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Autore: ranyare    22/05/2017    2 recensioni
Quando Garon ha orchestrato l'incidente di Cheve, non ha pianificato soltanto il brutale assassinio del Re di Hoshido, ma anche di appropriarsi di una specifica bambina dal sangue di drago. Ma come poteva essere certo che la bambina che ha strappato dal corpo ancora caldo del Re sia davvero quella giusta?
Le bugie crollano quando Ileana, cresciuta come una principessa nohriana, viene catturata da una pattuglia hoshijin presso l'Abisso Infinito, e portata al cospetto della regina Mikoto e di una ragazza della sua età, Zoe; ma il prezzo da pagare per la verità si rivelerà, però, troppo alto per entrambe.
Mentre le ombre della guerra si stagliano sul continente di Euanthe, Ileana e Zoe dovranno prendersi per mano per proteggere i propri cari dal pericolo imminente.
Dalla storia:
Ma, se gliel’avesse detto, il Principe Ereditario non sarebbe partito con un’armata, preferendo invece una delegazione diplomatica. E Re Garon non avrebbe avuto la guerra che voleva così tanto – la guerra che lui, il suo fedele e capace Iago, aveva passato tutto quel tempo a preparare. Quindi, ovviamente, non aveva detto nemmeno una parola sulla pergamena, già sparita in uno sbuffo di fiamme guizzanti.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Avatar/Kamui (F), Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Golden Bridges'
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Aranyhíd

Geram

(Malese)

Un bisogno che hai difficoltà a sopprimere.

.

.

Persino l’avamposto di Suzanoh rifletteva la stessa imponenza della Grande Muraglia.

L’atrio della piccola fortezza era stato costruito nella stessa pietra gialla che componeva le mura, ma nemmeno gli arazzi che erano stati affissi nel tentativo di ingentilire l’ambiente riuscivano a celare la maestosità di quel luogo.

Si era sempre sentito piccolo, Takumi, sin dalle primissime volte in cui Ryoma od Hinoka lo avevano portato lì per mostrargli i confini del loro regno, ma aveva sempre pensato che si trattasse di una reazione voluta dai costruttori: nessun nemico avrebbe mai potuto sentirsi spavaldo dinanzi a Suzanoh, e l’intera Hoshido poteva dormire sonni più tranquilli sapendo che la Muraglia sarebbe sempre rimasta lì, pronta a proteggerli.

Al suo fianco, minuscola in confronto a quel posto che trasudava possanza ed enormità, Zoe camminava in silenzio, mentre Ryoma e Kaze, a pochi passi dietro di loro, borbottavano qualcosa che lui non riuscì a comprendere; lanciò un’occhiata alle sue spalle, cercando invano di carpire qualcosa del loro discorso e sorprendendosi quando si accorse che persino la figura imponente di suo fratello pareva smorzata dall’altissimo soffitto e dalle pareti spesse un braccio.

Cerca di non esagerare.

Erano state quelle le parole che Ryoma gli aveva sussurrato all’orecchio, prima: parole che lo avevano schiacciato come se l’intera Muraglia gli fosse crollata addosso, e che echeggiavano fra i suoi pensieri sin da quando erano state pronunciate.

Takumi poteva sentirle pulsare nella testa, martellargli le tempie, e avrebbe tanto voluto non darci così tanto peso… ma no, non poteva ignorarle, perché quelle parole non facevano altro che tormentare il senso di colpa che aveva seppellito nel petto.

Non poteva ignorarle, perché aveva già deluso suo fratello. Era troppo tardi: aveva già esagerato.

Aveva esagerato quando lei aveva pronunciato quel nome, quando tutto si era disfatto tra le sue dita nel momento in cui lei, già troppo lontana dal crepaccio dell’Abisso Infinito per gettarcela semplicemente dentro, aveva dimostrato di possedere il potere di fare il suo mondo a pezzi con una sola parola.

.

-Sono Ileana, quarta principessa di Nohr e figlia del Re d’Ossidiana.-

Ileana.

No, pensa Takumi, il corpo pietrificato dallo shock mentre quel nome sembra esplodere nell’aria dell’Abisso, rintoccare su ogni roccia tagliente del confine.

Non le crede. Ileana è morta, ne è sicuro. Assassinata, poco dopo essere stata strappata al corpo ancora caldo di suo padre. Ecco perché non l’hanno mai trovata, indipendentemente da quante risorse abbiano investito nelle ricerche: è morta, sepolta diversi piedi sotto la polvere di Nohr, e l’unico motivo per cui non hanno restituito il suo corpo spezzato è per condannarli ad un’esistenza di incertezza per tutta la vita.

Non le può credere, non può – non vuole –, è più forte di lui.

Non è possibile che quella… quella cosa sia la sua sorellina perduta. È nohriana, dalla testa ai piedi – è feccia. È un mostro senz’anima e senza cuore che ha ordinato di attaccare le sue truppe facendosi beffe del loro trattato di confine, che ha persino osato appellarsi all’onore e implorare pietà anziché pagare per i propri peccati quando si è trovata con le spalle al muro – i nohriani non hanno avuto nessuna pietà per suo padre: l’hanno ucciso a sangue freddo, davanti agli occhi di una bambina indifesa, quindi perché avrebbe dovuto averne lui per loro?

Avrebbe dovuto ucciderla. Avrebbe dovuto ucciderla e basta, avrebbe dovuto dare retta a quella quieta, piccola vocina che gli aveva sussurrato di assecondare la rabbia del suo yumi e permettere che la sua freccia le strappasse dal petto quello che era rimasto del suo cuore freddo e marcio.

Le sue mani tremano sui legacci della spada che le ha portato via, le dita ancora ingarbugliate tra i nodi che stava finendo di stringere quando ha sentito quel nome. Impallidisce, e ne è conscio, e gli occhi gli bruciano mentre dolore e rabbia imperversano dentro di lui, dando vita a una sete di sangue che non ha mai sentito prima.

Dovrebbe ucciderla, adesso, in questo istante. Ai corvi la politica e i trattati e la promessa di informazioni. Dovrebbe trascinarla di nuovo al di là del ponte e squarciarle la gola di fronte ai suoi cani da guardia, urlargli che è questo quel che succede quando Nohr cerca di insinuare un’impostora tra i loro ranghi con un trucco così vile.

Perché è solo questo, non può essere altro. Ileana è morta e questa Maga non è altro che un diversivo per infiltrarsi tra le sue truppe, tra la sua famiglia, sfruttando il loro dolore a proprio vantaggio per piantargli un pugnale nella schiena alla prima occasione. Ma lui non lo permetterà.

-Non è possibile.- ringhia mentre le si avvicina a grandi passi, la mano che scatta a stringersi tra i suoi capelli corti. Lei non può trattenere una smorfia quando se la strattona addosso, torcendole il collo in modo da scacciare quello sguardo tronfio dal viso mentre la costringe a guardarlo. -Stai mentendo.-

Stringe più forte quando quella feccia si dimena – ribelle e impudente – e lui si trova ad apprezzare il mugolio di dolore che le sfugge quando riesce solo a farsi male da sola. -Perché dovrei?-

Soffia, soffia come la serpe che è. C’è veleno a impregnare le sue parole e lo sa – mai, mai fidarsi di uno stregone nohriano: sa cosa possono fare alle menti delle loro vittime. Non le permetterà di incantarlo e convincerlo a lasciarla andare.

Snuda la spada che le ha strappato e gliela preme contro la gola. -Non voglio chiedertelo di nuovo, feccia. Il tuo nome. Subito.-

Voleva solo spaventarla, ma poi il metallo sembra venarsi di rosso, e qualcosa di cattivo e furibondo ulula dentro di lui. La Maga trema e impallidisce prima di immobilizzarsi tra la sua mano e la lama, e lui si trova a godere di quella vista, perché se lo merita.

Sputa veleno, la feccia, ma stavolta c’è un’inflessione nella sua voce che suona tanto come paura. -Ve l’ho detto! Potete minacciarmi quanto volete, vi ho detto la verità!-

-Quelli come te non dicono la verità così facilmente.- la schernisce, facendosi beffe della bugia colossale che ha appena tentato di rifilargli.

La tracotanza di lei vacilla quando il filo della spada le accarezza la gola e cerca di liberarsi, ma non può sfuggirgli. La vede serrare gli occhi per non mostrargli quelle lacrime rivelatrici che le velano gli occhi.

Takumi si gode lo spettacolo delle crepe che si diramano nella sua maschera: avrà le sue risposte, e anche prima di quanto pensasse. Dovrà solo stare attento, perché non sembra che possa durare molto sotto tortura.

Pazienza. Troverà lo stesso il modo di farle pagare tutto – perché la feccia come lei non merita altro che soffrire. Le spinge la spada contro la gola, minaccioso. - Ma ho intenzione di strappartela, ‘principessa’, a qualunque costo. Credimi, crollerai. In fretta.-

E allora una goccia di sangue bagna il filo della lama dove le ha penetrato la pelle – è tanto, tanto più affilata di quanto credesse – e la spada sembra gemere come se fosse viva e dotata di volontà propria. Ne vuole ancora, Takumi intuisce… e per un infinito, folle secondo, ne vuole anche lui.

Per un infinito, folle secondo, è pronto a gettare al vento ogni strategia, ogni progetto: non vede altro che sangue, non vuole altro che sangue.

Il sangue di quella dannata cagna.

-Lord Takumi!-

.

Col senno di poi, Takumi aveva capito che era stato un bene che Kaze si fosse trovato lì, pronto a fermarlo prima che potesse fare qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentito – a spingere via la spada prima che lui potesse seppellirla nella gola di quella nohriana.

Stava ancora cercando di trovare il coraggio per affrontare il Maestro Ninja e scusarsi, sia per la sua sfuriata all’Abisso Infinito sia per come l’aveva trattato durante tutto il viaggio di ritorno verso Suzanoh… ma Kaze era stato così pronto a difendere e proteggere quel piccolo demone che lui, proprio, non aveva potuto farne a meno. Poteva solo sperare che non avrebbe detto a Ryoma di__

-Ehi…-

Il flebile sussurro di Zoe, così diverso dalla voce squillante che conosceva fin da bambino, lo sottrasse a quei pensieri frustrati e pieni di rabbia, costringendolo a voltarsi verso di lei e a fronteggiare l’insicurezza che sembrava essere stata scolpita in ogni singolo tratto del suo viso spigoloso.

Era difficile credere che quella giovane donna fosse la stessa ragazzina con cui era cresciuto.

Da quando Saizo le aveva permesso di assumere la carica di Samurai era diventato molto complicato, per Takumi, far collimare il ricordo di una bambinetta nervosa e lunga come un giunco con le forme che le sue vesti, per quanto molto meno rivelatrici di quelle di altre Samurai, proprio non riuscivano a nascondere… anche se non avrebbe mai capito come facesse a non sentire freddo con addosso soltanto un kimono che le copriva a malapena il seno – quella era sicuramente opera di Orochi, poco ma sicuro.

Tuttavia, nonostante gli sforzi di sua madre per spingerla verso un abbigliamento più consono ad una giovane donna, Zoe continuava testardamente a vestirsi più come Hinata, preferendo la comodità dell’hakama e dell’obi scarlatto che le fasciava i fianchi morbidi agli abitini striminziti che riempivano il suo armadio, mai toccati.

Takumi aveva sempre pensato che Zoe assomigliasse, più che alla provocante Orochi, a Kagero: aveva nei piedi lo stesso passo felpato, nelle movenze la medesima scioltezza e nelle ombre la sua casa.

-Ehi.- rispose, riscuotendosi dai suoi pensieri e sforzandosi di sorriderle, sebbene sapesse perfettamente quanto poco sincero sarebbe sembrato il suo maldestro tentativo di conforto: Zoe lo conosceva forse anche troppo bene, ed era certo che gli avrebbe letto in faccia quanto poco fosse contento di quella situazione.

No, non voleva proprio portarla da lei, non voleva che Zoe la incontrasse e le parlasse, non voleva che quella schifosa fattucchiera da due soldi provasse a irretire la sua amica prima di portargliela via.

-Sei silenzioso.-

Il giovane principe sbuffò, scoccandole un’occhiata obliqua.

-Anche tu, e penso sia quasi un miracolo.- replicò, ottenendo una lieve gomitata e una pernacchia come risposta.

-Sei sempre un antipatico.- lo rimbrottò lei, sbuffando, ma Takumi non se la prese. Se quel rimprovero gli fosse stato mosso da Ryoma, o da Hinoka, il dolore che gli avrebbe causato sarebbe stato atroce, ma Zoe… beh, Zoe passava la maggior parte del suo tempo a fargli notare quanto sapesse essere insopportabile, ma nonostante il suo brutto carattere gli era sempre rimasta vicino.

Il sorriso che gli sfuggì, stavolta, fu più sincero, perché in quella vocina era riuscito a cogliere un’ombra della sagacia che tanto gli era cara: eccola lì, la sua amica Zoe, quella che non mancava mai di sottolineare quanto quei pochi mesi che li dividevano la rendessero più grande di lui e che lo conosceva probabilmente molto meglio di quanto potesse dire di Hinoka.

-Fa parte del mio fascino!- ribatté, balzando indietro per evitare il pugno che, prevedibile, tentò di atterrare sulla sua spalla.

-Ma quale fascino.- mugugnò debolmente la Samurai, scuotendo la testa prima di piombare nuovamente in quell’odioso, insopportabile mutismo che Takumi proprio non riusciva a tollerare.

Le concesse soltanto una manciata d’attimi di silenzio prima di sbuffare, esasperato, fermandosi bruscamente dopo una curva del corridoio per afferrarla per un polso, costringendola a prestargli attenzione – con la coda dell’occhio scorse lo sguardo interrogativo di Ryoma, chiaramente sorpreso da quel gesto, ma decise di ignorarlo: suo fratello sembrava ancora preso dalla conversazione con Kaze, e lui poteva concedersi qualche minuto per parlare con la sua amica.

-Senti, non sei davvero obbligata a vederla.- sbottò, sentendosi profondamente a disagio in quella situazione: non era mai stato bravo nelle questioni emotive, ma sperava che Zoe, sapendolo, gli perdonasse la sua evidente goffaggine. -Non è una brava persona.-

Lei sospirò.

-Invece devo, e lo sai. Anche soltanto per darmi pace una volta per tutte.-

Takumi digrignò i denti, esasperato: Zoe aveva serrato la mano destra sulla tsuka della katana e l’altra mano era sparita fra le pieghe dell’hakama grigio, sicuramente stretta a pugno tanto saldamente da aver inciso i tratti delle sue unghie rovinate nel palmo; il suo sguardo scarlatto era assente, vuoto come Takumi non aveva mai avuto idea che potesse essere, le labbra illividite dalla tensione e le orecchie appiattite fra i capelli.

Non era abituato ad una Zoe silenziosa, che teneva le spalle dritte e l’espressione impassibile: Zoe era una brace ardente, con una rispostaccia sempre pronta sulla punta della lingua e uno scintillio indomabile nelle iridi fulve… la Samurai che aveva accanto, invece, era un’entità sconosciuta, una pallida e tesa eco della ragazza a cui era affezionato.

Zoe non se lo meritava.

Zoe era una delle persone migliori che avesse mai conosciuto, era sua amica, era famiglia, e lui non poteva tollerare che quella dannata nohriana l’avesse trascinata di nuovo in quella pozza di dolore da cui le era stato così difficile tirarsi fuori senza nemmeno averla ancora incontrata – lei così come sua madre, quella donna meravigliosa che, dopo i tragici eventi di Cheve, aveva passato troppe notti a piangere chiusa nella cameretta che era appartenuta alle sue figlie.

Quella cagna non poteva essere la bambina perduta di sua madre, la sua sorellina, l’amica d’infanzia di Zoe. Nessuno avrebbe mai potuto convincerlo del contrario.

Tuttavia

I suoi pensieri s’ingarbugliarono un’altra volta, soffocandolo ancora una volta nelle spire della vergogna e della frustrazione – come poteva mantenere la lucidità, il filo di un qualsiasi discorso, quando ad ogni respiro la faccia distorta della nohriana risaliva a galla nella sua mente?

Quanto riusciva a capire il bisogno di Zoe di un po’ di pace… anche lui avrebbe tanto voluto trovarla, lasciarsi sprofondare nella certezza di essersi comportato in modo onorevole, corretto e giusto, come Ryoma si sarebbe aspettato da lui.

Ma lo aveva deluso.

Aveva esagerato. Aveva esagerato quando l’aveva catturata, quando l’aveva assalita, quando aveva dato l’ordine di farle fare la fame e la sete.

Non avevano avuto dietro alcuna droga per sopprimere le sue facoltà magiche: i suoi ninja avevano portato solo veleni, e per quanto gli sarebbe piaciuto davvero tanto mettere fine a quella vita disgustosa, non poteva. Reina li aveva lasciati immediatamente per raggiungere sua madre, e Takumi si era dovuto sforzare di tenere a mente che non avrebbe potuto uccidere la nohriana né farle qualcosa che avrebbe lasciato segni visibili – non finché non fosse stata giudicata per l’impostora che era, e condannata come tale.

Ma aveva potuto renderla il più debole e impotente possibile. E l’aveva fatto. E se n’era approfittato.

.

Il fuoco che hanno costruito nel mezzo dell’accampamento brucia, luminoso, e scaccia il freddo portato dalla Luna di Ghiaccio. I suoi uomini formano un cerchio disordinato attorno a loro e, mentre mangiano, si riposano, tra le risa generali: hanno passato le montagne e sono tornati su suolo hoshijin. Sono al sicuro. Sono a casa.

Il cuore di Takumi è più leggero, il sollievo è palpabile nell’aria che porta il profumo conosciuto della sua terra.

Tuttavia, lui non può rilassarsi – non ancora. Non finché quella feccia avrà fiato in gola.

Le lancia un’occhiata da sopra la spalla, scocciato, ma scorge l’espressione accuratamente neutra di Kaze, poco lontano dalla prigioniera: gli obbedisce, evitando di avvicinarsi a quella bestia come lui gli ha ordinato e evitando di interferire con il suo trattamento, ma non è mai lontano, e non la perde di vista, mai. Veglia su di lei, nella speranza che la sua sola presenza basti a proteggerla.

E in effetti, basta: i soldati la lasciano in pace, e hanno persino smesso di deriderla – Oboro è l’unica a fare eccezione.

Quella cagna è seduta a terra, la schiena appoggiata contro il palo a cui l’hanno legata, abbastanza lontana dal fuoco per non godere del suo calore ma non abbastanza da renderla poco visibile. Ha sempre le mani legate dietro la schiena: non sono mai state sciolte da quel giorno sull’Abisso. Ha raccolto le gambe sotto di sé in un tentativo di arrotolarsi su se stessa per trattenere quel poco calore che le è rimasto in corpo, e non può essere semplice considerando lo stato dei suoi abiti: sono leggeri e strappati, tanto che quel che rimane del suo mantello basta giusto a coprirle le spalle.

È infreddolita, irrigidita, stanca. È riuscita a malapena a mettersi in piedi quella mattina, come se la scarsità d’acqua e cibo stesse già mostrando i suoi effetti. Non è nemmeno riuscita a camminare, e Hinata ha finito per caricarsela in spalla – perché si sia rifiutato di trascinarla e basta Takumi proprio non lo capisce, ma Hinata è sempre stato debole quando si parla di donne.

Sembra davvero, davvero debole e indifesa, ma Takumi sa che è una finta per avere la loro pietà, per fargli abbassare la guardia. Non è possibile che sia già denutrita e disidratata, non è passato abbastanza tempo – qualunque soldato reggerebbe di più, anche uno sottile come lei… e il sussurro tra i suoi pensieri è una pressione continua contro le tempie, è come se qualcuno gli mormorasse parole senza fine all’orecchio senza permettergli di comprenderne il senso.

È certo che sia lei, che sia un tentativo di incantarlo, di ingarbugliargli i pensieri. E, se riesce a lanciare un incantesimo del genere senza avere un tomo tra le mani, allora sta molto meglio di quanto sembri.

Le si avvicina, piano, con attenzione. La feccia non sembra nemmeno accorgersene, ma Takumi prova a ragionare e si accorge che quel sussurrare nella sua testa è andato affievolendosi man mano che si allontanavano dal confine. Forse non è così in forma dopo tutto.

Ha un solo modo per scoprirlo.

C’è un ghigno sottile ad arricciargli le labbra mentre torna a prendere un piatto che riempie con alcune delle polpette di pesce che hanno preparato per cena, prima di tornare da lei. È così vicino che può sentire il suo respiro, affannato e doloroso, così tanto da poter scorgere gli aloni violacei sotto i suoi occhi e il pallore del suo viso.

Per un momento, ritrova la ragazzina spaventata, fragile e indifesa che ha visto all’Abisso la prima volta che le ha puntato contro una delle sue frecce, e il suo odio vacilla. Poi il piatto tintinna contro il suolo mentre lo appoggia e lei apre gli occhi con un brontolio, e all’improvviso non c’è più alcuna traccia di innocenza sul suo viso, distorto in qualcosa di detestabile, cattivo ed arrogante.

Per i Draghi, ci è quasi cascato. Come ha potuto? Eppure lo sa, sa che non è altro che feccia, che una creatura immonda pronta a piegare le leggi della natura ai propri scopi malvagi ed egoisti, bramosa di vite innocenti, insaziabile di sangue. Non deve dimenticarlo, mai.

Quindi la squadra dall’alto in basso, sulle labbra tutta la crudeltà di cui è capace. -Non hai dormito abbastanza in braccio alla mia guardia?-

C’è un baluginio rabbioso nei suoi occhi, ed è la sua unica risposta – che sia perché lei si rifiuta di parlargli, oppure perché ha la gola troppo secca per riuscirci. Ma ci sono delle cose che lui vuole sapere.

-Piantala di guardarmi in cagnesco. Ti ho portato da mangiare.- le dice, fintamente conciliante, indicando il piatto appoggiato vicino a lei con un cenno del mento.

La Maga inarca un sopracciglio. -Avete intenzione di slegarmi per lasciarmi mangiare?- gli chiede. Ha la voce bassa e rauca, ma riesce lo stesso a suonare sprezzante.

A lui si contrae un muscolo sulla mascella. -No.-

La smorfia di lei dice tutto. -Tenetevi il cibo allora. Non riuscirete a farmi mangiare come un cane.-

Takumi deve fare uno sforzo per trattenere una rispostaccia. Ad essere onesti, l’umiliazione del costringerla a mangiare direttamente da terra non è qualcosa a cui aveva pensato – né uno spettacolo di cui avrebbe goduto, al contrario di Oboro – e parte di lui sa che è davvero chiedere troppo.

Ma la nohriana dovrà essere morta e sepolta prima che lui consideri anche solo l’idea di scioglierle le braccia.

-È il tuo giorno fortunato, allora, perché sono disposto a darti una mano.- le dice invece, anche se non riesce ad evitare di suonare condiscendente. Lei gli fa una smorfia sarcastica mentre si abbandona di nuovo contro il palo ma non ribatte, così lui prende una polpetta tra le dita e gliela porta alle labbra. -Sono disposto a imboccarti io stesso, ma te lo dovrai guadagnare. Un boccone per ogni domanda a cui risponderai. D’accordo?-

E chiede, chiede, chiede. Le chiede di Nohr, dell’esercito, di re Garon. Lei non dice una parola, nonostante lui veda quanto le costi: quando si stufa di aspettare una risposta si mangia lui la polpetta, e può sentire i suoi occhi addosso, vedere il tormento della fame. Eppure non fa un fiato.

Quando lui ingoia l’ultimo boccone di cibo, c’è un sorriso suicida sulle labbra di quel mostro. -Ve l’ho detto. Non vi darò nulla.-

Il mormorio si fa un grido incomprensibile tra i suoi pensieri. La rabbia esplode, rossa come lo scintillio nei suoi occhi. Fa per stringerle il mento tra le dita, ma lei è più veloce – non sa se perché se lo aspettava, o se perché davvero non sta male come cerca di far vedere.

Prima che possa anche solo sfiorarle il viso, sente i denti affondargli nella mano. Lo morde, forte, inaspettatamente forte, con rabbia e disperazione. Lui è troppo scioccato per reagire, almeno finché non sente quelle zanne andare più a fondo, il sangue scendergli lungo il palmo.

L’altro pugno si chiude tra i suoi capelli per strattonarla via, e sente i canini graffiargli la pelle mentre la costringe a lasciarlo andare. Fa male.

-Questa me la paghi, serpe!- ringhia, ma lei non fa altro che sputargli addosso il sangue che le è colato in bocca.

Le dita che la tengono saldamente contro il palo, la mano ferita scende, rispondendo alla chiamata che sembra provenire dal metallo scuro e pulsante che riluce da dentro il fodero che porta al fianco… ma una presa solida si chiude sul suo polso prima che possa afferrare l’elsa della spada.

-Reina è stata chiara, milord: che non le venga fatto del male.- Kaze gli ricorda, impassibile.

Takumi risponde con una smorfia mentre cerca di strappare il polso alla presa del ninja – ma certo, non se ne sarebbe stato a guardare in disparte mentre lui sfigurava la sua protetta.

Si alza in piedi e lancia uno sguardo disgustato alla feccia costretta in ginocchio ai suoi piedi, e sente il bisogno di aprire uno squarcio in quel bel faccino subdolo quando capisce che non ha chiuso gli occhi, nemmeno quando stava per estrarre la spada.

-Bene, allora.- sputa, mentre parte del suo cervello si chiede se avrà bisogno di un sorso d’antidoto per quel morso. -Quella era la tua cena, sappilo. Ma non credere che ti permetterò di morire di fame, non ho finito con te.-

Ed è allora, a quelle ultime parole, che vede di nuovo le crepe di debolezza sul suo viso, e capisce: non sta solo facendo la difficile, vuole lasciarsi morire prima che lui possa interrogarla a dovere.

E a Suzanoh mancano ancora tre giorni.

..

Era stato Hinata ad impedirgli di esagerare quando aveva cercato di farle ingoiare a forza cibo e acqua, non appena aveva capito cosa stesse cercando di fare quella feccia. Con l’aiuto del suo amico d’infanzia era riuscito a fare un passo indietro, anche se ancora gli teneva il broncio per aver insistito nel chiedere l’aiuto di Kaze per occuparsi del loro ostaggio.

Alla fine, infatti, Takumi aveva ceduto alle loro richieste di mandarla avanti assieme al ninja e alle sue guardie mentre lui guidava i soldati attraverso la foresta. Kaze sembrava di essere l’unico in grado di convincerla a cooperare almeno un po’, e Hinata sembrava essere sulla buona strada per fare altrettanto – e quello era qualcosa che avrebbe potuto usare, appena ottenuto il permesso di interrogarla. Oboro era stata praticamente costretta ad andare con loro, per essere certa che quei due teneroni non permettessero a quella feccia di mettersi troppo comoda.

Se solo non fosse mai esistita…

Nervosamente, Takumi sfiorò l’elsa della spada che portava al fianco, ed ancora una volta gli parve di avvertire un fremito impaziente ed oscuro vibrare sotto i suoi polpastrelli.

Avrebbe dovuto ammazzarla, non se lo sarebbe mai ripetuto abbastanza. Avrebbe potuto trovare un modo, e ai corvi gli interrogatori: proteggere sua madre e proteggere Zoe sarebbero dovute essere la sua priorità.

Tagliarle la gola all’Abisso, bruciarla assieme a quel palo a cui l’aveva legata invece di tentare la via della gentilezza e offrirsiaddirittura di darle da mangiare di persona… si sarebbe dovuto impegnare di più, essere più fermo con Kaze e con Hinata, costringerla a vuotare il sacco per poi mettersi comodo a guardarla uccidersi da sola.

Certo, sua madre e Zoe sarebbero state devastate dalla notizia che la sconosciuta nohriana che affermava di essere Ileana non aveva resistito al viaggio, ma… sarebbe stato meglio, per loro. Avrebbero avuto una chiusura, avrebbero potuto accettare una volta per tutte che Ileana era morta, sarebbero potute andare avanti con le loro vite e Takumi non avrebbe mai più dovuto vedere sua madre stringere convulsamente al petto un cavallino di pezza, avrebbe potuto convincere Zoe a lasciar perdere il suo desiderio di diventare daimyomagari avrebbe persino trovato il modo di convincerla a sposare il ragazzo per cui aveva una cotta da una vita, magari si sarebbe rassegnata, magari sarebbe stata felice…

E invece no. Invece lui aveva fallito, fallito su tutta la linea, e adesso quella maledetta cagna aveva già cominciato ad avvelenare il suo mondo, la sua famiglia, i suoi amici, e non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo quando avrebbe incontrato sua madre.

Non aveva idea di come Mikoto avrebbe potuto confermare o meno l’identità della Maga nohriana, ma una parte di lui, una grossa parte di lui, sperava ardentemente che Kaze si fosse sbagliato, che in qualche modo la principessina viziata che avevano preso prigioniera si rivelasse essere un’impostora – e lui avrebbe potuto porre fine a quella penosa pagliacciata una volta per tutte, facendo pagare a quell’eretica ogni attimo d’angoscia provata da sua madre e da Zoe.

-Avresti dovuto darti pace una volta per tutte molto tempo fa, e lo sai.- brontolò, nervoso, sfregando nervosamente un piede sul pavimento liscio e pulito del corridoio, provando una punta d’irritazione quando il fango della foresta macchiò quel lindore. -Ma insomma, è comprensibile.- aggiunse, però, scorgendo l’espressione di lei incupirsi al suo commento e maledicendosi, per un istante, quando si rese conto di aver esagerato: Zoe aveva cercato davvero di superare tutto quello, di andare avanti, e lui ne era stato contento – anche se avrebbe preferito vederla in un ruolo più al sicuro di quello di un soldato. -Però non… non sono sicuro che dovresti sperarci così tanto.- ammise, cercando disperatamente un modo di esprimere i propri dubbi senza farle del male – sarebbe bastata una parola sbagliata perché Zoe si preoccupasse ancora di più, e non voleva assolutamente essere lui quello che avrebbe ridotto in briciole quelle speranze in cui tanto lei quanto sua madre non avevano mai smesso davvero di credere.

La Samurai abbassò lo sguardo, mordendosi nervosamente le labbra.

-Pensi che non sia lei?- gli domandò, e Takumi avvertì chiaramente quanto quella prospettiva l’avesse già sfiorata e la tormentasse.

Quel mostro non l’aveva nemmeno ancora incontrata e già le stava facendo del male.

Digrignò i denti, cercando di mantenere la calma: quello non era proprio il momento di perdere le staffe.

-Non può essere lei. Zoe, non può, fidati di me. È…- esitò, annaspando alla ricerca di una definizione non troppo deplorevole per quella che, invece, meritava soltanto i peggiori insulti. -…è cattiva, è__-

..

-Allora? Vogliamo riprovarci?-

Queste sono le prime parole che le dice non appena mette piede di fronte alla sua cella, nelle segrete sotterranee della Grande Muraglia.

Le prigioni sono scavate nella pietra stessa che costituisce il fianco nord di quella che è l’ultima linea di difesa di Shirasagi. Sono una serie di anfratti con pareti rocciose irregolari, senza finestre, le cui entrate sono delimitate di sbarre d’acciaio magicamente rinforzate, e danno tutte sullo stesso lungo, sottile corridoio. È buio, umido, freddo e scomodo, qui sotto: le uniche luci sono quelle delle candele alle porte delle celle occupate e l’occasionale torcia tra le mani delle guardie.

Oggi come fonte di illuminazione ci sono solo la candela che sfrigola fuori dalla cella della Maga e la torcia che brucia nel pugno di Takumi.

Non sembra che la cosa la disturbi – come ogni mostro che si rispetti, è a suo agio nell’oscurità, e questa non è che un’altra prova della sua depravata natura.

Lui riesce solo a pensare a sua madre e a Zoe, che a breve arriveranno per parlarle, e gli si spezza il fiato in gola. Non le vuole vicino a questo mostro.

Ecco perché è qui, adesso. Questa è la sua ultima possibilità di strapparle i suoi segreti, prima di essere costretto a fare un passo indietro, almeno finché la sua mascherata non sarà riconosciuta come la farsa che è, e lui potrà finalmente fare di lei quello che vuole. Ma fino ad allora…

La Maga si lascia abbracciare dalla luce, e lui capisce subito che averla mandata in anticipo a Suzanoh è stato un errore. Non dover marciare le ha permesso di recuperare un po’ di forza e, per quanto si veda che è ancora debole, c’è un ghigno insolente sulle sue labbra che non promette davvero niente di buono.

Lo sta guardando come se lei non fosse la preda, ma il predatore.

-Quindi il Principe di Hoshido, oltre ad essere uno stupido prepotente senza onore, è anche sordo.- esordisce, la voce che sanguina alterigia e disprezzo.

La rabbia che non l’ha tormentato per tutto il tempo in cui non ha dovuto tollerare la sua presenza torna all’improvviso, ed è assoluta. Stringe la presa sull’elsa della spada scura e vorrebbe tanto che quelle sbarre non fossero lì, così potrebbe finalmente ucciderla – perché quello si fa con i mostri come lei: si fanno a pezzi, prima che possano distruggere ogni cosa bella e pura.

-È incredibile quanto marciume possa esserci in una bestiolina così piccola.- risponde lui, le parole avvelenate tanto quanto quelle di lei.

-Non potete nemmeno immaginarlo. Non vi piaceranno le parole che ho per voi oggi, ve lo garantisco.- le sue zanne scintillano alla luce della torcia. Lui coglie il riflesso delle manette che le legano i polsi sul davanti. È in piedi, appoggiata alla porta della cella, le dita pallide ed esili come zampe di ragno strette attorno alle sbarre. -Ma prego, venite a constatare di persona, Principino. Chiedete, se ne avete il coraggio.-

Lui si abbandona a un sospiro teatrale, come se rimpiangesse quello che sta per dire – e invece non lo rimpiange affatto. -Non capisco perché tu debba rendere tutto così difficile. Voglio solo poche risposte oneste. Non deve essere doloroso.-

-Ah no?- c’è sarcasmo nei suoi occhi verdi – occhi che luccicano nel buio, come quelli di una bestia in agguato, assetata di sangue, pronta a colpire. -Non credo che vi dispiacerebbe se lo fosse. O volete farmi credere che non vi siete immaginato la scena, Principino?-

C’è qualcosa di strano nelle sue parole, si dice Takumi mentre rabbrividisce. È diverso il modo in cui parla, in cui articola ogni sillaba rendendola piena e bassa, perfette per insinuarsi nella sua mente.

Il mormorio che sente tra i suoi pensieri non è mai cessato del tutto, nemmeno in sua assenza.

-Non mentitemi, Principino.- sussurra, e lui è a tanto così dall’impazzire – perché è lui che dovrebbe intimarle di non mentire, e lei quella che dovrebbe sentirsi inerme e in trappola. -So che non chiedereste altro che vedermi in pezzi. So che non vedete l’ora di fare del vostro peggio. Ma so anche che, per ora, non potete farmi del male. Non ne state morendo?-

Certo che sa che non può farle del male – non ancora. Deve averlo capito, o dagli ordini di Reina, o dalle parole di Kaze quando ha interferito quella notte all’accampamento, oppure avrà sentito Hinata e Oboro che ne parlavano. Di certo, sta fingendo ogni momento di debolezza.

Gli sembra che gli stia girando intorno in cerchio, cercando di capire quando attaccare, dove colpire in modo da ucciderlo con un solo morso, come se avesse lei il controllo della situazione, nonostante sia rinchiusa dietro sbarre d’acciaio. Trasuda pericolo, e lo rende nervoso. Si chiede se lei possa percepirlo, come farebbe qualsiasi animale.

Stupido, stupido lui che le ha permesso di riprendersi mandandola avanti.

Raddrizza la schiena. -Posso fare tutto quello che voglio, finché non lascio segni visibili. Non guasterebbe renderti un po’ più… docile, sai?- precisa, avvicinandosi alle sbarre della cella, dimostrando più sicurezza di quanta non ne senta. È abbastanza vicino da toccarla, e le croste sulla ferita alla mano che gli ha lasciato prudono. -E ci sono modi per ammansirti che non lasceranno tanti segni.-

Gli pare di vedere un’ombra nel suo sguardo mentre lo studia attentamente, ma è svanita al seguente battito di ciglia. Non si allontana dalla porta della cella, nemmeno quando una delle sue mani si stringe sulle sbarre. Ghigna e basta. -State minacciando di stuprarmi, Principino?-

La sua voce è bassa, sarcastica. Lui serra la mascella, cercando di non sembrare sorpreso dalla sua sfrontatezza – non è spaventata, nemmeno un po’.

-Non mi pare proprio il vostro stile. Credo che abbiamo già appurato che non siete in grado di prendere senza chiedere. Ma visto che non risponderò alle vostre domande, forse potreste decidere di punirmi inventandovi altre cose da fare con la mia bocca…-

Lui la guarda male: è chiaro che ha capito che sta mentendo, perché non dovrebbe essere lei quella sprezzante – no, lei dovrebbe essere quella che indietreggia fino ad avere le spalle contro la parete più lontana dalla porta, tremante, implorandolo di non toccarla mentre lui—

-La domanda è, sapete almeno come si fa?- sibila, venefica, e lui sente il suo respiro sul collo. -Vi prego, dimmi che non dovrò leggervi le istruzioni mentre mi costringete in ginocchio tra le vostre gambe e la parete, mentre mi tirate i capelli per tenermi a cuccia e prendete fuori il vostro uccello e mentre mi guardate soffocare mentre me lo spingete in gola…-

Lui avvampa in un secondo, il rossore che gli scende giù per il collo e gli sale fino alle orecchie. Non può farne a meno – le sue parole sono troppo oscene, troppo dirette perché una qualsiasi persona decente non si senta a disagio nel sentirsele sputare addosso.

Che razza di disgustosa, lurida—

-Anzi, prima di tutto vediamo se avete almeno qualcosa su cui si può soffocare.-

Lui sobbalza quando sente le sue dita sfiorargli una gamba dopo essere scivolate tra le sbarre, le catene delle manette che tintinnano contro l’acciaio incantato della grata, e a lui quasi cade di mano la torcia.

Le sue labbra si piegano in un sorrisino disgustoso a quella reazione. E lui vede solo rosso.

Non c’è strategia, non c’è controllo quando decide di combattere il fuoco col fuoco – non le permetterà di umiliarlo così. Esagera di certo quando le afferra il viso, le dita che le affondano con violenza nella mascella. Le sue mani, sempre incatenate, trasfigurate in artigli, se stringono ai suoi polsi – ed eccola, la sua vile natura che fa capolino sotto la pelle.

Mostro.

-Pagherai per questo. Per tutto.- le sputa in faccia, le unghie corte che imprimono tanti marchi a mezza luna nelle sue guance. Lei cerca di sfuggirgli, ma lui sua stretta è salda – tanto salda che lui si chiede se non potrebbe strangolarla, se solo avesse mirato alla gola. -Credimi. Non sei altro che una cagna, non sei altro che feccia… e lo vedranno tutti. E quando sarò libero di fare di te quello che voglio, sappi che ti strapperò via ogni cosa, ogni segreto, a mio piacimento__-

__esattamente come quelli della sua razza avevano strappato ogni cosa al suo regno, alla sua gente, alla sua famiglia, a loro piacimento,

-…e li userò per bruciare quella fossa di serpi che osi chiamare casa__-

__e l’avrebbe costretta a guardare, a provare tutto il dolore che aveva provato lui quando suo padre e sua sorella gli erano stati portati via senza alcuna ragione tranne crudeltà gratuita,

-E solo quando le ceneri di ogni cosa che amavi saranno fredde, solo allora ti permetterò di esalare il tuo ultimo respiro.-

__e solo allora, sarebbero stati pari. Gliel’avrebbe fatta pagare, le avrebbe fatto pagare tutto, a nome di tutta Nohr.

Sta tremando, adesso, come lui.

Il ringhio disperato che ha sulle labbra è lo specchio di quello sul suo viso, che lui vede riflesso nel velo di lacrime furibonde nei suoi occhi – le stesse lacrime furibonde che gli ottenebrano la vista, la mente, la capacità di giudizio.

-Non dimenticate di tenermi ferma la mascella mentre mi infilate in gola il vostro uccello, Principino…- sibila, e lui quasi distingue il veleno stillarle dalle zanne. -Non chiedo altro che l’opportunità di strapparvelo a morsi.-

Le lascia un ultimo graffio, rosso – rosso come il luccichio nei suoi stessi occhi –, sul mento quando infine la lascia andare. La risata che le mormora in gola mentre lei affonda nelle tenebre – via dalla luce – sembra inseguirlo mentre abbandona le segrete, riecheggiando nella sua mente come un incubo.

..

-Takumi.-

Ancora una volta, la voce ferma di Zoe lo strappò dai ricordi che lo stavano avvelenando, riportandolo alla realtà: guardò quegli occhi, Takumi, rossi come le braci di un falò, e vi trovò una gentilezza tale da essere quasi dolorosa – dei, quanto non meritava la sua compassione, la sua dolcezza, il suo affetto.

-Lo so che potrebbe essere una trappola. Sono preparata, lo siamo tutti.- lo rassicurò, ma la determinazione nelle sue parole venne tradita dall’angoscia che Takumi vide adombrarle lo sguardo.

Preparata, ma certo” si disse, inarcando un sopracciglio quando lei abbassò gli occhi per non permettergli di ribattere. Zoe non era mai stata meno sicura di sé di quanto fosse in quel momento, e tutti e due sapevano quanto la sua espressione serafica fosse solamente una maschera finemente cesellata.

La giovane, irrequieta Samurai incrociò le braccia sul petto, sfregando nervosamente le mani sulla stoffa perlacea del kimono.

-Riusciresti a perdonarmi se ti dicessi che non posso smettere di sperarci almeno un pochino?- pigolò, guardandolo dal basso con quell’espressione incerta e tormentata che Takumi aveva visto fin troppe volte nel corso della sua vita e che aveva ardentemente sperato di non vedere mai più.

-Ma figurati!- sbottò, con più veemenza di quella che avrebbe desiderato usare, sforzandosi di non seguire il proprio istinto che gli suggeriva disperatamente di prenderla per le spalle e scuoterla fino a farle entrare in quella testaccia un po’ di buonsenso.

Perdonarla?

Non c’era niente di cui perdonarla, maledizione!

Comprendeva il suo bisogno di una chiusura, di una risposta definitiva, di una verità – comprendeva il motivo per cui non riusciva a rinunciare a quella piccola speranza, e odiava il pensiero di dover schiacciare le sue aspettative…

Ma quella cagna non poteva, non poteva, essere la figlia di una persona meravigliosa come sua madre. Non era possibile, era assurdo, e avrebbe disperatamente voluto che tanto Zoe quanto Mikoto se ne rendessero conto prima di commettere qualche errore irreparabile.

-Vorrei solo che tu non ci rimanessi troppo male, ecco.- sbuffò, ma Zoe si strinse nelle spalle e Takumi poté quasi sentire la risposta che avrebbe voluto dargli – “non preoccuparti, io me la cavo sempre, andrà tutto bene”.

Certo che si sarebbe preoccupato, maledizione. Sembrava l’unico, là dentro, a preoccuparsi di quanto la nohriana avrebbe potuto far del male alle persone che aveva più care, alla sua gente, a tutti quanti… perché era così evidente, per tutti gli dei, che quella – quella cosa fosse stata mandata apposta per compiere qualcosa di terribile!

-E se volesse uccidere mia madre?- bofonchiò, piano, dando finalmente voce a quel dubbio terribile che l’aveva tormentato sin dal momento in cui la nohriana aveva pronunciato quel nome, là, sulla soglia dell’Abisso.

Quella feccia disgustosa aveva mormorato alla sua mente chissà quale maleficio, lo aveva tormentato, torturato e quasi fatto impazzire, e tutto senza nemmeno tenere in mano uno dei suoi maledetti libri di magia… come poteva sapere che non avrebbe fatto lo stesso con Mikoto?

Takumi amava sua madre, certo, ma temeva che potesse peccare d’ingenuità, di speranza, di disperazione: Mikoto era una persona talmente buona che, di certo, sarebbe stata pronta ad accogliere la feccia a braccia aperte, ignara del pericolo che avrebbe corso stringendo a sé quella serpe.

-Se l’avessero mandata per questo?-

Poteva quasi vederlo, il re d’Ossidiana, ad ordire con quei suoi figli malvagi il piano che avrebbe loro permesso di infiltrare un’assassina nel regno che tanto odiavano…

Zoe scosse la testa, sfregandosi stancamente il viso.

-Anche se fosse un’impostora, non c’è nessun pericolo. Tu e Ryoma sarete con lei, e comunque dubito che una Maga disarmata possa fare qualcosa alla regina.-

Non ne era così certo.

L’emicrania che l’aveva tormentato per tutto il viaggio di ritorno lo trafisse, costringendolo a massaggiarsi le tempie per tentare di alleviare la fitta fastidiosa che, per un secondo, gli aveva oscurato la vista.

Voleva crederle, per Hotoke, voleva così disperatamente credere che niente avrebbe potuto mettere in pericolo sua madre… una parte di lui era certa che Zoe avesse ragione, riconosceva la logica nelle sue parole, ma quel barlume di razionalità era surclassato dal panico che fremeva nel suo sangue al pensiero di quel mostro nella stessa stanza di Mikoto.

Se solo…

Guardò Zoe, sorpreso dalla chiarezza con cui riusciva a distinguerla nonostante la vista annebbiata dal dolore che gli martellava i pensieri: guardò quella ragazza che aveva passato l’infanzia a sfuggire alle angherie degli aristocratici, guardò la ragazzina che tante volte gli aveva pettinato i capelli e con cui aveva imparato l’arte della spada, guardò la bambina assieme a cui si era addormentato tante volte in mezzo ai giocattoli, a notte fonda, tenendo in mezzo fra loro la figuretta piccina ed esile di Sakura perché non avesse freddo… e sospirò, Takumi, allungando una mano per sfiorarla, per intrecciare le dita alle sue alla disperata ricerca di un contatto in grado di scacciare l’angoscia che sentiva dibattersi in fondo allo stomaco e che scorgeva, di riflesso, nel volto di Zoe.

-Sarebbe più facile se fossi tu.- bisbigliò, avvertendo le guance imporporarsi quando i suoi occhi carmini si allargarono per la sorpresa.

-Come?- farfugliò, sbalordita, e lui si ritrovò a dover guardare da un’altra parte, incapace di sostenere l’imbarazzo che quell’affermazione sfuggitagli per sbaglio gli stava causando.

-B-Beh ma non cambierebbe nulla, in fondo!- incespicò, sperando ardentemente che Ryoma non si avvicinasse proprio in quel momento e odiandosi profondamente per la propria dannatissima lingua lunga. -Solo…-

La sua voce si spense, annichilita dalla profonda tristezza che vide incrinare quella maschera di compostezza. -Almeno potrei chiamarti sorella senza che nessuno mi guardi storto o se la prenda con te.- ammise, distogliendo lo sguardo da lei perché vederla così fragile era davvero troppo, faceva davvero troppo male.

-Takumi…- lo chiamò, piano, la stretta della sua mano che si faceva più forte, e lui si costrinse ad alzare gli occhi, a sopportare quel lampo di sofferenza che Zoe non riuscì a nascondergli. -Sarebbe bello.-

Qualcosa di sgradevole gli strinse il cuore nel petto, quando la sua mente completò per lei quella frase che Zoe non era riuscita a completare: sarebbe bello, se fosse possibile.

-N-Non volevo farti intristire, io__-

Zoe gli sorrise, sfregandosi il viso con la mano libera e tirandosi indietro i capelli.

-Non mi sono intristita.- lo rassicurò, prendendo un lungo respiro prima di sciogliere la loro stretta, stirando le braccia per sgranchirsi. -Però devo farlo lo stesso. E se verrà fuori che è una bugiarda almeno avremo la verità.- decretò, allontanandosi di un passo – e avrebbe tanto voluto trattenerla, Takumi, tenerla al sicuro, lontana da quella sofferenza inevitabile.

-Non starai bene.- la avvertì, con una punta di disperazione, ma Zoe si strinse nelle spalle.

-Pazienza.- replicò, strappandogli un versaccio quando, con un mezzo sorriso, aggiunse: -Posso sopportarlo.-

No, non poteva.

-Tu chiedi troppo a te stessa.- brontolò Takumi, guadagnandosi un altro pugno che, tuttavia, stavolta non riuscì ad evitare. -Ahi.- protestò, lanciandole uno sguardo di fuoco e massaggiandosi il braccio offeso.

-Da quale pulpito viene la predica.- soffiò lei in risposta, indispettita, ricambiando la sua smorfia con la più severa delle espressioni.

Takumi scosse la testa, sorridendo debolmente: Zoe gli era troppo affezionata per riuscire a vedere che persona miserabile si nascondesse dietro quello che, a volte, non era riuscita a trattenersi dal definire “il suo fratellino”…

-A volte dovrei esserlo di più.- sussurrò, a bassa voce, ignorando l’occhiataccia che lei gli scoccò e sospirando rumorosamente, lasciando dissipare quell’attimo di intimità venuto a crearsi fra loro. Incrociò le braccia, lanciando un’occhiata a Ryoma, chiaramente impaziente di intervenire.

-E va bene… ma, tanto per la cronaca, io non sono tranquillo.- borbottò, sebbene una parte di lui ancora gridasse che no, maledizione, non gli andava bene per niente.

Sapeva che non poteva impedire che qualcuno, chiunque fosse, si avvicinasse alla nohriana, ma l’idea di permetterlo proprio a Zoe non era piacevole: non voleva che soffrisse, non voleva che quella lurida bocca sputasse veleno anche su di lei… eppure sapeva anche che la Maga doveva essere rimessa in sesto, ripulita e sistemata per l’imminente incontro con la regina – e, se davvero si trattava di Ileana, forse Zoe sarebbe stata in grado di risvegliare qualche ricordo, di farsi riconoscere.

Lo sapeva, sì, ma non riusciva proprio ad evitare di temere per lei.

Le labbra di Zoe si stiracchiarono in un sorriso, debole ma sincero. -Come sei carino quando ti preoccupi.- lo punzecchiò, allungando due dita per pizzicargli la guancia. Takumi arrossì ma non la scacciò, limitandosi ad alzare gli occhi verso il soffitto, fingendosi esasperato da quel gesto affettuoso che, in realtà, gli era sempre stato molto caro.

-Mpf.- sbuffò, sperando ardentemente che Ryoma, che si stava avvicinando assieme a Kaze, non notasse il suo imbarazzo. Zoe inclinò le orecchie in direzione di suo fratello, drizzando le spalle in segno di rispetto e girando sui tacchi per accoglierli.

-Tutto bene?- le domandò Ryoma, accigliato, spostando ripetutamente l’attenzione da lei a Takumi.

-Certo.- gli assicurò, annuendo brevemente, costringendosi a nascondere la commozione che aveva provato dietro un’espressione accuratamente neutra che, tuttavia, non sembrò convincerlo del tutto: li scrutò ancora per qualche attimo, sicuramente perplesso per via del rossore piuttosto evidente di Takumi, ma probabilmente decise di soprassedere, almeno per il momento.

-Ho parlato con Kaze e mi ha suggerito che, forse, sarebbe meglio che fossi tu a parlare con lei.- le comunicò, prima di rivolgersi a Takumi. -Da quel che ho capito, non è molto bendisposta nei tuoi confronti.- aggiunse, e Zoe notò una punta di scetticismo colorare la sua voce solitamente calma e pacata.

Si voltò anche lei verso Takumi, appena in tempo per vederlo sbuffare.

-Beh, certo. L’ho catturata io, è normale.- si difese, ma lei lo conosceva troppo bene per farsi ingannare da quella scusa maldestra.

-Tu stai nascondendo qualcosa.- affermò, scoccando una rapidissima occhiata a Kaze che, impercettibilmente, socchiuse le palpebre in segno di assenso.

Oh, fantastico. Che cosa aveva combinato, adesso?

-I-Io?- il volto di Takumi, sotto gli sguardi inquisitori del fratello e di Zoe, si fece ancor più paonazzo. -Non sto nascondendo proprio niente! È lei che è una vera strega!- si difese, ma Zoe fu certa che, dietro quella voce molto più acuta del normale, Takumi stesse nascondendo qualcosa che gli avrebbe sicuramente fatto passare dei guai.

-E tu invece sei stato un esempio di educazione e di gentilezza, vero?- ribatté, inclinando la testa per dedicargli un’occhiata obliqua.

-Bah. È soltanto una cagna schifosa, non__-

-Takumi.- lo interruppe Ryoma, duro, forse accorgendosi del repentino pallore e della mascella contratta di Zoe che, effettivamente, si era inconsciamente aggrappata all’elsa della sua katana, le dita serrate sulla stoffa pregiata che, dopo tanto utilizzo, si era irruvidita.

Takumi alzò le mani in segno di resa, sbottando un: -Va bene, va bene.- prima di superarli tutti e tre per precederli lungo gli ultimi due corridoi che li dividevano dalla porta dietro cui si trovava, probabilmente, la principessa nohriana.

Zoe si morse l’interno della guancia, scambiando uno sguardo incerto con Ryoma prima di superarlo, profondamente grata della presenza impalpabile di Kaze al suo fianco.

Eccoci qui”, si disse, avvicinandosi a Takumi e serrando le mani fra le pieghe dei pantaloni, ignorando il vago senso di panico che sembrava essersi annidato fra i suoi pensieri: eccola lì, a pochi passi di distanza da quella che non poteva impedirsi di sperare che fosse la verità, senza la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto fare o di cosa la stesse aspettando al di là di quella soglia.

Guardò Takumi, aggrappandosi disperatamente alle parole che le aveva detto e covandole dentro di sé, permettendo all’affetto di suo fratello di sbocciarle nel petto e di riscaldarla là dove, in quel momento, non provava altro che confusione; lui masticò qualcosa di incomprensibile, cupo in volto, prima di sbuffare stancamente e spalancare con un gesto brusco quella maledetta porta.

La prima cosa che Zoe notò fu l’assenza di qualsiasi tipo di mobilio. Si era aspettata di trovare una stanza arredata in modo parco e sbrigativo o, almeno, una branda su cui permettere alla principessa straniera di dormire, ma… in quella stanzetta angusta non c’era proprio niente – eccetto la ragazza vestita di nero in piedi dinanzi alla finestra chiusa.

Oh, dei, com’era piccola.

La ragazza nohriana che affermava di essere Ileana non le arrivava nemmeno alla spalla e, probabilmente, pesava meno della metà di lei: era minuta e snella e, nonostante la lacera e sporca veste da Maga che indossava, manteneva nella postura un certo tipo di eleganza che Zoe aveva imparato da molto tempo ad associare a qualcuno di nobili natali.

Se ne stava lì, a braccia conserte, con i capelli biondi tirati indietro da una fascia nera e due grandi occhi verdi, simili a quelli di un gatto, pieni di cattiveria – cattiveria?

-Principino. Ma che piacere.- sibilò, alzando lo sguardo per rivolgere la più sprezzante delle espressioni irridenti in direzione di Takumi.

Con la coda dell’occhio, Zoe lo vide irrigidirsi, e anche lei si ritrovò a provare l’impellente bisogno di sfregarsi le mani sulla pelle per scacciare i brividi che la voce della ragazza aveva scatenato.

-Mi avete fatta spostare per non dover fare tutta quelle scale?- la principessa continuò a parlare, imperterrita, inclinando appena la testa di lato e rivolgendo a Takumi un sorriso che trasudava disgusto.

spostare?

-Di cosa sta parlando?- domandò, voltandosi di scatto verso Takumi e scorgendo nel frattempo Kaze che, silenzioso come sempre, richiudeva la porta alle proprie spalle e si ritirava in un angolo – dei, non aveva mai desiderato tanto poter fermare il tempo per parlargli, per chiedergli che cosa fosse successo fra Takumi e la principessa, perché era chiaro che ciò che Takumi non le aveva detto fosse molto più di quanto avesse pensato.

Takumi allungò una mano e la strinse sulla sua spalla, forte, strattonandola debolmente come se volesse spingerla dietro di sé, allontanarla dalla nohriana. -Non ascoltarla, non sa dire altro che menzogne. E non avvicinarti. Non ho ancora trovato una museruola da metterle.- le intimò, senza spostare lo sguardo dalla ragazza, con le labbra tirate sui denti ed il volto deformato da quello che Zoe riconobbe come odio.

Storse il naso, divincolandosi dalla sua stretta: Takumi era troppo aggressivo, troppo arrabbiato, troppo… troppo tutto.

La risata sgradevole della principessa – Ileana – sembrò dare voce alla profonda confusione che provava.

-Direi che la mano fa ancora male.- commentò, e Zoe sobbalzò quando avvertì la sua voce più vicina di prima: si voltò, trasalendo quando vide che quelle iridi chiare si erano spostate su di lei, sentendosi profondamente a disagio quando l’altra inarcò un sopracciglio e piegò le labbra in un sorriso crudele.

Barcollava.

Il sangue nelle sue vene sembrò tramutarsi in ghiaccio.

Adesso fu facile capire che non si era appoggiata alla parete soltanto per noia: Ileana faticava a stare in piedi, aveva le labbra secche, gli occhi iniettati di sangue – non aveva l’aspetto di una persona che stava bene, di qualcuno che aveva dovuto sopportare soltanto un breve soggiorno forzato come prigioniero politico.

No, quella era la faccia di una persona che si era ritrovata a temere per la propria vita, che era stata maltrattata, che tuttora aveva paura della persona che aveva davanti… e la persona che aveva davanti era Takumi.

-Allora, tu chi saresti? Una troietta apprendista che deve ancora imparare come si prende un uccello in gola? L’hai portata per darle una dimostrazione, Principino?-

Zoe strabuzzò gli occhi, sentendo le orecchie andare a fuoco – e quello cosa doveva essere, esattamente!?

Ancora una volta, Takumi allungò un braccio nel tentativo di spingerla indietro, ma nemmeno si accorse di quando Zoe si spostò per impedirgli di toccarla.

-Lavati la bocca.- sibilò, inviperito, ma Ileana gli rispose con un versaccio che assomigliava molto al soffio di un gatto.

-E con quale acqua?-

In quel momento, nonostante Ileana le si fosse avvicinata abbastanza da permetterle di scorgere la disperazione che si agitava dietro quella maschera di sfacciataggine ed insolenza, Zoe sentì qualcosa spezzarsi dentro di sé mentre la verità che Takumi aveva tentato di nasconderle diventava, improvvisamente, cristallina.

L’aveva torturata.

Se qualcuno l’avesse pugnalata alle spalle, in quel momento, avrebbe fatto meno male.

Guardò Ileana, guardò le profonde occhiaie sotto i suoi occhi, guardò la sua pelle screpolata e i segni che i denti avevano lasciato sulle labbra aride e spaccate; vide lo sporco sui suoi vestiti e polvere grigia fra i suoi capelli, le unghie spezzate e una crosta lunga e sottile sul suo collo, e provò l’orribile desiderio di prendere a schiaffi quel bugiardo che aveva avuto la faccia tosta di guardarla negli occhi e dirle che le voleva bene sapendo di essersi comportato come il peggiore dei mostri.

Come i mostri che riempivano i suoi ricordi.

Ileana schioccò le labbra, strappandola al ricordo delle urla di una bambina rinchiusa in un sotterraneo buio, a quello di creature innocenti stipate in una cella, e trascinandola di nuovo in quella stanza vuota, accanto ad una persona che improvvisamente le sembrò estranea.

-Non è difficile.- mormorò la Maga, con una voce suadente e serpeggiante che, di sicuro, avrebbe potuto scatenare gli istinti più primitivi della maggior parte degli uomini. -Apri bene la bocca e respira dal naso. E non preoccuparti, sarà veloce. Quelli come lui non durano mai a lungo.-

Arrossì, Zoe, perché quelle parole sfacciate e disgustose erano davvero troppo per le sue orecchie, ma provò allo stesso tempo una profonda tristezza: a cosa l’aveva ridotta, Takumi, perché la principessa si fosse ritrovata a dover far ricorso a quelle armi per difendersi da lui?

Ma lei lo sapeva, in fondo.

Sapeva cosa significava dover ricorrere ad ogni mezzo per proteggersi, per sembrare più forte di quello che si era – anche se era pericoloso, anche se si sarebbe potuto ritorcere contro di lei: aveva trascorso troppi anni a sfuggire alle crudeltà dei figli dell’aristocrazia hoshijin, quei maledetti nobili che avevano sempre guardato con odio la figlia di nessuno adorata dalla famiglia reale, per non averlo imparato.

Ma non avrebbe mai potuto pensare che, un giorno, avrebbe visto la loro stessa cattiveria nel viso di Takumi.

Non poteva quasi credere ai suoi occhi, ma le prove erano tutte lì, nella luce folle negli occhi della principessa, e gli dei soltanto sapevano quanto avrebbe voluto ignorarle, far finta che non esistessero, che non fosse vero – che Takumi non fosse… che non avesse…

Con la coda dell’occhio, vide la sua mano fremere, il suo pugno stringersi.

-Schifosa cagna che non sei altro, questa__!-

-Takumi!- lo interruppe, balzando in avanti per piantare le mani sul suo petto, per farlo indietreggiare, dando le spalle alla ragazza per mettersi in mezzo tra di loro. -Ci penso io.- affermò, lanciandogli un’occhiata d’avvertimento che sperava potesse bastare per convincerlo ad andarsene.

Ti prego, ti prego, ti prego, vai via…”.

Un versaccio incattivito, alle sue spalle, la fece rabbrividire.

-Notevole. Ti ho giudicata male, allora. Sei tu l’insegnante, qui.- sputò Ileana, ma Zoe si costrinse ad ignorarla – aveva decisamente altre cose a cui pensare, adesso. -E dimmi, devi solo fargli vedere come si tortura una donna o anche come si scopa?-

Aggrottò le sopracciglia, perplessa, perdendo per un secondo il senso della gravità di quella situazione – come diamine avrebbe potuto far vedere a un uomo come si faceva sesso!? Lei mica aveva__ -È a questo che serve la spada, ad affondarmela dentro fino all’elsa per dargli una dimostrazione di dove si metta il__-

-ADESSO BASTA!-

Takumi si lanciò in avanti, furibondo, mettendo rapidamente mano all’elsa di quella strana spada che portava al fianco – e Zoe scorse, nei suoi occhi color miele, un terribile luccichio scarlatto che le fece paura.

Non poteva essere Takumi. Non poteva essere vero.

-NO!- abbaiò, infondendo tutta la sua forza nella violenta spinta con cui lo costrinse a fermarsi. -Basta! Esci, subito!- ordinò, senza nemmeno pensare che lei, in realtà, non aveva nessuna autorità per ordinargli alcunché.

Takumi, tuttavia, vacillò, forse preso in contropiede dalla sua repentina presa di posizione – ma certo, come avrebbe mai potuto immaginare che proprio lei lo affrontasse in quel modo? Lei, che lo aveva sempre spalleggiato, che era sempre stata dalla sua parte, che non gli aveva mai voltato le spalle?

Perdonami. Ti scongiuro, perdonami. Non posso lasciartelo fare.”

-Ma__!-

-Fuori!- ringhiò, sedando la sua protesta sul nascere, aggrappandosi nervosamente alla lama dentellata della katana, già estratta di qualche pollice – dove avesse trovato il coraggio di sguainare un’arma contro di lui, poi, contro il suo amico, contro il suo principe… e forse Takumi si accorse di quanto fosse un gesto estremo, forse comprese di aver esagerato, perché sgranò gli occhi e fece un passo indietro, senza perdere d’occhio tanto lei quanto la sua spada.

-Non__-

Non gli avrebbe permesso di infierire su una ragazza indifesa. Non gli avrebbe permesso di farle del male. Non lo avrebbe permesso a nessuno, perché nessuno meritava di subire quello che Takumi aveva inflitto ad Ileana, quello che subivano tanti innocenti ogni giorno… anche se affrontarlo, fronteggiarlo, avrebbe significato infliggergli una ferita che, lo sapeva, forse non si sarebbe rimarginata mai più.

-Ho detto fuori!- ruggì, raddrizzando le spalle, odiandosi più di quanto avesse mai fatto prima di quel momento quando vide una repentina sofferenza brillare nei suoi occhi dorati; eppure… eppure non poteva lasciare che rimanesse lì, che continuasse ad agire come un pazzo crudele e rabbioso, perché quello non era lui e lei doveva impedirgli di fare qualcosa di cui il Takumi che conosceva si sarebbe certamente pentito.

Takumi… per favore…”

Rimase immobile, pronta a dare battaglia, ma lui non si mosse: si limitò a fissarla, confuso e disorientato come se lei lo avesse davvero colpito, fino a che non si costrinse a riscuotersi quel tanto che gli bastò per barcollare fuori dalla stanza.

Nel momento stesso in cui la porta si richiuse alle sue spalle, Zoe sospirò, usando violenza su se stessa per costringersi a staccare le dita dalla spada; rilassò la schiena, prese fiato e poi si voltò, pronta ad affrontare quella grande incognita sotto le spoglie di una principessa terrorizzata e incattivita.

-Milady…- cominciò, detestando il tono implorante che venò inevitabilmente le sue parole: desiderava soltanto che lei le permettesse di spiegarle, ma Ileana sembrava ancor più tesa e feroce di quanto fosse stata qualche attimo prima – e come poteva biasimarla? Takumi aveva tentato di aggredirla, maledizione. Anche lei, al suo posto, si sarebbe comportata in quel modo…

-Milady, questo è tutto un malinteso, non__-

Ileana, per tutta risposta, emise un versaccio che a Zoe ricordò davvero tanto il ringhio di un animale ferito.

-Il tuo malinteso puoi prenderlo e ficcartelo su per il__-

Oh, adesso basta.”

-“Con quale acqua”.- sospirò, interrompendola prima che Ileana ricominciasse a ricoprirla di insulti – non che la toccassero, a dire il vero, ma doveva assolutamente convincere la recalcitrante principessa ad ascoltarla.

Probabilmente grazie ad un intervento di chissà quale degli Antichi Draghi, Ileana s’irrigidì, sgranando gli occhi dinanzi a quell’affermazione.

-C_come prego?- domandò, sbigottita, muovendo un incerto passo indietro per allontanarsi da lei.

Zoe scrollò le spalle, sconsolata.

-Avete detto “con quale acqua” quando lui vi ha detto… beh, insomma, avete capito. Cosa volevate dire? Avete sete?- continuò, cercando di infondere alla propria voce tutta la gentilezza di cui era capace, mentre il suo cuore sembrava sul punto di sbriciolarsi davanti agli occhi pieni di confusione della principessa.

Per Hotoke, Takumi, che cosa hai fatto?

-Milady, quand’è stata l’ultima volta che avete bevuto?- perseverò, decisa a non lasciarsi sfuggire quella minuscola occasione che poteva scorgere nelle crepe che attraversavano la maschera di strafottenza che Ileana aveva indossato fino a quel momento e che, sotto i suoi occhi, sembrava sul punto di spezzarsi a metà.

La principessa di Nohr arretrò ancora, spaventata, fino a che le sue mani tese all’indietro non trovarono la sicurezza della parete più lontana da Zoe. Sembrò aggrapparvisi, spaventata come se l’avessero appena schiaffeggiata, e lentamente si lasciò scivolare a terra, raggomitolandosi su se stessa come se volesse disperatamente provare a proteggersi, come se si aspettasse di essere presa a calci.

-Ma questo… io…- balbettò, disorientata, ma fu la voce calma di Kaze a rispondere per lei.

-Ieri sera.-

Zoe si voltò di scatto, sorpresa, e così fece anche Ileana: Kaze si era fatto avanti e si era affiancato a Zoe, le braccia conserte e un’espressione cupa e seria disegnata sul bel volto affilato.

-Kaze, non__!- squittì la principessa, sconvolta, ma lui scosse la testa, avvicinandosi ed inginocchiandosi davanti a lei.

-Va tutto bene. Zoe non vi farà del male.- le promise, con quella voce piena di sicurezza e di dolcezza che Zoe conosceva tanto bene… e che, forse, anche Ileana aveva imparato a conoscere e apprezzare, perché le parole del Maestro Ninja sortirono su di lei un effetto tanto insperato quanto immediato: nei suoi occhi spalancati parve riaccendersi una scintilla di lucidità, e le sue mani smisero di artigliare nervosamente la stoffa strappata di ciò che rimaneva di un mantello ormai scomparso.

Fu quel gesto, il tremore delle sue dita lunghe e pallide, a dare a Zoe l’ennesimo, orribile segnale.

-Voi state congelando.- constatò, sfilandosi immediatamente di dosso la borsa da viaggio che nemmeno si era accorta di aver tenuto in spalla per tutto quel tempo, ringraziando la propria previdenza quando, scavando per qualche istante, estrasse l’haori che aveva deciso di impacchettare.

Buttò di lato la sacca e si voltò di nuovo verso Ileana, avvicinandosi cautamente e piegandosi sulle ginocchia per portarsi al suo stesso livello. -Potreste non mordermi? Voglio soltanto slegarvi e darvi qualcosa da mettere addosso.- le domandò, accennando un mezzo sorriso incerto che strappò un debole sbuffo all’altra ragazza, per nulla rassicurata dalla sua gentilezza; però, per fortuna, quando Zoe si avvicinò per sciogliere le corde che le legavano i polsi non reagì con veemenza, e le permise persino di drappeggiarle sulle spalle la sua giacca, arrotolandovisi immediatamente dentro come un gattino spaurito.

Era davvero minuscola in confronto a Zoe, e addosso a lei l’haori sembrava più una coperta che un vestito, ma Zoe ne fu contenta: vederla stringersi la stoffa pesante attorno al corpo e rilasciare un impercettibile sospiro sollevato fece sentire un po’ meglio anche lei.

Si voltò verso Kaze, ignorando il senso di pace che l’approvazione nei suoi occhi viola le trasmisero – non aveva bisogno di quello, adesso: le serviva la verità, voleva sapere che cosa era stato fatto a quella ragazza disarmata e innocua per capire che cosa fare per poterla aiutare.

-Dove l’ha tenuta?- si sforzò di chiedere, già immaginando la risposta che le sarebbe stata data… ma, questa volta, fu Ileana a parlare.

-In una cella, credo nei sotterranei.-

Il ruggito dei suoi pensieri, per qualche attimo, assordò qualsiasi altro suono, echeggiandole furiosamente nelle orecchie.

Una cella. Una stanzetta buia e lurida in cui un’ora poteva diventare una settimana e una notte una vita intera. Una cantina umida e gelida da cui nessuno sarebbe giunto a sottrarla alle spire dell’oscurità che sembrava avere gli stessi occhi degli incubi.

-Io lo ammazzo. Di traverso.-

Ileana alzò lo sguardo, stupita da quella minaccia alquanto singolare che dovette probabilmente trovare abbastanza divertente da strapparle un inconscio, fragile sorrisino che subito scomparve quando si accorse di ciò che aveva fatto – oh, beh, almeno qualcuno riusciva a vedere il lato comico della situazione…

-Zoe.- richiamò Kaze, paziente, ma la Samurai alzò gli occhi verso il soffitto, furibonda.

-“Zoe” niente! Ci sono più che abbastanza eredi al trono, possiamo fare a meno di un principe!- ringhiò, serrando i pugni per impedirsi di portare le mani alla katana, uscire da quella stanza e andare ad impartire a Takumi un paio di lezioni che non si sarebbe scordato per il resto della sua breve esistenza.

-Apprezzo il pensiero.-

Ileana si sollevò, sciogliendo la stretta delle braccia intorno alle proprie gambe e scrutando Zoe con più attenzione di quanta ne avesse dimostrata fino a quel momento. -Chi sei?- domandò, con quel tono di comando certamente non voluto che Zoe aveva sentito tante volte nelle voci di Ryoma, di Hinoka, di Takumi.

-Nessuno di importante, sono solo una guardia reale. Beh, una futura guardia reale.- rispose, ma la principessa sbuffò.

-Se sei qui solo per mentirmi in faccia, puoi anche andartene.- la accusò, con tanto sarcasmo da farla sobbalzare – e adesso cosa diamine aveva detto di sbagliato!?

-N-no, non sto mentendo, io__-

-Le guardie reali non parlano… così dei reali.- la interruppe, con tanto di sopracciglia aggrottate e sguardo derisorio, cercando di spingere via la stoffa della giacca che Zoe le aveva avvolto addosso – “Oh, certo, che prova d’orgoglio, principessa, mi sembra proprio il caso!

-Ah, per quello.- Zoe non riuscì ad impedirsi un sorriso, questa volta: in effetti, pensandoci, Ileana non aveva tutti i torti… a nessun’altra guardia reale, eccetto forse Hana, erano mai state permesse tante libertà come quelle che poteva prendersi lei. -Abbiamo trascorso l’infanzia insieme. È più come… come se fossimo una famiglia.-

Ileana la soppesò per lunghi, eterni istanti, scettica… e poi si lasciò pesantemente ricadere indietro contro la parete, e Zoe tirò un sospiro di sollievo quando vide che aveva smesso di tentare di togliersi l’haori.

-Condoglianze.- le disse, la voce impregnata di disgusto, ma ancora una volta Zoe non trovò in sé il desiderio di arrabbiarsi.

-Sì, posso capirvi… ma vi assicuro, principessa, non è mai stato una persona crudele. Non so davvero che cosa gli sia preso.- mormorò, mortificata, ma non poté proprio biasimare Ileana quando l’unica reazione alla sua frase fu un’occhiataccia di compatimento.

Sospirò, passandosi nervosamente le dita fra i capelli.

-Ma dovremmo trovarvi qualcosa da mangiare.- affermò, cambiando discorso perché, davvero, parlare di Takumi in quel momento non sembrava proprio la migliore delle idee. -Magari in questo posto c’è qualcosa di commestibile? Kaze? Tu ne sai qualcosa?- domandò, voltandosi per lanciare uno sguardo speranzoso al ninja che, con un sorriso impercettibile ed enigmatico sulle labbra sottili, annuì.

-Posso provare a informarmi.- annuì, avvicinandosi silenziosamente alla porta. Zoe, sollevata, gli sorrise.

-Sarebbe fantastico, grazie.- lo ringraziò, osservandolo con curiosità quando Kaze, invece di sparire fra le ombre come era solito fare, si prese tutto il tempo di aprire la porta, uscire e richiudersela alle spalle. Bizzarro.

Si voltò nuovamente verso Ileana, che aveva seguito il breve scambio fra i due guerrieri con un’espressione talmente vuota ed esausta che le si strinse il cuore. -Kaze è un tesoro. Mi dispiace che non gli sia stato permesso di starvi accanto.- si scusò, sperando di non causare altri scoppi d’ira con quell’inevitabile allusione a Takumi; Ileana però si limitò ad annuire debolmente, stringendosi disperatamente la stoffa della giacca di Zoe sulle spalle.

-Sì, lui…- cominciò, ma le sue parole si persero quando una profonda tristezza parve tornare a galla, riempiendole lo sguardo di fantasmi. -Ha fatto del suo meglio, credo. Anche Hinata…-

Zoe annuì, rassicurata dal pensiero che Maestro d’Armi più imbranato dell’intera nazione di Hoshido fosse stato in grado di farequalcosa.

-Non avevo dubbi. Hinata è sempre stato un signore, non torcerebbe mai un capello a una donna. Magari a volte non collega il cervello alla bocca, ma è tanto dolce.- spiegò, soffocando immediatamente il bisogno di vederlo, di parlargli, che soltanto pensare a Hinata aveva scatenato: Hinata era uno dei suoi più cari amici, e la sua sola presenza era in grado di scacciare anche i più cupi dei pensieri…

Dei, Takumi…

Come avrebbe potuto guardarlo di nuovo in faccia, dopo aver visto di cosa era stato capace? Come avrebbe potuto convivere con la consapevolezza che una delle persone che le erano più care al mondo si fosse rivelato una tale bestia?

Si passò le dita fra i capelli, angosciata, tentando di scacciare quei pensieri prima che la distraessero – avrebbe avuto tutto il tempo di fare i conti con quella delusione, ma quello non era né il momento né il luogo adatto.

-Non è stato un viaggio facile, vero?- mormorò, rivolta al nulla, sorprendendosi però quando Ileana mosse la testa per rivolgerle un debole cenno di assenso.

Abbassò lo sguardo, Zoe, sentendo il cuore schiacciato dal peso delle colpe di Takumi che scorgeva incise indelebilmente negli occhi pieni di dolore e di paura della ragazza che le sedeva dinanzi.

-Sono mortificata. Nessuno meriterebbe niente di quello che avete passato.-

Nessuno.

Lo schiocco della porta che si apriva e si richiudeva le fece sobbalzare tutt’e due, strappando Zoe alle sue macabre riflessioni: Kaze era tornato, e portava con sé un vassoio pieno di quelli che, dal profumo che Zoe colse non appena si avvicinò, sembravano davvero onigiri.

-Ho trovato soltanto questo.- spiegò, passandole con cautela il vassoio – sì, erano proprio onigiri, le polpette di riso triangolari di cui lei andava matta – e chinandosi per appoggiare anche una brocca d’acqua accanto a loro. -Zoe, ce n’è abbastanza anche per te, sarai affamata dopo il viaggio.- la invitò, inarcando un sopracciglio quando lei gli rivolse un’occhiata confusa perché Kaze, di sicuro, sapeva che lei aveva già mangiato prima di arrivare – ah, ma certo: Ileana di certo non avrebbe mangiato nemmeno un boccone se non le avesse mostrato che non aveva bisogno di temere veleni o robaccia del genere.

-Certo. Facciamo a metà?- propose, sforzandosi di sorridere alla principessa terrorizzata mentre prendeva una pallina di riso, dividendola a metà e mandando giù la parte più piccola in un sol boccone. -Sono più buoni caldi, però.- ammise, offrendole il pezzo rimanente tentando, nel frattempo, di mantenere l’atmosfera il più informale e tranquilla possibile.

Ileana occhieggiò la polpetta, dubbiosa, per una manciata di secondi in cui Zoe non fu capace di non trattenere il respiro, sentendosi scrutata alla ricerca di un qualche segno di avvelenamento… ma poi la principessa si mosse, accettando la sua offerta e portandosi l’involtino alla bocca, facendolo sparire in pochi, cauti morsi.

-Non sono male.- brontolò, e Zoe non poté evitarsi un sorriso molto più grande ed espansivo di quanto, forse, sarebbe stato saggio esprimere – eppure era così contenta di aver trovato un modo per farla mangiare, di essere riuscita a farla stare un po’ meglio…

In silenzio, divise con Ileana ognuno degli onigiri, stando attenta a darle sempre il pezzo più grande e senza mai fare movimenti bruschi; la convinse anche a bere, prendendo un sorso da ogni bicchiere che le versava, fino a che tanto il piatto quanto la caraffa non furono vuoti.

-Grazie.-

-Nah, non c’è di che.- sorrise, spingendo da parte il vassoio ed alzandosi in piedi, rassettandosi sbrigativamente i pantaloni. -Milady, vuole darsi una ripulita?- le offrì, quindi, sempre mantenendo un tono leggero e colloquiale, mentre nella sua mente già cercava di rammentare dove si trovavano i bagni della fortezza e come avrebbe potuto fare per liberare la strada affinché potesse accompagnarla senza incidenti.

Ileana annuì, forse rinfrancata dal pasto oppure soltanto allettata dall’idea di potersi lavar via di dosso il ricordo delle celle di Suzanoh.

-Sarebbe… sembra una buona idea.- mormorò, sfregandosi le mani sulle braccia – chissà quanto freddo doveva aver patito, là sotto…

-Ottimo!- trillò Zoe, scacciando immediatamente il pensiero prima che potesse rovinare tutto lo sforzo che aveva fatto per mostrarsi innocua agli occhi della principessa. Si rivolse ancora una volta a Kaze, prendendosi l’appunto mentale di ricordarsi di ringraziarlo per la cortesia che stava dimostrando a lei e a Ileana. -Potresti cacciare via chiunque sia qua attorno? Se andassi io potrei spargere sangue.- domandò, strappando un lievissimo sospiro al Maestro Ninja che, dopo aver annuito, sparì – ah, ecco, ora sì che lo riconosceva.

Rimase in ascolto, silenziosa, finché il suo udito allenato non colse un familiare, impercettibile fischio che riconobbe all’istante come il segnale che i Maestri Ninja al servizio della famiglia reale usavano per comunicare fra di loro.

-Okay, ora possiamo andare!- annunciò, alzandosi in piedi ma trattenendosi dall’offrire una mano a Ileana: aveva la chiara impressione che non avrebbe accettato il suo aiuto. -Non è lontano.- le spiegò, quindi, aspettando pazientemente che Ileana si trascinasse in piedi da sola.

La principessa annuì, forse rassicurata al pensiero di non dover camminare a lungo, avvolgendosi più strettamente nella giacca di Zoe e seguendola quando la Samurai la precedette per dare un’occhiata nel corridoio: Kaze non era in vista ma, per fortuna, sembrava essere riuscito a far sgombrare la zona, sebbene fu quasi certa di aver scorto lo svolazzo di una conosciuta sciarpa blu in un anfratto particolarmente buio in fondo al percorso.

Sospirò, uscendo dalla stanza ed invitando Ileana a procedere dietro di lei, tendendo le orecchie per cogliere e memorizzare il suono dei passi irregolari e strascicati della principessa.

Per fortuna, i bagni dell’avamposto non erano lontani: impiegarono soltanto pochi minuti a raggiungere le belle stanze di granito che ospitavano le ampie vasche d’acqua corrente che un intricato sistema di tubazioni portava fin lì dal fiume più vicino; qualcuno aveva già acceso i focolari, incastonati nella pietra, ed il calore umido e denso che le accolse le suggerì che l’acqua dovesse essere già calda.

-Okay, questi sono i bagni. L’acqua è calda, questi sono teli di cotone e lì ci sono un po’ di saponi e roba del genere. Io vado a cercarvi qualcosa da mettere di pulito, va bene? Torno presto, e Kaze è sicuramente qui in giro da qualche parte, per qualunque cosa basta un fischio.- le spiegò, provando un improvviso senso d’angoscia al pensiero di lasciarla da sola – sapeva bene che le persone ferite e spaventate, come era stata lei tante volte da piccola, potevano farsi venire strane e brutte idee…

Ileana però si limitò ad annuire, con gli occhi socchiusi e l’espressione sofferente. -Ti ringrazio.- sussurrò, e Zoe non poté fare altro che indietreggiare e lasciarla lì, chiudendo lentamente la porta alle proprie spalle e pregando i Draghi di non doversene pentire.

.

§

..

-Bah.-

Hinata, irritato, si permise quel versaccio strozzato non appena uscito dalla stanza che aveva eletto come propria una volta giunto a Suzanoh, sbatacchiandosi la porta alle spalle giusto per sottolineare quanto poco fosse contento di tutta la situazione.

Vai a controllare che quella stupida di Zoe non si sia fatta maledire dalla cagna.

Lord Takumi aveva fatto irruzione nella sua camera pochi minuti prima, furibondo e fuori controllo come Hinata lo aveva visto soltanto sul crepaccio dell’Abisso: aveva scaraventato la spada nohriana e l’astuccio del Fujin Yumi dall’altra parte della stanza, ignaro dello sguardo attonito di Hinata, ed aveva cominciato a biascicare parole orribili che, alle orecchie del Maestro d’Armi, avevano avuto lo stesso suono delle minacce crudeli che erano state inferte alla principessa Ileana… e questo, più di qualsiasi altra cosa avvenuta negli ultimi giorni, gli dava la chiara impressione che la situazione fosse ormai fuori controllo: Takumi, quello vero, non avrebbe mai, mai definito Zoe in nessuno dei modi che aveva abbaiato prima di dargli quel secco ordine a cui lui, dopo quella sfuriata, era stato ben contento di ubbidire – aveva dovuto mordersi la lingua, come si era visto costretto a fare più e più volte durante quel penoso viaggio di ritorno dall’Abisso Infinito, per impedirsi di dargli le rispostacce che meritava.

Che cosa stava succedendo?

Da quel che aveva capito dai vaneggiamenti irosi di Takumi, Zoe era stata incaricata di far cooperare la Maga per prepararla all’incontro con lady Mikoto: Takumi non era stato affatto contento, e Hinata si ritrovò a pensare quanto non avesse avuto poi tutti i torti nel tentare di essere presente per non lasciare Zoe da sola… nemmeno lui sarebbe stato tranquillo nel pensarla alle prese con la principessa, con tutto quello che Zoe aveva passato in suo nome e senza nemmeno la certezza che si trattasse davvero della sua amica d’infanzia.

Eppure, nonostante tutto, Zoe se l’era cavata – anzi, aveva fatto quello che Hinata aveva desiderato ardentemente ben più di una volta nei giorni passati: aveva preso le difese della nohriana e aveva cacciato fuori il principe, mettendo finalmente un freno alla pazzia che sembrava aver violentemente preso possesso di lui.

Non osava nemmeno immaginare che cosa potesse essere successo in quella stanza per far arrabbiare così tanto il suo protetto, in effetti, ma non poteva nascondere a se stesso quanto fosse grato di non aver dovuto presenziare: se fosse stato presente, purtroppo, avrebbe dovuto rispettare il proprio giuramento e si sarebbe dovuto frapporre fra Takumi e Zoe, ed era un’ipotesi talmente orribile che tutto, in lui, la rifiutava.

anche perché Zoe, probabilmente, gli avrebbe fatto fare la fine di uno straccio per pavimenti.

Forse lei avrebbe saputo dargli qualche risposta, rifletté: forse era stata in grado di capire il perché di quel cambiamento tanto repentino in una persona solitamente tranquilla ed intelligente come Takumi.

Insomma, nessun hoshijin apprezzava particolarmente Nohr e i suoi abitanti, ma… beh, la principessa avrebbe meritato un trattamento decisamente diverso da quello che le era stato riservato, anche soltanto in nome del suo titolo nobiliare.

Lui e Kaze avevano tentato di lenire un poco il tormento che le era stato inflitto, ma era perfettamente conscio di quanto a poco fosse servito: lo aveva visto chiaramente nell’orrore che le aveva riempito gli occhi quando lui ed Oboro erano stati mandati a prelevarla dalle segrete, ne aveva percepito la profondità radicata dentro di lei quando si era divincolata disperatamente per sfuggire ai tentativi di Oboro di calmarla, e temeva che quel terrore animalesco sarebbe stato troppo grande, a quel punto, per essere controllato.

Chissà se Zoe era stata in grado di farsi ascoltare.

Sospirò, accelerando il passo quando, giunto dinanzi alla stanza in cui Ileana era stata rinchiusa quella mattina, la trovò vuota. Probabilmente Kaze e Zoe avevano scortato la principessa nei bagni, per permetterle di darsi una ripulita e cambiarsi d’abito… ma, prima che potesse voltarsi per imboccare il corridoio, una voce alle sue spalle attirò la sua attenzione.

-Nata!-

C’era soltanto una persona in tutta Euanthe che lo chiamava così.

Si voltò, sorridendo, le braccia già spalancate per accogliere la giovane donna che, prevedibilmente, corse da lui – ed un istante più tardi avvertì le mani della sua amica stringersi forte ai suoi vestiti, il suo corpo tonico aggrapparsi al suo ed i suoi arruffati capelli biondi oscurargli la vista.

Eccola lì, la sua Zoe, in tutto il suo irruente splendore.

Hinata ricambiò la stretta, accarezzandole la nuca con tenerezza ed abbassando la testa per appoggiare la fronte sulla sua spalla, sfiorando appena la sua gola bianca con la punta del naso: Zoe aveva addosso l’odore della foresta, della resina, ed era qualcosa di così familiare e conosciuto che Hinata si ritrovò a chiudere gli occhi, cullandosi in quel profumo che sapeva tanto di casa.

Zoe gli era mancata così tanto… era talmente abituato ad averla quasi sempre al proprio fianco, a Shirasagi, che passare tanti giorni senza di lei era stato terribilmente strano: quella ragazza energica e complicata occupava un posto tutto particolare, dentro di lui – un posto che le apparteneva da anni, ormai, e che nessuno avrebbe mai potuto riempire se non lei.

Lei gli si raggomitolò addosso, accoccolandosi nel suo abbraccio come faceva spesso quando nessuno poteva vederli e, di conseguenza, rimproverarli: la società all’interno di Shirasagi, composta soprattutto da nobili, aristocratici e signorotti di tutti i tipi, avrebbe urlato allo scandalo se il più giovane rampollo di un’antichissima famiglia di onorati samurai fosse stato visto in atteggiamenti equivoci assieme alla nessuno che si ostinava a “ronzare intorno alla famiglia reale”.

Che stupidaggine.

Non aveva mai tollerato quel sacco di idiozie. Al contrario di quello che chiaramente era stato inculcato nelle loro teste vuote, ad Hinata non era stato insegnato a valutare le persone in base al rango sociale, bensì all’onestà, alla bontà d’animo e al coraggio: doti che Zoe possedeva in gran quantità e che, a parer suo, la rendevano infinitamente migliore di tutti coloro che ancora le riservavano i più velenosi degli sguardi ogni volta che veniva vista accanto ad uno qualunque degli eredi al trono.

Zoe tirò su col naso, sfregando la fronte contro la sua spalla come se volesse nascondersi lì, tenendosi talmente stretta a lui da fargli percepire le unghie piantate nella carne.

-Ehi…- la chiamò, sollevando la testa e prendendole con delicatezza il viso fra le mani, sorprendendosi nel trovare, nei suoi profondi occhi carmini, delle lacrime trattenute a stento. -Oh dei, Zoe non piangere, perché stai per metterti a piangere?- domandò, atterrito all’idea di dover affrontare quella grande incognita che una Zoe in lacrime avrebbe rappresentato.

Lei non piangeva mai.

Nemmeno riflettendoci riusciva a ricordare una sola occasione in cui l’avesse vista in lacrime: era qualcosa che non riusciva a collegare a lei, che non faceva parte della persona che conosceva e che Hinata non avrebbe mai potuto immaginare di dover, un giorno, vedere.

Zoe serrò le palpebre, costringendosi a respirare attraverso i denti serrati e posando le mani sulle sue, intrecciando timidamente la punta delle dita a quelle di Hinata.

-Dimmi che cosa ha fatto.- disse, con una voce rotta che non le apparteneva, che Hinata non conosceva e che non voleva sentire, che faceva stridere dolorosamente qualcosa dentro di lui perché Zoe non era così, lui non poteva vederla così, era tutto così sbagliato…

Zoe spalancò gli occhi, facendolo sobbalzare con quel gesto così repentino, abbassando le mani per costringerlo a lasciar andare il suo volto.

-Voglio sapere che cosa ha fatto.-

Hinata rimase impietrito, sconvolto dall’espressione feroce e disperata che deformava il viso altrimenti attraente della sua amica: non l’aveva mai vista in uno stato del genere, stravolta da qualcosa di oscuro e lontano che aveva scorto agitarsi, in passato, dietro il velo scarlatto dei suoi occhi, ma che ora sembrava aver distrutto ognuno degli argini che Zoe aveva strenuamente costruito per trattenere quelle violente, frustrate emozioni.

-Ma…- biascicò, a disagio: non voleva dirle proprio niente di ciò che lord Takumi aveva fatto, perché metterla a parte di tutta la verità – le minacce, le violenze, il terrore che erano stati causati alla principessa Ileana – le avrebbe fatto davvero troppo male… avrebbe dato qualunque cosa per lasciare che chiunque altro le spiegasse cos’era successo, perché non poteva sopportare nemmeno il pensiero di infliggerle tanto dolore sapendo quanto Zoe fosse sensibile.

-Non è una buona idea…- tentò pateticamente di dissuaderla, sentendosi però un idiota: non era mai riuscito a negarle nulla, come poteva anche soltanto pensare di essere in grado di non darle le risposte che cercava?

-Non importa.- Zoe scosse la testa, abbassando lo sguardo soltanto per qualche attimo prima di tornare a guardarlo. -Per quanto tempo è rimasta là sotto?- domandò, ma la secchezza della sua voce fu tradita dal fremito che sembrò venare le sue parole d’incertezza e di tormento.

-Io__-

Gli prese le mani, stringendosele al petto e dei, come poteva dire di no a quello sguardo spezzato?

-Nata, per quanto tempo è rimasta là sotto?- ripeté la domanda, Zoe, con quella voce traboccante di disperazione che gli attorcigliò lo stomaco e gli spezzò il cuore: non poteva vederla così, non era mai stato capace di sopportare la sua tristezza, faceva troppo male perché fosse in grado di tollerarlo.

-Tre giorni.- sbottò, distogliendo lo sguardo perché sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa di più, che se Ileana era stata ridotta in quello stato era stato anche a causa dell’incapacità di opporsi a Takumi che lui ed Oboro avevano dimostrato.

Zoe spalancò gli occhi, allibita, ed il poco colore rimasto sulle sue guance svanì in un istante.

Sembrava così indifesa, in quel momento… ma, d’altronde, cosa poteva aspettarsi di diverso? Le aveva appena confermato che una persona che amava si era rivelata un mostro, e Zoe aveva sempre avuto paura dei mostri.

Eppure, ancora una volta, lo sorprese: mantenne il contegno, strinse le dita fra le sue e prese un lungo respiro, chiudendo gli occhi per qualche attimo prima di riportare l’attenzione su di lui.

-Raccontami tutto il resto.-

.

Hinata corre, corre come se avesse i demoni alle calcagna: ha appena sentito un soldato ridere delle urla della nohriana, alludendo a qualcosa di così osceno che Hinata non vuole nemmeno immaginare, e mentre attraversa a tutta velocità l’accampamento prega che non sia vero, che lord Takumi non abbia davvero perso la testa a tal punto.

Oboro lo vede passare, gli lancia un’occhiata, ma lui la ignora: spera che non lo segua, perché non la vorrebbe intorno alla principessa né vorrebbe che vedesse che cosa lord Takumi potrebbe averle fatto.

L’angolo in cui tengono legata la principessa è buio, ma non abbastanza perché qualcuno possa nascondersi: e lord Takumi è lì, con le mani serrate sulla faccia della ragazza di Nohr che guaisce e si divincola cercando di allontanarsi da lui.

-No!-

Hinata si lancia in avanti ed il suo primo istinto è quello di strapparglielo di dosso: afferra Takumi per il bavero della giacca e lo tira indietro con tutta la forza che ha, strattonandolo con tanta irruenza da farlo quasi cadere.

Oboro appare subito accanto a Takumi – ah, allora l’ha seguito – e lo sorregge, aggrappandosi al suo braccio con una strana espressione, in volto, che Hinata lì per lì non riesce a riconoscere: i suoi occhi vanno dalla nohriana a Takumi e passano anche su di lui, ed Hinata è sicuro di aver scorto un lampo di orrore, sul suo viso.

-Lord Takumi__!-

Lord Takumi gli si scaglia contro, ma trattenerlo è facile – è più difficile impedirgli di urlare contro alla ragazzina alle spalle di Hinata, mentre lui tenta di tenerlo fermo senza fargli male.

-Non ti permetterò di ammazzarti, maledetta!- abbaia, e c’è così tanta cattiveria, nella sua voce, che Hinata per un istante pensa che non sembri nemmeno la sua. -Mi hai capito bene!?-

-Basta!-

Lo spinge indietro, bruscamente, facendolo arretrare di diversi passi, e davvero non gli importa che quell’uomo sia colui a cui ha giurato obbedienza: non ce la fa a permettergli di continuare così. Non è giusto.

-Cosa ti è preso!?- sbotta, Hinata, dimenticando le formalità ed i titoli quando guarda in faccia il suo amico d’infanzia e non lo riconosce più.

-Non farti ingannare, sta solo fingendo!-

Hinata si volta, lanciando un’occhiata sconvolta alla principessa: è raggomitolata a terra, bagnata come un pulcino, e mugola qualcosa di indefinito… ma non gli sembra che lord Takumi abbia tentato di farle del male: la caraffa di terracotta ridotta in pezzi e l’acqua che infradicia la ragazza gli raccontano una storia diversa.

Deve aver provato a costringerla a bere, comprende all’improvviso. Sì, la principessa ha rifiutato cibo e acqua ogni volta che qualcuno ha provato a farla mangiare, ma… era davvero necessario arrivare a questo punto?

-No che non sta fingendo.- mormora, stravolto da quella giovane donna che pare ridotta in pezzi proprio come il bricco rotto i cui frammenti sono sparsi per terra, voltandosi poi verso Oboro. -Portalo via!- ordina, senza il coraggio di guardare in faccia il suo lord, il suo principe, perché non sa se sarebbe in grado di nascondere il disgusto che, in quel momento, prova per lui.

Oboro, per fortuna, ubbidisce, tirando lord Takumi per il braccio finché lui non smette di opporre resistenza e gli dà finalmente le spalle, arrendendosi all’insistenza della sua guardia che continua a chiedergli di lasciar perdere, di andare via.

Soltanto quando gli sembra che si sia allontanato abbastanza, Hinata si volta, precipitandosi accanto alla ragazza che – ora può vederlo – è scossa dai singhiozzi.

-Principessa… oh, accidenti…-

Dove diamine era finito Kaze? Perché non è intervenuto? Hinata si è allontanato soltanto per una manciata di minuti…

La principessa trema e geme, e a lui sembra davvero soltanto una ragazzina spaventata ed esausta: sta piangendo, e biascica fra le lacrime delle parole senza senso che lui riesce a carpire soltanto in parte.

-Era solo routine… era soltanto una ricognizione…-

Forse sta parlando di quanto è successo all’Abisso, ma ad Hinata ora non importa: lei è fuori di sé, si vede, e lui in questo momento vorrebbe soltanto che ci fosse qualcuno, lì con loro, in grado di mettere fine a questa follia – lord Ryoma, Zoe, lady Mikoto, chiunque…

Lady Ileana alza debolmente gli occhi, cerchiati di nero dalla stanchezza e dal terrore, e lo guarda: c’è una tale disperazione, in quello sguardo, così profonda e densa e ineluttabile, che per un istante Hinata se ne sente assorbito.

-Non ho fatto niente di male…-

Le crede. Non gli importa che cosa ha detto lord Takumi, Hinata non può non credere al pianto soffocato di una giovane donna che sta affrontando qualcosa a cui chiaramente non è mai stata preparata.

-Avete ragione.- ammette, sfilandosi rapidamente la spessa e lunga sciarpa che usa indossare quando c’è freddo. -Tenete, o prenderete un raffreddore.- aggiunge, drappeggiando la stoffa pesante intorno alle spalle esili di lady Ileana, rabbrividendo quando sfiora la stoffa bagnata dei suoi vestiti: dev’essersi ribellata ai tentativi di lord Takumi e l’acqua che la infradicia ne è, probabilmente, il risultato.

La principessa chiude gli occhi, e due grosse lacrime rotolano sulle sue guance pallide e smunte.

-Che sia…-

Hinata la ignora e continua ad avvolgerla nello scialle, premurandosi di coprirla il più possibile: non può e non vuole permettere che si ammali, perché in quelle condizioni – stanca, debilitata, affamata – rischierebbe di non riuscire nemmeno ad arrivare a Suzanoh…

Ma forse è quello che vuole. Forse preferisce morire piuttosto che rimanere un altro giorno alla mercé di lord Takumi.

Non può darle torto.

-Ma no, principessa, andrà tutto bene.- cerca di consolarla, detestando con tutto il cuore gli ordini che gli impediscono di darle almeno una briciola di verità.

Altre lacrime, troppe, cominciano a scorrere sul suo viso minuto.

-Voglio andare a casa mia… voglio solo andare a casa mia…-

All’improvviso, la principessa spalanca gli occhi:Hinata riesce quasi a riflettersi in quegli occhi verdi tanto grandi e lucidi, ma tutto ciò che vorrebbe adesso è allontanarsi, fuggire dall’animalesca, feroce paura che ha repentinamente animato quello sguardo.

-Lasciami scappare. Lasciami andare via. Io non farò del male a nessuno, voglio solo andarmene, prometto che non dirò niente di voi o di Hoshido e__-

-Vi riprenderebbe.-

La principessa sgrana gli occhi e Hinata si odia, in quel momento: vorrebbe poterle dire qualcosa di diverso, vorrebbe che fosse possibile permetterle di tornare a casa e di dimenticare quell’incubo, ma sa benissimo che non è qualcosa che è in grado di fare.

-Mi dispiace, principessa, ma sarebbe troppo pericoloso per voi.-

Lo vede, che le sue parole non l’hanno aiutata, ma non può farci niente: sa benissimo che, se la lasciasse andare – e vorrebbe, vorrebbe davvero –, lord Takumi riuscirebbe a trovarla, e niente e nessuno potrebbe più impedirgli di farle tutto quello che vuole.

Rabbrividisce, spaventato all’idea di quell’uomo in cui non vede più niente del principe che è così fiero di servire e di come potrebbe ridurre la ragazza di Nohr, in preda a quella cieca ira che sembra averlo posseduto – e lei trema a sua volta, gli occhi lucidi di terrore, ed Hinata decide in quel preciso momento che non può più lasciare che vada avanti così.

-Ma potrei fare qualcosa per allontanarvi da lui.-

.

Davanti ai suoi occhi, Hinata guardò Zoe accartocciarsi su se stessa, schiacciata dall’orrore del suo racconto. Tentò di sorreggerla, ma dopo un istante preferì lasciarsi scivolare a terra insieme a lei, stringendola forte quando Zoe si appallottolò contro il suo fianco e appoggiò la testa alla sua spalla.

-Non voglio crederci.- sussurrò, ed Hinata chiuse gli occhi, sentendosi sconfitto: nemmeno lui avrebbe mai voluto crederci, nemmeno lui avrebbe mai potuto pensare che lord Takumi sarebbe arrivato a tanto. -Takumi non è così…-

-Lo so.- ammise, accarezzandole la schiena nel flebile tentativo di rassicurarla.

No, infatti, Takumi non era mai stato così.

Hinata aveva sempre, sempre ammirato lord Takumi: aveva sempre pensato che fosse un uomo coraggioso, che era stato in grado di trovare una propria strada che non potesse essere oscurata dalla luminosità accecante dei successi dei suoi fratelli maggiori che, comunque, secondo Hinata, non avevano mai avuto niente di particolare rispetto al secondo principe di Hoshido – anzi, tutt’altro: lord Ryoma e lady Hinoka non avevano mai dovuto combattere con le unghie e con i denti per ottenere dei risultati, non avevano mai passato giorni e giorni chini sui libri o con un arco in mano per diventare sempre migliori, per essere considerati almeno alla pari dei propri fratelli…

Takumi era una persona forte, intelligente e corretta: non aveva un carattere facile, quello non poteva negarlo, ma era sempre stato leale alle persone che gli erano care e giusto persino con i suoi nemici.

Fino a che non avevano catturato lady Ileana.

Forse era stata la rabbia a scatenare tutto: dopotutto, lord Takumi e la sua famiglia avevano perso così tanto a causa di Nohr e dei suoi regnanti… così come Oboro, che aveva perduto tutto a causa dei briganti nohriani che avevano trucidato la sua famiglia, e che non aveva perso nemmeno un’occasione per riservare il peggior trattamento possibile alla principessa.

-Oboro non ha aiutato.- borbottò, esprimendo i propri pensieri ad alta voce senza accorgersene e sorprendendosi quando sentì Zoe irrigidirsi.

-Prevedibile.-

Hinata sospirò, voltandosi per celare nei capelli di Zoe una smorfia esasperata.

Zoe ed Oboro non erano mai andate d’accordo: Oboro l’aveva osteggiata sin da quando era stata nominata guardia reale di Takumi, non gradendo affatto quella Samurai che ronzava in continuazione intorno al suo amato principe… e anche Zoe non aveva mai dimostrato una particolare maturità nel confrontarsi con la Maestra di Lancia, a dire il vero, palesemente gelosa di tutte le occasioni che Oboro aveva per essere in compagnia di Takumi che a lei, invece, erano negate.

-Dai, Oboro non è cattiva.- mugugnò, sfiorando appena la gola scoperta di Zoe con una carezza, sperando di riuscire a calmarla e cercando nel buon odore dei suoi capelli qualcosa che riuscisse a tranquillizzare anche lui. -Ha sbagliato, ma ha anche capito di aver esagerato quando ha visto com’era ridotta.- continuò, scuotendo la testa quando il ricordo cristallino degli occhi pieni di orrore di Oboro lampeggiò nella sua mente: quando, quella mattina, lord Takumi aveva ordinato loro di spostare lady Ileana dalle celle alla parca stanzetta dove Zoe l’aveva trovata, Oboro era stata finalmente costretta ad affrontare le urla disperate della ragazza, la disperazione con cui aveva lottato per sfuggirle e l’incubo in cui il principe che tanto idolatrava aveva gettato una giovane donna che non aveva fatto nulla di male se non esistere.

Hinata però non si sorprese quando, con un versaccio, Zoe si alzò in piedi, cupa in volto.

-Non mi interessa.- disse, tendendogli una mano e tirandolo su a sua volta quando lui la prese, trattenendo però le dita callose del Maestro d’Armi fra le proprie. -Non ci si comporta così. Con nessuno.- sibilò, ed Hinata dovette sforzarsi di non fare un passo indietro: in quel momento, con gli occhi pieni di dolore e la rabbia incisa sul volto, Zoe avrebbe intimorito persino il più temibile dei mostri di Nohr.

-Lo so, ma__- provò a rabbonirla, ma lei lo fulminò con uno sguardo tanto gelido da sedare sul nascere ogni suo tentativo di replica.

-No.-

Ci fu un qualcosa di definitivo, in quell’unica sillaba, qualcosa che Hinata non seppe cogliere appieno ma che gli diede, comunque, i brividi: per un istante si ritrovò altrove, si ritrovò nuovamente dinanzi al vuoto senza fine dell’Abisso, riconoscendo la furia incontenibile della tempesta nella voce e nello sguardo della sua amica.

La Samurai raddrizzò le spalle, sollevò il mento e poi si allontanò, lasciando un vuoto più freddo del normale dove, fino a pochi istanti prima, Hinata aveva potuto avvertire il calore del suo corpo, l’impronta della sua mano sul palmo.

-Parlerò con Takumi.- affermò, con una voce ferma e determinata che lo sorprese ancor più della gravità del suo sguardo: quella Zoe, quella giovane donna dal volto impassibile che mal nascondeva una rabbia a stento contenuta, era qualcuno che Hinata non aveva mai avuto occasione di conoscere, la guerriera implacabile e dalla volontà ferrea che Zoe aveva forgiato in anni ed anni di rinunce, addestramenti e sofferenze.

Guardandola, costringendosi a vedere tutto questo al di là del bel visetto e dei sorrisi che lei gli aveva sempre riservato, Hinata provò all’improvviso la cristallina certezza che, se non fosse riuscita lei a rimettere a posto il disastro che lord Takumi aveva fatto, nessun altro ne sarebbe stato capace.

-A me darà retta, e se non lo farà gli ficcherò un po’ di buonsenso nella testa a suon di schiaffi.-

.

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.

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Salve a tutti!

Eccoci qua con un nuovo capitolo di Aranyhìd, che potrebbe portare il sottotitolo di "quando le cose non vanno mai come dovrebbero andare. Anzi, vanno peggio".

Ileana e Zoe si sono incontrate, finalmente, ma non è andata proprio benissimo per nessuna delle due: per fortuna, e lo ripeterò fino allo sfinimento, c'è Hinata. Hinata è patrimonio dell'umanità.

Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, e nel prossimo: incontreremo Mikoto! Reggetevi forte, perché ci sarà da ballare!

Clarisse&B

   
 
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