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Autore: emmegili    27/05/2017    2 recensioni
- Hai intenzione almeno di dirmi come ti chiami o dovrò tirare ad indovinare?
- Hai intenzione di smettere di interrompermi mentre leggo o devo imbavagliarti?
- D’accordo, tirerò ad indovinare.
- D’accordo, mi toccherà imbavagliarti.
- Sei davvero adorabile, te l’hanno mai detto?
- Sei davvero un rompipalle, te l’hanno mai detto?
--
Ma Oliver... Oliver non muove un muscolo, nemmeno gli occhi. Mantiene lo sguardo fisso nel mio, come un salvagente nel mare in tempesta. Ogni volta che sto per affogare, mi aggrappo alla sua sicurezza.
--
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Epilogo – Due anni dopo
The first words that come out
And I can see this song will be about you

I can't believe that I can breathe without you
But all I need to do is carry on
The next line I write down
And there's a tear that falls between the pages
I know that pain's supposed to heal in stages
But it depends which one I'm standing on
I write lines down, then rip them up
Describing love can't be this tough
I could set this song on fire, send it up in smoke
I could throw it in the river and watch it sink in slowly
Tie the pages to a plane and send it to the moon
Play it for the world, but it won't mean much
Unless I sing this song to you

Song On Fire - Nickelback


 
Sospiro, torturando l’orlo della gonna.
E’ la cosa giusta, continuo a ripetermi. Mi dondolerei sui talloni, se non indossassi i tacchi. Mi guardo attorno.
Non mi sono mai piaciuti gli aeroporti. Troppe persone, troppa confusione. Francamente, li ho sempre ritenuti dei luoghi tristi.
Ma è la cosa giusta, lo sento dentro.
Se solo penso alla faccia di Scott quando gliel’ho chiesto, sento che è la cosa giusta.
Non lo vedevo dal funerale di Rachele. Parecchio, parecchio tempo. Era sinceramente colpito. E sollevato, credo. Sollevato che me ne fossi resa conto. Un po’ in ritardo, d’accordo, ma senz’altro me ne sono resa conto. Iran, ha detto.
E poi lo scorgo. Lontano, tra la folla. I capelli rasati ai lati della testa, la mascella contratta. Indossa una divisa militare verde, stringe un borsone color crema nel pugno della mano destra.
Man mano che si avvicina, noto i suoi occhi spenti.
Deglutisco. Forza, Arianna. Ora o mai più.
Faccio un passo avanti. E poi un altro. Un altro ancora.
- Jay.
Il ragazzo si blocca. Osservo i muscoli possenti della sua schiena contrarsi mentre, lentamente, si volta. Mi osserva con calma, confuso. Poi pare avere un’illuminazione e la tristezza viene spazzata via dai suoi occhi.
Apre leggermente la bocca, lascia cadere il borsone a terra.
Gli occhi cominciano a pungermi e devo asciugarmi rapidamente una lacrime dalla guancia, sorridendo.
Jay resta serio, impassibile, mentre avanza nella mia direzione.
Non riesco a trattenermi e gli corro incontro. Mi butto tra le sue braccia, che lui stringe con forza attorno al mio corpo.
Inizio a singhiozzare sulla sua spalla, mentre mi accarezza i capelli e mi stringe forte.
- Grazie. –sussurra solo, al mio orecchio –Grazie.
 
~
 
- Non mi puoi abbandonare così. Questo fine settimana c’è la partita.
Alzo lo sguardo dai calzini che sto imbucando nel borsone per rivolgerlo a Jim, il mio compagno di stanza, e lo osservo divertito.
Ha le braccia incrociate al petto e pare seriamente turbato. Continua a sistemarsi gli occhiali, sul naso, e a tamburellare con il piede per terra.
- Puoi sopravvivere a una partita di football, Jim. –commento, sorridendo –Puoi sopravvivere tu come possono sopravvivere i miei compagni di squadra. Dio, non so chi sia più disperato tra te e loro...
- Quei bestioni non mi sopportano! –si lamenta lui, senza nemmeno notare l’esasperazione nel mio tono –Se ci sei tu, almeno mi lasciano in pace...
- Non ti sfioreranno, Jim, e lo sai benissimo...
- Ma...
- Senti. –sospiro, lasciando perdere la valigia –Non è come nei film, dove gli sportivi prendono a pugni i secchioni. Se sono qui, vuol dire che non sono idioti. Io ho una fidanzata da cui tornare, per non parlare dei miei due migliori amici che tornano a casa nello stesso fine settimana. Uno torna dall’Iran, l’altro da un funerale che gli ha rivangato ricordi che... Non ho intenzione di restare qua, okay? Penso che abbiano molto più bisogno loro di me, Jim, non trovi?
Jim ammutolisce, per poi annuire.
- Hai ragione. Scusa. –sospira, cercando di tirare un sorriso.
Gli sorrido, chiudendo la zip del borsone. Raccatto le ultime cose, poi lo saluto.
- Torno tra una settimana, Jim. Non morirai. –ripeto ancora, ridendo alla sua espressione turbata.
Poi esco dalla stanza, dal dormitorio, dall’edificio, dal giardino curato dell’ingresso.
Supero le colonne con la targhetta dorata, quella con su inciso il nome dell’università.
Lo osservo, mentre il sole gioca con i riflessi. Sulle labbra mi spunta un sorrisetto soddisfatto. Mi passo una mano tra i capelli, orgoglioso.
Lancio un’ultima occhiata alla scritta, prima di partire. Università di Harvard.
 
~
 
Spingo la porta del Molly’s ed entro nel locale deserto. Sarebbe orario di chiusura. Ma devo riempire un’ora e non so dove altro andare.
Hank sta pulendo il bancone. Come alza lo sguardo e mi vede, si blocca.
- Ti ricordi quando mi hai detto che poi venivano tutti qui ad ubriacarsi piangendo? –gli domando con un sorriso mesto.
L’uomo annuisce e mi fa cenno di sedermi al banco. Ubbidisco. Mi versa un bicchierino di qualcosa e poi si apposta davanti a me, il canovaccio sulla spalla.
- Io ho sempre ragione, figliolo. –sorride.
Annuisco.
- Ho paura di sì, Hank.
- Mi dispiace tanto, ragazzo.
- Lo so, Hank. Grazie.
Per un po’ restiamo in silenzio, mentre l’uomo finisce di lavare i bicchieri.
- Allora, ho sentito che sei diventato uno importante.
Ridacchio.
- Alla gente piace la mia musica. E la mia storia. Per quanto abbiamo cercato di mantenere una certa privacy, tutto il mondo sa che il mio decollo nel mondo della musica è stato reso difficile dalla morte della mia ragazza. –commento amareggiato.
- Be’, magari le persone sentono una connessione con te. Non per essere stronzo, ragazzo, ma non sei l’unico che ha perso qualcuno di importante.
- Lo so. –sospiro –Ma vedi, ogni volta che mi metto a scrivere una nuova canzone, so già che sarà su di lei. E quello che mi brucia dentro è che quella dannata canzone non potrà mai avere il giusto significato, perché non potrò mai cantarla alla persona che l’ha ispirata. E il problema è che alla gente piace comunque, Hank. Le persone la amano nonostante sia incompleta.
Hank smette di asciugare i calici e si appoggia al bancone, guardandomi.
- Le persone amano te, Oliver, perché non sei un personaggio costruito dai media. E per quanto ti possano sembrare incomplete, le tue canzoni dicono la verità. E la verità è quello di cui le persone hanno bisogno, in un mondo di ipocriti.
Con un gesto secco, butto giù il liquore che Hank mi aveva versato.
 
- Allora. Io capisco che sei un fighetto e che adesso esci solo con i VIP, ma non puoi tirarci così il pacco, Oliver Dawn.
Alzo lo sguardo su Scott, che mi fissa con aria di sfida. Accanto a lui, Allison annuisce.
- E la notte di San Lorenzo, cavoli! –continua il mio migliore amico, allargando le braccia.
- Okay, tu vai. Qui ci penso io. –interviene Allie, sorridendo.
Scott la guarda con scetticismo, poi posa i suoi occhi su di me. Scuote la testa, sospira e se ne va.
Allison si siede accanto a me, in un sospiro.
- Allora, com’è andata in Italia? –domanda premurosa, posandomi una mano sul braccio.
- Come vuoi che sia andata, Allison? –le domando, sibilante –Sono andato al funerale del padre della mia fidanzata morta. Diana era distrutta. Ha perso metà della sua famiglia nell’arco di due anni ed io ero lì, come un deficiente, a fissarla imbambolato, senza sapere che cosa dirle.
Allison chiude gli occhi.
- Hai ragione, scusami. –sussurra –Senti, lo so che domani è il grande giorno, ma dovresti venire fuori con noi. Per divertirti un po’. Ritornare alle origini prima di partire.
La guardo di sottecchi, poi sospiro.
- Va bene, andiamo.
 
Distesi sull’erba, i nasi all’insù, sono accanto a Scott.
Le mani dietro la testa, aspettiamo di vedere una stella cadente da quasi mezz’ora. L’ultima se l’è aggiudicata mia sorella, che ora cerca di non addormentarsi tra le braccia del fidanzato.
- Le stelle cadenti si possono esaurire? –domanda Scott –Nel senso… dopo una certa ora smettono di cadere? Perché secondo me è così.
Scoppio a ridere.
- Sei un idiota. –sentenzia Allie ridendo.
- Come sta Jay? –domando dopo un po’.
- E’ tornato ieri dall’Iran. –mi risponde Scott –Arianna ha voluto fargli una sorpresa all’aeroporto. E’ venuta a parlarmi qualche giorno fa. Credo che abbia capito cosa vuole fare nella vita. E credo che comprenda Jay.
-Ah.
Per una frazione di secondo distolgo lo sguardo dal cielo per rivolgerlo a Scott, e in quell’istante lui salta su, strillando.
- Eccola! L’ho vista! L’ho vista! –esclama, euforico.
- Accidenti! –impreca Allie.
- Nemmeno io l’ho vista… -sospiro, mentre Scott smette di fare la danza della vittoria e si riaccomoda sull’erba, buttando giù un sorso di coca cola dalla bottiglietta di vetro.
- Però io voglio prestarla ad Oliver. –decide, guardandomi –Penso ne abbia più bisogno.
Gli sorrido.
- Non si prestano le stelle cadenti, Scott. –gli ricordo –Specialmente se il desiderio dell’amico a cui vuoi prestarle è che resusciti una morta.
Il silenzio ci piove addosso come un macigno, l’aria diventa gelida.
- Oliver… -sussurra Allison scioccata.
- Scusate. –scuoto la testa, alzandomi –Scusate. Non volevo, io...
Li lascio in giardino, mentre corro in quella che era camera mia.
Chiusa la porta alle mie spalle, mi lascio scappare un singhiozzo.
Non sto bene. Non sto bene. Non sto bene.
Mi avvicino alla finestra, intenzionato a chiuderla. Per un istante mi metto a guardare il cielo. Per un’assurda coincidenza, becco una stella cadente.
Così, senza nessun preavviso.
Istintivamente chiudo gli occhi ed esprimo un desiderio.
Fa’ che stia bene. Ti prego, fammi trovare la pace interiore. Voglio solo essere felice.
 
- Okay, mancano cinquanta secondi. –annuisce Sue, mettendomi le mani sulle spalle.
Saltello da un piede all’altro, prendendo respiri profondi.
- Quella gente là fuori è qui per te, ragazzo. –mi ricorda la donna, sorridendo –Ce la puoi fare. Non sei il primo ventenne a fare il sold out al Madison Square Garden in due minuti a caso.
Annuisco, infilando l’auricolare nell’orecchio.
- Venti secondi. –ci ricorda Tom, il mio insegnante di chitarra nonché mio grande amico, porgendomi la chitarra. Altaleno lo sguardo tra lui e Sue per qualche istante. Quando vede che esito, Tom mi dà una pacca sulla spalla, sorridendo.
- Io credo in te, Oliver Dawn.
- Va bene. –decido alla fine, afferrando la chitarra.
Mi volto verso le scale che portano al palco.
- Va bene. –ripeto tra me e me, per poi iniziare a salire i gradini.
- Forza, Oliver! –sento urlare Sue.
Quando arrivo al centro del palco, vengo accolto da centinaia di migliaia di urla. E’ tutto buio, eccezione fatta per le luci dei cellulari del pubblico.
Urlano il mio nome, gridano, strillano. Sono qui per me.
- Oliver! Oliver! Oliver! Oliver!
Per la prima volta da tanto tempo, vengo invaso da una sensazione di calma.
Per la prima volta da tanto tempo, sto bene.
Nessuna vecchia ferita, nessun ricordo che mi perseguita. Nessun senso di colpa, nessun rimorso.
Solo una strana sensazione di felicità.
Sorrido.
 
 
 
Fa male, già.
​Siamo arrivati alla fine di questa storia e nemmeno io, che l'ho scritta, ci voglio credere. Siamo alla fine. Fine. Stop. Nient'altro.
Abbiamo visto che cosa è successo ai personaggi più vicini a Rachele due anni dopo la sua morte.
​Jay, Arianna, Scott, Allie. Più indirettamente, Enrico, Lucas e Diana. Ma soprattutto Oliver. Oliver, che neanche due anni dopo riesce a racapezzarsi, fino a quando non si rende conto di dove è arrivato e per merito di chi.
​Volevo ringraziarvi tutte per esserci state fino alla fine. Siete state l'unica cosa che mi spingeva a continuare a scrivere, e vi devo ringraziare di cuore.
​Questa storia mi ha lasciato tanto, sono cresciuta con lei.
E spero che abbia avuto lo stesso effetto su di voi.
Un abbraccio e un grazie immenso,
​emmegili
 
 
 
   
 
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