarda male: è chiaro che ha
capito che sta mentendo, perché non dovrebbe essere lei quella
sprezzante – no,
lei dovrebbe essere quella che indietreggia fino ad avere le spalle
contro la
parete più lontana dalla porta, tremante, implorandolo di non toccarla
mentre lui—
-La domanda è, sapete almeno come si
fa?- sibila, venefica, e lui sente il suo respiro sul collo. -Vi prego,
dimmi
che non dovrò leggervi le istruzioni mentre mi costringete in ginocchio
tra le
vostre gambe e la parete, mentre mi tirate i capelli per tenermi a
cuccia e
prendete fuori il vostro uccello e mentre mi guardate soffocare mentre
me lo
spingete in gola…-
Lui avvampa in un secondo, il rossore
che gli scende giù per il collo e gli sale fino alle orecchie. Non può
farne a
meno – le sue parole sono troppo oscene, troppo dirette perché una
qualsiasi
persona decente non si senta a disagio nel sentirsele sputare addosso.
Che razza di disgustosa, lurida—
-Anzi, prima di tutto vediamo se avete
almeno qualcosa su cui si può soffocare.-
Lui sobbalza quando sente le sue dita
sfiorargli una gamba dopo essere scivolate tra le sbarre, le catene
delle
manette che tintinnano contro l’acciaio incantato della grata, e a lui
quasi
cade di mano la torcia.
Le sue labbra si piegano in un
sorrisino disgustoso a quella reazione. E lui vede solo rosso.
Non c’è strategia, non c’è controllo
quando decide di combattere il fuoco col fuoco – non le permetterà di
umiliarlo
così. Esagera di certo quando le afferra il viso, le dita che le
affondano con
violenza nella mascella. Le sue mani, sempre incatenate, trasfigurate
in
artigli, se stringono ai suoi polsi – ed eccola, la sua vile natura che
fa
capolino sotto la pelle.
Mostro.
-Pagherai per questo. Per tutto.- le
sputa in faccia, le unghie corte che imprimono tanti marchi a mezza
luna nelle
sue guance. Lei cerca di sfuggirgli, ma lui sua stretta è salda – tanto
salda
che lui si chiede se non potrebbe strangolarla, se solo avesse mirato
alla
gola. -Credimi. Non sei altro che una cagna, non sei altro che feccia…
e lo
vedranno tutti. E quando sarò libero di fare di te quello che voglio,
sappi che
ti strapperò via ogni cosa, ogni segreto, a mio piacimento__-
__esattamente come quelli della sua
razza avevano strappato
ogni cosa al suo regno, alla sua gente, alla sua famiglia, a loro
piacimento,
-…e li userò per bruciare quella fossa
di serpi che osi chiamare casa__-
__e l’avrebbe costretta a guardare, a
provare tutto
il dolore che aveva provato lui quando suo padre e sua sorella gli
erano stati
portati via senza alcuna ragione tranne crudeltà gratuita,
-E solo quando le ceneri di ogni cosa
che amavi saranno fredde, solo allora ti permetterò di esalare il tuo
ultimo
respiro.-
__e solo allora, sarebbero stati pari.
Gliel’avrebbe fatta pagare, le avrebbe fatto pagare tutto, a nome di
tutta Nohr.
Sta tremando, adesso, come lui.
Il ringhio disperato che ha sulle
labbra è lo specchio di quello sul suo viso, che lui vede riflesso nel
velo di
lacrime furibonde nei suoi occhi – le stesse lacrime furibonde che gli
ottenebrano la vista, la mente, la capacità di giudizio.
-Non dimenticate di tenermi ferma la
mascella mentre mi infilate in gola il vostro uccello, Principino…-
sibila, e
lui quasi distingue il veleno stillarle dalle zanne. -Non chiedo altro
che
l’opportunità di strapparvelo a morsi.-
Le lascia un ultimo graffio, rosso –
rosso come il luccichio nei suoi stessi occhi –, sul mento quando
infine la
lascia andare. La risata che le mormora in gola mentre lei affonda
nelle
tenebre – via dalla luce – sembra inseguirlo mentre abbandona le
segrete,
riecheggiando nella sua mente come un incubo.
-Takumi.-
Ancora una volta, la voce ferma di Zoe
lo strappò dai
ricordi che lo stavano avvelenando, riportandolo alla realtà: guardò
quegli
occhi, Takumi, rossi come le braci di un falò, e vi trovò una
gentilezza tale
da essere quasi dolorosa – dei, quanto non meritava
la sua compassione,
la sua dolcezza, il suo affetto.
-Lo so che potrebbe essere una
trappola. Sono preparata,
lo siamo tutti.- lo rassicurò, ma la determinazione nelle sue parole
venne
tradita dall’angoscia che Takumi vide adombrarle lo sguardo.
“Preparata, ma certo” si disse, inarcando un sopracciglio
quando lei abbassò gli occhi per non permettergli di ribattere. Zoe non
era mai
stata meno sicura di sé di quanto fosse in quel momento, e tutti e due
sapevano
quanto la sua espressione serafica fosse solamente una maschera
finemente
cesellata.
La giovane, irrequieta Samurai
incrociò le braccia sul
petto, sfregando nervosamente le mani sulla stoffa perlacea del kimono.
-Riusciresti a perdonarmi se ti
dicessi che non posso
smettere di sperarci almeno un pochino?- pigolò, guardandolo dal basso
con
quell’espressione incerta e tormentata che Takumi aveva visto fin
troppe volte
nel corso della sua vita e che aveva ardentemente sperato di non vedere
mai più.
-Ma figurati!- sbottò, con più
veemenza di quella che
avrebbe desiderato usare, sforzandosi di non seguire il proprio istinto
che gli
suggeriva disperatamente di prenderla per le spalle e scuoterla fino a
farle
entrare in quella testaccia un po’ di buonsenso.
Perdonarla?
Non c’era niente di cui perdonarla,
maledizione!
Comprendeva il suo bisogno di
una chiusura, di una risposta definitiva, di una verità – comprendeva
il motivo
per cui non riusciva a rinunciare a quella piccola speranza, e odiava
il
pensiero di dover schiacciare le sue aspettative…
Ma quella cagna non poteva, non
poteva, essere la figlia di una persona meravigliosa come sua
madre. Non
era possibile, era assurdo, e avrebbe
disperatamente voluto che tanto
Zoe quanto Mikoto se ne rendessero conto prima di commettere qualche
errore
irreparabile.
-Vorrei solo che tu non ci
rimanessi troppo male, ecco.- sbuffò, ma Zoe si strinse nelle spalle e
Takumi
poté quasi sentire la risposta che avrebbe voluto dargli – “non
preoccuparti, io me la cavo sempre, andrà tutto bene”.
Certo che si sarebbe
preoccupato, maledizione. Sembrava l’unico, là dentro, a preoccuparsi
di quanto
la nohriana avrebbe potuto far del male alle persone che aveva più
care, alla
sua gente, a tutti quanti… perché era così evidente,
per tutti gli dei,
che quella – quella cosa fosse stata mandata
apposta per compiere
qualcosa di terribile!
-E se volesse uccidere mia madre?-
bofonchiò, piano,
dando finalmente voce a quel dubbio terribile che l’aveva tormentato
sin dal
momento in cui la nohriana aveva pronunciato quel nome, là, sulla
soglia
dell’Abisso.
Quella feccia disgustosa aveva
mormorato alla sua mente
chissà quale maleficio, lo aveva tormentato, torturato e quasi fatto
impazzire,
e tutto senza nemmeno tenere in mano uno dei suoi maledetti libri di
magia…
come poteva sapere che non avrebbe fatto lo stesso con Mikoto?
Takumi amava sua madre, certo, ma
temeva che potesse
peccare d’ingenuità, di speranza, di disperazione: Mikoto era una
persona
talmente buona che, di certo, sarebbe stata pronta ad accogliere la
feccia a
braccia aperte, ignara del pericolo che avrebbe corso stringendo a sé
quella
serpe.
-Se l’avessero mandata per questo?-
Poteva quasi vederlo, il re
d’Ossidiana, ad ordire con
quei suoi figli malvagi il piano che avrebbe loro permesso di
infiltrare
un’assassina nel regno che tanto odiavano…
Zoe scosse la testa, sfregandosi
stancamente il viso.
-Anche se fosse un’impostora, non c’è
nessun pericolo. Tu
e Ryoma sarete con lei, e comunque dubito che una Maga disarmata possa
fare
qualcosa alla regina.-
Non ne era così certo.
L’emicrania che l’aveva tormentato per
tutto il viaggio
di ritorno lo trafisse, costringendolo a massaggiarsi le tempie per
tentare di
alleviare la fitta fastidiosa che, per un secondo, gli aveva oscurato
la vista.
Voleva crederle, per Hotoke, voleva
così disperatamente
credere che niente avrebbe potuto mettere in pericolo sua madre… una
parte di
lui era certa che Zoe avesse ragione, riconosceva la logica nelle sue
parole,
ma quel barlume di razionalità era surclassato dal panico che fremeva
nel suo
sangue al pensiero di quel mostro nella stessa stanza di Mikoto.
Se solo…
Guardò Zoe, sorpreso dalla chiarezza
con cui riusciva a
distinguerla nonostante la vista annebbiata dal dolore che gli
martellava i pensieri:
guardò quella ragazza che aveva passato l’infanzia a sfuggire alle
angherie
degli aristocratici, guardò la ragazzina che tante volte gli aveva
pettinato i
capelli e con cui aveva imparato l’arte della spada, guardò la bambina
assieme
a cui si era addormentato tante volte in mezzo ai giocattoli, a notte
fonda,
tenendo in mezzo fra loro la figuretta piccina ed esile di Sakura
perché non
avesse freddo… e sospirò, Takumi, allungando una mano per sfiorarla,
per
intrecciare le dita alle sue alla disperata ricerca di un contatto in
grado di
scacciare l’angoscia che sentiva dibattersi in fondo allo stomaco e che
scorgeva, di riflesso, nel volto di Zoe.
-Sarebbe più facile se fossi tu.-
bisbigliò, avvertendo
le guance imporporarsi quando i suoi occhi carmini si allargarono per
la
sorpresa.
-Come?- farfugliò, sbalordita, e lui
si ritrovò a dover
guardare da un’altra parte, incapace di sostenere l’imbarazzo che
quell’affermazione sfuggitagli per sbaglio gli stava causando.
-B-Beh ma non cambierebbe nulla, in
fondo!- incespicò,
sperando ardentemente che Ryoma
non si avvicinasse proprio in
quel momento e odiandosi profondamente per la propria dannatissima
lingua
lunga. -Solo…-
La sua voce si spense, annichilita
dalla profonda
tristezza che vide incrinare quella maschera di compostezza. -Almeno
potrei
chiamarti sorella senza che
nessuno mi guardi storto o se la
prenda con te.- ammise, distogliendo lo sguardo da lei perché vederla
così
fragile era davvero troppo, faceva
davvero troppo male.
-Takumi…- lo chiamò, piano, la stretta
della sua mano che
si faceva più forte, e lui si costrinse ad alzare gli occhi, a
sopportare quel
lampo di sofferenza che Zoe non riuscì a nascondergli. -Sarebbe bello.-
Qualcosa di sgradevole gli strinse il
cuore nel petto,
quando la sua mente completò per lei quella frase che Zoe non era
riuscita a
completare: sarebbe bello, se fosse possibile.
-N-Non volevo farti intristire, io__-
Zoe gli sorrise, sfregandosi il viso
con la mano libera e
tirandosi indietro i capelli.
-Non mi sono intristita.- lo
rassicurò, prendendo un
lungo respiro prima di sciogliere la loro stretta, stirando le braccia
per
sgranchirsi. -Però devo farlo lo stesso. E se verrà fuori che è una
bugiarda
almeno avremo la verità.- decretò, allontanandosi di un passo – e
avrebbe tanto
voluto trattenerla, Takumi, tenerla al sicuro, lontana da quella
sofferenza
inevitabile.
-Non starai bene.- la avvertì, con una
punta di
disperazione, ma Zoe si strinse nelle spalle.
-Pazienza.- replicò, strappandogli un
versaccio quando,
con un mezzo sorriso, aggiunse: -Posso sopportarlo.-
No, non poteva.
-Tu chiedi troppo a te stessa.-
brontolò Takumi,
guadagnandosi un altro pugno che, tuttavia, stavolta non riuscì ad
evitare.
-Ahi.- protestò, lanciandole uno sguardo di fuoco e massaggiandosi il
braccio
offeso.
-Da quale pulpito viene la predica.-
soffiò lei in
risposta, indispettita, ricambiando la sua smorfia con la più severa
delle
espressioni.
Takumi scosse la testa, sorridendo
debolmente: Zoe gli
era troppo affezionata per riuscire a vedere che persona miserabile si
nascondesse dietro quello che, a volte, non era riuscita a trattenersi
dal
definire “il suo fratellino”…
-A volte dovrei esserlo di più.-
sussurrò, a bassa voce,
ignorando l’occhiataccia che lei gli scoccò e sospirando rumorosamente,
lasciando
dissipare quell’attimo di intimità venuto a crearsi fra loro. Incrociò
le
braccia, lanciando un’occhiata a Ryoma, chiaramente impaziente di
intervenire.
-E va bene… ma, tanto per la cronaca,
io non sono
tranquillo.- borbottò, sebbene una parte di lui ancora gridasse
che no,
maledizione, non gli andava bene per niente.
Sapeva che non poteva impedire
che qualcuno,
chiunque fosse, si avvicinasse alla nohriana, ma l’idea di permetterlo
proprio
a Zoe non era piacevole: non voleva che soffrisse, non voleva che
quella lurida
bocca sputasse veleno anche su di lei… eppure sapeva anche che la Maga
doveva
essere rimessa in sesto, ripulita e sistemata per l’imminente incontro
con la
regina – e, se davvero si trattava di Ileana, forse Zoe sarebbe stata
in grado
di risvegliare qualche ricordo, di farsi riconoscere.
Lo sapeva,
sì, ma non riusciva proprio ad
evitare di temere per lei.
Le labbra di Zoe si stiracchiarono in
un sorriso, debole
ma sincero. -Come sei carino quando ti preoccupi.- lo punzecchiò,
allungando
due dita per pizzicargli la guancia. Takumi arrossì ma non la scacciò,
limitandosi ad alzare gli occhi verso il soffitto, fingendosi
esasperato da
quel gesto affettuoso che, in realtà, gli era sempre stato molto caro.
-Mpf.- sbuffò, sperando ardentemente
che Ryoma, che si
stava avvicinando assieme a Kaze, non notasse il suo imbarazzo. Zoe
inclinò le
orecchie in direzione di suo fratello, drizzando le spalle in segno di
rispetto
e girando sui tacchi per accoglierli.
-Tutto bene?- le domandò Ryoma,
accigliato, spostando
ripetutamente l’attenzione da lei a Takumi.
-Certo.- gli assicurò, annuendo
brevemente,
costringendosi a nascondere la commozione che aveva provato dietro
un’espressione accuratamente neutra che, tuttavia, non sembrò
convincerlo del tutto:
li scrutò ancora per qualche attimo, sicuramente perplesso per via del
rossore
piuttosto evidente di Takumi, ma probabilmente decise di soprassedere,
almeno
per il momento.
-Ho parlato con Kaze e mi ha suggerito
che, forse,
sarebbe meglio che fossi tu a parlare con lei.- le comunicò, prima di
rivolgersi a Takumi. -Da quel che ho capito, non è molto bendisposta
nei tuoi
confronti.- aggiunse, e Zoe notò una punta di scetticismo colorare la
sua voce
solitamente calma e pacata.
Si voltò anche lei verso Takumi,
appena in tempo per
vederlo sbuffare.
-Beh, certo. L’ho catturata io, è
normale.- si difese, ma
lei lo conosceva troppo bene per farsi ingannare da quella scusa
maldestra.
-Tu stai nascondendo qualcosa.-
affermò, scoccando una
rapidissima occhiata a Kaze che, impercettibilmente, socchiuse le
palpebre in
segno di assenso.
Oh, fantastico. Che cosa aveva
combinato, adesso?
-I-Io?- il volto di Takumi, sotto gli
sguardi inquisitori
del fratello e di Zoe, si fece ancor più paonazzo. -Non sto nascondendo
proprio
niente! È lei che è una vera
strega!- si difese, ma Zoe fu
certa che, dietro quella voce molto più acuta del normale, Takumi
stesse
nascondendo qualcosa che gli avrebbe sicuramente fatto
passare
dei guai.
-E tu invece sei stato un esempio di
educazione e di
gentilezza, vero?- ribatté, inclinando la testa per dedicargli
un’occhiata
obliqua.
-Bah. È soltanto una cagna schifosa,
non__-
-Takumi.- lo interruppe Ryoma, duro,
forse accorgendosi
del repentino pallore e della mascella contratta di Zoe che,
effettivamente, si
era inconsciamente aggrappata all’elsa della sua katana, le dita
serrate sulla
stoffa pregiata che, dopo tanto utilizzo, si era irruvidita.
Takumi alzò le mani in segno di resa,
sbottando un: -Va
bene, va bene.- prima di superarli tutti e tre per precederli lungo gli
ultimi
due corridoi che li dividevano dalla porta dietro cui si trovava,
probabilmente, la principessa nohriana.
Zoe si morse l’interno della guancia,
scambiando uno
sguardo incerto con Ryoma prima di superarlo, profondamente grata della
presenza impalpabile di Kaze al suo fianco.
“Eccoci qui”, si disse, avvicinandosi a Takumi e
serrando le mani fra le pieghe dei pantaloni, ignorando il vago senso
di panico
che sembrava essersi annidato fra i suoi pensieri: eccola lì, a pochi
passi di
distanza da quella che non poteva impedirsi di sperare che fosse la
verità,
senza la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto fare o di cosa la
stesse
aspettando al di là di quella soglia.
Guardò Takumi, aggrappandosi
disperatamente alle parole
che le aveva detto e covandole dentro di sé, permettendo all’affetto di
suo
fratello di sbocciarle nel petto e di riscaldarla là dove, in quel
momento, non
provava altro che confusione; lui masticò qualcosa di incomprensibile,
cupo in
volto, prima di sbuffare stancamente e spalancare con un gesto brusco
quella
maledetta porta.
La prima cosa che Zoe notò fu
l’assenza di qualsiasi tipo
di mobilio. Si era aspettata di trovare una stanza arredata in modo
parco e
sbrigativo o, almeno, una branda su cui permettere alla principessa
straniera
di dormire, ma… in quella stanzetta angusta non c’era proprio niente –
eccetto
la ragazza vestita di nero in piedi dinanzi alla finestra chiusa.
Oh, dei, com’era piccola.
La ragazza nohriana che affermava di
essere Ileana non le
arrivava nemmeno alla spalla e, probabilmente, pesava meno della metà
di lei:
era minuta e snella e, nonostante la lacera e sporca veste da Maga che
indossava, manteneva nella postura un certo tipo di eleganza che Zoe
aveva
imparato da molto tempo ad associare a qualcuno di nobili natali.
Se ne stava lì, a braccia conserte,
con i capelli biondi
tirati indietro da una fascia nera e due grandi occhi verdi, simili a
quelli di
un gatto, pieni di cattiveria – cattiveria?
-Principino. Ma che piacere.- sibilò,
alzando lo sguardo
per rivolgere la più sprezzante delle espressioni irridenti in
direzione di
Takumi.
Con la coda dell’occhio, Zoe lo vide
irrigidirsi, e anche
lei si ritrovò a provare l’impellente bisogno di sfregarsi le mani
sulla pelle
per scacciare i brividi che la voce della ragazza aveva scatenato.
-Mi avete fatta spostare per non dover
fare tutta quelle
scale?- la principessa continuò a parlare, imperterrita, inclinando
appena la
testa di lato e rivolgendo a Takumi un sorriso che trasudava disgusto.
…spostare?
-Di cosa sta parlando?- domandò,
voltandosi di scatto
verso Takumi e scorgendo nel frattempo Kaze che, silenzioso come
sempre,
richiudeva la porta alle proprie spalle e si ritirava in un angolo –
dei, non
aveva mai desiderato tanto poter fermare il tempo per parlargli, per
chiedergli
che cosa fosse successo fra Takumi e la principessa, perché
era chiaro che
ciò che Takumi non le aveva detto fosse molto più di quanto avesse
pensato.
Takumi allungò una mano e la strinse
sulla sua spalla,
forte, strattonandola debolmente come se volesse spingerla dietro di
sé,
allontanarla dalla nohriana. -Non ascoltarla, non sa dire altro che
menzogne. E
non avvicinarti. Non ho ancora trovato una museruola da metterle.- le
intimò,
senza spostare lo sguardo dalla ragazza, con le labbra tirate sui denti
ed il
volto deformato da quello che Zoe riconobbe come odio.
Storse il naso, divincolandosi dalla
sua stretta: Takumi
era troppo aggressivo, troppo arrabbiato, troppo… troppo tutto.
La risata sgradevole della principessa
– Ileana – sembrò
dare voce alla profonda confusione che provava.
-Direi che la mano fa ancora male.-
commentò, e Zoe
sobbalzò quando avvertì la sua voce più vicina di prima: si voltò,
trasalendo
quando vide che quelle iridi chiare si erano spostate su di lei,
sentendosi
profondamente a disagio quando l’altra inarcò un sopracciglio e piegò
le labbra
in un sorriso crudele.
Barcollava.
Il sangue nelle sue vene sembrò
tramutarsi in ghiaccio.
Adesso fu facile capire che non si era
appoggiata alla
parete soltanto per noia: Ileana faticava a stare in piedi, aveva le
labbra
secche, gli occhi iniettati di sangue – non aveva l’aspetto di una
persona che
stava bene, di qualcuno che aveva dovuto sopportare soltanto un breve
soggiorno
forzato come prigioniero politico.
No, quella era la faccia di una
persona che si era
ritrovata a temere per la propria vita, che era stata maltrattata, che
tuttora
aveva paura della persona che aveva davanti… e la persona che aveva
davanti
era Takumi.
-Allora, tu chi saresti? Una troietta
apprendista che
deve ancora imparare come si prende un uccello in gola? L’hai portata
per darle
una dimostrazione, Principino?-
Zoe strabuzzò gli occhi, sentendo le
orecchie andare a
fuoco – e quello cosa doveva
essere, esattamente!?
Ancora una volta, Takumi allungò un
braccio nel tentativo
di spingerla indietro, ma nemmeno si accorse di quando Zoe si spostò
per
impedirgli di toccarla.
-Lavati la bocca.- sibilò, inviperito,
ma Ileana gli
rispose con un versaccio che assomigliava molto al soffio di un gatto.
-E con quale acqua?-
In quel momento, nonostante Ileana le
si fosse avvicinata
abbastanza da permetterle di scorgere la disperazione che si agitava
dietro
quella maschera di sfacciataggine ed insolenza, Zoe sentì qualcosa
spezzarsi
dentro di sé mentre la verità che Takumi aveva tentato di nasconderle
diventava, improvvisamente, cristallina.
L’aveva torturata.
Se qualcuno l’avesse pugnalata alle
spalle, in quel
momento, avrebbe fatto meno male.
Guardò Ileana, guardò le profonde
occhiaie sotto i suoi
occhi, guardò la sua pelle screpolata e i segni che i denti avevano
lasciato
sulle labbra aride e spaccate; vide lo sporco sui suoi vestiti e
polvere grigia
fra i suoi capelli, le unghie spezzate e una crosta lunga e sottile sul
suo
collo, e provò l’orribile desiderio di prendere a schiaffi
quel bugiardo che
aveva avuto la faccia tosta di guardarla negli occhi e dirle che le
voleva bene
sapendo di essersi comportato come il peggiore dei mostri.
Come i mostri che riempivano i suoi
ricordi.
Ileana schioccò le labbra,
strappandola al ricordo delle
urla di una bambina rinchiusa in un sotterraneo buio, a quello di
creature
innocenti stipate in una cella, e trascinandola di nuovo in quella
stanza
vuota, accanto ad una persona che improvvisamente le sembrò estranea.
-Non è difficile.- mormorò la Maga,
con una voce suadente
e serpeggiante che, di sicuro, avrebbe potuto scatenare gli istinti più
primitivi della maggior parte degli uomini. -Apri bene la bocca e
respira dal
naso. E non preoccuparti, sarà veloce. Quelli come lui non durano mai a
lungo.-
Arrossì, Zoe, perché quelle parole
sfacciate e disgustose
erano davvero troppo per le sue orecchie, ma provò allo stesso tempo
una
profonda tristezza: a cosa l’aveva ridotta, Takumi, perché la
principessa si
fosse ritrovata a dover far ricorso a quelle armi per difendersi da lui?
Ma lei lo sapeva, in fondo.
Sapeva cosa significava dover
ricorrere ad ogni mezzo per
proteggersi, per sembrare più forte di quello che si era – anche se era
pericoloso, anche se si sarebbe potuto ritorcere contro di lei: aveva
trascorso
troppi anni a sfuggire alle crudeltà dei figli dell’aristocrazia
hoshijin, quei
maledetti nobili che avevano sempre guardato con odio la figlia di
nessuno
adorata dalla famiglia reale, per non averlo imparato.
Ma non avrebbe mai potuto pensare che,
un giorno,
avrebbe visto la loro stessa cattiveria nel viso di Takumi.
Non poteva quasi credere ai suoi
occhi, ma le prove erano
tutte lì, nella luce folle negli occhi della principessa, e gli dei
soltanto
sapevano quanto avrebbe voluto ignorarle, far finta che non
esistessero, che
non fosse vero – che Takumi non fosse… che non avesse…
Con la coda dell’occhio, vide
la sua
mano fremere, il suo pugno stringersi.
-Schifosa cagna che non sei altro,
questa__!-
-Takumi!- lo interruppe, balzando in
avanti per piantare
le mani sul suo petto, per farlo indietreggiare, dando le spalle alla
ragazza
per mettersi in mezzo tra di loro. -Ci penso io.- affermò, lanciandogli
un’occhiata d’avvertimento che sperava potesse bastare per convincerlo
ad andarsene.
“Ti prego, ti prego, ti prego, vai via…”.
Un versaccio incattivito, alle sue
spalle, la fece
rabbrividire.
-Notevole. Ti ho giudicata male,
allora. Sei tu
l’insegnante, qui.- sputò Ileana, ma Zoe si costrinse ad ignorarla –
aveva
decisamente altre cose a cui pensare, adesso. -E dimmi, devi solo
fargli vedere
come si tortura una donna o anche come si scopa?-
Aggrottò le sopracciglia, perplessa,
perdendo per un
secondo il senso della gravità di quella situazione – come
diamine
avrebbe potuto far vedere a un uomo come si faceva sesso!? Lei mica
aveva__ -È
a questo che serve la spada, ad affondarmela dentro fino all’elsa per
dargli
una dimostrazione di dove si metta il__-
-ADESSO BASTA!-
Takumi si lanciò in avanti, furibondo,
mettendo
rapidamente mano all’elsa di quella strana spada che portava al fianco
– e Zoe
scorse, nei suoi occhi color miele, un terribile luccichio scarlatto
che le
fece paura.
Non poteva essere Takumi. Non poteva
essere vero.
-NO!- abbaiò, infondendo tutta la sua
forza nella violenta
spinta con cui lo costrinse a fermarsi. -Basta! Esci, subito!- ordinò,
senza
nemmeno pensare che lei, in realtà, non aveva nessuna autorità per
ordinargli
alcunché.
Takumi, tuttavia, vacillò, forse preso
in contropiede
dalla sua repentina presa di posizione – ma certo, come avrebbe mai
potuto
immaginare che proprio lei lo
affrontasse in quel
modo? Lei, che lo aveva sempre spalleggiato, che era sempre
stata dalla
sua parte, che non gli aveva mai voltato le spalle?
“Perdonami. Ti scongiuro, perdonami.
Non posso lasciartelo fare.”
-Ma__!-
-Fuori!- ringhiò, sedando la sua
protesta sul nascere,
aggrappandosi nervosamente alla lama dentellata della katana, già
estratta di
qualche pollice – dove avesse trovato il coraggio di sguainare
un’arma
contro di lui, poi, contro il suo amico, contro il suo principe… e
forse Takumi
si accorse di quanto fosse un gesto estremo, forse comprese di aver
esagerato,
perché sgranò gli occhi e fece un passo indietro, senza perdere
d’occhio tanto
lei quanto la sua spada.
-Non__-
Non gli avrebbe permesso di infierire
su una ragazza
indifesa. Non gli avrebbe permesso di farle del male. Non lo avrebbe
permesso
a nessuno, perché nessuno
meritava
di subire
quello che Takumi aveva inflitto ad Ileana, quello che subivano tanti
innocenti
ogni giorno… anche se affrontarlo, fronteggiarlo, avrebbe
significato
infliggergli una ferita che, lo sapeva, forse non si sarebbe
rimarginata mai
più.
-Ho detto fuori!-
ruggì, raddrizzando le
spalle, odiandosi più di quanto avesse mai fatto prima di quel momento
quando
vide una repentina sofferenza brillare nei suoi occhi dorati; eppure…
eppure
non poteva lasciare che rimanesse lì, che continuasse ad agire come un
pazzo
crudele e rabbioso, perché quello non era lui e
lei doveva
impedirgli di fare qualcosa di cui il Takumi che conosceva si sarebbe
certamente pentito.
“Takumi… per favore…”
Rimase immobile, pronta a dare
battaglia, ma lui non si
mosse: si limitò a fissarla, confuso e disorientato come se lei lo
avesse
davvero colpito, fino a che non si costrinse a riscuotersi quel tanto
che gli
bastò per barcollare fuori dalla stanza.
Nel momento stesso in cui la porta si
richiuse alle sue
spalle, Zoe sospirò, usando violenza su se stessa per costringersi a
staccare
le dita dalla spada; rilassò la schiena, prese fiato e poi si voltò,
pronta ad
affrontare quella grande incognita sotto le spoglie di una principessa
terrorizzata e incattivita.
-Milady…- cominciò, detestando il tono
implorante che
venò inevitabilmente le sue parole: desiderava soltanto che lei le
permettesse
di spiegarle, ma Ileana sembrava ancor più tesa e feroce di quanto
fosse stata
qualche attimo prima – e come poteva biasimarla? Takumi aveva tentato
di
aggredirla, maledizione. Anche lei, al suo posto, si sarebbe comportata
in quel
modo…
-Milady, questo è tutto un malinteso,
non__-
Ileana, per tutta risposta, emise un
versaccio che a Zoe
ricordò davvero tanto il ringhio di un animale ferito.
-Il tuo malinteso puoi prenderlo e
ficcartelo su per
il__-
“Oh, adesso basta.”
-“Con quale acqua”.- sospirò,
interrompendola prima che
Ileana ricominciasse a ricoprirla di insulti – non che la toccassero, a
dire il
vero, ma doveva assolutamente convincere la recalcitrante principessa
ad
ascoltarla.
Probabilmente grazie ad un intervento
di chissà quale
degli Antichi Draghi, Ileana s’irrigidì, sgranando gli occhi dinanzi a
quell’affermazione.
-C_come prego?- domandò, sbigottita,
muovendo un incerto
passo indietro per allontanarsi da lei.
Zoe scrollò le spalle, sconsolata.
-Avete detto “con quale acqua” quando
lui vi ha detto…
beh, insomma, avete capito. Cosa volevate dire? Avete sete?- continuò,
cercando
di infondere alla propria voce tutta la gentilezza di cui era capace,
mentre il
suo cuore sembrava sul punto di sbriciolarsi davanti agli occhi pieni
di
confusione della principessa.
“Per Hotoke, Takumi, che cosa hai
fatto?”
-Milady, quand’è stata l’ultima volta
che avete bevuto?-
perseverò, decisa a non lasciarsi sfuggire quella minuscola occasione
che
poteva scorgere nelle crepe che attraversavano la maschera di
strafottenza che
Ileana aveva indossato fino a quel momento e che, sotto i suoi occhi,
sembrava
sul punto di spezzarsi a metà.
La principessa di Nohr arretrò ancora,
spaventata, fino a
che le sue mani tese all’indietro non trovarono la sicurezza della
parete più
lontana da Zoe. Sembrò aggrapparvisi, spaventata come se l’avessero
appena
schiaffeggiata, e lentamente si lasciò scivolare a terra,
raggomitolandosi su
se stessa come se volesse disperatamente provare a proteggersi, come se
si
aspettasse di essere presa a calci.
-Ma questo… io…- balbettò,
disorientata, ma fu la voce
calma di Kaze a rispondere per lei.
-Ieri sera.-
Zoe si voltò di scatto, sorpresa, e
così fece anche
Ileana: Kaze si era fatto avanti e si era affiancato a Zoe, le braccia
conserte
e un’espressione cupa e seria disegnata sul bel volto affilato.
-Kaze, non__!- squittì la principessa,
sconvolta, ma lui
scosse la testa, avvicinandosi ed inginocchiandosi davanti a lei.
-Va tutto bene. Zoe non vi
farà del male.- le
promise, con quella voce piena di sicurezza e di dolcezza che Zoe
conosceva
tanto bene… e che, forse, anche Ileana aveva imparato a conoscere e
apprezzare,
perché le parole del Maestro Ninja sortirono su di lei un effetto tanto
insperato quanto immediato: nei suoi occhi spalancati parve
riaccendersi una
scintilla di lucidità, e le sue mani smisero di artigliare nervosamente
la
stoffa strappata di ciò che rimaneva di un mantello ormai scomparso.
Fu quel gesto, il tremore delle sue
dita lunghe e
pallide, a dare a Zoe l’ennesimo, orribile segnale.
-Voi state congelando.- constatò,
sfilandosi
immediatamente di dosso la borsa da viaggio che nemmeno si era accorta
di aver
tenuto in spalla per tutto quel tempo, ringraziando la propria
previdenza
quando, scavando per qualche istante, estrasse l’haori
che
aveva
deciso di impacchettare.
Buttò di lato la sacca e si voltò di
nuovo verso Ileana,
avvicinandosi cautamente e piegandosi sulle ginocchia per portarsi al
suo
stesso livello. -Potreste non mordermi? Voglio soltanto slegarvi e
darvi
qualcosa da mettere addosso.- le domandò, accennando un mezzo sorriso
incerto
che strappò un debole sbuffo all’altra ragazza, per nulla rassicurata
dalla sua
gentilezza; però, per fortuna, quando Zoe si avvicinò per sciogliere le
corde
che le legavano i polsi non reagì con veemenza, e le permise persino di
drappeggiarle sulle spalle la sua giacca, arrotolandovisi
immediatamente dentro
come un gattino spaurito.
Era davvero minuscola in confronto a
Zoe, e addosso a lei
l’haori sembrava più una coperta che un
vestito, ma Zoe ne fu
contenta: vederla stringersi la stoffa pesante attorno al corpo e
rilasciare un
impercettibile sospiro sollevato fece sentire un po’ meglio anche lei.
Si voltò verso Kaze, ignorando il
senso di pace che
l’approvazione nei suoi occhi viola le trasmisero – non aveva bisogno
di
quello, adesso: le serviva la verità, voleva sapere che cosa era stato
fatto a
quella ragazza disarmata e innocua per capire che cosa fare per poterla
aiutare.
-Dove l’ha tenuta?- si sforzò di
chiedere, già
immaginando la risposta che le sarebbe stata data… ma, questa volta, fu
Ileana
a parlare.
-In una cella, credo nei sotterranei.-
Il ruggito dei suoi pensieri, per
qualche attimo, assordò
qualsiasi altro suono, echeggiandole furiosamente nelle orecchie.
Una cella. Una stanzetta buia e lurida
in cui
un’ora poteva diventare una settimana e una notte una vita intera. Una
cantina
umida e gelida da cui nessuno sarebbe giunto a sottrarla alle spire
dell’oscurità che sembrava avere gli stessi occhi degli incubi.
-Io lo ammazzo. Di traverso.-
Ileana alzò lo sguardo, stupita da
quella minaccia
alquanto singolare che dovette probabilmente trovare abbastanza
divertente da
strapparle un inconscio, fragile sorrisino che subito scomparve quando
si
accorse di ciò che aveva fatto – oh, beh, almeno qualcuno riusciva a
vedere il
lato comico della situazione…
-Zoe.- richiamò Kaze, paziente, ma la
Samurai alzò gli
occhi verso il soffitto, furibonda.
-“Zoe” niente! Ci sono più che
abbastanza eredi al trono,
possiamo fare a meno di un principe!- ringhiò, serrando i pugni per
impedirsi
di portare le mani alla katana, uscire da quella stanza e andare ad
impartire a
Takumi un paio di lezioni che non si sarebbe scordato per il resto
della sua
breve esistenza.
-Apprezzo il pensiero.-
Ileana si sollevò, sciogliendo la
stretta delle braccia
intorno alle proprie gambe e scrutando Zoe con più attenzione di quanta
ne
avesse dimostrata fino a quel momento. -Chi sei?- domandò, con quel
tono di
comando certamente non voluto che Zoe aveva sentito tante volte nelle
voci di
Ryoma, di Hinoka, di Takumi.
-Nessuno di importante, sono solo una
guardia reale. Beh,
una futura guardia reale.- rispose, ma la principessa sbuffò.
-Se sei qui solo per mentirmi in
faccia, puoi anche
andartene.- la accusò, con tanto sarcasmo da farla sobbalzare
– e
adesso cosa diamine aveva detto di sbagliato!?
-N-no, non sto mentendo, io__-
-Le guardie reali non
parlano… così dei
reali.- la interruppe, con tanto di sopracciglia aggrottate e sguardo
derisorio, cercando di spingere via la stoffa della giacca che Zoe le
aveva
avvolto addosso – “Oh, certo, che prova d’orgoglio,
principessa, mi sembra
proprio il caso!”
-Ah, per quello.- Zoe non riuscì ad
impedirsi un sorriso,
questa volta: in effetti, pensandoci, Ileana non aveva tutti i torti… a
nessun’altra
guardia reale, eccetto forse Hana, erano mai state permesse tante
libertà come
quelle che poteva prendersi lei. -Abbiamo trascorso l’infanzia insieme.
È più
come… come se fossimo una famiglia.-
Ileana la soppesò per lunghi, eterni
istanti, scettica… e
poi si lasciò pesantemente ricadere indietro contro la parete, e Zoe
tirò un
sospiro di sollievo quando vide che aveva smesso di tentare di
togliersi
l’haori.
-Condoglianze.- le disse, la voce
impregnata di disgusto,
ma ancora una volta Zoe non trovò in sé il desiderio di arrabbiarsi.
-Sì, posso capirvi… ma vi assicuro,
principessa, non è
mai stato una persona crudele. Non so davvero che cosa gli sia preso.-
mormorò,
mortificata, ma non poté proprio biasimare Ileana quando l’unica
reazione alla
sua frase fu un’occhiataccia di compatimento.
Sospirò, passandosi nervosamente le
dita fra i capelli.
-Ma dovremmo trovarvi qualcosa da
mangiare.- affermò,
cambiando discorso perché, davvero, parlare di Takumi in quel momento
non
sembrava proprio la migliore delle idee. -Magari in questo posto c’è
qualcosa
di commestibile? Kaze? Tu ne sai qualcosa?- domandò, voltandosi per
lanciare
uno sguardo speranzoso al ninja che, con un sorriso impercettibile ed
enigmatico sulle labbra sottili, annuì.
-Posso provare a informarmi.- annuì,
avvicinandosi
silenziosamente alla porta. Zoe, sollevata, gli sorrise.
-Sarebbe fantastico, grazie.- lo
ringraziò, osservandolo
con curiosità quando Kaze, invece di sparire fra le ombre come era
solito fare,
si prese tutto il tempo di aprire la porta, uscire e richiudersela alle
spalle. Bizzarro.
Si voltò nuovamente verso Ileana, che
aveva seguito il
breve scambio fra i due guerrieri con un’espressione talmente vuota ed
esausta
che le si strinse il cuore. -Kaze è un tesoro. Mi dispiace che non gli
sia
stato permesso di starvi accanto.- si scusò, sperando di non causare
altri
scoppi d’ira con quell’inevitabile allusione a Takumi; Ileana però si
limitò ad
annuire debolmente, stringendosi disperatamente la stoffa della giacca
di Zoe
sulle spalle.
-Sì, lui…- cominciò, ma le sue parole
si persero quando
una profonda tristezza parve tornare a galla, riempiendole lo sguardo
di
fantasmi. -Ha fatto del suo meglio, credo. Anche Hinata…-
Zoe annuì, rassicurata dal pensiero
che Maestro d’Armi
più imbranato dell’intera nazione di Hoshido fosse stato in grado di
farequalcosa.
-Non avevo dubbi. Hinata è sempre
stato un signore, non
torcerebbe mai un capello a una donna. Magari a volte non collega il
cervello
alla bocca, ma è tanto dolce.- spiegò, soffocando immediatamente il
bisogno di
vederlo, di parlargli, che soltanto pensare a Hinata aveva scatenato:
Hinata
era uno dei suoi più cari amici, e la sua sola presenza era in grado di
scacciare anche i più cupi dei pensieri…
“Dei, Takumi…”
Come avrebbe potuto guardarlo di nuovo
in faccia, dopo
aver visto di cosa era stato capace? Come avrebbe potuto convivere con
la
consapevolezza che una delle persone che le erano più care al mondo si
fosse
rivelato una tale bestia?
Si passò le dita fra i capelli,
angosciata, tentando di
scacciare quei pensieri prima che la distraessero – avrebbe avuto tutto
il
tempo di fare i conti con quella delusione, ma quello non era né il
momento né
il luogo adatto.
-Non è stato un viaggio facile, vero?-
mormorò, rivolta
al nulla, sorprendendosi però quando Ileana mosse la testa per
rivolgerle un
debole cenno di assenso.
Abbassò lo sguardo, Zoe, sentendo il
cuore schiacciato
dal peso delle colpe di Takumi che scorgeva incise indelebilmente negli
occhi
pieni di dolore e di paura della ragazza che le sedeva dinanzi.
-Sono mortificata. Nessuno meriterebbe
niente di quello
che avete passato.-
Nessuno.
Lo schiocco della porta che si apriva
e si richiudeva le
fece sobbalzare tutt’e due, strappando Zoe alle sue macabre
riflessioni: Kaze
era tornato, e portava con sé un vassoio pieno di quelli che, dal
profumo che
Zoe colse non appena si avvicinò, sembravano davvero onigiri.
-Ho trovato soltanto questo.- spiegò,
passandole con
cautela il vassoio – sì, erano proprio onigiri,
le polpette di riso
triangolari di cui lei andava matta – e chinandosi per appoggiare anche
una
brocca d’acqua accanto a loro. -Zoe, ce n’è abbastanza anche per te,
sarai
affamata dopo il viaggio.- la invitò, inarcando un sopracciglio quando
lei gli
rivolse un’occhiata confusa perché Kaze, di sicuro, sapeva che lei
aveva già
mangiato prima di arrivare – ah, ma certo:
Ileana di certo non
avrebbe mangiato nemmeno un boccone se non le avesse mostrato che non
aveva
bisogno di temere veleni o robaccia del genere.
-Certo. Facciamo a metà?- propose,
sforzandosi di
sorridere alla principessa terrorizzata mentre prendeva una pallina di
riso,
dividendola a metà e mandando giù la parte più piccola in un sol
boccone. -Sono
più buoni caldi, però.- ammise, offrendole il pezzo rimanente tentando,
nel frattempo,
di mantenere l’atmosfera il più informale e tranquilla possibile.
Ileana occhieggiò la polpetta,
dubbiosa, per una manciata
di secondi in cui Zoe non fu capace di non trattenere il respiro,
sentendosi
scrutata alla ricerca di un qualche segno di avvelenamento… ma poi la
principessa si mosse, accettando la sua offerta e portandosi
l’involtino alla
bocca, facendolo sparire in pochi, cauti morsi.
-Non sono male.- brontolò, e Zoe non
poté evitarsi un
sorriso molto più grande ed espansivo di quanto, forse, sarebbe stato
saggio
esprimere – eppure era così contenta di
aver trovato un modo
per farla mangiare, di essere riuscita a farla stare un po’ meglio…
In silenzio, divise con Ileana ognuno
degli onigiri,
stando attenta a darle sempre il pezzo più grande e senza mai fare
movimenti
bruschi; la convinse anche a bere, prendendo un sorso da ogni bicchiere
che le
versava, fino a che tanto il piatto quanto la caraffa non furono vuoti.
-Grazie.-
-Nah, non c’è di che.- sorrise,
spingendo da parte il
vassoio ed alzandosi in piedi, rassettandosi sbrigativamente i
pantaloni.
-Milady, vuole darsi una ripulita?- le offrì, quindi, sempre mantenendo
un tono
leggero e colloquiale, mentre nella sua mente già cercava di rammentare
dove si
trovavano i bagni della fortezza e come avrebbe potuto fare per
liberare la
strada affinché potesse accompagnarla senza incidenti.
Ileana annuì, forse rinfrancata dal
pasto oppure soltanto
allettata dall’idea di potersi lavar via di dosso il ricordo delle
celle di
Suzanoh.
-Sarebbe… sembra una buona idea.-
mormorò, sfregandosi le
mani sulle braccia – chissà quanto freddo doveva aver patito, là sotto…
-Ottimo!- trillò Zoe, scacciando
immediatamente il
pensiero prima che potesse rovinare tutto lo sforzo che aveva fatto per
mostrarsi innocua agli occhi della principessa. Si rivolse ancora una
volta a
Kaze, prendendosi l’appunto mentale di ricordarsi di ringraziarlo per
la
cortesia che stava dimostrando a lei e a Ileana. -Potresti cacciare via
chiunque sia qua attorno? Se andassi io potrei spargere sangue.-
domandò,
strappando un lievissimo sospiro al Maestro Ninja che, dopo aver
annuito, sparì
– ah, ecco, ora sì che lo riconosceva.
Rimase in ascolto, silenziosa, finché
il suo udito
allenato non colse un familiare, impercettibile fischio che riconobbe
all’istante come il segnale che i Maestri Ninja al servizio della
famiglia
reale usavano per comunicare fra di loro.
-Okay, ora possiamo andare!- annunciò,
alzandosi in piedi
ma trattenendosi dall’offrire una mano a Ileana: aveva la chiara
impressione
che non avrebbe accettato il suo aiuto. -Non è lontano.- le spiegò,
quindi,
aspettando pazientemente che Ileana si trascinasse in piedi da sola.
La principessa annuì, forse
rassicurata al pensiero di
non dover camminare a lungo, avvolgendosi più strettamente nella giacca
di Zoe
e seguendola quando la Samurai la precedette per dare un’occhiata nel
corridoio: Kaze non era in vista ma, per fortuna, sembrava essere
riuscito a
far sgombrare la zona, sebbene fu quasi certa di aver scorto lo
svolazzo di una
conosciuta sciarpa blu in un anfratto particolarmente buio in fondo al
percorso.
Sospirò, uscendo dalla stanza ed
invitando Ileana a
procedere dietro di lei, tendendo le orecchie per cogliere e
memorizzare il
suono dei passi irregolari e strascicati della principessa.
Per fortuna, i bagni dell’avamposto
non erano lontani:
impiegarono soltanto pochi minuti a raggiungere le belle stanze di
granito che
ospitavano le ampie vasche d’acqua corrente che un intricato sistema di
tubazioni portava fin lì dal fiume più vicino; qualcuno aveva già
acceso i
focolari, incastonati nella pietra, ed il calore umido e denso che le
accolse
le suggerì che l’acqua dovesse essere già calda.
-Okay, questi sono i bagni. L’acqua è
calda, questi sono
teli di cotone e lì ci sono un po’ di saponi e roba del genere. Io vado
a
cercarvi qualcosa da mettere di pulito, va bene? Torno presto, e Kaze è
sicuramente qui in giro da qualche parte, per qualunque cosa basta un
fischio.-
le spiegò, provando un improvviso senso d’angoscia al pensiero di
lasciarla da
sola – sapeva bene che le persone ferite e spaventate, come era stata
lei tante
volte da piccola, potevano farsi venire strane e brutte idee…
Ileana però si limitò ad annuire, con
gli occhi socchiusi
e l’espressione sofferente. -Ti ringrazio.- sussurrò, e Zoe non poté
fare altro
che indietreggiare e lasciarla lì, chiudendo lentamente la porta alle
proprie
spalle e pregando i Draghi di non doversene pentire.
§
-Bah.-
Hinata, irritato, si permise quel
versaccio strozzato non
appena uscito dalla stanza che aveva eletto come propria una volta
giunto a
Suzanoh, sbatacchiandosi la porta alle spalle giusto per sottolineare
quanto
poco fosse contento di tutta la situazione.
“Vai a controllare che quella stupida
di Zoe non si sia fatta maledire dalla cagna.”
Lord Takumi aveva fatto irruzione
nella sua camera pochi
minuti prima, furibondo e fuori controllo come Hinata lo aveva visto
soltanto
sul crepaccio dell’Abisso: aveva scaraventato la spada nohriana e
l’astuccio
del Fujin Yumi dall’altra parte della stanza, ignaro dello sguardo
attonito di
Hinata, ed aveva cominciato a biascicare parole orribili che, alle
orecchie del
Maestro d’Armi, avevano avuto lo stesso suono delle minacce crudeli che
erano
state inferte alla principessa Ileana… e questo, più di qualsiasi altra
cosa
avvenuta negli ultimi giorni, gli dava la chiara impressione che la
situazione
fosse ormai fuori controllo: Takumi, quello vero, non avrebbe
mai, mai definito
Zoe in nessuno dei modi che aveva abbaiato prima di dargli quel secco
ordine a
cui lui, dopo quella sfuriata, era stato ben contento di ubbidire –
aveva
dovuto mordersi la lingua, come si era visto costretto a fare più e più
volte
durante quel penoso viaggio di ritorno dall’Abisso Infinito, per
impedirsi di
dargli le rispostacce che meritava.
Che cosa stava succedendo?
Da quel che aveva capito dai
vaneggiamenti irosi di
Takumi, Zoe era stata incaricata di far cooperare la Maga per
prepararla
all’incontro con lady Mikoto: Takumi non era stato affatto contento, e
Hinata
si ritrovò a pensare quanto non avesse avuto poi tutti i torti nel
tentare di
essere presente per non lasciare Zoe da sola… nemmeno lui sarebbe stato
tranquillo nel pensarla alle prese con la principessa, con tutto quello
che Zoe
aveva passato in suo nome e senza nemmeno la certezza che si trattasse
davvero
della sua amica d’infanzia.
Eppure, nonostante tutto, Zoe se l’era
cavata – anzi,
aveva fatto quello che Hinata aveva desiderato ardentemente ben più di
una
volta nei giorni passati: aveva preso le difese della nohriana e aveva
cacciato
fuori il principe, mettendo finalmente un freno alla pazzia che
sembrava aver
violentemente preso possesso di lui.
Non osava nemmeno immaginare che cosa
potesse essere
successo in quella stanza per far arrabbiare così tanto il suo
protetto, in
effetti, ma non poteva nascondere a se stesso quanto fosse grato di non
aver
dovuto presenziare: se fosse stato presente, purtroppo, avrebbe dovuto
rispettare il proprio giuramento e si sarebbe dovuto frapporre fra
Takumi e
Zoe, ed era un’ipotesi talmente orribile che tutto, in lui, la
rifiutava.
…anche perché Zoe, probabilmente, gli
avrebbe fatto fare la fine di uno straccio per pavimenti.
Forse lei avrebbe saputo dargli
qualche risposta,
rifletté: forse era stata in grado di capire il perché
di
quel
cambiamento tanto repentino in una persona solitamente tranquilla ed
intelligente come Takumi.
Insomma, nessun hoshijin apprezzava
particolarmente Nohr
e i suoi abitanti, ma… beh, la principessa avrebbe meritato un
trattamento
decisamente diverso da quello che le era stato riservato, anche
soltanto in
nome del suo titolo nobiliare.
Lui e Kaze avevano tentato di lenire
un poco il tormento
che le era stato inflitto, ma era perfettamente conscio di quanto a
poco fosse
servito: lo aveva visto chiaramente nell’orrore che le aveva riempito
gli occhi
quando lui ed Oboro erano stati mandati a prelevarla dalle segrete, ne
aveva
percepito la profondità radicata dentro di lei quando si era
divincolata
disperatamente per sfuggire ai tentativi di Oboro di calmarla, e temeva
che
quel terrore animalesco sarebbe stato troppo grande, a quel punto, per
essere
controllato.
Chissà se Zoe era stata in grado di
farsi
ascoltare.
Sospirò, accelerando il passo quando,
giunto dinanzi alla
stanza in cui Ileana era stata rinchiusa quella mattina, la trovò
vuota.
Probabilmente Kaze e Zoe avevano scortato la principessa nei bagni, per
permetterle di darsi una ripulita e cambiarsi d’abito… ma, prima che
potesse
voltarsi per imboccare il corridoio, una voce alle sue spalle attirò la
sua
attenzione.
-Nata!-
C’era soltanto una persona in tutta
Euanthe che lo
chiamava così.
Si voltò, sorridendo, le braccia già
spalancate per
accogliere la giovane donna che, prevedibilmente, corse da lui – ed un
istante
più tardi avvertì le mani della sua amica stringersi forte ai suoi
vestiti, il
suo corpo tonico aggrapparsi al suo ed i suoi arruffati capelli biondi
oscurargli la vista.
Eccola lì, la sua Zoe, in tutto il suo
irruente
splendore.
Hinata ricambiò la stretta,
accarezzandole la nuca con
tenerezza ed abbassando la testa per appoggiare la fronte sulla sua
spalla,
sfiorando appena la sua gola bianca con la punta del naso: Zoe aveva
addosso
l’odore della foresta, della resina, ed era qualcosa di così familiare
e
conosciuto che Hinata si ritrovò a chiudere gli occhi, cullandosi in
quel
profumo che sapeva tanto di casa.
Zoe gli era mancata così tanto… era
talmente abituato ad
averla quasi sempre al proprio fianco, a Shirasagi, che passare tanti
giorni
senza di lei era stato terribilmente strano: quella ragazza energica e
complicata occupava un posto tutto particolare, dentro di lui – un
posto che le
apparteneva da anni, ormai, e che nessuno avrebbe mai potuto riempire
se non
lei.
Lei gli si raggomitolò addosso,
accoccolandosi nel suo
abbraccio come faceva spesso quando nessuno poteva vederli e, di
conseguenza,
rimproverarli: la società all’interno di Shirasagi, composta
soprattutto da
nobili, aristocratici e signorotti di tutti i tipi, avrebbe urlato allo
scandalo se il più giovane rampollo di un’antichissima famiglia di
onorati
samurai fosse stato visto in atteggiamenti equivoci assieme alla
nessuno che si
ostinava a “ronzare intorno alla famiglia reale”.
Che stupidaggine.
Non aveva mai tollerato quel sacco di
idiozie. Al
contrario di quello che chiaramente era stato inculcato nelle loro
teste vuote,
ad Hinata non era stato insegnato a valutare le persone in base al
rango
sociale, bensì all’onestà, alla bontà d’animo e al coraggio: doti che
Zoe
possedeva in gran quantità e che, a parer suo, la rendevano
infinitamente
migliore di tutti coloro che ancora le riservavano i più velenosi degli
sguardi
ogni volta che veniva vista accanto ad uno qualunque degli eredi al
trono.
Zoe tirò su col naso, sfregando la
fronte contro la sua
spalla come se volesse nascondersi lì, tenendosi talmente stretta a lui
da
fargli percepire le unghie piantate nella carne.
-Ehi…- la chiamò, sollevando la testa
e prendendole con
delicatezza il viso fra le mani, sorprendendosi nel trovare, nei suoi
profondi
occhi carmini, delle lacrime trattenute a stento. -Oh dei, Zoe non
piangere,
perché stai per metterti a piangere?- domandò, atterrito all’idea di
dover
affrontare quella grande incognita che una Zoe in lacrime avrebbe
rappresentato.
Lei non piangeva mai.
Nemmeno riflettendoci riusciva a
ricordare una sola
occasione in cui l’avesse vista in lacrime: era qualcosa che non
riusciva a
collegare a lei, che non faceva parte della persona che conosceva e che
Hinata
non avrebbe mai potuto immaginare di dover, un giorno, vedere.
Zoe serrò le palpebre, costringendosi
a respirare
attraverso i denti serrati e posando le mani sulle sue, intrecciando
timidamente la punta delle dita a quelle di Hinata.
-Dimmi che cosa ha fatto.- disse, con
una voce rotta che
non le apparteneva, che Hinata non conosceva e che non voleva sentire,
che
faceva stridere dolorosamente qualcosa dentro di lui perché Zoe non era
così,
lui non poteva vederla così, era tutto così sbagliato…
Zoe spalancò gli occhi, facendolo
sobbalzare con quel
gesto così repentino, abbassando le mani per costringerlo a lasciar
andare il
suo volto.
-Voglio sapere che cosa ha fatto.-
Hinata rimase impietrito, sconvolto
dall’espressione
feroce e disperata che deformava il viso altrimenti attraente della sua
amica:
non l’aveva mai vista in uno stato del genere, stravolta da qualcosa di
oscuro
e lontano che aveva scorto agitarsi, in passato, dietro il velo
scarlatto dei
suoi occhi, ma che ora sembrava aver distrutto ognuno degli argini che
Zoe
aveva strenuamente costruito per trattenere quelle violente, frustrate
emozioni.
-Ma…- biascicò, a disagio: non voleva
dirle proprio
niente di ciò che lord Takumi aveva fatto, perché metterla a parte
di tutta la
verità – le minacce, le violenze, il terrore che erano stati causati
alla
principessa Ileana – le avrebbe fatto davvero troppo male… avrebbe dato
qualunque cosa per lasciare che chiunque altro le spiegasse cos’era
successo,
perché non poteva sopportare nemmeno il pensiero di infliggerle tanto
dolore
sapendo quanto Zoe fosse sensibile.
-Non è una buona idea…- tentò
pateticamente di
dissuaderla, sentendosi però un idiota: non era mai riuscito a negarle
nulla,
come poteva anche soltanto pensare di essere in grado di non darle le
risposte
che cercava?
-Non importa.- Zoe scosse la testa,
abbassando lo sguardo
soltanto per qualche attimo prima di tornare a guardarlo. -Per quanto
tempo è
rimasta là sotto?- domandò, ma la secchezza della sua voce fu tradita
dal
fremito che sembrò venare le sue parole d’incertezza e di tormento.
-Io__-
Gli prese le mani, stringendosele al
petto e dei,
come poteva dire di no a quello sguardo spezzato?
-Nata, per quanto tempo è rimasta là
sotto?- ripeté la
domanda, Zoe, con quella voce traboccante di disperazione che gli
attorcigliò
lo stomaco e gli spezzò il cuore: non poteva vederla così, non era mai
stato
capace di sopportare la sua tristezza, faceva troppo male perché fosse
in grado
di tollerarlo.
-Tre giorni.- sbottò, distogliendo lo
sguardo
perché sapeva che avrebbe dovuto
fare qualcosa di più, che se
Ileana era stata ridotta in quello stato era stato anche a causa
dell’incapacità di opporsi a Takumi che lui ed Oboro avevano dimostrato.
Zoe spalancò gli occhi, allibita, ed
il poco colore
rimasto sulle sue guance svanì in un istante.
Sembrava così indifesa, in quel
momento… ma, d’altronde,
cosa poteva aspettarsi di diverso? Le aveva appena confermato che una
persona
che amava si era rivelata un mostro, e Zoe aveva sempre avuto paura dei
mostri.
Eppure, ancora una volta, lo sorprese:
mantenne il
contegno, strinse le dita fra le sue e prese un lungo respiro,
chiudendo gli
occhi per qualche attimo prima di riportare l’attenzione su di lui.
-Raccontami tutto il resto.-
Hinata corre, corre come se avesse i
demoni alle calcagna: ha appena sentito un soldato ridere delle urla
della
nohriana, alludendo a qualcosa di così osceno che Hinata non vuole
nemmeno
immaginare, e mentre attraversa a tutta velocità l’accampamento prega
che non
sia vero, che lord Takumi non abbia davvero perso la testa a tal punto.
Oboro lo vede passare, gli lancia
un’occhiata, ma lui la ignora: spera che non lo segua, perché non la
vorrebbe
intorno alla principessa né vorrebbe che vedesse che cosa lord Takumi
potrebbe
averle fatto.
L’angolo in cui tengono legata la
principessa è buio, ma non abbastanza perché qualcuno possa
nascondersi: e lord
Takumi è lì, con le mani serrate sulla faccia della ragazza di Nohr che
guaisce
e si divincola cercando di allontanarsi da lui.
-No!-
Hinata si lancia in avanti ed il suo
primo istinto è quello di strapparglielo di dosso: afferra Takumi per
il bavero
della giacca e lo tira indietro con tutta la forza che ha,
strattonandolo con
tanta irruenza da farlo quasi cadere.
Oboro appare subito accanto a Takumi –
ah, allora l’ha seguito – e lo sorregge, aggrappandosi al suo braccio
con una
strana espressione, in volto, che Hinata lì per lì non riesce a
riconoscere: i
suoi occhi vanno dalla nohriana a Takumi e passano anche su di lui, ed
Hinata è
sicuro di aver scorto un lampo di orrore, sul suo viso.
-Lord Takumi__!-
Lord Takumi gli si scaglia contro, ma
trattenerlo è facile – è più difficile impedirgli di urlare contro alla
ragazzina alle spalle di Hinata, mentre lui tenta di tenerlo fermo
senza fargli
male.
-Non ti permetterò di ammazzarti,
maledetta!- abbaia, e c’è così tanta cattiveria, nella sua voce, che
Hinata per
un istante pensa che non sembri nemmeno la sua. -Mi hai capito bene!?-
-Basta!-
Lo spinge indietro, bruscamente,
facendolo arretrare di diversi passi, e davvero non gli importa che
quell’uomo
sia colui a cui ha giurato obbedienza: non ce la fa a permettergli di
continuare così. Non è giusto.
-Cosa ti è preso!?- sbotta, Hinata,
dimenticando le formalità ed i titoli quando guarda in faccia il suo
amico
d’infanzia e non lo riconosce più.
-Non farti ingannare, sta solo
fingendo!-
Hinata si volta, lanciando un’occhiata
sconvolta alla principessa: è raggomitolata a terra, bagnata come un
pulcino, e
mugola qualcosa di indefinito… ma non gli sembra che lord Takumi abbia
tentato
di farle del male: la caraffa di terracotta ridotta in pezzi e l’acqua
che
infradicia la ragazza gli raccontano una storia diversa.
Deve aver provato a costringerla a
bere, comprende all’improvviso. Sì, la principessa ha rifiutato cibo e
acqua
ogni volta che qualcuno ha provato a farla mangiare, ma… era davvero
necessario
arrivare a questo punto?
-No che non sta fingendo.- mormora,
stravolto da quella giovane donna che pare ridotta in pezzi proprio
come il
bricco rotto i cui frammenti sono sparsi per terra, voltandosi poi
verso Oboro.
-Portalo via!- ordina, senza il coraggio di guardare in faccia il suo
lord, il
suo principe, perché non sa se sarebbe in grado di nascondere il
disgusto che,
in quel momento, prova per lui.
Oboro, per fortuna, ubbidisce, tirando
lord Takumi per il braccio finché lui non smette di opporre resistenza
e gli dà
finalmente le spalle, arrendendosi all’insistenza della sua guardia che
continua a chiedergli di lasciar perdere, di andare via.
Soltanto quando gli sembra che si sia
allontanato abbastanza, Hinata si volta, precipitandosi accanto alla
ragazza
che – ora può vederlo – è scossa dai singhiozzi.
-Principessa… oh, accidenti…-
Dove diamine era finito Kaze? Perché
non è intervenuto? Hinata si è allontanato soltanto per una manciata di
minuti…
La principessa trema e geme, e a lui
sembra davvero soltanto una ragazzina spaventata ed esausta: sta
piangendo, e
biascica fra le lacrime delle parole senza senso che lui riesce a
carpire
soltanto in parte.
-Era solo routine… era soltanto una
ricognizione…-
Forse sta parlando di quanto è
successo all’Abisso, ma ad Hinata ora non importa: lei è fuori di sé,
si vede,
e lui in questo momento vorrebbe soltanto che ci fosse qualcuno, lì con
loro,
in grado di mettere fine a questa follia – lord Ryoma, Zoe, lady
Mikoto,
chiunque…
Lady Ileana alza debolmente gli occhi,
cerchiati di nero dalla stanchezza e dal terrore, e lo guarda: c’è una
tale
disperazione, in quello sguardo, così profonda e densa e ineluttabile,
che per
un istante Hinata se ne sente assorbito.
-Non ho fatto niente di male…-
Le crede. Non gli importa che cosa ha
detto lord Takumi, Hinata non può non credere al pianto soffocato di
una
giovane donna che sta affrontando qualcosa a cui chiaramente non è mai
stata
preparata.
-Avete ragione.- ammette, sfilandosi
rapidamente la spessa e lunga sciarpa che usa indossare quando c’è
freddo.
-Tenete, o prenderete un raffreddore.- aggiunge, drappeggiando la
stoffa
pesante intorno alle spalle esili di lady Ileana, rabbrividendo quando
sfiora
la stoffa bagnata dei suoi vestiti: dev’essersi ribellata ai tentativi
di lord
Takumi e l’acqua che la infradicia ne è, probabilmente, il risultato.
La principessa chiude gli occhi, e due
grosse lacrime rotolano sulle sue guance pallide e smunte.
-Che sia…-
Hinata la ignora e continua ad
avvolgerla nello scialle, premurandosi di coprirla il più possibile:
non può e
non vuole permettere che si ammali, perché in quelle condizioni –
stanca,
debilitata, affamata – rischierebbe di non riuscire nemmeno ad arrivare
a
Suzanoh…
Ma forse è quello che vuole. Forse
preferisce morire piuttosto che rimanere un altro giorno alla mercé di
lord
Takumi.
Non può darle torto.
-Ma no, principessa, andrà tutto
bene.- cerca di consolarla, detestando con tutto il cuore gli ordini
che gli
impediscono di darle almeno una briciola di verità.
Altre lacrime, troppe, cominciano a
scorrere sul suo viso minuto.
-Voglio andare a casa mia… voglio solo
andare a casa mia…-
All’improvviso, la principessa
spalanca gli occhi:Hinata riesce quasi a riflettersi in quegli occhi
verdi
tanto grandi e lucidi, ma tutto ciò che vorrebbe adesso è allontanarsi,
fuggire
dall’animalesca, feroce paura che ha repentinamente animato quello
sguardo.
-Lasciami scappare. Lasciami andare
via. Io non farò del male a nessuno, voglio solo andarmene, prometto
che non
dirò niente di voi o di Hoshido e__-
-Vi riprenderebbe.-
La principessa sgrana gli occhi e
Hinata si odia, in quel momento: vorrebbe poterle dire qualcosa di
diverso,
vorrebbe che fosse possibile permetterle di tornare a casa e di
dimenticare
quell’incubo, ma sa benissimo che non è qualcosa che è in grado di fare.
-Mi dispiace, principessa, ma sarebbe
troppo pericoloso per voi.-
Lo vede, che le sue parole non l’hanno
aiutata, ma non può farci niente: sa benissimo che, se la lasciasse
andare – e
vorrebbe, vorrebbe davvero –, lord Takumi riuscirebbe a trovarla, e
niente e
nessuno potrebbe più impedirgli di farle tutto quello che vuole.
Rabbrividisce, spaventato all’idea di
quell’uomo in cui non vede più niente del principe che è così fiero di
servire
e di come potrebbe ridurre la ragazza di Nohr, in preda a quella cieca
ira che
sembra averlo posseduto – e lei trema a sua volta, gli occhi lucidi di
terrore,
ed Hinata decide in quel preciso momento che non può più lasciare che
vada
avanti così.
-Ma potrei fare qualcosa per
allontanarvi da lui.-
Davanti ai suoi occhi, Hinata guardò
Zoe accartocciarsi
su se stessa, schiacciata dall’orrore del suo racconto. Tentò di
sorreggerla,
ma dopo un istante preferì lasciarsi scivolare a terra insieme a lei,
stringendola forte quando Zoe si appallottolò contro il suo fianco e
appoggiò
la testa alla sua spalla.
-Non voglio crederci.- sussurrò, ed
Hinata chiuse gli
occhi, sentendosi sconfitto: nemmeno lui avrebbe mai voluto crederci,
nemmeno
lui avrebbe mai potuto pensare che lord Takumi
sarebbe arrivato a
tanto. -Takumi non è così…-
-Lo so.- ammise, accarezzandole la
schiena nel flebile
tentativo di rassicurarla.
No, infatti, Takumi non era mai stato
così.
Hinata aveva sempre, sempre
ammirato
lord Takumi: aveva sempre pensato che fosse un uomo coraggioso, che era
stato
in grado di trovare una propria strada che non potesse essere oscurata
dalla
luminosità accecante dei successi dei suoi fratelli maggiori che,
comunque,
secondo Hinata, non avevano mai avuto niente di particolare rispetto al
secondo
principe di Hoshido – anzi, tutt’altro: lord Ryoma e lady Hinoka non
avevano
mai dovuto combattere con le unghie e con i denti per ottenere dei
risultati,
non avevano mai passato giorni e giorni chini sui libri o con un arco
in mano
per diventare sempre migliori, per essere considerati almeno alla pari
dei
propri fratelli…
Takumi era una persona forte,
intelligente e corretta:
non aveva un carattere facile, quello non poteva negarlo, ma era sempre
stato
leale alle persone che gli erano care e giusto persino con i suoi
nemici.
Fino a che non avevano catturato lady
Ileana.
Forse era stata la rabbia a scatenare
tutto: dopotutto,
lord Takumi e la sua famiglia avevano perso così tanto a causa di Nohr
e dei
suoi regnanti… così come Oboro, che aveva perduto tutto a causa dei
briganti
nohriani che avevano trucidato la sua famiglia, e che non aveva perso
nemmeno
un’occasione per riservare il peggior trattamento possibile alla
principessa.
-Oboro non ha aiutato.- borbottò,
esprimendo i propri
pensieri ad alta voce senza accorgersene e sorprendendosi quando sentì
Zoe
irrigidirsi.
-Prevedibile.-
Hinata sospirò, voltandosi per celare
nei capelli di Zoe
una smorfia esasperata.
Zoe ed Oboro non erano mai andate
d’accordo: Oboro
l’aveva osteggiata sin da quando era stata nominata guardia reale di
Takumi,
non gradendo affatto quella Samurai che ronzava in continuazione
intorno al
suo amato principe… e anche Zoe
non aveva mai dimostrato una
particolare maturità nel confrontarsi con la Maestra di Lancia, a dire
il vero,
palesemente gelosa di tutte le occasioni che Oboro aveva per essere in
compagnia di Takumi che a lei, invece, erano negate.
-Dai, Oboro non è cattiva.- mugugnò,
sfiorando appena la
gola scoperta di Zoe con una carezza, sperando di riuscire a calmarla e
cercando nel buon odore dei suoi capelli qualcosa che riuscisse a
tranquillizzare anche lui. -Ha sbagliato, ma ha anche capito di aver
esagerato
quando ha visto com’era ridotta.- continuò, scuotendo la testa quando
il
ricordo cristallino degli occhi pieni di orrore di Oboro lampeggiò
nella sua
mente: quando, quella mattina, lord Takumi aveva ordinato loro di
spostare lady
Ileana dalle celle alla parca stanzetta dove Zoe l’aveva trovata, Oboro
era
stata finalmente costretta ad affrontare le urla disperate della
ragazza, la
disperazione con cui aveva lottato per sfuggirle e l’incubo in cui il
principe
che tanto idolatrava aveva gettato una giovane donna che non aveva
fatto nulla
di male se non esistere.
Hinata però non si sorprese quando,
con un versaccio, Zoe
si alzò in piedi, cupa in volto.
-Non mi interessa.- disse, tendendogli
una mano e
tirandolo su a sua volta quando lui la prese, trattenendo però le dita
callose
del Maestro d’Armi fra le proprie. -Non ci si comporta così. Con
nessuno.-
sibilò, ed Hinata dovette sforzarsi di non fare un passo indietro: in
quel
momento, con gli occhi pieni di dolore e la rabbia incisa sul volto,
Zoe
avrebbe intimorito persino il più temibile dei mostri di Nohr.
-Lo so, ma__- provò a rabbonirla, ma
lei lo fulminò con
uno sguardo tanto gelido da sedare sul nascere ogni suo tentativo di
replica.
-No.-
Ci fu un qualcosa di definitivo, in
quell’unica sillaba,
qualcosa che Hinata non seppe cogliere appieno ma che gli diede,
comunque, i
brividi: per un istante si ritrovò altrove, si ritrovò nuovamente
dinanzi al
vuoto senza fine dell’Abisso, riconoscendo la furia incontenibile della
tempesta nella voce e nello sguardo della sua amica.
La Samurai raddrizzò le spalle,
sollevò il mento e poi si
allontanò, lasciando un vuoto più freddo del normale dove, fino a pochi
istanti
prima, Hinata aveva potuto avvertire il calore del suo corpo,
l’impronta della
sua mano sul palmo.
-Parlerò con Takumi.- affermò, con una
voce ferma e
determinata che lo sorprese ancor più della gravità del suo sguardo:
quella
Zoe, quella giovane donna dal volto impassibile che mal nascondeva una
rabbia a
stento contenuta, era qualcuno che Hinata non aveva mai avuto occasione
di
conoscere, la guerriera implacabile e dalla volontà ferrea che Zoe
aveva
forgiato in anni ed anni di rinunce, addestramenti e sofferenze.
Guardandola, costringendosi a vedere
tutto questo al di
là del bel visetto e dei sorrisi che lei gli aveva sempre riservato,
Hinata
provò all’improvviso la cristallina certezza che, se non fosse riuscita
lei a
rimettere a posto il disastro che lord Takumi aveva fatto, nessun altro
ne
sarebbe stato capace.
-A me
darà retta, e se non lo farà gli ficcherò un po’ di
buonsenso nella testa a suon di schiaffi.-
.
.
.
__________________________________________________________________
Salve a tutti!
Eccoci qua con un nuovo capitolo di Aranyhìd, che potrebbe portare il sottotitolo di "quando le cose non vanno mai come dovrebbero andare. Anzi, vanno peggio".
Ileana e Zoe si sono incontrate, finalmente, ma non è andata proprio benissimo per nessuna delle due: per fortuna, e lo ripeterò fino allo sfinimento, c'è Hinata. Hinata è patrimonio dell'umanità.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, e nel prossimo: incontreremo Mikoto! Reggetevi forte, perché ci sarà da ballare!
Clarisse&B