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Autore: GothicGaia    28/05/2017    2 recensioni
La sua pelle era ricoperta di vene bluastre che si diramavano sulla fronte e gli zigomi, mentre il bianco agli angoli degli occhi, era iniettato di sangue. Un tempo era di una bellezza perfetta, così meravigliosa da far impazzire chiunque lo guardasse. Ora si ritrovava davanti un mostro, divorato dalla fame, e dalla sete di sangue, che non placava da moltissime notti. Questo succedeva ai vampiri che rimanevano senza mangiare per molto tempo. La pelle si raggrinziva, mostrando quelle vene innaturali, e sotto gli occhi, affioravano profonde occhiaie livide.
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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Ringraziamenti: Un enorme grazie a Trix_ per avermi corretto il testo e spiegato la differenza tra le desinenza della prima persona singolare, e la terza persona singolare. E per alcuni piccoli cosigli sui nostri adorati bevitori di snague. 
Spero che ora il testo sia maggiormente gradvole. Buona lettura! 

 

Seconda Parte

 
Se anche per un solo istante avessi pensato di aver passato il peggio, era semplicemente perché allora non sapevo cosa mi stesse riservando il mio rapitore.
Per trasformare una persona in vampiro è necessario succhiargli via tutto il sangue. Ma per farlo, occorre dividere la trasformazione in due tempi.
Il primo morso, e il secondo morso. Affinché il veleno del vampiro entri nel corpo umano morente, in modo tale d’adattarlo alla sua nuova natura.
Solo dopo due notti si può tirare via l’ultima parte di sangue umano. Il secondo morso.
Quando mi svegliai, non avevo ancora ricevuto il secondo morso.
Inutile dire che aprendo gli occhi, due notti dopo, mi ritrovai in una stanza che non era la mia. Le pareti di pietra fredda e il grande camino in marmo, mi suggerirono che mi trovavo in un grande castello. Le finestre erano coperte da pesanti tende nere, cosa che mi risultò alquanto strana. Non ne avevo mai viste di quel colore. Giacevo su un grande letto, circondato da un baldacchino dalle tende di quel macabro colore. Ero legato con i polsi a un paio di pesanti catene attaccate alla parete, e indossavo ancora la mia vestaglia da bagno. Provai a liberarmi, ma ero troppo debole. Gridai aiuto, in preda alla disperazione, per un tempo indefinito. Forse pochi minuti. O forse giorni. Avevo del tutto perso la concezione del tempo.
Solo dopo quello che a me parve un tempo infinito, comparve una figura, che con eleganza scostò lievemente quelle tende nere.
‘Ben svegliato!’ mi disse. Era lui. L’uomo che mi aveva rapito. Il vampiro.
Indossava una semplice vestaglia nera, che lo avvolgeva per intero, uniformandosi ai suoi capelli che ricadevano lisci come una cascata di tenebre sulle sue spalle. Mai come in quel momento mi parve così bianca la sua pelle. Delle piccole vene blu si intrecciavano come un reticolato appena visibile, ai lati delle sue tempie, alla flebile luce delle candele che lui stesso accese prima di parlare.
‘Mi dispiace non essermi presentato come si deve!’ Mi disse avvicinandosi velocemente, come un serpente pronto a colpire la sua preda. Uno attimo dopo era steso accanto a me. Io voltai la testa dal lato opposto. Ma lui con una mano dura e fredda come il marmo mi afferrò la mascella, costringendomi a guardarlo.
‘Non sei curioso di sapere chi sono?’ mi domandò.
‘No!’ gli risposi guardandolo dritto negli occhi blu. ‘Non voglio saperlo!’
‘Sono morto duecentocinquanta anni fa!’ disse come se non mi stesse ascoltando.  ‘Con un nome che ho perduto, morto anche esso, insieme al misero essere umano che fui un tempo! Ma nel mondo del popolo oscuro, mi chiamano Thanatos!’
Thanatos. Era quello il suo nome.
‘Non mi importa un accidente! Lasciami andare!’ gli risposi allora sconvolto.
‘Non appena ti ho visto ballare con quell’insignificante femmina da parasole ho subito capito che tu eri speciale Eros!’ disse, probabilmente si stava riferendo ad Aurora. ‘sarai un vampiro perfetto, con il viso di un angelo, e lo sguardo di un demone!’
‘Perché?’ gli chiesi ‘Perché vuoi che io diventi un vampiro?’ Ormai non avevo più dubbi sull’esistenza di tali creature. Thanatos rise in maniera agghiacciante nel sentirsi dire quelle parole.
‘Perché mi piaci! Speravo l’avessi intuito! Non credi che sia abbastanza?’
‘Io potrò anche piacerti! Ma tu a me non piaci affatto!’
‘Avrai tempo per apprezzarmi!’ si strinse a me, e cominciò ad accarezzarmi le guance con le sue dita gelide, mentre io in preda alla rabbia cercavo di voltarmi, disgustato, nel tentativo di sfuggire ai suoi occhi blu. Solo allora, mentre osservavo le sue dita stringere il mio mento, mi resi conto che aveva delle unghie lunghe e affilate.
Mi graffiò gli angoli delle labbra, per poi leccare il sangue che fuoriusciva. Aprendomi la vestaglia cominciò a darmi dei piccoli morsi, quasi fossero una cosa giocosa, affondandomi i suoi canini affilati sul petto e sulle spalle.
Solo dopo essersi divertito a farmi gemere di dolore mi afferrò la nuca, e posando le sue labbra sul mio collo, mi diede il secondo morso. Fu meno doloroso, poiché aveva già penetrato il mio collo, la volta precedente, e dato che non s’erano ancora rimarginati i fori, ruppe le piccole croste di sangue con facilità. Bevve ancora, e portando a termine la sua opera, mi diede il secondo morso. Aveva preso molto del mio sangue, e io mi sentivo debole, talmente debole, che a stento riuscivo a respirare. Allora con le unghie lunghe, si graffiò il suo collo, e piegandosi sulle mie labbra, mi costrinse a berlo. Più che berlo posso dire che mi si ingorgò in bocca senza che io facessi praticamente nessuno sforzo.
Thanatos si era fatto dei tagli notevolmente lunghi e profondi, quasi sapesse che io mi sarei rifiutato, in punto di morte, di fare una cosa del genere. Un essere umano, anche se in punto di morte, non concepirebbe mai l’idea di bere del sangue.
In ogni uomo risiede l’istinto di sopravvivenza, ma non quello nutrirsi di sangue. Nemmeno per sopravvivere.
Fu disgustosa, la sensazione del suo sangue, che mi scendeva bollente lungo la gola, e poco dopo mi staccai. Allora cominciò il dolore più forte che avessi mai provato. Il mio cuore cominciò a battere così forte che temetti sarebbe esploso. Mi sentì lacerare, come se il mio corpo si dividesse lentamente, prima in due, poi in tre fino ad arrivare a mille. Urlai, mi contorsi. Questo durò ore.
Ore di puro strazio.
Thanatos in piedi accanto a me mi guardava dall’alto, con aria soddisfatta. Nel giro di quelli che mi parvero pochi attimi, ma che in pratica furono ore, vidi l’universo crearsi, le stelle brillare, e la vita sulla Terra nascere. Il passato e il presente si fusero nella mia mente. Allora il dolore cessò, e io avevo una grande sete. Avevo sete di sangue! Non ero più umano!” concluse Eros.
Rebecca rimase immobile davanti a lui, e lo guardò negli occhi.
Nella cella delle segrete dell’ordine dei cacciatori di vampiri, calò il silenzio. La fiaccola accesa che illuminava  le pareti di pietra e il soffitto a volta, presto si sarebbe spenta. Rebecca osservò i suoi lineamenti oscurati, la testa reclinata in avanti, e lo sguardo perso nel vuoto, in chissà quale pensiero.
“Ricordi come è stata la prima volta che hai dato un morso da vampiro a qualcuno?”
“Ero diventato un vampiro? E’ questo quello a cui stai pensando Rebecca?” disse lui dopo un attimo. “Ho detto che non ero più umano! Non che mi fossi trasformato in vampiro! Avevo subito la trasformazione! Si! Avevo i canini affilati! Ma non ero ancora diventato un vampiro!” Eros sollevò il capo e la guardò dritto negli occhi.
“Thanatos liberandomi i polsi dalle catene mi aiutò a rialzarmi. Spostando le tende nere mi condusse in un bagno, dove c’era una grande vasca di marmo incastonata nel pavimento e un grande specchio che rifletteva la nostra immagine per intero. Come eravamo diversi l’uno dall’altro. Io uno spettro bianco che brillava come una stella, e lui un ombra oscura come il suo nome.
Il mio aspetto era cambiato. La mia pelle appariva più pallida e lucente. Più liscia, come se fosse ringiovanita. I miei occhi brillavano di una nuova luce, e i miei lineamenti in qualche modo si erano abbelliti. In quel momento pensai di essere veramente diventato un vampiro a tutti gli effetti. Ma mi sbagliavo.
‘Ho voglia di sangue!’ dissi, rivolgendomi a Thanatos.
Lui mi sorrise e mi prese per un braccio. ‘Bene! Allora andiamo a preparaci per la cena!’
Mi vestì con degli abiti sontuosi, tipici del nobile quell’ero, con una giacca bianca, dai ricami in oro, e un camicia di seta color crema.
Sono talmente tante, le persone a cui ho succhiato il sangue, che ogni volta che ci penso, faccio fatica e ricordare l’ultima vittima. Ma la prima… Quella, la ricordo bene! Non dimenticherò mai, il primo morso che diedi da vampiro! Non appena ebbe finito di agghindarmi, quasi fossi un suo giocattolo, Thanatos mi fece uscire dal suo castello, e mi portò in una grande città. Quella sera nella piazza più importante, c’era una fiera, ed era pieno di dame, gentiluomini, e bambini. Io e Thanatos ci mescolammo con la folla, e osservammo con cura, ognuno di loro. Thanatos rimase vicino a me per un po’ poi si diresse verso un ragazzo giovane, e iniziando a conversare con lui, lo coinvolse in uno dei suoi racconti avventurosi, poi lo prese a braccetto e se lo portò dietro la tenda di un venditore ambulante. Lo seguii per vedere come facesse. Lì lo afferrò per il collo e gli succhiò via tutto il sangue. Quando ebbe finito lo lasciò cadere al suolo. Mi guardò con gli occhi rossi e la bocca imbrattata di sangue.
‘Ora tocca a te! vedi di trovare qualcuno che ti piace!’ mi disse. A quel punto mi voltai e tornando nella piazza mi guardai intorno. Vidi una ragazza dai capelli neri, ricci. Aveva una pelle bianchissima, e uno sguardo ingenuo. Non doveva avere più di diciott’anni. Ciò che mi attirò, in realtà fu il suo profumo, delicato. Noi vampiri cacciamo così. Non badiamo tanto all’aspetto, quanto all’odore, che  si rivela anche nel sapore di una persona. Stava giocando al tiro a freccette, con un giovane della sua età, probabilmente il suo fidanzato. Lui era totalmente negato in quello stupido gioco, e  la ragazza stava superando il punteggio. A un ragazzo da sempre molto fastidio essere battuto da una ragazza, qualunque sia la competizione. Mentre cominciavano a bisticciare io mi avvicinai di spalle, e tirai una freccetta. Ovviamente la mandai al centro preciso. La ragazza si voltò subito verso di me, e nel vedermi rimase completamente ammaliata. Così io iniziai a conversare con lei, non avevo bisogno di mentire. A differenza di Thanatos che preferiva sedurre con delle storie d’avventura, a me basta essere me stesso. Ero un poeta, un musicista. Un anima fragile, tormentata e al contempo stesso sensibile, che affascinava chiunque. Il ragazzo ovviamente  s’infastidì e cercò d’intromettersi. Ma io gli feci notare che ero un aristocratico, e perciò non ebbe il coraggio di sfidarmi. La ragazza non aveva che occhi per me. Quando arrivò il momento perfetto, la trascinai dietro un albero, ai margini di un grande giardino. Cominciai a baciarla sulle labbra. Erano piccole e sottili, nulla in confronto alle labbra che desiderava da tempo. Lentamente le mie labbra scesero sul suo corpo, mentre lei si eccitava. Affondai il viso in quel collo sottile, che si gonfiava ad ogni suo respiro, e poi la morsi. I miei canini, erano giovani, e affilatissimi, non ci misi nulla a penetrarle la pelle. Gli tappai la bocca per non farla urlare, mentre lei si agitava in preda alla disperazione. Sentì il suo sangue scorrere dentro di me, mentre lo mandavo giù con un avidità che non avevo mai provato prima. Era caldo, così caldo, che mi bruciava la gola, mentre lo tiravo via.
Quando ebbi svuotato tutto il suo corpo, me la ritrovai tra le braccia, pallida, priva di vita. Sembrava una bambola. Non avevo il coraggio di abbandonarla lì in quel modo. Perciò la portai nel giardino che si trovava lì vicino, e la stesi al centro di un aiuola di fiori rossi. Le chiusi le palpebre e gli congiunsi le mani sul ventre. Poi mi inginocchiai e pregai per la sua anima, affinché andasse in paradiso. Per la prima volta in vita mia avevo assaggiato il sangue umano. Avevo usato i miei denti. Ma non ero ancora diventato un vampiro!”
Rebecca l’osservò in silenzio mentre lui rievocava i ricordi del passato. “Hai sempre fatto così d’allora?” gli domandò “Ogni volta che mordevi qualcuno pregavi per la sua anima?”
“No!” rispose Eros “Sarebbe impossibile pregare per tutti!”
“E cosa accadde dopo? Perché dici di non essere ancora diventato un vampiro?”
“A questo ci arriveremo molto presto, ma prima che ciò accadesse avvennero molte altre cose! Subito dopo aver bevuto il sangue della giovane fanciulla, mi sentii travolgere da una forza innaturale. Un potere che viene dato dal sangue umano. Tornammo al castello, e lì Thanaros mi portò giù nella cappella dei suoi antenati. C’era una bara preparata apposta per me. Lui me la mostrò, accanto alla sua, e me l’aprì.
‘Non dirai sul serio?’ gli domandai io guardandolo scettico.
‘Non ho mica intenzione di farti diventare una nuvola di polvere, appena sorge il sole, sai?’
Capii di non avere scelta. Potrà sembrare strano, ma ciò che a un vampiro fa sentire morto non è tanto il fatto che il proprio corpo sia freddo e che il cuore non batta più, quanto la quotidianità di passare tutti i giorni rinchiusi in una bara a dormire. Quello ti fa sentire letteralmente morto!
Passai così i primi giorni della mia vita da vampiro. Chiuso in una bara, a riflettere. Imparai presto che Thanatos faceva le ore lunghe e non si svegliava prima della mezzanotte. Io invece, mi destavo al tramonto, appena il sole si celava dietro l’orizzonte. Ne approfittai per volare via. Tornai a casa.
Entrando dalla finestra della mia camera, sentendomi un estraneo, nel cuore della notte, e mi incamminai come un ladro nei corridoi scuri. Andai nella camera da letto di mio padre. Si trovava seduto sulla sua poltrona, di fronte al camino. Stava piangendo.
‘Dove sei finito Eros?’ Parlava da solo. In tutti quegli anni della mia vita umana, non lo avevo mai sentito parlare a se stesso. Non lo avevo mai visto così stravolto.
Puzzava di alcol. Anche se io gli davo le spalle, ed ero distante più di due metri, potevo percepire quell’odore come se gli fossi stato addosso. Reggeva una bottiglia di Whisky nella mano, e di tanto in tanto se la portava alle labbra, piangendo.
‘Beatrice! Beatrice!’ chiamava mia madre. Furono quelle parole piante, a farmi capire che mia madre era morta. Allora mi voltai a tornai sui miei passi.
Avrei voluto dirgli tutto. Ma non ebbi il coraggio. Ero morto. E così preferì rimanere per mio padre, la figura che aveva amato. Quella umana. Tornai nella mia camera. Osservando tutto ciò che mi apparteneva, pensai di fare una valigia, per portarmi via le cose che più mi erano care. Ma guardandole mi resi conto che non mi appartenevano più. Erano oggetti di un nobile ormai scomparso. Accesi una candela e portandola verso una tenda, diedi fuoco alla mia camera. Come prima cosa diedi alle fiamme il mio ritratto di quando avevo sedici anni. Nulla doveva rimanere di me. Non volevo che mio padre si distruggesse davanti all’immagine del figlio che aveva perso.
Circondato dalle fiamme che mi costrinsero a tapparmi la bocca con il dorso della mano, mi arrampicai sulla finestra, pronto per volare via, quando voltandomi osservai il mio flauto e il mio violino, al centro di un nido di fuoco che presto li avrebbe attanagliati. Decisi di portare via solo quei due oggetti.
Rimasi alcuni momenti appostato su un albero, per controllare che la servitù si accorgesse dell’incendio, prima che si propagasse per tutta la casa. Per fortuna arrivarono dopo pochi minuti a spegnerlo. A quel punto volai via, evitando che qualcuno di loro mi vedesse.
Fu così che andai al cimitero, dove trovai la tomba di mia madre. M’inginocchia difronte alla lapide, e mi appoggia con il viso ad essa. E’ crudele pensare che l’ultima cosa che ti rimane di una persona che ami, è una lastra di marmo freddo.
Suonai il violino per lei, tutta la notte, fino all’alba, e poi lo lasciai lì, appoggiato al suo nome!”
“Ma poi sei tornato a riprendertelo!” disse Rebecca “O non ti avrei mai ritrovato, se non ti avessi sentito suonare quella notte nella foresta delle lapidi!”
Eros si fece sfuggire un lieve sorriso. “Già! Ti sei anche lasciata spogliare!”
“Solo spogliare?” gli domandò lei, ben sapendo cosa fosse accaduto.
“No!” si affrettò a correggere lui “Ti sei concessa a me, come avevo sempre sognato, ogni volta che mi chiudevo nella mia bara! Ma perché? Perché ti sei lasciata possedere in quel modo? Perché hai lasciato che ti strappassi via i vestiti, e ti possedessi su quella tavola di marmo gelida, senza opporre resistenza?”
Il silenzio calò ancora una volta nella cripta.
Rebecca s’inginocchiò difronte a lui e gli appoggiò la testa sul petto nudo.
“Perché non riesco ad ucciderti!” rispose “Perché non riesco ad ucciderti Eros? Tu puoi dirmelo?”
Eros appoggiò il mento sulla sua testa. “Perché mi ami!”
A quelle parole Rebecca si scostò istintivamente da lui, scuotendo il capo. “Non posso!”
“Come non puoi amare Evander?”
Rebecca spalancò gli occhi al sentir pronunciare quel nome. “Cosa sai di Evander?”
“Che è il più potente di tutti i vampiri! Noi lo chiamiamo il principe!”
“Lo conosci?”
“Non più di quanto lo conosca tu, Rebecca! Ma se vuoi posso raccontarti una storia che ti riguarda!”
   
 
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