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Autore: Rebecca_Daniels    30/05/2017    1 recensioni
*DISCLAIMER: i nomi sono cambiati, ma i personaggi sono chiaramente appartenenti ai One Direction"
E' il 20 Agosto 2013 quando Lexi Golder, ventiduenne londinese per adozione, quasi dottoressa in Storia e fan sfegatata dei The Rush, vede la sua vita cambiare radicalmente. Che cosa potrebbe accadere se una pazza decidesse di sparare al suo grande amore risalente alle scuole medie, nonché cantante della band di cui è innamorata, durante il red carpet per il loro docu-film? Che cosa potrebbe riservarle il destino se per una volta decidesse di fare davvero qualcosa della sua vita? - Un viaggio ironico e introspettivo nella vita di una ragazza più o meno normale che forse capirà come non basta respirare per vivere. Buona lettura & Grazie xx
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3rd February 2014




Alla fine non era andata proprio come se l'aspettava.
Quella splendida ragazza che aveva conosciuto qualche sera prima si chiamava Charlie ed era una modella per qualche stilista di cui Nate logicamente non ricordava il nome. Si era fermata anche a fare colazione l'indomani e si erano scambiati pure i numeri. Era indubbiamente bella da lasciare a bocca aperta chiunque la vedesse, tanto che nessuno dei ragazzi, eccetto Hugh, si era lasciato sfuggire l'occasione per fare commenti di ogni tipo, ma soprattutto era anche abbastanza intelligente e gentile. Sorrideva spesso, più per cordialità che per reale spirito di simpatia, ma ci si poteva parlare senza problemi, caratteristica che Nate apprezzava parecchio in una donna. Il problema era solo uno: aveva fatto una così attenta analisi di quella ragazza solo per vedere in che cosa somigliasse e in che cosa fosse dissimile a Lexi. Sapeva che era da pazzi fulminati fare una cosa del genere, ma era stato più forte di lui: ogni paio di occhi non erano mai abbastanza luminosi come i suoi, ogni sorriso non era sincero come il suo, ogni gesto non era dolce e buffo come quelli che compiva lei.
Era seduto sul davanzale dell'albergo dove alloggiavano, con una tazza di caffè tra le mani, di quelli annacquati americani perché altrimenti  i suoi nervi non avrebbero retto ancora per molto, e guardava assorto il panorama di uno spettacolare Central Park che si svegliava con le prime luci dell'alba. Anche quella notte non aveva chiuso occhio, ma non per la compagnia di Charlie, che la sera prima lo aveva salutato perché aveva un servizio fotografico a Miami e non sarebbe tornata prima di due giorni, bensì perché senza la presenza della ragazza al suo fianco, la mente di Nate era volata direttamente dall'altro lato dell'Oceano, più precisamente in un appartamento dal portone blu di Lexington Street, Londra.
Il cd era uscito da ormai tre giorni ma di Lexi nessuna traccia. Le aveva esplicitamente chiesto di dirgli che cosa ne pensasse del loro ultimo lavoro, specificando che erano per lei quelle canzoni e, sinceramente, non vedeva l'ora di sapere se avesse colto quali parlassero di lei e se avesse ricordato qualcosa. Internet l'aveva rassicurato circa il fatto che la musica aiutasse parecchio le persone affette da perdita di memoria a recuperare qualche frammento del loro passato e Nate sperava davvero che almeno quelle melodie familiari risvegliassero qualcosa in lei. Ma d'altra parte era stato lui quello a decidere di andare avanti, di cercare in un'altra donna ciò che non avrebbe mai potuto avere da Lexi, quindi non poteva e non doveva più aspettarsi  nulla da lei. Tutta la sua speranza su come le cose potessero risolversi in un istante si era oscurata, come quella nuvola che ora stava coprendo il primo timido sole di un'altra faticosa giornata newyorkese. Era come se fossero diventati due estranei, benché Nate potesse ancora sentire il calore delle labbra di Lexi sulle sue, quando gli era sembrato che anche lei ricambiasse quel piccolo contatto che per lui era tutto. Gli mancava come l'ossigeno ad una candela accesa dentro una campana di vetro: si sarebbe presto spento e non sapeva dire per quanto avrebbe continuato a resistere.
La suoneria del suo cellulare lo risvegliò da quello stato di malinconia in cui era caduto e che non faceva certo parte di lui. Lo prese e, senza osservare il mittente della chiamata, rispose.
-Pronto?
-Dimmi: ti sei bevuto il cervello tutto in un colpo lepricauno?!?!
La voce decisamente troppo alta per quell'ora della mattina di Mia gli perforò il timpano, arrivando a rimbalzare sulle pareti quasi vuote del suo cuore troppo esposto.
- Mia, che cosa stai dicendo??
- Che cosa sto dicendo io?!?! Tu devi essere imbecille sul serio, allora! Cristo, Nate!! Ma ti sei reso conto di che foto girano sul web?!?! Pensi che Lexi sia cieca?!
Ed eccola lì, chiara davanti ai suoi occhi per troppo tempo accecati da sentimenti che non riusciva a comprendere, la conseguenza delle sue azioni: si era appena giocato forse l'unica possibilità che aveva con Lexi.
Un nodo alla gola gli impedì di parlare e rispondere a quelle accuse che, per sua sfortuna, erano più che motivate.
- Non sai cosa dire eh? Non ci posso credere...
Ad essere sinceri non ci poteva credere nemmeno lui che le cose potessero andare peggio di come già stavano andando e mai come in quel momento desiderò che quel 20 Agosto non fosse mai esistito.
- Mia mi dispiace... Davvero... Io... Io non so che cosa mi stia succedendo...
- Oh, fammi un piacere Nate! Risparmiati la solita storia del “io non volevo farlo”, “è tutto un malinteso”, “non è come sembra”! Potrei prendere un aereo ed attraversare un oceano solo per picchiarti!
- Se mi porti Lexi, va bene...
Un sospiro dall'altro capo del mondo gli fece capire che non era l'unico a voler far tornare le cose come erano prima, anche se non c'era mai stato un vero e proprio “prima”: lui Lexi non l'aveva mai conosciuta davvero eppure era certo che fosse stata con lui da sempre.
- Perché l'hai fatto, Nate? Lexi ha visto le foto ed anche se non me l'ha detto esplicitamente, si vedeva lontano mille miglia che c'è rimasta male.
- Mia io non ce la faccio ad andare avanti così... Non mi posso permettere di avere questa faccia da cane bastonato quando devo esibirmi davanti a migliaia di persone. E poi ho capito che, se anche lei ricordasse quento è successo, non potremmo lo stesso avere un futuro assieme... Insomma: io sono quello che sono mentre lei è una ragazza normale... Sarebbe troppo complicato. Scusa Mia, ma devo andare... Ci sentiamo.
Chiuse la conversazione senza aspettare risposta e lanciò il cellulare sul letto, perdendosi a guardare quel grigio cielo newyorkese che non aveva alcuna intenzione di aprirsi in una bella giornata. Avrebbe voluto confessarle tutto, dirle che la verità era che si sentiva inferiore ed inadatto per lei. Era stata innamorata di Lucas per undici anni e Nate era più che convinto che non potesse offrirle nulla di paragonabile. Per di più lui era quello che era, un cantante troppo famoso che non poteva uscire per strada senza creare qualche incidente, mentre lei era una ragazza normale, di quelle che sono speciali nella loro quotidianità e che il mondo di Nate avrebbe solo rovinato.
Loro non erano due rette parallele. Per loro un momento in cui si erano sfiorati, toccati, in cui avevano addirittura colliso c'era stato, però poi non si erano trasformate in un unico percorso. Non erano destinati ad essere un tutt'uno: erano due linee incidenti che non si sarebbero mai più rincontrate. E Nate doveva andare avanti per le sue fan e per lei, che aveva messo in pericolo la sua vita per potergli permettere di continuare a vivere il suo sogno.




25th February 2014


Il tempo era passato incredibilmente lento e Lexi non sapeva più cosa fare della sua vita. Sapeva di dover tornare all'università, ma era come se qualcosa la bloccasse: era stanca di occuparsi delle vite degli altri, non le bastava più, voleva essere lei la prima a vivere qualche emozione. Eppure, tra le prediche del Dottor Lawson sul fatto che dovesse stare ancora a riposo e sulla paura di essere fermata da qualche fan per strada, Lexi non usciva di casa se non per andare a pranzo da sua madre o alle visite in ospedale. Ne aveva una quel pomeriggio per vedere i risultati della tac che aveva fatto qualche giorno prima, ma la prospettiva non l'allettava particolarmente dato che il dottore le avrebbe detto sempre le stesse cose, ovvero che anche se non si fosse ricordata nulla di quei cinque mesi, non avrebbe avuto alcuna importanza.
Stava sistemando casa, dato che Mia era corsa fuori urlando che aveva qualche importante riunione per una linea di moda sua, Lexi non aveva capito bene, e che era in estremo ritardo, quando il campanello di casa suonò. Credette che fosse di nuovo lei e che si fosse dimenticata qualcosa, così non chiese nemmeno chi fosse. Dopo tre minuti una voce familiare, ma per niente femminile, si fece udire dall'ingresso.
-Ma non ti ho insegnato a chiedere chi è prima di aprire?!
La figura non molto alta di Morgan Golder fece la sua apparizione nel salotto con una finta espressione di rimprovero dipinta sul volto leggermente più segnato dal tempo rispetto all'ultima volta in cui Lexi lo aveva visto. Non sapeva per quale arcano motivo, ma sembrava  che suo padre avesse deciso di ritornare a far parte delle loro vite, specialmente in quella di sua madre, ma come al solito Lexi si diede come giustificazione che qualcosa fosse successo durante quei cinque mesi in cui lei era stata in vacanze forzate e sperava tanto che qualcuno, prima o poi, le facesse un riassunto attendibile di tutto quello che si era persa.
Morgan si tolse la solita giacca di pelle e si passò una mano tra i capelli brizzolati, ora a spazzola: doveva ammettere che il taglio suggeritogli da Karen lo soddisfaceva parecchio e si chiese come avesse fatto senza di lei tutti quegli anni. 
-Ed io ti non ti ho mai detto che devi avvisare prima di piombare in casa di qualcuno?
Quelle parole smorzarono un poco il buon umore di Morgan , ma d'altra parte non poteva di certo incolpare Lexi per quelle parole taglienti: si era perso praticamente tutta la sua adolescenza, non poteva pretendere che le cose tornassero normali tutto all'improvviso. Si sedette sul rovinatissimo divano arancione e fece segno alla figlia di sedersi.
- Noto con piacere che la tua vena sarcastica è sempre presente.
- Quella fa parte di me, dovresti saperlo... Ah, no, scusa: tu non c'eri negli ultimi dieci anni della mia vita.
- Lexi, per favore...
Incassò nuovamente il colpo per quella frase che aveva sentito milioni di altre volte, solo che gli occhi spenti e tristi con cui Lexi gliel'aveva sputata addosso quel giorno lo fecero rabbrividire, perché nessun padre, per quanto spesso poco presente, vorrebbe sapere triste la propria figlia. Lexi si sedette sul divano, ad una distanza di sicurezza, ma lui le prese una mano tra le sue e decise che la bella notizia che era venuto a comunicarle avrebbe potuto aspettare qualche minuto. Quando si accorse che Lexi non opponeva resistenza al contatto, la guardò negli occhi per donarle quell'affetto che per troppo tempo le aveva fatto mancare.
- Dimmi la verità, pulcino: come stai?
Sentendo quello stupido nomignolo con cui la chiamava quando era piccola e voleva a tutti i costi stare sulle sue spalle per poter scoprire il mondo da un posto privilegiato, ogni muro che aveva dentro crollò e le lacrime fluirono come una cascata dagli occhi color terra di Lexi. Senza esitare un secondo, le braccia di un padre ritrovato si chiusero attorno al corpo di quella figlia che nascondeva un mondo dentro e che aveva solo bisogno dell'affetto che meritava e che non le sarebbe mai dovuto mancare. I singhiozzi divennero sempre più forti e Morgan si chiese se le persone attorno a Lexi avessero mai conosciuto la vera lei o se ne avessero saggiato solo gli aspetti che concedeva di vedere, senza mai pretendere altro.
- Ehi pulcino, respira... Dimmi cosa c'è che non va... Io sono qui... Sono qui davvero e non me ne vado.
Il petto di Lexi si alzò per trarre un respiro più profondo e riemergere da quell'abbraccio inaspettato e per questo, forse, così prezioso. Cerò di asciugarsi la faccia e tirò sul col naso in quella maniera infantile che aveva sempre fatto sorridere Morgan, arricciando quel naso a patatina che aveva ereditato da lui, concedendosi un mezzo sorriso quando lui le poggiò una mano grande e rassicurante sulla gamba accoccolata sul divano.
- Rimani per davvero questa volta?
Quello sguardo carico di speranza fece stringere il cuore dell'uomo in una stretta micidiale fatta di rimorsi e senso di colpa, che si sciolse quando si rese conto di avere un'altra possibilità e che non l'avrebbe sprecata per nulla al mondo.
- Sì, Lexi, per davvero... Ed ho intenzione di chiedere a tua madre di sposarmi... Di nuovo.
Lo sapeva perfettamente che aveva appena lanciato una bomba nel bel mezzo del salotto di casa di Lexi, lo capì dal suo silenzio attonito e dalla sua espressione incredula. Temette di aver sbagliato a dirglielo così presto, che forse avrebbe dovuto aspettare il suo perdono completo, se mai l'avesse ottenuto, ma amava Karen come mai prima in vita sua e non poteva resistere senza saperla sua per sempre. Per davvero, questa volta. Due braccia troppo esili rispetto all'ultima volta che l'aveva stretta tra le sue braccia, due mesi prima, gli cinsero il collo, sommergendolo in abbraccio inaspettato che lo lasciò senza fiato, specialmente quando quelle poche parole gli arrivarono alle orecchie.
- Oddio!! Sono così felice per voi!! Lo sapevo che sarebbe successo, lo sapevo!!
E pianse di nuovo Lexi, questa volta di gioia, perché per tutta la sua adolescenza aveva sperato che i suoi genitori tornassero assieme, che ammettessero entrambi di aver commesso uno sbaglio perché quando la sera Karen le dava il bacio della buona notte e le assicurava che un giorno il principe azzurro sarebbe arrivato, le si velavano gli occhi di lacrime al ricordo di come la vita l'avesse fatta allontanare dal suo di principe. Fu un attimo, ancora tra le braccia di quell'uomo che era tornato ad essere a tutti gli effetti suo padre, con gli occhi chiusi ed un pensiero che non si ricordava di aver mai fatto prima di quel momento, ma che invece sembrava appartenerle. Era di nuovo in quel tunnel e la sua mente le diceva questo:
“...Io voglio avere un amore come il loro... E' questo quello che sto cercando da una vita... Non importa cosa la vita ti porti a fare, gli errori che tu possa commettere, le strade sbagliate che tu possa intraprendere... Loro si ameranno sempre... Anche io voglio un'amore così...”.
Lexi scrollò leggermente la testa per togliersi di torno quel pensiero che non credeva di aver mai formulato e decise che non le sarebbe importato nulla di quello che il Dottor Lawson le avrebbe detto quel pomeriggio: lei voleva ricordare quei cinque mesi e nulla l'avrebbe fermata.
Si fece accompagnare da Morgan alla visita, dato che si era offerto volontario, ma entrò da sola nello studio del dottore poiché che non aveva detto ancora a nessuno di quei flash che stavano diventando sempre più insistenti.
-Oh, ciao Lexi! Prego, accomodati pure... Allora: come va oggi?
Seduta in quello studio di un bianco accecante e terribilmente asettico, Lexi si chiese se a quella domanda sarebbe mai riuscita a rispondere anche solo con un semplice “bene”, ma si era risvegliata da un coma di cinque mesi, quindi aveva delle buone speranze.
-Diciamo che và. Oggi, addirittura, stavo parlando con mio padre e mi è come sembrato di pensare una cosa che sapevo di non aver mai pensato, o almeno non da sveglia. L'espressione indecifrabile del dottore fece preoccupare parecchio Lexi, quando invece, quel misto di irritazione e di insofferenza era dato solamente dal fatto che avesse appena nominato l'uomo che gli aveva rubato Karen, anche se rubato forse non era il termine più corretto, considerando che si trattava del suo ex marito. Ad ogni modo si costrinse ad essere il più professionale possibile e prese in mano la Tac che aveva prescritto a Lexi qualche giorno prima.
-Credo che sia normale Lexi. Ho qui i risultati della Tac e...
-Sto impazzendo?!
-Ma no!! Cosa dici?! No, che non stai impazzendo Lexi, anzi, a quanto pare il tuo cervello si sta dando un gran da fare per ricordare.
“Io sto cosa? Fermi tutti: questo significa che tutti quei flashback sono...?”.
-Sì, Lexi, hai capito bene: quelli che tu definisci flashblack non sono altro che ricordi dei cinque mesi che hai passato in stato di coma vigile. Sembrerebbe proprio che la tua mente voglia a tutti i costi riappropriarsi di quei pezzi del tuo passato e a questo proposito, vorrei consigliarti di...
La voce del dottor Lawson divenne solo un sottofondo lontano ed indistinto che non arrivava più alle orecchie della ragazza, ormai persa nella sua bolla di congetture e domande a cui dare risposta. 
“Quindi quella voce, quelle canzoni e quei pensieri sono miei... Li ho vissuti davvero... Io non ero sola in quei mesi... Ma allora: chi c'era al mio fianco? E' come se dovessi saperlo, se fosse sulla soglia della mia memoria, ma continuasse a nascondersi...”.
-Lexi? Lexi, mi stai ascoltando?
-No, mi scusi dottor Lawson... Cioè, Andy: è solo che fa strano pensare di potermi ricordare quello che è successo mentre il mio corpo era come morto.
-Beh, come stavo cercando di spiegarti, non otterrai mai delle immagini nitidissime di quello che hai vissuto, ma alcune sensazioni, le voci, magari qualche frase o qualche odore potrebbero tornare a farti visita. Ad ogni modo credo che dei farmaci possano risolvere la situazione... Metteranno tutto a tacere.
-E se io volessi ricordare?
L'espressione piuttosto infastidita e quasi compassionevole che ricevette come risposta non le piacquero per nulla, ma rimase comunque ad ascoltare.
-Lexi, sinceramente, non credo che ti possa portare qualche giovamento ricordare quei mesi. Sei ancora fisicamente debole, il tuo cuore ha subito due attacchi cardiaci nell'arco di pochissimo tempo e tutte quelle emozioni ti debiliterebbero e basta. Lascia perdere, lo dico per la tua salute.
“Quella di cui non mi sono minimamente curata quando ho deciso di prendermi una pallottola in piena spalla per salvare la vita ad un ragazzo con cui non ho praticamente mai parlato? Direi che spetta a me decidere che cosa farne...”.
-Fidati di me Lexi. So cos'è meglio per te.
Sapeva perfettamente che a Mia quel dottore non stava per nulla simpatico, e sinceramente stava cominciando anche a capirne le motivazioni: tutto quello che diceva lui doveva essere oro colato e la cosa le dava parecchio fastidio. Nessuno poteva sapere cosa fosse meglio per lei, dato che Lexi stessa non ne aveva la più pallida idea. Salutò l'affascinante ed irritante dottore ed uscì dal suo studio alla ricerca di Morgan, che però non vide. Si guardò un po' intorno, fino a quando non si accorse che appoggiata sullo stipite dell'ambulatorio poco lontano da dove si trovava lei, c'era una signora tutta intenta a sorriderle. La vide avvicinarsi nella sua direzione, tanto che Lexi si chiese se fosse il caso di scappare a gambe levate: ma era un'infermiera, quindi almeno in teoria si poteva fidare.
-Ciao Lexi. Ti ricordi di me?
Altro sorriso enorme e qualcosa scattò nella sua testa: di nuovo lo stesso nero, di nuovo quel tunnel e una voce identica a quella che aveva appena udito che la salutava, proprio nello stesso modo tranquillo e al tempo stesso allegro e pieno di vita. Poi la sensazione di qualcosa a sfiorarle il dorso della mano, delle dita paffute e leggermente segnate dagli anni, ma calde, terribilmente calde ed accoglienti, quasi materne. Lexi riaprì gli occhi e si trovò a fissare quelle stesse mani che aveva appena sentito, che toccavano realmente le sue. Non seppe perché ma una lacrima scese dispettosa sulla sua guancia, portandosi dietro un po' di mascara. L'infermiera dal volto sorridente e gentile, con due meravigliose fossette ai lati della bocca solcata da qualche ruga, le asciugò il viso e l'accompagnò a sedersi sulle sedie dove, fino ad una mezz'ora prima, era seduto Morgan.
-Sono Sarah... L'infermiera che ti seguiva quando eri qui.
-Sì, mi ricordo di lei... O meglio, la mia testa vorrebbe ricordarselo ma io non so come aiutarla... Mi scusi, non volevo disturbarla, stavo solo cercando mio padre.
La donna sorrise di nuovo e Lexi non poté far altro che lasciarsi contagiare dalla tranquillità che trasmetteva: chissà se magari le aveva fatto lo stesso effetto quando era in coma.
-Stai tranquilla, Lexi: ne ho passate di peggio con te! Tuo padre è andato un attimo a prendersi un caffè dato che non uscivi più e mi ha chiesto di dirtelo... Ma ad ogni modo: come stai tu?
Quella donna sembrava interessata davvero a sapere come andassero le cose e Lexi si sentì libera di rispondere senza nascondere nulla.
-Non molto bene a dire il vero. Spesso mi capita di avere dei balckout al cervello che mi fanno ricordare cose che io non penso di aver mai fatto e il Dottor So Tutto Io Fidati Della Mia Super Intelligenza Lawson dice che dovrei prendere dei farmaci per far smettere tutto, perché sono troppo debole per ricordare... Ma io voglio farlo! Voglio sapere che cos'è successo in quei mesi! Ho come l'impressione che lì ci sia la chiave per riprendere in mano la mia vita... Starà pensando che sono pazza, vero? Sa che le dico: che, forse, ha pure ragione. Sono pazza o comunque non normale...
L'espressione che Lexi si sarebbe aspettata di scorgere sul viso della donna era fatta di compassione, di preoccupazione in parte e per lo più di pena, ma non vi lesse nulla del genere. La stava guardando come se la capisse e le desse ragione, come se sapesse più di quanto le stava per dire ma qualcosa la trattenesse dal rivelarle tutto.
-Essere “non normali”, come dici tu, non è un difetto Lexi, anzi. È qualcosa di cui andare fieri. E credimi se ti dico che non sei pazza... Sai cosa credo? Credo sia il caso che tu vada da uno psicologo, in modo che tu riesca ad imparare a gestire questi episodi, senza che ti vengano attacchi di panico o forti emicranie e magari potresti anche ricordare qualcosa e trovare la chiave di cui parli... Tieni: questo è il numero di una mia cara amica che potrebbe aiutarti. Fidati di te stessa, Lexi. So che ce la puoi fare. Avrebbe voluto chiederle come potesse esserne così sicura, come facesse a sapere così tante cose su di lei, ma la voce di Morgan le impedì ulteriori domande.
-Ah sei qui! Allora com'è andata?
-Bene... Sì, bene...
La risposta distratta di Lexi fece voltare Morgan in direzione della simpatica infermiera che con un sorriso sempre rassicurante gli disse:
-Credo che sia stanca. E' meglio che tu vada a casa Lexi. Ci vediamo... E buona fortuna.
Le strinse per un'ultima volta la mano e a Lexi sembrò che quel gesto avesse fatto parte della sua routine per molto tempo, tanto naturale le era parso. Uscì dall'ospedale con la testa da un'altra parte e si fece riaccompagnare a casa da Morgan, con in borsa un bigliettino da visita che diceva “Dottoressa Athena Lang, psicologa e psicoterapeuta”, impaziente di poterla chiamare e prendere il primo appuntamento.
Non salutò nemmeno Mia, che era tutta concentrata sulla sua macchina da cucire, immersa in chilometri di tessuto saten fucsia che avrebbero fatto venire il voltastomaco persino a Lady Gaga e si diresse a passo svelto in camera sua, dove prese il cellulare dalla borsa assieme al piccolo cartoncino color panna e fece un bel respiro profondo. Doveva sistemare la sua vita e quello era un buon modo per cominciare.
-Pronto? Studio della Dottoressa Athena Lang, con chi parlo?
La voce decisamente troppo gioiosa e alta per una donna che Lexi aveva immaginato filiforme, impassibile ed alquanto elegante, le fece cambiare idea, tanto che una figurina rubiconda e solare, con dei capelli sale e pepe ricci, si fece spazio nella sua mente iperattiva, dandole ulteriore conferma di come avesse bisogno di parlare con qualcuno di qualificato.
“Mi ricorda tanto l'infermiera che ho incontrato prima in ospedale.. Come ha detto di chiamarsi? Simone? No... Aspetta...”.
-Pronto?? C'è qualcuno?!
“Sarah! Ecco come... Oh, devo rispondere!”.
-Sì, sì... Ci sono!
-Oh bene... E il tuo nome è...?
-Lexi! Lexi Golder, per la precisone.
-Oh mio dio! Io ti conosco... Cioè non te personalmente, ma conosco la tua storia! Allora Lexi, cosa ti spinge a chiamarmi?
Per una frazione di secondo ebbe come l'impressione che farsi analizzare da una persona che non sembrava essere tanto più “normale” di lei non fosse una grande idea, ma era stanca di essere quella normale o di cercare di esserlo, quindi decise di fidarsi della donnina rubiconda e dal sorriso rassicurante che si era piazzata nella sua testa.
-Vede, io vorrei prendere appuntamento per parlare con lei... Un'infermiera, si chiama Sarah, mi ha dato il suo numero e mi chiedevo se...
-Certo che sì! Cara Sarah: è da un po' che non ci sentiamo, forse perché l'ultima volta che ci siamo viste l'ho letteralmente lasciata in mutande, giocando a poker! Ad ogni modo, hai detto che vorresti fare quattro chiacchiere con me: molto bene! Che ne dici di dopodomani??
Non si era aspettata così poco preavviso, ma l'aveva detto lei stessa che voleva cominciare a sistemare la sua vita, quindi tanto valeva mettersi subito a lavoro.
-Va bene, perfetto... A dopodomani, allora.
-Alle dieci! Ti aspetto Lexi! Baci!!!
La telefonata terminò così in fretta che quando Mia sbucò con la testa dentro la camera per chiedere con chi stesse parlando, Lexi aveva già messo via il cellulare, facendo finta di nulla.
-Con nessuno... Stavo solo pensando ad alta voce che forse è giunto il momento di togliere un po' di poster dalle pareti.
Non era ancora pronta per dire a qualcuno, anche se si trattava di Mia, che voleva andare da una psicologa, ma forse era davvero pronta per togliere almeno dalla sua camera ogni evidenza della Lexi passata.
- E allora che l'operazione Disinfestiamo Questa Camera abbia inizio!!!
- I miei poster non sono dei parassiti!
- Fidati: quelli che ci sono fotografati sopra sì! Quindi, mettiamoci al lavoro!!




27th February 2014


Se qualcuno avesse detto a Lexi che si sarebbe trovata a ventidue anni, in una freddissima mattinata di fine febbraio, a suonare il campanello dello studio di una psicologa  che l'avrebbe aiutata a gestire i postumi alquanto strampalati di un coma durato cinque mesi, non gli avrebbe mai creduto. Ma a quanto sembrava, la vita aveva parecchie sorprese in serbo per Lexi, proprio a partire dallo strano personaggio che andò ad aprirle la porta. Era almeno quindici centimetri più bassa di Lexi, il che la faceva assomigliare molto ad un australopiteco, almeno questa fu l'immagine che si piazzò nella sua mente appena la vide affacciarsi con quel viso rotondo e sorridente. Più che una psicologa le diede tanto l'impressione di essere una di quelle cuoche che lavoravano negli asili pubblici, abbastanza robusta, con un sorriso stampato sul viso roseo e rubicondo, un paio di occhialetti arancioni appoggiati sul naso e sorretti da una cordicella di perline, con uno chignon di capelli biondi decisamente scompigliato. Bastò un sorriso più accennato quando riconobbe chi fosse la nuova arrivata e a Lexi stette già simpatica.
Era sempre stato così: le persone o le piacevano a pelle oppure avrebbero avuto parecchie difficoltà a farle cambiare idea.
-Buongiorno cara! Tu devi essere Lexi! Eh sì: ho visto un sacco di tue foto sui giornali, ma nessuna ti rende davvero giustizia: sei splendida, davvero! Ma vieni dentro, su, che fuori si gela...
La signora Athena Lang non le lasciò nemmeno il tempo di imbarazzarsi per quei complimenti decisamente inaspettati, che le fece strada verso l'interno del suo studio: era una stanza accogliente, di dimensioni modeste a cui si accedeva dopo un breve corridoio pieno di quadri che riportavano le lettere A.L. come firma.
“Quindi è anche una pittrice... Andrebbe d'accordo con Zach. Ma che diamine sto pensando?”.
La luce aranciata che si dipanava da due lampade ai lati della stanza, rendeva quell'ambiente raccolto molto simile ad un nido e la cosa piacque parecchio a Lexi che, senza esitazione, ad un cenno della donna sorridente, si accomodò su una delle comode poltrone damascate che occupavano gran parte della stanza. Una piccola scrivania piena di fogli, libri e cd cercava di ricavarsi un po' di spazio vicino alla parete di sinistra, mentre un tappeto morbido si stendeva per metà stanza, invogliando a togliersi le scarpe e i calzini, per sentirne la consistenza con i piedi. O almeno Lexi l'avrebbe fatto volentieri. Una musica di sottofondo, fatta di rumori della foresta e scosciare di ruscelli, si diffondeva per lo studio, evitando che i silenzi diventassero troppo pesanti da sopportare o imbarazzanti, facendo rilassare immediatamente Lexi che la mancanza di parole non l'aveva mai sopportata molto, perché la lasciava sola con i suoi pensieri, il più delle volte a dir poco pericolosi.
-Allora Lexi, ti piace qui?
“In che senso se mi piace qui? Perché se non mi piacesse il suo studio cosa farebbe: lo cambierebbe per me??”.
-Ci stai pensando troppo. Qui esiste solo una regola: dire sempre e solo quello che si sente... Senza riflettere se sia giusto o sbagliato, quello si impara a farlo dopo, prima è necessario sapere che cosa si ha dentro per sistemarlo.
Era lì da meno di cinque minuti e si era già resa conto di aver sempre sbagliato tutto nella sua vita: neanche male come inizio.
-Sì, mi piace. E' accogliente...
-Puoi sederti come vuoi, l'importante è che tu stia comoda... Puoi anche toglierti le scarpe. Ho visto che il mio tappeto persiano ti attira parecchio.
La dottoressa Lang era seduta di fronte a lei, un po' sprofondata nella vecchia poltrona, con i suoi pantaloni neri e la tunica dello stesso arancione degli occhiali, gli abiti leggermente spiegazzati per quella posizione, eppure risultava perfettamente a suo agio e dal tono con cui l'aveva detto, Lexi intuì che quel tappetto fosse sul serio suo e che l'avesse comprato in qualche mercatino del Medio Oriente, durante un meraviglioso viaggio alla ricerca di sé stessa. Facendo quello che le aveva detto la dottoressa, Lexi si tolse le scarpe, tastò un poco la morbidezza di quel tappeto che era batuffoloso esattamente come se l'era immaginato e poi incrociò le gambe sulla poltrona, prendendo un enorme cuscino che era appoggiato sullo schienale per portarselo in grembo. Così si sentì perfettamente a suo agio e, stranamente, al sicuro.
-Allora Lexi, vuoi sapere che cosa so io di te?
Dalla sua espressione sorpresa, Athena si rese conto che la giovane ragazza che le sedeva di fronte, protetta sotto ogni punto di vista, sia fisico che emotivo, da cuscini e barriere di delusioni e paure, non si aspettava un approcciò così diretto ma con lei le cose funzionavano in quel modo: le persone che parlavano con lei non erano pazienti, ma individui con una storia e con quasi sempre la consapevolezza che chi gli stava di fronte avesse già un'idea ben formata su di loro. Invece Athena voleva conoscerli per come si vedevano loro e poi fargli capire che cosa fossero realmente. All'epoca, aveva funzionato anche con lei che, in quel momento, si rivedeva parecchio nel sorriso cordiale e negli occhi spenti di Lexi.
-Sì, credo di sì...
Si tolse gli occhiali da lettura dal naso a patata e lasciò che penzolassero sul tessuto morbido della tunica che indossava e che aveva comprato su una bancarella in uno dei tantissimi mercatini che aveva visitato ed amato a Mumbai, quando ancora si chiamava Bombay.
-Vediamo un po': so che hai ventidue anni compiuti a Novembre, che sei del segno dello scorpione, che ti mancano pochi esami per laurearti in Storia, che la tua migliore amica si chiama Mia, che i tuoi colori preferiti sono l'arancione e il verde, che lavoravi part-time in una piccola libreria a Nothing Hill...
Fino a quel punto aveva detto solo cose vere e che non potevano essere messe in discussione, tanto che Lexi non si sentì per nulla esposta nell'udirla snocciolare tutti quei fatti che la riguardavano, ma la parte difficile doveva ancora arrivare.
-So anche che i tuoi genitori si chiamano Karen e Morgan, che si sono separati quando tu eri una bambina e che tuo padre si è messo assieme ad una ragazza molto più giovane, allontanandosi da te e da tuo fratello David quasi definitivamente... So che non hai molte amiche, anzi, che la sola persona con cui hai qualche tipo di rapporto un poco più stretto è Mia e che sei irrimediabilmente persa per una band che si chiama The Rush e per cui hai rischiato la vita, pur di salvare la loro... Ho detto bene?
Vedersi servire un quadro così schietto e ben poco indorato della propria vita avrebbe fatto male a chiunque, ma a Lexi sembrò quasi una pugnalata in pieno petto: non era più molto sicura di aver preso la decisione giusta ad andare lì. Si limitò ad annuire, con una sorta di nodo alla gola che premeva per soffocarla e costringerla a buttare fuori ancora quelle lacrime che ultimamente aveva visto scorrere troppo spesso sul suo viso, mentre era in presenza di altre persone.
-Quello che non so e che mi piacerebbe capire è perché...
Già: perché?
Era il quesito che sempre aveva tormentato Lexi, che aveva passato praticamente tutta la sua vita a chiedersi che cosa ci facesse lei su quel pianeta che tutti chiamavano terra e sembravano capaci di sfruttare al meglio, quando lei, invece, riusciva solo a stare lì e guardarli vivere. Eppure, in quel momento, le parve come se quella domanda gliel'avesse già posta qualcun altro, ma non riusciva a ricordarsi chi e soprattutto quando.
-Vuole sapere il perché di cosa?
Non ricevendo risposta dalla donna di fronte a lei, ma solo un ostinato silenzio di attesa, Lexi sentì una chiara sensazione di fastidio farsi largo dal profondo del suo stomaco e finalmente la riconobbe: era frustrazione e di nuovo le sembrò di conoscerlo in ogni sua sfumatura quel sentimento, così lasciò che le parole uscissero da sole, senza alcun tipo di freno, incurante delle conseguenze che avrebbero potuto avere.
-Vuole sapere il perché non abbia altre amiche oltre a Mia? O perché abbia ricominciato a parlare con mio padre solo un mese fa? O perché non abbia mai avuto un ragazzo serio? O perché mi sia gettata su quel proiettile senza pensarci due volte? Lo vuole veramente sapere?
Il tono della sua voce si era inevitabilmente alzato ed una serie incessante di lacrime calde aveva cominciato a scorrere sulle sue guance, ma Lexi non se ne curò, troppo presa dalla frenesia di poter cavalcare l'onda di quella possibilità di dire le cose come stavano veramente, per la prima volta, anche a sé stessa.
-Perché non sapevo che cosa significasse vivere e non mi importava nulla se avessi smesso da un momento all'altro.
Ecco: l'aveva detto ed improvvisamente si sentì più leggera.
Il  macigno di quel segreto inconfessabile si era appena tolto dal suo cuore per cadere pesantemente sul prezioso e morbido tappeto persiano della dottoressa Lang. Non era abituata ad avere tutto quello spazio dentro di sé e la cosa la spaventò a tal punto che dovette stringere più forte al petto il grande cuscino damascato che teneva in grembo, cercando di non far scivolare fuori i pezzi rimasti del suo cuore. Era esposta come mai prima d'allora ed aveva paura che le cose potessero scivolarle delle mani, perché aveva seriamente pensato che tutto quel dolore e quella frustrazione potessero annientarla un giorno o l'altro, eppure era riuscita a buttarli fuori.
-Perché non ti importava?
La voce della dottoresse Lang arrivò bassa e carezzevole alle orecchie di Lexi, che però era già persa nel solito turbinio di pensieri che la lasciava affaticata e priva di speranza, ma decise quella volta di seguirlo ad alta voce, rispondendo magari anche alla domanda che le era stata posta.
-Alle volte mi sembrava davvero che non avesse importanza se io mi fossi alzata dal letto oppure no, come se tanto il mondo sarebbe andato avanti lo stesso, indipendentemente se io avessi respirato ancora o no... Ho sempre vissuto nell'ombra, sono stata innamorata di Lucas, uno dei The Rush, per undici fottutissimi anni e vorrei tanto dire che mi sono buttata su quella pazza solo perché lo amavo alla follia e avrei dato la mia vita per lui... Anzi, magari mentre lo facevo pensavo pure una cosa del genere, ma se ora mi fermo a rifletterci su, so perfettamente che non l'ho fatto per quello... So che ho visto gli sguardi terrorizzati di tutti, le cose che andavano a rallentatore e nessuno che pensava di fare qualcosa di utile e poi... Poi...
Le lacrime divennero troppe persino per lei che ne aveva versate parecchie in quei ventidue anni di vita, ma sempre di nascosto da sguardi indiscreti o amichevoli. Quello era il suo segreto.
Una scatola di fazzolettini di carta comparì di fronte ai suoi occhi appannati e, quando alzò la testa, un sorriso rassicurante e straordinariamente comprensivo si prese cura di quel momento difficile.
-Grazie.
Dopo averne presi un pochi ed essersi calmata un attimo, con ormai il naso rosso e le palpebre belle gonfie, Lexi riprese a far fluire quel torrente impetuoso di considerazioni ed emozioni che la stava sommergendo da troppo tempo.
-Ho solo pensato che così qualcuno si sarebbe accorto di me e che avrei finalmente fatto qualcosa di utile con la mia vita...
Ed eccola là: la consapevolezza che non si fosse mai sentita abbastanza, che non avesse mai fatto abbastanza, che non fosse semplicemente all'altezza della vita.
“Wow... E' strano. Mi sento vuota... Ora basta solo che non mi rivolga un qualche sguardo di compassione o pena perché non so come potrei reagire... Non sono emotivamente stabile al momento, o forse non lo sono proprio mai stata...”.
Invece quello che si trovò davanti furono due occhi nocciola molto simili ai suoi, solo più maturi e sicuri che le cose si sarebbero sistemate, certi che lei ce l'avrebbe fatta. Le ricordarono per contrasto quelli di Lucas, il giorno della sparatoria: della stessa identica tonalità, ma così diversi per tutte le emozioni di puro terrore e stupore che vi aveva letto dentro. Era riuscita a conquistarsi la sua attenzione quella volta, ma non era bastato per farlo innamorare di lei e ad essere sinceri, Lexi si rese conto che non era nemmeno quello che voleva davvero.
-Ti sei resa conto che hai sempre parlato all'imperfetto? Come se fosse una cosa passata, che non ti riguarda più o che, comunque, stai cercando di superare?
Lexi non ci aveva fatto minimamente caso, ma la dottoressa Lang aveva ragione, su più fronti: non solo aveva parlato al passato perché quegli eventi erano accaduti ormai sei mesi prima, ma perché non le sembrava più di essere quella ragazza, la stessa che aveva pensato quelle cose. Non che avesse cominciato a vivere la sua vita ogni giorno come se fosse l'ultimo, forse quello non sarebbe mai riuscita a farlo, ma le cose stavano cambiando e poteva benissimo sentire il ritmo potente di una marcia incessante dentro di lei.
-Lexi, quello che senti dentro è giustissimo. Quel senso di frustrazione dato dal sapere, dentro di te, che potresti fare e dire molto di più e, perché no, anche meritare di più, mentre invece non fai altro che vedere le occasioni andarsene senza che tu le abbia colte, è giusto... Ma credimi se ti dico che le cose non saranno sempre così. Arriverà il momento in cui pretenderai di creartelo il tuo posto in questo mondo e non aspetterai che sia qualcun altro ad affidartelo... Il momento in cui non avrai più paura di provare qualcosa di diverso da un amore platonico e ti lascerai andare ad un sentimento vero, fatto di mani che si intrecciano e di sguardi capaci di perdersi l'uno nell'altro... E sinceramente credo che questo momento sia arrivato per te. Non in tanti avrebbero rischiato la loro vita per salvare quella di qualcun altro, senza ottenere nulla in cambio, perché anche se in quell'istante ti interessava poco della tua persona, credimi che quasi nessuno si sarebbe messo tra quella pallottola e quei ragazzi. Lexi, tu hai deciso che la tua vita era meno importante della loro e questo è un segno di grande spirito di sacrificio e di abnegazione, entrambe qualità che ora sono difficili da trovare... Hai salvato loro per salvare la vita di migliaia di ragazze che come te li supportano, permettendo che i loro sorrisi illuminassero ancora le vite di quelle giovani donne... Sì, mi sono informata se te lo stai chiedendo ed è per questo che sono convinta che ogni persona lì fuori vorrebbe ringraziarti per ciò che hai fatto e non si dimenticherà mai di te. Io non dico che si debba sventare un omicidio per essere ricordati e fare qualcosa della propria vita, ma tu l'hai fatto e questo ha segnato solo l'inizio della nuova persona che puoi essere Lexi... Le persone a cui vuoi bene e che ti vogliono bene ti ricorderanno comunque, perché sei una ragazza speciale e te lo si legge negli occhi brillanti che hai... Devi solo imparare a non aver paura di provare, perché solo se ci si tenta si rischia di riuscire. Ed in ogni caso, il tentativo sarà valsa tutta la tua vita.
Forse non era molto professionale, ma Athena non era mai stata professionale un solo giorno della sua vita da psicologa, o almeno non come se lo aspettavano i manuali che per anni aveva studiato, così lasciò che quella ragazza dai lunghi capelli castani ed un sorriso dolce e contagioso, si alzasse dalla poltrona su cui si era nascosta e l'abbracciasse come se le avesse appena salvato la vita.
-Grazie... Davvero...
Stava ancora piangendo Lexi, ma erano lacrime di sollievo, come se davvero le cose da quel momento sarebbero potute andare meglio. Magari qualcuno, fra un paio di secoli, avrebbe studiato la sua vita come lei amava fare con i personaggi che riempivano i suoi testi dell'università. O magari sarebbe rimasta nel cuore di chi l'aveva conosciuta davvero e sinceramente cominciava a pensare che le sarebbe bastato quello.
Si sciolse da quell'abbraccio a dir poco inusuale per una persona come lei che dava veramente poca confidenza agli estranei, ma si disse che quella era la vecchia Lexi e che ora bisognava cominciare tutto da capo.
-Allora Lexi, che ne dici di parlarmi un po' di questi flashback che ogni tanto vengono a farti visita?
Trascorsero la seguente ora a parlare di tutto quello che Lexi era riuscita a ricordare e a come si sentisse durante e dopo quei momenti di alienazione dalla realtà. La dottoressa Lang le insegnò qualche semplice tecnica di rilassamento da attuare qualora i flashback la sconvolgessero più del dovuto e le disse che si sarebbero trovate la settimana successiva per imparare come gestirli al meglio.
Quando Lexi uscì dal piccolo ed accogliente studio della dottoressa, l'aria fredda di fine febbraio che minacciava neve le sferzò impietosa il viso ancora leggermente arrossato dal pianto, ricordandole come la vita vera fosse un pochino più difficile di quanto potesse sembrare dentro quelle quattro mura sicure. Vide un gruppo di ragazze che stava passando sul marciapiede dall'altro lato della strada ed il suo primo istinto fu quello di nascondersi, perché non era ancora abituata a tutte quelle attenzioni da parte della gente, ma i suoi tentativi di mimetizzazione con l'asfalto non ebbero grandi risultati, tanto che il gruppetto cominciò a confabulare e poi a farsi strada verso di lei. Sarebbe potuta scappare, come faceva quasi sempre, oppure smetterla di essere così paurosa e provare qualcosa di nuovo.
“Se le cose si fanno difficili posso sempre dire che ho un impegno e scappare...”.
Prese un profondo respiro e sorrise alle cinque ragazze di circa diciassette anni che aveva di fronte: poteva farcela.
-Tu sei Lexi Golder, vero?
Chiese una di loro, forse quella più intraprendente.
-Sì, sono io...
-Oddio ciao!!
-Ciao. Piacere di conoscervi ragazze...
-Piacere nostro, Lexi!!!
-Oddio non ci credo!
Un turbinio di mani da stringere e guance da baciare si fiondò su Lexi che cercò di gestire la cosa al meglio delle sue possibilità da imbranata cronica quale era.
-Posso chiederti una cosa?
Quella più intraprendete riprese la parola, guardandola dritta negli occhi. I suoi erano di un verde salvia molto simile a quello di Hugh. Era pronta per rispondere ad una domanda sull'incidente? Non l'avrebbe mai scoperto finché non avesse provato, quindi fece segno di sì con la testa.
-Perché l'hai fatto? Insomma: capisco che ti piacciano, ma diamine hai rischiato la tua vita per loro!
“Magari evitiamo tutta la parte del non mi interessava molto della mia vita e del volevo essere ricordata, e teniamoci sul soft...”.
-Perché non era giusto che migliaia di ragazze si trovassero senza un motivo per sorridere solo per la pazzia di una persona.
Ed era così. Davvero.
-Grazie Lexi!
Un paio di braccia magre si allacciarono al suo collo e la strinsero con così tanta gratitudine che credette di poterne rimanere soffocata, ma era una sensazione bellissima che Lexi non aveva mai provato e che la faceva sentire viva sul serio. Non poté far altro che sorridere Lexi, mentre scattava un selfie con quelle ragazze, mentre le salutava e mentre guidava verso il suo appartamento dal portone blu in Lexington Street. Sorrideva alla vita e sentiva che, forse, quella poteva anche essere chiamata felicità.





Hi sweethearts!
Capitolo a dir poco lungo (praticamente tutto febbraio) ma volevo che poteste vedere i passi avanti che sta facendo Lexi. Ho scritto questa parte ormai tre anni fa e vi assicuro che le lacrime sono scese nonostante sia passato così tanto tempo... Lexi è uno dei personaggi a cui sono più legata tra tutti quelli di cui ho scritto e spero sul serio che possiate volerle almeno un po' del bene che le voglio io ^^
E se da una parte abbiamo una Lexi che rimette assieme i pezzi della sua vita (salutiamo Morgan e la notizia shock del matrimonio O.O'), dall'altra abbiamo Nate che sembra trovare particolarmente interessante il disfare completamente quello che ha. Un po' i suoi timori nel portare Lexi nel suo mondo sono comprensibili, ma non so se del tutto giustificabili. Voi che ne pensate?
Grazie mille per aver letto fin qui e per le preziosissime recensioni **
A presto (spero)
Lots Of Love xx
  
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