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Autore: Elison95    16/06/2017    1 recensioni
‘ 𝓅𝑒𝓇 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝑒 𝑔𝓁𝒾 𝓊𝑜𝓂𝒾𝓃𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝓅𝑒𝒸𝒸𝒶𝓉𝒾 𝒾𝓃𝒻𝒾𝓃𝒾𝓉𝒾
𝒹𝒾𝑜 𝓂𝒾 𝒽𝒶 𝒹𝒶𝓉𝑜 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒶 𝓅𝑒𝓁𝓁𝑒 𝒸𝒽𝒾𝒶𝓇𝒶,
𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝓁𝓊𝓃𝑔𝒽𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾 𝓇𝒶𝓇𝒾
𝒸𝒽𝑒 𝑒𝓈𝓈𝑒𝓇𝑒 𝓊𝓂𝒶𝓃𝑜 𝓅𝑜𝓉𝓇𝑒𝒷𝒷𝑒 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝓂𝒾?
𝓂𝑒𝓏𝓏𝑜 𝓋𝑒𝓈𝓉𝒾𝓉𝒶 𝒹𝒾 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾
𝒹𝒶𝓁 𝒸𝑜𝓁𝑜𝓇𝑒 𝓇𝑜𝓈𝓈𝑜 𝓅𝒶𝓁𝓁𝒾𝒹𝑜,
𝒹𝒶𝓁 𝓉𝑒𝓉𝓉𝑜 𝒹𝑒𝓁𝓁𝒶 𝓅𝒶𝑔𝑜𝒹𝒶 𝓋𝑒𝒹𝑜 𝒾 𝓅𝑒𝓉𝒶𝓁𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝒸𝒾𝓁𝒾𝑒𝑔𝒾,
𝒸𝒶𝒹𝑜𝓃𝑜 𝓃𝑒𝓁 𝓋𝑒𝓃𝓉𝑜 𝒹𝒾 𝓅𝓇𝒾𝓂𝒶𝓋𝑒𝓇𝒶.
𝓈𝒸𝓇𝒾𝓋𝑒𝓇𝑜' 𝓁𝒶 𝓂𝒾𝒶 𝒸𝒶𝓃𝓏𝑜𝓃𝑒 𝓈𝓊𝓁𝓁𝑒 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝒶𝓁𝒾.
𝒾𝓃𝑔𝒶𝓃𝓃𝑒𝓇𝑜' 𝒾 𝓋𝒾𝓋𝒾 𝑒 𝒹𝑒𝓈𝓉𝑒𝓇𝑜' 𝓈𝒸𝑜𝓂𝓅𝒾𝑔𝓁𝒾𝑜 𝓉𝓇𝒶 𝒾 𝓂𝑜𝓇𝓉𝒾.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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Act VIII ; Kisses and secrets.


Dal giorno precedente ero diventata un vero e proprio zombie e dovevo ammettere che quella figura non stonava affatto nell’ambiente in cui, malauguratamente, mi trovavo. Non avevo nemmeno avuto l’occasione di accoccolarmi tra le braccia di Dorothèe quella notte e sicuramente ciò aveva giovato al mio malumore. Indossai la divisa svogliatamente, per la prima volta in tanti anni, vista da fuori quel giorno ero la solita secchiona con i capelli fluenti ed in ordine. Se c’era una cosa che avevo imparato in quel posto, era proprio il fatto che nessuno di quegli individui mi aveva compreso a pieno. Sospirai stancamente dopo essermi fissata allo specchio, passai un dito su quelle lentiggini come a volerle cancellare, ma ovviamente dopo il lieve rossore provocato dal contatto rude, tornarono esattamente come prima.
Al solito il dormitorio non era per niente rumoroso ed anche se poteva apparir piacevole, era comunque inquietante; consapevole del fatto che oltre quelle porte potevano esserci creature molto più potenti forse di Marek od Uriel, o di Dorothèe ed anche di me, era momentaneamente impensabile.
   «Guarda chi c’è, la piccola Eireen.» Una voce acida interruppe i miei pensieri, quella che avevo davanti era Dyanne. Padrona e fidanzata dello stesso Thomas che varie notti prima mi aveva aggredito scontrandosi con Marek. Storsi le labbra in un’espressione di puro disgusto e sospirai scocciata, decidendo di ignorarla e passare oltre. Il suo odore mi dava la nausea. «Ehi dove vai così di fretta? Volevo solo fare due chiacchiere con la più bella del reame.» Canzonò parandomisi davanti.
   «Dyanne, vado abbastanza di fretta. Se vuoi parlarmi del tuo pseudo ragazzo, sappi che la cosa non mi interessa minimamente, piuttosto ti consiglio di tenerlo a bada.»
   «No? Strano, visto che hai sedotto persino lui.»
    «Cosa?» Sbottai guardandola con sgomento, mi veniva dietro con totale naturalezza. «…Senti, non so cosa ti abbia raccontato quel vampirello da strapazzo, ma forse dovresti pensarci tu prima di lasciarlo a digiuno per giorni interi. Ho sentito che incontra molte più ragazze di notte e di certo io non sono interessata ad una feccia simile.» Dosavo la mia istintività in tempi decisamente sbagliati, lei mi guardò ridendo mentre si copriva la bocca col dorso della mano, un gesto fintamente galante e che al momento non le si addiceva affatto. Sotto gli occhi il nero della matita era talmente calcato che quasi non gli si riusciva a distinguere il colore degli occhi, quando si calmò sollevò una mano in mia direzione come se stesse per schiaffeggiarmi, gliela bloccai quasi subito soppesandoci con evidente astio. Quando sollevò anche l’altra, a fermarla prima di me fu Dorothèe.
Una strega ed una Wiccan al confronto? Non sapevo se fuggire dall’isola o dal pianeta intero.
   «Gira a largo Dyanne.» Fece la mia amica, la strega strattonò le mani liberandosi delle nostre strette e si sistemò la giacca della divisa modificata secondo i suoi macabri gusti.
   «Non è affar tuo, fiorellino di campo. Ma visto che siamo in tema, dì a questa cosa di stare lontano dagli uomini di razze opposte. Non sarà colpa di nessuno se finirà sepolta nella Caed Dhu, è qualcosa che non le hai ancora spiegato?» Scrollò le spalle e mi guardò schifata, dopo aver lanciato la bomba che fece ammutolire sia me che Dorothèe, tolse il disturbo proseguendo spedita verso il dormitorio maschile. Roteai gli occhi al cielo scuotendo appena la testa.
   «È così fastidiosa.» Dorothèe venne scossa da evidenti brividi, li enfatizzò con un verso di disgusto che sfociò in il riso di entrambe.
   «Nell’ultimo punto non aveva completamente torto…» Sospirai seccata, Dorothèe mi lanciò uno sguardo compassionevole e mi carezzò la spalla, non vi fu bisogno di parlare oltre.
Ci separammo per un impegno misterioso di cui Dorothèe non fece in tempo a parlarmi ed io proseguii verso il cortile approfittando del fatto che mancava ancora un po’ all’inizio delle lezioni.
Continuavo a pensare all’espressione di Marek il giorno prima, traboccava di disgusto e disprezzo, senza parlare dello schiaffo che gli diedi… per quanto era ovvio non gli avesse fatto male, me ne ero pentita quasi subito. Inconsciamente mi recai proprio nel luogo in cui avevamo litigato la notte prima, camminando a testa bassa e sospirando per tutte quelle parole dette e non dette. Per il fatto che non ero riuscita a fargli capire chi ero davvero e lui ovviamente aveva travisato.
   «Cos’è, vuoi aiutarmi a riparare il buco? O sei qui per goderti lo spettacolo in assenza di meglio?» Fu ciò che Marek disse quando i nostri occhi s’incrociarono per più di qualche secondo.
   «Figuriamoci… passavo di qui solo per… per prendere delle erbe a Dorothèe, sì.» E cosa avrei dovuto dire del resto? “Sono qui perché non facevo altro che pensarti, quindi i miei piedi mi hanno portato involontariamente qui con la speranza di sentire ancora il tuo odore?” Oh no, non se ne parlava minimamente. «Infatti ora vado via.» Vidi Marek nascondere un ghigno, passando l’ennesima mano di calcestruzzo e tornando a guardarmi. Inarcò un sopracciglio allungando la mano verso di me, mosse l’indice in un gesto eloquente.
   «Quando ti ho dato il permesso di andare via, Eireen? Le brave ragazze dovrebbero prendersi la responsabilità di ciò che fanno, se il muro è rotto la colpa è anche tua.» Inarcai un sopracciglio sbuffando incredula, incrociai le braccia al petto facendogli intendere che non mi sarei mossa di un sol centimetro. «Devo venire a prenderti io di peso, o muovi le tue belle gambe fino a qui?»
Mi fulminò con un’intensa occhiata, fermandosi per un secondo sulle “mie belle gambe”. Rimuginai qualche istante su tutta quella situazione e alla fine decisi di avvalorare l’idea che la notte prima mi aveva tormentato. Forse Marek era geloso? O forse voleva solo proteggermi? In entrambi i casi mi sentivo una tonta per non averlo capito. Avanzai di qualche passo fino ad arrivare a lui che tentò di grattarsi il naso ma era evidente non volesse sporcarsi – alzandomi sulle punte lo feci al posto suo.
   «Scusami.» Per averlo toccato, o per averlo schiaffeggiato?
   «Detesto quando chiedi scusa per qualcosa che hai ormai fatto.»
   «Dimmi cosa vuoi che faccia qui e facciamola finita.» Risposi a tono.
   «Non so bene cosa tu debba fare, ci sto pensando seriamente. Sto pensando con attenzione a cosa tu debba fare per farmi passare la rabbia che ho. Qualche proposta?» Mi sorrise beffardo, diede un calcio al secchio ai suoi piedi che rotolò fino al giardino.
   «È così divertente prenderti gioco di me, Marek?» Indietreggiai quando mi si avvicinò di un passo, gli occhi sottili e la mascella serrata di lui mi infastidivano. «Onestamente parlando, sei tu quello che dovrebbe farsi perdonare. Dovresti chiedermi scusa per tutte le cattiverie che mi hai detto e per avermi baciato anche se pensavi quelle cose di me, per avermi detto di sparire subito dopo avermi scombussolato tutto quanto! …Volevi proteggermi per paura che mi facessi male? Beh indovina un po’, sei stato il primo a farlo ma ovviamente io sono la volpe quindi perché credere a ciò che dico?»
Lui alzò il viso guardandomi vacuo, quasi come se non mi vedesse.
   «Se non capisci che mi da fastidio vederti andare la notte con altri ragazzi, allora sono problemi tuoi. Se non capisci che detesto quando sorrisi o ti fai prestare indumenti da altri, ripeto: sono problemi tuoi.» Si fermò per un istante, lasciandomi senza fiato, dopodiché mi afferrò per il polso trascinandomi qualche metro più in là dietro una colonna alla penombra. «Le mie scuse te le scorsi, non se devo scusarmi per quel bacio.»
Intrappolò tra le sue mani anche il polso libero stringendomeli in una presa ferrea, i nostri nasi si sfiorarono. Socchiuse gli occhi soffiando sul mio viso prima di avventarsi sulle labbra, provai a divincolarmi ma lui rafforzò la presa tenendomi ferma, sollevando i miei polsi sopra la testa ed inchiodandoli al muro. Schiuse le mie labbra a forza, lasciando che le nostre lingue si accarezzassero e lottassero disperatamente tra loro per vedere chi alla fine sarebbe sopravvissuto. Mi rilassai gradualmente e quasi non lo divoravo io stessa con quel bacio, ero realmente io quella? La stessa Eireen alla quale non era concesso avere la tv il camera senza poterla guardare se non con il consenso dei propri genitori? La stessa Eireen che indossava solo ciò che la madre le comprava e che non aveva nessun tipo di stimolo sessuale o passionale. La stessa che avrebbe disdegnato un contatto così diretto con la lingua di un'altra persona?
Sentirmi sua mi faceva sentire incredibilmente viva ed era assurdo scoprire di esser stata morta sino a quel momento.
Ansimai contro le sue labbra e tutte le barriere crollarono; mi lasciò i polsi per accarezzarmi il collo scoperto, fermandosi ai fianchi che strinse con prepotenza per avvicinarmi di più a sé, insinuai le dita nei suoi capelli sentendomi talmente libera da poter morire in quel preciso ed unico istante.
Caldo e freddo. Fuoco e gelo, ancora una volta. In qualsiasi legge fisica del mondo questi due elementi erano gli opposti, sempre in lotta con sé stessi proprio come noi. Eppure per un dannato scherzo del destino, per quanto ci opponessimo c’era qualcosa che ci calamitava l’uno tra le braccia dell’altro.
Brividi continui da parte mia caratterizzarono il momento, insieme a mugugni e brevi gemiti che esalavo quando lo sentivo possessivo per quelle prese.
Non appena la mano del vampiro oltrepassò il tessuto della mia camicia per accarezzarmi la pelle, si bloccò. Le sue mani, sebbene erano fredde come ghiaccio, bruciavano come carboni ardenti sulla sull’epidermide ancor più calda. Si staccò con sentita riluttanza mollando la presa sul mio corpo e lasciandomi priva di qualsiasi forza.
   «Questo è riuscito a farti passare i dubbi sulla sincerità di quel giorno? O pensi che bacerei in pieno giorno chiunque indossi una bella gonna scozzese?» Le sue pupille erano rosse, emise un verso che non seppi definire e fece un passo indietro – era la prima volta che pensai volesse mangiarmi sul serio.
Vederlo lontano da me mi fece sentir male, avanzai senza pensare al fatto che qualcuno avesse potuto vederci, lo abbracciai affondando il viso contro il suo petto.
    «E sei io non volessi essere una brava ragazza?» Biascicai.
    «E se io non te lo chiedessi?» Mormorò lui.
    «Hai frainteso, ieri…»
    «Non pensavo sul serio quelle cose…» ammise, ma non mi abbracciò. «Guardati. Guardami. Se ci fosse un subdolo tra noi due, quello sarei io.» Si staccò da me, mi accarezzò il labbro inferiore con le dita e lo tirò appena. «Non abbracciarmi. Non farlo qui e adesso, ci sono troppi occhi e non voglio che tu finisca ancora in punizione… non prima di capire quella questione.»
   «E tu non guardarmi come se volessi mangiarmi, potrebbero fraintendere e pensare che ti ho stregato, come una perfetta kumiho.» La mia voce si assottigliò in un sussurro suadente che mai prima di allora avevo sperimentato, sorrisi appena e lui sembrò per un istante non vedermi, gli occhi perennemente rossi non mi facevano più paura. Mi sistemai la camicia senza smetterlo di guardarlo. «Dobbiamo andare a lezione.» Dissi rendendomi conto troppo tardi dell’ora.
   «Io devo andare a darmi una ripulita, sono completamente sporco ed impresentabile e mi beccherei un rimprovero gratuito. Quindi a meno che tu non voglia lavarmi la schiena, vai alla lezione senza di me.» Sorrise beffardo come spesso faceva, io scossi la testa e mi voltai per andare.
Ci scambiammo un altro sguardo di fuoco quando eravamo a diversi metri di distanza; poi lui sparì per l’interno giorno.
 
Entrando in camera dopo un lungo giorno passato a cercar di capire dove fosse finito Marek, trovai Dorothèe accovacciata contro le lenzuola di un letto ancora sfatto. Alle volte mi fermavo a guardarla di nascosto per poterne capire meglio i meccanismi affascinanti e seducenti che solo lei poteva sfoggiare con tanta naturalezza.
Dorothèe mi aveva raccontato del suo passato, nata dall’unione d’una donna e d’un uomo non era niente. Ma Desdemona, figlia dell’Ombra e della Luce, figlia della Terra e del Cielo, figlia della Grande Dea e del Dio Cornuto, lei era qualcosa.
Leggiadra e delicata, avvertiva lo scorrere della vita nelle radici che d’energia pervadevano il Creato. Danzava, piroettava spensierata anche se aveva tutto il mondo sulle spalle, onorando la sua Dea ed il suo Dio. Inalava l’odore dell’incenso che adesso invadeva anche camera nostra, e delle candele. Sorrideva, rideva, gioiva.
Si prendeva cura di me senza chieder nulla in cambio.
Lei mi disse che sua madre le somigliava molto: libera da ogni pregiudizio, da ogni vincolo. Libera di volteggiare, d’unirsi alla natura. Libera d’essere. Già… avevo rimuginato su quell’espressione per giorni, sua madre carezzava sempre i capelli di Dorothèe cullandola in caldi abbracci e questa cosa mi disse che la confortava molto, le mancavano gli abbracci di sua madre.
Suo padre invece, aveva mollato tutte e due per una lolita o qualcosa di simile. Il fascino perverso della combinazione vecchio-nuovo come l’agrodolce nel palato, diceva, cattura l’attenzione degli ormai adulti appesantiti dalle troppe candeline ed attratti da adolescenti prese da fascinazioni stagionali.
Suo padre le chiamava pazze, povere pazze figlie dei fiori. Guardava sua moglie e gli ripeteva d’averlo stregato, poi si dedicava ad attività più ludiche, passionali, quali calar giù slip umidi e sporcarsi di rossetto rosso volgare.
Poi… dimenticandosi quasi quell’ira che gli provocavano i ricordi del padre, tornava a sorridere raccontandomi di come lei e sua madre chiudevano gli occhi e si rifugiavano nella natura, continuando a danzare a piedi nudi abbracciate dalla brezza profumata dei pini della Francia. Se sulle prime l’immagine mi fece sorridere, dopo pensai che fosse una cosa assurdamente dolorosa per lei esser rinchiusa in un posto simile.
Il padre di Dorothèe si stufò del loro spirito libero e della loro gentilezza, lo reputò un atteggiamento pazzo ed incriminabile, come se ormai solo il male fosse normale nella società in cui vivevamo.
Urlò prima di chiamare uno psichiatra con l’intenzione di farle rinchiudere. Divorziare per lui sarebbe stato troppo costoso, alimenti, soldi da versare mensilmente e reputazione di uomo saggio che rischiava di macchiarsi.
Mi chiesi come poté la madre della mia Dorothèe unirsi in un sacro vincolo con un uomo di quel tipo.
Il racconto di Dorothèe non proseguì mai oltre quel punto, decisi di non chiederle oltre – mi andava bene anche così.
   «Resti sempre a fissarmi, penso che alle volte tu mi voglia consumare l’anima.» La sua voce flebile uscì dalle coperte, ma lei restò immobile, rannicchiava nella sua magrezza ed i capelli sparsi un po’ ovunque sul candore delle lenzuola.
   «Spero che tu non possa consumarti mai.» Dissi con un sorriso, poi mi avvicinai affiancandomi sul letto insieme a lei.
   «Oh Eireen… penso di starmi consumando più di quanto non mi stia rendendo conto.» Alle volte pensavo sostenesse segreti troppo grandi per una sola singola figura come la sua.
   «Lo impedirò, puoi starne certa. Mi caverò gli occhi per non rischiare di consumarti, se necessario.» La strinsi attirandola a me, era così piccola e fragile alle volte. Si voltò nascondendo il viso contro il mio modesto seno, io le carezzai i capelli abbracciandola – imitando le gesta di sua madre per come potevo.
   «Alle volte penso che tu abbia stregato anche me.» Biascicò.
   «Alle volte spero di averlo fatto sul serio.» Dissi.

 
‘Come un lampo o un bagliore di candela
I tuoi occhi, non già il rumore mi destarono.
Così (poiché tu ami il vero)
Io ti credetti sulle prima un angelo,
ma quando vidi che mi vedevi in cuore,
che conoscevi i miei pensieri meglio di un angelo,
quando interpretasti il sogno
sapendo che la troppa gioia mi avrebbe destato e venisti
devo confessare
che sarebbe stato sacrilegio crederti altro da te.
Il venire, il restare ti rivelò. Tu sola.
Ma ora che ti allontani
Dubito che tu non sia più tu.
Debole quell’amore di cui più forte è la paura
E non tutto spirito limpido e valoroso
Se è misto di timore, di pudore, di onore.
Forse, come le torce sono prima accese e poi spente.
Così tu fai con me.
Venisti per accendermi, vai per venire.
E io
Sognerò nuovamente quella speranza, ma per non morire.
 
 
 
 
 
 
 
Dorothèe.
 
 
“C’era una volta”, la formula delle favole dal finale felice, dal “e vissero felici e contenti.”
Adoravo le favole che mi madre mi raccontava prima di addormentarmi, accompagnate da un dolce bacio della buonanotte posato sulla fronte. Adoravo la voce che mi guidava verso le braccia di Morfeo, adoravo il tepore delle coperte, le cime innevate dei Pirenei che intravedevo dalla finestra, quel clima che sapeva di famiglia, nulla a che vedere con le grida e l’indifferenza che mio padre ci riservava.
La mia fiaba preferita tra tutte, era la storia del vampiro che si ritrovò senza denti. Un protagonista cattivo, un mostro perennemente affamato e senza scrupoli. Certo in tutte le versioni di favole o storie dove c’era la figura del vampiro esso veniva sempre raffigurato con tali aggettivi, ma non nella mia. Non nell’universo in cui mi trovavo.
In quell’orfanotrofio che si nascondeva dietro il titolo “collegio”, i figli dal mondo di quelli diversi ed anormali, erano tutti accolti a braccia aperte tra quelle quattro mura apparentemente sicure e degne di fiducia, ma cosa sarebbe successo se io avessi rivelato i miei sospetti? Cosa sarebbe successo se io avessi rilevato le predizioni che avevo sul futuro? …No, non nera quello il momento, ciò che potevo fare era impedire il susseguirsi di alcuni eventi.
Poco alla volta vidi il cortile della scuola popolarsi di nuovi volti, gente proveniente da tutti gli angoli del mondo, come se fossero scarti della società costretti a rispettare regole ed eseguire punizioni al primo sgarro. Si riunivano tutti al suono della campanella in un giardino verdeggiante simile ad un classico cortile scolastico.
Portavo quella divisa contro mia voglia, passavo il tempo ad osservare con aria sperduta i fiori spenti che coloravano quel quadretto magistralmente.
Quel giardino mi regalò il primo incontro con Uriel.
Nessun sorriso, alcun saluto, nemmeno uno scambio di sguardi. Un Uriel di un anno più giovane ed ancora spaesato, s’avvicinò ad una me distratta e sorridente.
   «Tu.» Mi disse sgarbatamente.
   «Io…?»
   «Profumi di fiori in maniera assurda. Esagerata.» I suoi occhi verdognoli mi studiavano attentamente, così come il suo olfatto acuto.
    «Davvero? …Grazie.» Alzai lo sguardo, incrociai quello del mio nuovo amico e sorrisi.
   «Non mi pare di aver detto che il mio fosse un complimento.»
   «Non ti piace il profumo dei fiori? Puzzo? Perché nessuno me l’ha mai detto? L’avessero fatto avrei provato a puzzar di meno.»
Lui si grattò la nuca in un gesto carino.
   «Beh, in classe sei quella che puzza di meno.»
Non capii se fosse un complimento o meno, mi limitai a tendergli la mano ed aprire il palmo.
   «Uriel, Uriel Vanhomrigh.»
   «Dorothèe, Dorothèe Bardou.»
 
Uriel: così cambiato da quel momento, così allontano da me. Così misterioso, così diffidente. Così… così solitario adesso.
Mi chiesi cosa facesse, mi chiesi cosa gli stessero facendo. 
   
 
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