Film > Re Leone
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Autore: QueenOfEvil    27/05/2017    2 recensioni
(Dal capitolo sette):
"Sì, aveva aspettato quel giorno per anni, nella polvere, nell’ombra di qualcun altro, di Ahadi, di Mufasa e adesso che correva il rischio di venire oscurato anche da Simba, da quello scricciolo che altro non era che un prolungamento del fratello tanto odiato, gli era stata finalmente data l’opportunità di scuotersi di dosso tutti: sarebbe diventato ciò che era stato predestinato ad essere fin dall’infanzia, fin dalla nascita. Il sovrano che nessuno mai aveva visto in lui."
La storia di un re considerato tale solo da se stesso. E, chissà, forse, in fondo, neanche quello.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Scar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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3. Scar. Listen to many, speak to a few

Il cimitero degli Elefanti non era certamente il luogo più allegro e solare in cui si potesse passare il tempo e Scar avrebbe mentito se avesse detto che esso era di suo gradimento, ma poteva rivelarsi un’ottima postazione da cui osservare i dintorni senza doversi per forza imbattere nell’ingombrante presenza di Mufasa. O del pargolo reale.

A tre settimane dalla sua nascita, il leone non aveva cambiato affatto opinione su di lui: continuava ad essere insopportabilmente inutile e, ora che si muoveva, ancora un po’ malfermo sulle zampe, non faceva che stare accollato a chiunque gli degnasse un briciolo di attenzione, non capendo evidentemente ancora quale fosse il suo posto nel mondo. Sempre che ne avesse uno. L’unica cosa positiva dell’intera faccenda, a parer suo, era che ora il fratello sembrava troppo preso dalla presenza del cucciolo per dedicargli attenzione o rimproverarlo per le sue supposte mancanze: quella palla di pelo che non faceva altro che miagolargli dietro lo stava distraendo in maniera eccezionale, ma a quanto pare nessuno sembrava accorgersene. L’opinione nella savana era sempre la stessa: Mufasa era un grande re, chiunque doveva portargli rispetto e ogni volta che sentiva parole simili i suoi denti stridevano e doveva sforzarsi di non rispondere in maniera alquanto acida che anche lui sarebbe potuto essere degno di tali affermazioni, anzi, perfino di più del fratello, se qualcuno gliene avesse data la possibilità. Cosa che nessuno si era neanche mai dato la briga di provare.

Saltò giù dalla roccia su cui era disteso, camminando nervosamente avanti e indietro e aspettando l’arrivo delle uniche tre creature di sua conoscenza che avrebbero potuto gareggiare per stupidità e idiozia con un facocero affetto da demenza: Shenzi, Banzai ed Ed erano un seguito misero, e si sentiva quasi umiliato a tenerli con sé, ma aveva bisogno di loro perché spiassero e riferissero cose che lui non doveva, o non avrebbe dovuto, udire. Era molto più semplice che loro si esponessero al posto suo, loro che non chiedevano altro che una coscia di zebra ogni tanto per ricompensa, e se anche quelle tre sciocche iene fossero state scoperte non ci sarebbero state conseguenze. Per lui, s’intende. D’altronde il grande Re avrebbe mai creduto che il suo povero, caro e inetto fratellino minore fosse in compagnia di quella che da sempre era stata ritenuta la feccia della savana? Era troppo ingenuo Mufasa, lo era sempre stato e probabilmente la sua morte sarebbe stata causata da una fiducia mal riposta: se di un parente o di un amico, questo solo il tempo l’avrebbe potuto dire.

“Dove diavolo si sono cacciate questa volta?” pensò infastidito; era quasi un’ora che aspettava e si stava alquanto innervosendo: sarebbe stato meglio che avessero avuto una scusa pronta, quando si fossero presentate. La sua conoscenza con loro risaliva ad anni prima, quando ancora sul suo viso non c’erano marchi e portava un altro nome, un nome con un significato esattamente opposto a quello del futuro sovrano e che già aveva chiarito quello che tutti pensavano e avrebbero sempre pensato di lui.

Taka. Rifiuto. Spazzatura. A chiunque lo incontrasse e non sapesse chi era gli angoli della bocca si sollevavano per la derisione o al massimo per la pietà quando lui si presentava, nel primo periodo della sua vita con la vanagloria e l’esuberanza di un cucciolo e poi sempre più malvolentieri, con la consapevolezza del ruolo che la sorte aveva scelto per lui e che a quanto pare avrebbe dovuto recitare. Certo, c’era un’altra accezione, che richiamava al desiderio e che senza dubbio era più tollerabile della precedente, ma era talmente poco conosciuta da non essere certo quella ad apparire per prima nella mente di chi lo incontrava. E poi, se paragonato con “Mufasa”, qualsiasi altro nome perdeva di importanza. Quello che l’aveva colpito delle iene, il giorno in cui si erano conosciuti, era che non avevano neanche tentato di mascherare il loro divertimento per l’etimologia del suo nome, ma anzi, gli erano scoppiate a ridere in faccia: lo aveva fatto infuriare e incuriosire insieme, quel comportamento così sfrontato verso un membro della famiglia reale, che invece sarebbe dovuta essere, a quanto lui aveva sempre sperimentato, comunemente e universalmente onorata e rispettata, per finta o realmente. Aveva immediatamente capito di che materiale erano fatti quegli animali: creta, facile da plasmare e manipolare a suo piacimento, e nonostante li disprezzasse immensamente per il loro lecchinaggio e la considerevole piaggeria che avevano iniziato a dimostrare verso di lui non appena avevano intuito che la sua vicinanza avrebbe potuto fruttare loro dei vantaggi, era utile avere un contatto, per quanto basso e di poco conto, con la parte più repressa e ignorata della savana. Non erano coraggiose, anzi, codarde fino al midollo e mai avrebbero preso posizione contro il Re che tanto dicevano di disprezzare se Scar glielo avesse chiesto, ma non poteva pretendere di più da quei microbi. Senza contare che quello era l’unico ambiente in cui riuscisse a sentire parlare di suo fratello in termini che non sfiorassero l’adorazione, come se ci si stesse riferendo ad un dio sceso in terra.

Era quasi deciso ad andarsene, portandosi con sé l’immeritata ricompensa che aveva promesso a quelle tre nullafacenti se fossero riuscite a trovare quello che voleva, quando sentì dei passi affrettati e scoordinati che, con un sospiro di rassegnata superiorità, non poté che attribuire a loro.

Spiccato dunque nuovamente un balzo sulla roccia dove era stato accomodato fino a poco prima, ritornò nella sua posizione originaria e aspettò che si facessero avanti, meglio se con un’ottima scusa per il ritardo, un’aria contrita e mesta per averlo fatto aspettare e delle buone notizie.

Ovviamente, non ottenne nessuna delle tre.

“Mollami, Ed! Mollami, non sono un’antilope dannazione!” Banzai fu il primo ad arrivare, trascinandosi dietro Ed che, con il suo solito comportamento, si era attaccato alla zampa del compagno e lo stava mordendo fino quasi a farlo sanguinare, il tutto mantenendo gli occhi spalancati e ricolmi di quella stupida follia che tanto gli si addiceva: il leone trattene un sospiro di disapprovazione, vedendosi costretto ancora una volta ad avere a che fare con degli individui tanto inferiori.

“Lascialo stare, sai come è fatto: fra un paio di minuti si dimenticherà cosa sta facendo e la smetterà” Shenzi era a pochi passi da loro con le labbra incurvate in segno di divertimento e per nulla intenzionata a fare nulla per aiutare Banzai a liberarsi del suo incomodo, che sembrava sempre più deciso a spolpare la caviglia dell’amico. Sempre che ci fosse qualcosa attaccato a quelle ossa, considerando quanto fossero magri tutti e tre.

“Grazie per la considerazione, me lo ricorderò la prossima volta che sarai tu a doverlo sopportare” Dopo trenta secondi buoni di tentativi, finalmente la “preda” riuscì a liberarsi dal suo aguzzino, che rotolò per cinque buoni metri prima di fermarsi, sbattendo la testa contro la roccia e cominciando a ridere come un ossesso, presto seguito a ruota dagli altri due.

“Idioti, sono assolutamente, completamente idioti” pensò Scar, passandosi una zampa sul muso, con espressione sconsolata: erano lì da cinque minuti e non sembravano aver neanche notato la sua presenza. Accennò dei falsi colpetti di tosse, forti quanto basta da attirare finalmente la loro attenzione, e fu almeno un po’ compiaciuto di vedersi finalmente degnato dei loro sguardi.

“Oh, Scar… sei, sei qui!” Banzai sembrava nervoso, il che probabilmente non era un buon segno: solitamente, quando le notizie riportategli erano buone, cosa che succedeva alquanto raramente, purtroppo, nessuno si faceva pregare per annunciargliele, anzi, facevano a gara per essere ciascuno il primo e ottenere la propria ricompensa. Parassiti, ecco cosa erano per lui, parassiti che potevano avere una qualche utilità se debitamente sfruttati. Fece comunque segno di non accorgersi dello stato d’animo della iena: la paura era la loro punizione essersi presentati in ritardo al suo cospetto.

“Sì, sono qui, esattamente come, se la memoria non mi inganna, avevamo concordato. Voi, piuttosto, non credete di aver dimenticato qualcosa?” Inclinò leggermente la testa e abbozzò un ghigno, aspettando una risposta che, ne era certo, sarebbe arrivata in modo alquanto rapido, anche se probabilmente non era quella che avrebbe voluto ricevere.

“A questo proposito…” Shenzi si fece avanti, senza guardarlo direttamente negli occhi: era la più sveglia, o forse la meno stupida, del terzetto e quella che Scar trovava più sopportabile da ascoltare “…Noi ci abbiamo provato, sul serio, ma sembra che nessuno, e intendo davvero nessuno, sappia o abbia sentito dire di qualunque tipo di malcontento nel reame. Niente, nada! Sembra che tutti siano soddisfatti e felici qui intorno…”

“Tutti tranne noi” Banzai si stava controllando la zampa morsicata, ma non perse tempo per lamentarsi “Qui chiunque fa la bella vita, mentre noi siamo confinanti in questo orrendo posto”

Il leone alzò nuovamente gli occhi al cielo, mentre nella sua testa mulinavano pensieri scaturiti da quella, purtroppo prevedibile, scoperta: aveva sperato che ci fosse qualcuno, qualche specie oltre alle qui presenti iene, insoddisfatta e bisognosa di un nuovo leader che la guidasse. Mufasa poteva essere il Re, ma lo sarebbe stato solo fino a quando avesse mantenuto il consenso del popolo ed era possibile, improbabile, ma possibile, che la sua nuova attività di padre a tempo pieno lo avesse portato a trascurare qualcosa, un dettaglio, una qualsiasi faccenda su cui lui potesse fare appiglio: dalla nascita di Simba, il pensiero di riuscire ad accedere al trono, ora più lontano che mai, continuava a tormentarlo. L’impressione di venire messo da parte, di essere destinato a rimanere per sempre nell’ombra, ignorato e dimenticato, mentre suo fratello si gustava il successo e l’onore che sarebbero dovuti spettare a lui lo rodeva dall’interno: ma come fare a ribaltare la situazione senza affrontarlo direttamente?

Ci aveva provato una volta, in passato, e portava ancora addosso i segni del suo fallimento.

No, lo scontro frontale era fuori questione e mal si adattava alla sua personalità: era più sicuro che gli altri facessero il lavoro al posto suo, in modo tale che se la faccenda non fosse andata a buon fine, lui non ne avrebbe subito le conseguenze, mentre altrimenti avrebbe accettato gloria e onori senza dover giustificare il suo comportamento, all'apparenza impeccabile.

“Scar…? Scar? Scar!” I suoi ragionamenti vennero spezzati dal continuo chiacchiericcio delle iene sotto di lui, che a quanto pare lo stavano chiamando e ricercando la sua attenzione: lanciò loro un’occhiata sbieca, alzandosi a sedere.

“Che cosa c’è?”

“Ti abbiamo riportato le notizie che volevi… perciò che ne dici della ricompensa promessa?” Al suono della parola “ricompensa” Ed alzò la testa, la lingua già penzolante per l’acquolina, seguito dopo non molto dagli sguardi speranzosi degli altri due. Il leone era tentato di andarsene senza dire loro una parola: gli avevano deliberatamente mancato di rispetto, non che questa fosse una novità, e in più non gli avevano neanche portato utili informazioni, ma era necessario accontentarli per essere sicuro che gli fossero fedeli. Trattenendo un moto di fastidio, quindi, prese il cibo portato e, dopo averlo tenuto sollevato per qualche momento e aver contemplato le loro espressioni fameliche, lo lasciò cadere davanti a loro: la scena si ripeteva da anni ormai, ma non poté fare a meno di sollevare il sopracciglio, disgustato ancora una volta dalla loro totale mancanza, non solo di decenza e intelligenza, ma anche a quanto pareva di amor proprio. 

Le lasciò dunque mangiare, non avendo assolutamente intenzione di intraprendere un’altra discussione con loro che, ne era certo, avrebbe guastato ancora di più il suo umore, e, alzatosi silenziosamente, si diresse verso le Pride Lands, con la snervante risata del terzetto ancora nelle orecchie. 

                                                                     ****************

Arrivò nei dintorni della Rupe dei Re verso il calar della sera, ma ancora in tempo, purtroppo, avrebbe potuto aggiungere, per vedere Mufasa rientrare e venire accolto da Sarabi e dal cucciolo che, esuberante come sempre, si andò a strofinare sulle sue zampe e articolando qualche parola sconnessa, probabilmente con qualche significato misterioso che Scar non riusciva assolutamente a comprendere, che fece sorridere i due genitori. 

Trovava quella scena di intimità familiare assolutamente patetica.

Fece per andarsene, non volendo essere visto né sentito, ma anzi, desiderando un po’ di tranquillità e pace per poter meglio pensare a quale sarebbe potuta essere la sua prossima mossa, ma, proprio nell’atto di voltare la schiena, la sua criniera nera venne in qualche modo vista dal cucciolo che, dimenata la coda con l’entusiasmo tipico di chi si è appena affacciato alla vita, iniziò a chiamarlo con il linguaggio infantile che tanto lo infastidiva.

Ora che l’attenzione su di lui era stata attirata, non poteva fare altro che scendere in scena e confrontarsi con un altro terzetto, non meno fastidioso del precedente, senza contare che la presenza del fratello rendeva il tutto ancora più insopportabile: alzò comunque la testa e, con un sorriso che si sforzò di non far assomigliare ad una minaccia di morte, incontrò lo sguardo del primogenito, che lo squadrava con aspettativa. Dalla sua assenza alla presentazione di Simba, Mufasa sembrava aver tentato di tutto per assicurarsi che il cucciolo si abituasse alla presenza dello “zio” il più in fretta possibile: non era stata un’impresa facile, perché, somigliando così poco al fratello, veniva visto dal leoncino più come un estraneo che come membro della famiglia. Scar avrebbe sempre ricordato, con un sentimento di disgusto misto forse a un pizzico di piacere, come, al loro primo incontro, qualche giorno dopo la cerimonia, l’altro si fosse messo a piangere solo a vederlo. Aveva sperato che questo mettesse fuori discussione un futuro contatto con il pargolo, ma a quanto pare i genitori erano di tutt’altra idea e avevano fatto in modo che se lo ritrovasse fra i piedi ancora e ancora in quel breve arco di tempo, fino a che il quadretto della famigliola felice si era perfettamente assestato. Quello che più non sopportava era che Mufasa, in un modo o nell’altro, riusciva ad ottenere sempre quello che desiderava: il regno, l’amore di Sarabi, un figlio sano e somigliante in tutto e per tutto a lui… si illudeva, probabilmente, di avere anche il rispetto e la stima del fratello. 

Senza fretta, si avvicinò alla rupe, evitando di incrociare direttamente lo sguardo con nessuno dei tre: ancora prima che di trovarsi direttamente di fronte al fratello, Simba trotterellò verso di lui con l’andamento giocoso tipico dei giovanissimi, ricercando probabilmente delle attenzioni che lui non era assolutamente disposto a concedergli. Si limitò quindi ad avvicinarsi al padre, con il cucciolo che gli zampettava accanto, probabilmente eccitato dal vedere una figura molto spesso assente nella famiglia.

“E così a quanto pare il grande Re ha finalmente trovato un po’ di tempo per la sua famiglia” sorrise, cinico “Sono sorpreso. Pensavo che governare la savana fosse un compito a tempo pieno”

“Non sono dell’umore giusto per il tuo sarcasmo, Scar. È stata una giornata piena” fece una pausa, assolutamente non necessaria a parere dell’altro, probabilmente calibrata per aggiungere più enfasi alle sue parole “La mandria degli gnu oggi era particolarmente inquieta: è stata una fortuna che il loro movimento non abbia causato troppi danni. A quanto pare tre iene sono uscite dal territorio e l’hanno spaventata: quegli esseri si stanno facendo sempre più sfrontati, ogni giorno che passa. Ho dovuto presentarmi personalmente perché facessero ritorno nel loro territorio. Mi chiedo cosa le spinga a rischiare tanto…”

Quindi era questa la causa del ritardo di quegli idioti; ne era doppiamente infastidito: da una parte perché questo implicava che sicuramente non avevano svolto il loro compito in maniera sufficientemente accurata, dall’altra perché, se si fossero traditi in qualche modo davanti a Mufasa, ora lui avrebbe dovuto fornire spiegazioni doppie. Era stato fortunato, o forse il fato aveva deciso di compensare l’enorme stupidità del suo seguito con un piccolo risarcimento, ma decise che era meglio non sfidare la sorte ancora, o almeno non nel breve futuro. Se fossero stati scoperti nuovamente, anche al fratello sarebbero potuti sorgere dei dubbi sul reale motivo della loro presenza. Avrebbe trovato un altro modo per arrivare al suo obiettivo, anche se la presenza della palla di pelo che stava saltellando davanti a lui tentando di coinvolgerlo in una sua qualche misteriosa attività non rendeva certamente tutto più facile. Non gli diede attenzione, così alla fine il cucciolo si stancò e corse verso la madre, che lo prese per la collottola e, dopo aver rivolto uno sguardo sorridente a Mufasa e uno, decisamente più fosco, a Scar, lo portò all’interno, lasciando i due leoni soli sulla Rupe.

Il primogenito li seguì con lo sguardo, prima di rivolgersi nuovamente all’altro “Ti vedo sorpreso… eppure passi molto tempo, gran parte del giorno in verità, a camminare per la savana, dovrai pur aver notato un movimento tanto ampio”

“Se sapessi dove passo realmente il mio tempo, fratello, probabilmente molte cose di sarebbero più chiare” pensò lui di rimando, dicendo invece “Oh, sai, preferisco non badare troppo a queste faccende” alzò la zampa, facendo segno di indifferenza “D’altronde, non è questo il mio compito: sei tu il sovrano, tu hai il compito di governare tutto questo, non certo io. E al momento giusto questa incombenza passerà a tuo figlio”

Apparentemente Mufasa non mostrò segno di aver inteso il tono acido del fratello, perché, colto il riferimento a Simba, sul suo muso si delineò un enorme sorriso: “Sta crescendo bene, non è vero? Sarabi ed io siamo molto orgogliosi di lui.”

Scar rimase in silenzio per qualche secondo, cercando le parole giuste con cui rispondere: “È ancora giovane, ma è evidente che siete molto simili” Una frase che aveva due diversi significati, per chi l’aveva pronunciata e per chi l’ascoltava, ma da entrambe le parti sentita con sincerità: per il fratello, era la garanzia di una discendenza sana e forte, che avrebbe dato lustro e orgoglio a lui e ai sovrani del passato, per lui era invece la conferma dell’eterna ombra che sarebbe calata sulla sua figura se non avesse al più presto fatto qualcosa.

“È sorprendente come tu riesca sempre a trovare le parole giuste per tutto: è sempre stata una tua caratteristica, fin dall’infanzia”

“Questa è una sorpresa! È un mezzo complimento quello che sento? Il grande sovrano deve essere davvero stanco per lasciarsi sfuggire parole simili” Malgrado il suo tono cinico e anche se non lo avrebbe mai ammesso, né ad alta voce né tantomeno, soprattutto, con se stesso, le parole del fratello lo avevano sorpreso. Sapeva molto bene quali fossero le sue abilità, quello che tendeva a non vedere era il riconoscimento di esse da parte altrui: questa strana dimostrazione di considerazione da parte dell’altro era quindi arrivata assolutamente inaspettata; doveva essere la nuova paternità a renderlo così sentimentale.

“Non farmi rimangiare ciò che ho detto, Scar” La risata di Mufasa era esattamente uguale al suo carattere: calda, corposa, forte e, soprattutto, assolutamente sincera. Quand’era l’ultima volta che invece lui aveva provato quell’abbandono tipico di un riso genuino? Non se lo ricordava assolutamente né ne sentiva la mancanza in assoluto: anzi, probabilmente non era neanche mai successo. Ridere significava vittoria, avere qualcosa da festeggiare e celebrare e cosa poteva possedere lui, intelligente e scaltro sì, ma senza prospettive di essere nulla di più di un’immagine sfocata? Ma soprattutto, quel genere di gioia era propria di chi dimostra illimitata fiducia nel prossimo, di chi si aspetta il meglio dalla vita e crede di poter continuare in quel modo in eterno: era un segno di debolezza. Spesso si sorprendeva di quanto Mufasa potesse dimostrasi naïf e dentro di lui nasceva orgoglio, superiorità, perché, al contrario suo, vedeva le cose come stavano. 

Solo gli sciocchi potevano permettersi di essere felici e lui non era tale.

La sera era completamente calata e il primogenito, dopo averlo salutato, si diresse verso la grotta per raggiungere Sarabi e il cucciolo, lasciando il fratello nella stessa posizione, perso nei suoi pensieri: se stesse macchinando nuove soluzioni a quello che riteneva un problema irrisolvibile o se si stesse invece domandando se davvero non avesse mai provato autentica felicità, forse neanche lui avrebbe saputo dirlo.
















Angolino della pseudo-autrice: Allora... come avrete capito, io sono dell'idea che Scar non abbia pensato immediatamente all'omicidio, insomma, uno come lui avrà sicuramente valutato tutte le opzioni a sua disposizione prima di prendere una scelta tanto drastica, e anche il rapporto che ho descritto con Shenzi, Banzai ed Ed spero vi abbia almeno in parte ricordato l'originale.
So che probabilmente non servirà a nulla (siamo un fandom piccolo e poco frequentato), ma volevo ancora incoraggiarvi a lasciare un pensierino per dirmi come la state trovando o nel caso vi accorgiate di qualche svista: fa davvero piacere e aiuta anche a stimolare la voglia di continuare a pubblicare (cosa che farò in ogni caso, quindi l'unico modo per liberarvi di me è dirmi che questa storia fa solennemente schifo)
E... niente, continuo a lanciare la sfida ad indovinare cosa abbiano in comune i titoli dei capitoli (con tre inidizi forse è più chiaro, ma non ne sono sicura) a parte il fatto che siano in inglese: mandatemi un messaggio se pensate di averlo capito.
Grazie a tutti coloro che in ogni caso leggono e arrivano fino alla fine di ogni capitolo,
L_A_B_SH

   
 
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